La lotta

Partenza: 01/07/2020
zan
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La lotta

Messaggio#1 » giovedì 2 luglio 2020, 21:34

LA LOTTA

“Il colloquio avrà inizio tra – 5 – minuti.”
La luce dello schermo si riversava nella stanza semibuia su una scrivania immacolata, un vasetto sgargiante con un finto cactus, un paio di poster motivazionali e una parete color pastello. L’area era recintata da un invisibile perimetro di nastro da pacchi: oltre quel recinto, il resto della mia vita si ammonticchiava sul pavimento, aggrovigliata tra i cavi dell’illuminazione professionale, degli speaker e del microfono.
“Si prega di assicurarsi che l’illuminazione sia ottimale e l’ambiente adeguato.”
Nell’ombra, davanti allo specchio, provai ancora una volta l’espressione che avrei dovuto tenere davanti al computer, il sorriso da perfetta candidata.
“Si consiglia di utilizzare illuminazione artificiale e di evitare oggetti estranei nell’inquadratura:”
Ormai conoscevo quella tiritera a memoria. … cattiva illuminazione e un ambiente poco professionale…
“… possono compromettere le possibilità del candidato, indipendentemente dalle sue capacità professionali.”
Come se non fossero la mia età, il mio cinese scadente, la crisi economica, o l’arrivo della trentaduesima – o trentatreesima? – pandemia di Sars del secolo a compromettere le mie possibilità. Ormai non avevo più nessuna speranza di uscirne: il mio lavoro era diventato cercare un lavoro. Chissà se sarei mai riuscita almeno a ripagare il costo dell’attrezzatura da ripresa.
Il computer continuò a recitare le sue raccomandazioni, mentre dallo specchio mi avviavo verso la scrivania. Accesi i fari da studio, che lavarono via la penombra dall’angolo delle riprese, e mi diressi verso la luce.
I miei piedi urtarono qualcosa.
Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero. Mi gettai a recuperarli.
“Il colloquio avrà inizio tra – 3 – minuti. Buona fortuna!”
China ai piedi della scrivania, raccattai i libri e i fogli in tutta fretta, annaspando. Li spinsi fuori dal recinto, dentro una pila di vestiti, ma loro se ne andarono di malavoglia, lasciandosi dietro foglietti e cartacce.
Spazzai via gli ultimi resti. Uno si infilò sotto il nastro adesivo, incastrandosi. Lo strappai fuori.
“Il colloquio sta per iniziare!” civettò il computer, con una voce diversa, più amichevole. “Assicurati di essere ben visibile nell’inquadratura. Hai bisogno di aiuto?”
Le mie dita mi avvertirono che non era carta, ma una fotografia.
Era una vecchia istantanea, dai colori ormai molto sbiaditi. Due facce sorridenti sotto le mascherine chirurgiche, dietro gli inutili visori di plastica che decenni prima si usavano per proteggersi dalla Sars.
Com’ero giovane. E com’era giovane lei…
Sullo sfondo, appena visibile, si stagliava l’immenso stadio di Felcsút. Persino nella foto era evidente lo stato pietoso in cui versava, così come la desolazione del minuscolo paesino da cui prendeva il nome: niente di più che un grumo di case, abbandonate nella campagna ungherese.
Il giorno in cui eravamo arrivate era stato memorabile. Avevamo viaggiato per una settimana e attraversato a piedi, di notte, frontiere sigillate ormai da anni a causa delle continue pandemie di Sars. Avevamo passato giorni su minivan stipati di clandestini slavi, incuranti della pandemia. E alla fine, quasi all'improvviso, avevamo visto lo stadio di Felcsút sorgere dall’orizzonte vuoto come una cattedrale nel deserto.
Scaricate in fretta con i nostri bagagli, avevamo subito trovato il braciere: niente di più che un modesto falò vegliato da due ragazzini zingari, che non erano nientemeno che il comitato di accoglienza. Messi assieme, parlavano più di quindici lingue. Il più piccolo dei due ci aveva condotto attraverso il villaggio fantasma e ci aveva spiegato tutto. La gran parte degli atleti era già arrivata: i Giochi sarebbero cominciati entro due giorni.

Negli anni le Olimpiadi erano state prima rimandate, poi cancellate, e infine ufficialmente bandite. Assembramenti di tale entità, al tempo della Sars, erano un incubo per gli organizzatori: nemmeno le Olimpiadi potevano generare abbastanza incassi da giustificare la spesa. Ma la gran parte di noi non era lì per il premio: noi eravamo lì per la gloria, e l’avremmo avuta ad ogni costo, anche se avessimo dovuto guadagnarcela in uno stadio abbandonato, lontano dalla civiltà, sotto gli occhi soltanto dei nostri stessi avversari.
Io correvo i duecento metri allora, ma non ero portata. Se ci fossero stati dei seri minimi da rispettare per l’accesso alle gare, come una volta, non sarei neanche riuscita a candidarmi. Ma per lei era diverso: lei si era avvicinata a un record mondiale, durante gli allenamenti. Lei aveva una speranza.
Il primo giorno gareggiai io, su una pista di pessimo tartan gettato in qualche modo sullo sterrato. Non mi avvicinai neanche al podio: quarantatreesima posizione su cinquantuno. Il secondo giorno, invece, toccava a lei, e io ero talmente eccitata da non riuscire nemmeno a sedermi sulle tribune.
Sotto gli occhi degli spalti semivuoti, i quattrocentristi sfrecciavano sul tartan attorno al campo da calcio. I lanciatori di peso misuravano minuziosamente i loro lanci. Il salto in lungo non era molto più che lontane ondate di sabbia, mentre il fioretto occupava relativamente poco spazio, nel mezzo dell'arena. E i saltatori con l’asta, davanti a me, si lanciavano in aria come cavallette. Lei entrava in gara penultima, a causa del suo record personale, e io non ero mai stata così impaziente prima di allora. Volevo vedere il suo, di salto: volevo vederla vincere.

La vidi avvicinarsi quando ormai le gare andavano avanti da ore.
Più della metà dei concorrenti era già stata eliminata. L’asticella era già a quattro metri e settantaquattro, alta persino per gli standard del salto con l’asta. La vidi entrare in campo, dritta e fiera, con la sua criniera africana domata a stento e la pelle lucida come bronzo.
Nell’afa del mezzogiorno, sembrava fatta lei stessa di metallo. Misurata come una macchina, si preparò al primo salto.
Soppesò l’asta, allineandola con la sua traiettoria. Si mise in posizione e fissò il suo obiettivo per un lungo secondo, immobile. E scattò.
Con una potenza meccanica accelerò e puntò l’asta nella buca. Caricò, e in un attimo si lanciò verso la sbarra.
La folla mi schiacciò contro il parapetto, mozzandomi il fiato: ma gli spari mi riscossero e mi voltai di scatto verso gli spalti.
Sapevo già cosa avrei visto.
Agenti in divisa antisommossa sciamavano da tutte le entrate, bloccandole, mentre la folla impazzita cercava di fuggire. Due elicotteri sbucarono bassissimi dai lati dello stadio e si calarono nell’arena, scatenando il panico. Gli atleti in gara, colti in flagrante, fuggivano in tutte le direzioni. La stazione del salto con l’asta era già vuota, l’asticella ancora là, intoccata.
La chiamai, senza riuscire a sentire nemmeno la mia voce nel frastuono. La cercai, a lungo, ma invano. Fuggii dagli spalti, e per miracolo sfuggii anche alla retata. Ma lei non l’avrei mai più ritrovata.

Sentii i miei occhi farsi lucidi e mi spaventai. Non avevo tempo di rifarmi il trucco prima del colloquio!
Feci per gettare la foto nella pila. Sul retro, vidi una calligrafia spigolosa: la dedica che ci aveva fatto il vincitore dei centro metri piani, volato fin lì dal Nicaragua e scomparso assieme a tutti gli atleti di valore dell’ultima Olimpiade della storia.
“L’importante nella vita non è il trionfo, ma la lotta. L’essenziale non è aver vinto, ma essersi battuti con valore. Ma io so già che voi vincerete!”
La lacrima scappò dai miei occhi.
“Il colloquio avrà inizio tra – 1 – minuti. Non sei ancora visibile nell’inquadratura: hai bisogno di aiuto?”



zan
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Re: La lotta

Messaggio#2 » lunedì 6 luglio 2020, 22:20

Bonus:
1) un personaggio deve fare/provare una disciplina olimpica (anche virtualmente) (-2 PUNTI)
La protagonista corre i 200 metri piani, la coprotagonista fa salto con l'asta.
2) citare almeno una vota De Coubertin (nome o motto) (-2 PUNTI)
La citazione sul retro della fotografia è una citazione di De Coubertin.

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micheleapicella
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Re: La lotta

Messaggio#3 » venerdì 17 luglio 2020, 8:40

Buongiorno!

Esordisco segnalando che è la prima volta che mi viene richiesto di... fare le pulci a un testo narrativo, e che sono nient'altro che un amatore che sta cominciando a muovere i primi passi sulla strada dello storytelling e della scrittura.

Allora: l'impressione generale, arrivando a fine racconto e poi rileggendolo anche una seconda volta, è stata più che buona. Mi è sembrata una storia interessante, un aneddoto di biografia personale che intriga alla lettura.

Credo che questo merito sia da attribuire alla tua capacità di scandire bene i tempi del racconto lungo i due blocchi - presente e flashback sul passato - per poi ricapitolare sul ritorno all'attualità che rende bene l'idea di un "risveglio" da un breve sogno a occhi aperti.

Mi è piaciuta anche la scelta di molte immagini su cui hai costruito le scene: le ho trovate vivide ed "essenziali" nel senso migliore del termine.

Poi, per quello che ne posso dire io, il racconto in sé mi sembra assolutamente in tema.

Ciò che posso aver riscontrato a livello di piccole "criticità", da appassionato e non competente in materia, è quanto ti scrivo qui di seguito (riporto stralci e provo a dire la mia al riguardo):

La luce dello schermo si riversava nella stanza semibuia su una scrivania immacolata
Qui, forse, per una questione di migliore scansione frasale e di agevolazione di lettura, avrei cominciato con Nella stanza buia,.... Scritta così come hai fatto tu, ho l'impressione che crei un salto leggermente fastidioso nella lettura: immagini la luce prima di sapere dove... e poi sei, passami il termine, costretto a immaginarlo nella stanza buia troppo tardi.



aggrovigliata tra i cavi dell’illuminazione professionale, degli speaker e del microfono.
“Si prega di assicurarsi che l’illuminazione sia ottimale e l’ambiente adeguato.”

Qui ho pensato che volessi appositamente creare un effetto di ripetizione, tra il rigo e quello successivo, della parola illuminazione. Personalmente, però, avrei tentato la strada di un sinonimo in un rigo o nell'altro.



che non erano nientemeno che il comitato di accoglienza
Mi sembra che il non sia di troppo, finisce per rendere negativa la frase, piuttosto che affermativa.



La vidi entrare in campo, dritta e fiera, con la sua criniera africana domata a stento e la pelle lucida come bronzo.

Qui avrei evitato il sua prima di criniera africana, crea un leggero "scalino" nella lettura non necessario, nel senso che è intuibile che si tratti proprio della sua criniera africana.



Soppesò l’asta, allineandola con la sua traiettoria. Si mise in posizione e fissò il suo obiettivo per un lungo secondo, immobile. E scattò.
Anche in questo caso, mi sembra che un sua si ripeta una volta di troppo senza che ce ne sia necessità: eliminerei il secondo, credo.


Come già detto, comunque, ho letto molto volentieri questo racconto, un "giudizio" di bilancio da parte mia non potrebbe che essere positivo.

Spero che quanto ti ho scritto possa esserti utile in qualche modo.

In bocca al lupo!

Sea60-MG
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Re: La lotta

Messaggio#4 » venerdì 17 luglio 2020, 14:07

Buongiorno, questo è il mio primo intervento, dunque saluto l'autore e chiedo venia in anticipo. Per finire, senza la pretesa di diventare santo subito, spero che "se sbaglio mi corrigerete".

L'idea di base appare buona e originale. Si respira una solitudine ( la voce impersonale del computer che scandisce il tempo)
e una disperazione senza alcuna speranza ( il mio lavoro era diventato cercare un lavoro) che pervade l'intera narrazione (l'offerta di aiuto virtuale con cui si conclude il racconto è straziante).
Ci sono alcune parti che a mio parere rallentano un po' il ritmo e sono scritte con una forma da limare.

1) la descrizione dell'area per le riprese
“L’area era recintata da un invisibile perimetro di nastro da pacchi: oltre quel recinto..."

2) la dinamica con cui viene introdotta la fotografia (un escamotage non proprio originale per far partire il ricordo) poteva essere scritta usando termini più idonei e con meno macchinosità.
"I miei piedi urtarono qualcosa.
Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero."
"dentro una pila di vestiti, ma loro se ne andarono di malavoglia, lasciandosi dietro foglietti e cartacce.
Spazzai via gli ultimi resti. Uno si infilò sotto il nastro adesivo, incastrandosi. Lo strappai fuori."
“civettò il computer" (civettò?)
"Le mie dita mi avvertirono che non era carta, ma una fotografia."

3) se lei era lì per la gloria, rischiando molto, perché correva i duecento metri per cui non era portata? Non si spiega

4) espressioni poco chiare
Sotto gli occhi degli spalti semivuoti, (?)
Il salto in lungo non era molto più che lontane ondate di sabbia (?)
Lei entrava in gara penultima, a causa del suo record personale (?)
La vidi avvicinarsi quando ormai le gare andavano avanti da ore, (era mezzogiorno)

Misurata come una macchina (?)
e fissò il suo obiettivo per un lungo secondo (?)
Con una potenza meccanica (?)
Caricò, e in un attimo si lanciò verso la sbarra (?)
La folla mi schiacciò contro il parapetto (ma gli spalti non erano semivuoti?)


La stazione del salto con l’asta era già vuota, l’asticella ancora là, intoccata (poco prima era partita come un fulmine verso l'alto e la protagonista non vede il salto?)

Manca poco all'inizio della presentazione e trova addirittura il tempo per leggere la dedica (poco credibile)
"Non avevo tempo di rifarmi il trucco prima del colloquio!
Feci per gettare la foto nella pila.
“L’importante nella vita non è il trionfo, ma la lotta. L’essenziale non è aver vinto, ma essersi battuti con valore. Ma io so già che voi vincerete!”

Insomma, sulla base di quanto sopra da un punto di vista formale ci sono alcuni passaggi nella scrittura che andrebbero rivisti.

Forse sono stato un po' troppo sintetico?

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Giacomo Puca
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Re: La lotta

Messaggio#5 » sabato 18 luglio 2020, 14:40

Ciao Zan!

Questo è il mio primo commento/valutazione qui sul forum, prendilo cum grano salis, è pur sempre la valutazione di un dilettante. Inoltre tieni presente che proverò a fare le pulci al tuo racconto nel modo in cui vorrei che qualcuno facesse le pulci al mio. Se ci saranno molte cose "negative", spero tu capisca che scovarle e scriverle mi costerà molta più fatica che dirti "bravo, bellissimo, continua così!"

Partiamo dalle cose che trovo positive:

Il tema è centrato in pieno.

Il bonus, riguardo lo svolgimento di una disciplina olimpionica, è legittimo e ben armonizzato nella vicenda.

L'idea che il mondo affronti ormai la trentaduesima o trentatreesima ondata di SARS è inquietante al punto giusto. Lasci intravedere scorci di come il mondo sia diventato sino-centrico e di come la vita sia stata influenzata dal virus ( i colloqui sono solo online, la gente si indebita per l'attrezzatura da ripresa).

Anche l'idea delle olimpiadi illegali, fatte per mero spirito sportivo, mi è piaciuta. Non so quanto sia realistico riuscire a realizzarle senza che qualcuno se ne accorga in anticipo, ciò potrebbe essere spiegato con il collasso dei sistemi nazionali.

Ora passiamo alle dolenti note (eventuali suggerimenti sostitutivi sono pensati solo per chiarificare il concetto, non ti sto riscrivendo il racconto):

Per tutta la prima parte del racconto ho fatto fatica a "vedere la scena". Le frasi come "il colloquio avrà inizio tra – 5 – minuti" non sono contestualizzate, tant'è che immaginavo fossero delle scritte su uno schermo, finché non viene detto, solo alla riga 16, che il computer le recita. Sarebbe bastato scrivere nella primissima riga una cosa tipo: le casse del pc gracidarono "il colloquio avrà inizio tra – 5 – minuti".
Sempre nell'ottica di "vedere la scena" ho fatto una gran fatica a capire dove fosse la protagonista. La descrizione della scrivania, della parete e del resto della sua vita mi dava l'idea di essere fatta da una persona seduta davanti al pc, ma capiamo che si trova da qualche parte nella stanza. Perché tiene la stanza in penombra, se si sta sistemando davanti allo specchio? Perché accende le luci solo quando ha finito di sistemarsi?

Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero. Mi gettai a recuperarli. Qui il verbo gettare è problematico perché 1) la ripetizione gettò-gettai è fastidiosa, 2) è un verbo che trovo inadatto. Ho immaginato qualcosa che si lancia di sua volontà nell'inquadratura (ho pensato a un gatto) e non che cadesse nell'inquadratura. Altri lo ricorsero, stessa cosa, non da l'idea di qualcosa che cade perché urtato, da l'idea di qualcosa di animato che decide di muoversi.
In questa sequenza lei si getta e annaspa per recuperarli? Sembra tutto eccessivo, come una sorta di overacting applicato alla scrittura.
I fogli se ne andarono di malavoglia, non ho capito come sia possibile che dei fogli vadano via di malavoglia.

Le mie dita mi avvertirono che non era carta, ma una fotografia. L'idea che capisca col tatto che si tratta di una foto è buona, ma la trovo scritta un poco goffa. Perché le dita la avvertono? Non si tratta comunque di carta?
Magari avresti potuto scrivere una cosa del tipo "sotto le dita sentii che la superficie non era ruvida, ma patinata. Era una vecchia istantanea..."

Ora arriva il problema più grande che ho trovato nel racconto: il "realismo". Siamo a meno di 3 minuti da un colloquio di lavoro, lavoro di cui la nostra protagonista ha un gran bisogno, e lei ripercorre mentalmente e nel dettaglio tutta quella vicenda?
Posso capire che la foto susciti un ricordo fugace, un' emozione, ma non riesco a immaginare nella tensione del pre-colloquio di ripercorrere mentalmente l'intera vicenda. Pensa di essere a pochi secondi da un esame, un colloquio, un test. Non esiste nient'altro nella tua testa.
Per tutta la durata del racconto dell'olimpiade infatti pensavo: ok, adesso la voce del pc la interrompe e la riporta alla realtà. Mancano trenta secondi al colloquio e tu protagonista continui a pensare ai dettagli della criniera della tua amica? Agli zingari che conoscono quindici lingue? Davvero devi sottolineare mentalmente una cosa che ti è ovvia, come il fatto che il mondo è cambiato a causa della pandemia?

Qualche appunto stilistico qui e là.

Io correvo i duecento metri allora. Non è che sia sbagliato, ma suona buffo, perché sembra "correvo i duecento metri all'ora", magari → Allora, io correvo i duecento metri.

Un altro appunto che molti altri sono sicuro ti faranno notare: usa meno avverbi! Appesantiscono il testo e non aggiungono niente. Mi riferisco a cose come: il fioretto occupava relativamente poco spazio, per un lettore è identico a → il fioretto occupava poco spazio.
"ormai" è un avverbio di cui abusi in modo particolare. Prova a riscrivere le frasi togliendolo e noterai che non cambia nulla. La vidi avvicinarsi quando ormai le gare andavano avanti da ore → Le gare andavano avanti da ore, quando la vidi avvicinarsi.
Era una vecchia istantanea, dai colori ormai molto sbiaditi → Era una vecchia istantanea, dai colori molto sbiaditi
frontiere sigillate ormai da anni a causa delle continue pandemie → frontiere sigillate da anni, a causa delle continue pandemie.

Ci sono frasi difficili da decifrare tipo: Sotto gli occhi degli spalti semivuoti. Credo intendessi una cosa tipo "Sotto gli occhi degli spettatori, che occupavano gli spalti semivuoti..."
con una potenza meccanica è una frase che non sono riuscito a decifrare.
Nell’afa del mezzogiorno, sembrava fatta lei stessa di metallo. Perché specifichi lei stessa, cos'altro lo era? Perché sembra fatta di metallo?

Ho fatto fatica a capire quanto fosse distante la protagonista dalla gara di salto. I saltatori con l'asta sono davanti a lei e si lanciano in aria come cavallette, il che mi dà l'idea che li veda piuttosto piccoli, però distingue la criniera della sua amica, il che dà l'idea che sia vicina.

La folla mi schiacciò contro il parapetto, mozzandomi il fiato: ma gli spari mi riscossero e mi voltai di scatto verso gli spalti.
La folla non ci dovrebbe essere, visto che gli spalti sono semivuoti. La costruzione della frase è macchinosa. Qui emerge, come per tutto il racconto, una forte predilezione al tell e non allo show (se non sai di cosa parlo cerca "show don't tell"). Quello che narri qui è un colpo di scena, ma detto così non trasmette nulla, questo perché non è mostrato, ma solo raccontato. Se avessi creato questa sequenza basandoti sulle sensazioni della protagonista, mostrando la folla che la schiaccia, la sensazione di soffocamento, il fragore degli spari, lei che si volta e vede sciamare gli agenti... avresti creato il pathos che miravi a creare.

Fuggii dagli spalti, e per miracolo sfuggii anche alla retata. Medesimo problema di raccontato e non mostrato. Non ci dici come si è salvata. Certo, dire semplicemente che riesce a fuggire, senza spiegare come, è molto più semplice. Ma da lettore mi aspetto che lo scrittore trovi delle soluzioni originali e interessanti, non che si limiti a dire che qualcosa è successo senza dirmi come. Inoltre hai perso una ottima occasione per caratterizzare il protagonista: se si fosse salvata tradendo l'amica ci faremmo una idea, se si fosse salvata corrompendo le guardie ci saremmo fatti una idea diversa, se l'avesse scampata usando uno stratagemma ci saremmo fatti un'altra idea ancora...

La citazione “L’importante nella vita non è il trionfo, ma la lotta. L’essenziale non è aver vinto, ma essersi battuti con valore. Ma io so già che voi vincerete!” mi è sembrata messa tanto per beccare il bonus. Introduci il personaggio che ha fatto la dedica solo nelle ultime righe. Personaggio cui però non hai mai accennato neppure per un momento. Sarebbe bastato aggiungere, che so, che il primo giorno lei e l'amica avevano assistito ai cento metri e si erano fatte autografare un foto, che scopriamo essere poi quella che regge tra le mani nel presente narrativo.

Ciò detto spero che tu non te la prenda, al di là delle mie critiche, che spero tu abbia percepito come costruttive, l'dea del racconto mi è piaciuta.

Un saluto.
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Mauro Lenzi
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Re: La lotta

Messaggio#6 » martedì 21 luglio 2020, 10:30

Di "La Lotta" mi è piaciuta l’idea di base, dove vengono accentuate alcune tematiche attuali (epidemie, disoccupazione, spersonalizzazione dei rapporti) in un insieme coerente. Un buon mix di elementi che, singolarmente presi, non richiederebbero un grande sforzo di fantasia. In questo contesto si colloca con naturalezza il tema delle Olimpiadi abolite. L’introduzione rende l’idea, con alcuni dettagli ben messi.

Già molto è stato detto per migliorare questo racconto, il che mi rende arduo aggiungere qualcosa di originale. Che sia nuovo o no, ecco cosa ho notato.
Cerco di non entrare nel merito delle singole frasi, perché mi sembra che i problemi più rilevanti siano a livello di costruzione della storia e dei personaggi.

Ma una nota stilistica ce l’ho, e riguarda il dare vita agli oggetti e rendere macchine le persone.

Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero.
Ne approfitto per far notare che “oggetto scuro e informe” è vago.
Eh ma se il personaggio non ha capito cos’è?
È rilevante, ai fini della storia, che il personaggio non lo abbia capito? No. Dunque, meglio fornire al lettore un dettaglio concreto.

“Il colloquio sta per iniziare!” civettò il computer.

China ai piedi della scrivania, raccattai i libri e i fogli in tutta fretta, annaspando. Li spinsi fuori dal recinto, dentro una pila di vestiti, ma loro se ne andarono di malavoglia, lasciandosi dietro foglietti e cartacce.

La vidi entrare in campo, dritta e fiera, con la sua criniera africana domata a stento e la pelle lucida come bronzo. Nell’afa del mezzogiorno, sembrava fatta lei stessa di metallo. Misurata come una macchina, si preparò al primo salto. […] Con una potenza meccanica accelerò e puntò l’asta nella buca.


Non so se è questo il caso, ma tali frasi hanno suscitato in me una riflessione. È uno stile può essere visto come “ispirato”, ma l’idea che ne ho ricevuto come lettore è stata invece di confusione.
A volte l’ispirazione è in realtà perdere il controllo di quanto si sta scrivendo, oppure pigrizia. Ecco, “La lotta” mi ha trasmesso un senso di pigrizia. Come se partendo da un’idea buona, si fosse perso interesse o energia nel portarla avanti.

Ci sono due storie. La storia presente parte con un’atmosfera interessante, ma non si concretizza in nulla, fa solo da contorno a quella che dovrebbe essere la “vera” vicenda, la storia passata. Questa invece inizia con uno spiegone, un tell che andrà avanti anche nella narrazione e non ti farà entrare veramente nelle vicende.
Il trigger iniziale della fotografia mi fa pensare che le due storie si sarebbero ricongiunte, che alla fine del flashback ci sarebbe stato un collegamento alla situazione attuale. Invece no, lo scollamento rimane, mentre il senso di “tirato via” prosegue con la parte della retata, descritta in un modo rapido e vago che non ti lascia senso di conflitto; per poi concludere con il cheap trick della citazione trovata sul retro della fotografia, da parte di un personaggio mai introdotto prima.

Anche dei personaggi non si scopre nulla.
C’è un accenno di empatia iniziale, ma poi non ci si entra veramente, perché quella che sembrava la protagonista sparisce nell’elucubrazione e diventa una voce narrante.
Ma allora chi diventa il protagonista… la “lei” del ricordo? Ma non si saprà nulla di “lei”. C'è una visione mitizzata ma disumanizzata in cui non si approfondisce nulla di “lei”, né della voce narrante, né del rapporto tra le due.

"La lotta" mi lascia insomma l’amaro in bocca e la maligna supposizione di una storia con ottimi presupposti, ma gestita con un approccio da compitino da svolgere: tema, bonus, citazione. Messi senza troppa costruzione a priori. In ogni caso, una narrazione fredda, che andava benissimo per l'atmosfera iniziale, ma che è poi perdurata tenendomi emotivamente lontano dalle vicende e dai personaggi. Un po come se mi si dicesse: "sì, c'erano emozioni, speranze, sentimento... ma posso solo accennarne, non sono fatti tuoi."
Peccato perché la storia è molto in tema, e lo affronta da una prospettiva interessante. Ho notato una scrittura con margini di miglioramento, ma buone basi. Scelte curate dei dettagli. L’inizio mi aveva fatto ben sperare. E anche così, ai miei occhi "La lotta" mantiene il suo fascino.
Mi piacerebbe che facesse da base per una nuova storia, riscritta completamente, che leggerei con alte aspettative.

zan
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Re: La lotta

Messaggio#7 » martedì 21 luglio 2020, 23:51

Scusatemi se non ho risposto a nessuno di voi finora: ho voluto aspettare che tutti scrivessero le loro opinioni prima, in modo da non distorcerle con le mie giustificazioni a posteriori.

Grazie soprattutto per il tempo che avete dedicato a commentare il mio racconto. Sia laddove evidenziate i punti positivi, sia specialmente per le critiche dettagliatissime. Essendo il primo pezzo che io abbia scritto da diversi anni a questa parte, mi aspettavo un risultato assai peggiore! :D

Purtroppo avete evidenziato così tanti difetti stilistici che non me la sento di commentarli tutti. In ogni caso sulla maggior parte di essi concordo con voi, c'è un bel po’ di strada da fare e terrò a mente i vostri consigli nei prossimi racconti. Grazie a Giacomo in particolare per avermi fatto notare che alcuni (molti) passaggi sono difficili da visualizzare: è un problema su cui ho lavorato molto e evidentemente devo lavorare ancora.

Su un punto, però, potremmo argomentare:

"Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero."

Questa frase in particolare vorrei approfondirla, se avete voglia di discuterne. Prendo per primo il commento di Mauro:

È rilevante, ai fini della storia, che il personaggio non lo abbia capito? No. Dunque, meglio fornire al lettore un dettaglio concreto.

Ma se io volessi che il lettore, come il personaggio, non lo veda bene subito? L'intenzione era appunto quella di causare empatia, ovvero così come il personaggio sussulta all'idea che qualcosa (potenzialmente qualunque cosa, persino un gatto) sia finito nell'area illuminata, cosi avrei voluto che il lettore non capisca subito cosa è finito nella zona illuminata, nè se ci è finito per sbaglio o per volontà propria, e che se lo domandi. Non voglio giustificare il modo in cui l'ho scritto, che evidentemente non funziona: ma come avrei potuto causare questo effetto?

La stessa domanda vale per Giacomo, che mi ha fatto un commento simile riguardo al fatto che un libro non si getta da nessuna parte. Hai ragione, e capisco l'effetto che ti ha fatto. Se avessi un'opinione in merito sarei felice di sentire anche il tuo parere.

Tornando a Mauro, riguardo alle note stilistiche, è un vero peccato perchè la maggior parte delle cose che descrivi come difetti corrispondono all'incirca all'effetto che mi ero proposta di suscitare nel lettore... Qualcosa è andato storto :D Se dovessi riscriverla da cima a fondo ti farò sapere, sarebbe sicuramente un ottimo esercizio.

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Giacomo Puca
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Re: La lotta

Messaggio#8 » mercoledì 22 luglio 2020, 3:00

Ciao Zan, sono felice tu abbia apprezzato i commenti e le puntualizzazioni.

Tenendo sempre in mente che io sono un dilettante, e pertanto faccio considerazioni che magari un autore ben più esperto potrebbe trovare assurde, cerco solo di essere spietato quanto lo sarei con una mia opera (cosa più facile con le opere altrui XD).

Detto questo, veniamo alla vexata quaestio: Accesi i fari da studio, che lavarono via la penombra dall'angolo delle riprese, e mi diressi verso la luce.
I miei piedi urtarono qualcosa.Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero.


Posso trovare diversi problemi, che mi sembrano tutti dovuti al non aver bene in mente come la scena debba apparire o al non aver descritto correttamente al lettore quello che avevi in testa.
Nello specifico, la protagonista accende dei faretti da ripresa per il colloquio. I libri che cadono nell'inquadratura, scivolano da una pila, quindi devono trovarsi proprio al margine della zona di ripresa, ergo, sono inondati di luce, altro che scuro e informe (i faretti da riprese sono famosi per essere molto potenti).
Se invece tu avessi avuto in mente una situazione di scarsa visibilità (che si ottiene semplicemente posticipando l'accensione dei faretti) avremmo un altro problema. Infatti tu scrivi in prima persona, e in quanto prima persona ogni cosa detta e non detta ci dice qualcosa, tutto è filtrato dal pdv. Nel caso specifico il pdv decide di usare proprio il verbo gettare, per descrivere il fatto che dei libri cadano dalla pila. Le opzioni sono 3:
– È il verbo sbagliato da usare. Cadere, scivolare, rotolare, finire sarebbero stati più azzeccati.
– Il pdv usa il verbo gettare con un significato strano, visto che normalmente ha un' altra accezione. Questo però dovrebbe essere mostrato in altri punti della vicenda, per farcelo capire, ma soprattutto dovrebbe avere un senso, un motivo per questa stranezza. Io questa ipotesi la eviterei come la peste, soprattutto in un racconto breve, salvo significati importanti.
– Il pdv vede effettivamente un movimento che verrebbe percepito come "gettarsi". Questo però è incompatible con il movimento di un libro che cade da una pila. Questa era la mia ipotesi in prima lettura, e suppongo, quella di molti, ma solleva la domanda ovvia per tutti: come diavolo ha fatto a vedere dei libri che si gettavano?

Altro problema
Il pdv ci dice che gli oggetti che cadono sono scuri e informi, ma specifica che cadono da una pila di libri. Come se vedesse che tutti i libri fermi sono libri, mentre, per qualche motivo, i libri che si muovono non è in grado di distinguerli.

Inoltre, nell'ipotesi di scarsa visibilità, la vista smette di essere il senso principe, e l'udito prende il sopravvento. L'effetto potrebbe essere qualcosa del tipo "degli oggetti scuri caddero da una pila di cianfrusaglie, rumore sordo, di libri che cadono a terra, frusciare di pagine." (fa schifo, era per dare l'idea)

Alla fine è probabile che tu abbia avuto qualche problema a calarti nella vicenda, a me capita di continuo. Essendo la nostra fantasia non soggetta a leggi fisiche, è assolutamente plausibile che nella tua mente vi fossero dei faretti a un metro da una pila di libri immersi nella penombra. Ahimè sono cose spesso invisibili all'autore, questo è il bello del far leggere i propri racconti agli altri.

Un saluto, Giacomo
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Mauro Lenzi
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Re: La lotta

Messaggio#9 » mercoledì 22 luglio 2020, 9:07

Ciao Zan, sono lieto di risponderti e ancor di più nel vedere in te un approccio positivo: naturalmente non basterà da solo se la tua intenzione è migliorare, ma ti servirà :)
Naturalmente il "secondo me" è implicito in ogni cosa che ho detto. Pur che ci sono persone molto più competenti di me che sostengono ci siano regole precise, non ho la loro esperienza e sicurezza... diciamo che ti darò qualche dritta, ma ti consiglierò anche dove approfondire.
E ora veniamo al dunque.

zan ha scritto:Su un punto, però, potremmo argomentare:

"Un oggetto scuro e informe si gettò nella zona proibita, rotolando giù dalla pila di libri che avevo urtato, e diversi altri lo rincorsero."

Questa frase in particolare vorrei approfondirla, se avete voglia di discuterne. Prendo per primo il commento di Mauro:

È rilevante, ai fini della storia, che il personaggio non lo abbia capito? No. Dunque, meglio fornire al lettore un dettaglio concreto.

Ma se io volessi che il lettore, come il personaggio, non lo veda bene subito? L'intenzione era appunto quella di causare empatia, ovvero così come il personaggio sussulta all'idea che qualcosa (potenzialmente qualunque cosa, persino un gatto) sia finito nell'area illuminata, cosi avrei voluto che il lettore non capisca subito cosa è finito nella zona illuminata, nè se ci è finito per sbaglio o per volontà propria, e che se lo domandi. Non voglio giustificare il modo in cui l'ho scritto, che evidentemente non funziona: ma come avrei potuto causare questo effetto?


L'empatia non la crei così. Il lettore deve creare un legame emotivo con il personaggio. Calati nei panni del lettore: ti sentiresti vicina alla protagonista perché non vede bene un oggetto ed è un po' agitata e confusa?

Piuttosto, questo può creare un po' di empatia.

Come se non fossero la mia età, il mio cinese scadente, la crisi economica, o l’arrivo della trentaduesima – o trentatreesima? – pandemia di Sars del secolo a compromettere le mie possibilità.

Dico un po' perché non è molto efficace, è artefatto per due motivi:
1) viene spiegato al lettore, mentre ci vorrebbero eventi che mostrano queste cose (meno facile in generale, ancor meno in un racconto con battute limitate. Dovresti valutare cosa altro tagliare)
2) il personaggio fa elucubrazioni poco istintive, e che dunque suonano artefatte. Perché quello che si percepisce è la scrittrice che fa pensare cose al personaggio al solo scopo di informare il lettore. Una specie di "as you know Bob" a se stessi. (nel caso tu non sappia cos'è, lo troverai facilmente)

Per cui niente, se lo scopo di quella frase era creare empatia non serviva, quindi risolto il problema di come scriverla.
Non credo che si possa ragionare di come scrivere una cosa del genere senza tenere conto dello scopo per cui c'è.
La presenza di quell'oggetto strano deve avere un motivo. Se non lo vede bene, deve esserci un motivo. Altrimenti taglia. Serve a "creare atmosfera?" Pensa prima a cosa crea atmosfera, e metti nero su bianco quei dettagli concreti, sensoriali, secondo la tua sensibilità. Aggettivi al minimo indispensabile, e quando possibile prediligi un'azione, che cattura di più l'attenzione che non un'immagine statica.
Credo tu abbia capito che questo diventa molto difficile se uno scrive di getto, pur partendo da un'idea molto buona. Non dico che tu lo abbia fatto, ma a mia impressione, avresti dovuto fare una più accurata costruzione dell'architettura della storia, e delle scene.


zan ha scritto:Tornando a Mauro, riguardo alle note stilistiche, è un vero peccato perchè la maggior parte delle cose che descrivi come difetti corrispondono all'incirca all'effetto che mi ero proposta di suscitare nel lettore... Qualcosa è andato storto :D


Come concludi mi piace, se vuoi migliorare è l'atteggiamento giusto. Come scrittori dobbiamo fare nostre anche le critiche che non ci appaiono lampanti.

Ora, sull'effetto ci sarebbe molto da discutere, semplifico sperando di dirti qualcosa di utile. Confido sarai clemente laddove ti dirò cose che hai già sentito (ma poi ti esorterei a domandarti se le applichi).

C'è in giro una citazione in cui si dice che alla lunga scrivere di noia annoia il lettore, e scrivere di stanchezza lo stanca; per cui attenzione alle dosi che ci metti.
Prendendo la scena della retata, se vuoi dare l'idea di velocità e confusione, non devi scrivere in modo tirato via e confusionario.
Per la velocità di una scena, ti do un metro indicativo: si svolge alla velocità con cui la si legge. Per cui, nel caso degli elicotteri, avresti il tempo di descrivere una serie di dettagli tra il rumore che precede il loro arrivo e l'atterraggio.
Se vuoi trasmettere confusione devi dare al lettore dettagli specifici che la suscitino, sempre tenendo conto di cosa il personaggio percepisce. Per cui potrai usare una serie di elementi sensoriali. Il fiato grosso, le orecchie che fischiano... tutto quello che la tua abilità e sensibilità ti suggeriscono.

Ci sono alcune risorse che ti posso consigliare. Sono gratuite, ma comunque parlandone qui andremmo fuori tema. Se vuoi mandami un messaggio privato. (Se non ci riesci scrivimi qui, non sono sicuro di come funzioni per noi nuovi utenti).

Trovo bello sapere di una scrittrice che ha ripreso in mano la penna. Congratulazioni.

zan
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Re: La lotta

Messaggio#10 » mercoledì 22 luglio 2020, 18:44

Grazie mille per le risposte! Certo che ho avuto fortuna con i revisori :D Ora ho sicuramente degli spunti pratici che posso usare durante la riscrittura. A questo punto sono convinta che troverò il tempo di farlo.
Se non ho capito male ci dev'essere una sezione Laboratorio dove si possono postare racconti liberamente. Se/quando posterò la riscrittura, vi manderò un messaggio, così se ne avete voglia possiamo continuare a discuterne :)
Riguardo a quelle risorse gratuite a cui accenni, Mauro: volentieri! Mandamele pure con un messaggio privato.
A presto!

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Re: La lotta

Messaggio#11 » mercoledì 22 luglio 2020, 22:06

zan ha scritto:Grazie mille per le risposte! Certo che ho avuto fortuna con i revisori :D Ora ho sicuramente degli spunti pratici che posso usare durante la riscrittura. A questo punto sono convinta che troverò il tempo di farlo.
Se non ho capito male ci dev'essere una sezione Laboratorio dove si possono postare racconti liberamente. Se/quando posterò la riscrittura, vi manderò un messaggio, così se ne avete voglia possiamo continuare a discuterne :)
Riguardo a quelle risorse gratuite a cui accenni, Mauro: volentieri! Mandamele pure con un messaggio privato.
A presto!


Per quanto mi riguarda non c'è problema, sarò contento di leggere eventuali rimaneggiamenti futuri.
Se ne avessi tempo e voglia potresti darmi un parare sul mio racconto (credo che anche agli altri commentatori farebbe piacere. Ovviamente io posso parlare solo per me stesso).
P.s. credo di essermi riferito a te, in tutti gli altri commenti, al maschile, chiedo scusa.
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Mauro Lenzi
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Re: La lotta

Messaggio#12 » domenica 26 luglio 2020, 12:16

Zan, ti ho mandato PM qualche giorno fa. Se non lo dovessi aver ricevuto, fammi sapere.

Congratulazioni per le semifinali e in bocca al lupo ;)

zan
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Re: La lotta

Messaggio#13 » domenica 26 luglio 2020, 23:52

Posto qua una versione rivisitata (non troppo radicalmente, il regolamento purtroppo sembra vietarlo) del racconto originale, nella speranza di raccogliere qualche ultimo commento prima di postarlo sul thread delle semifinali. Potrei fare altri aggiustamenti alle frasi qua e là ma non penso di cambiare il racconto in modo strutturale, a meno che non mi arrivi qualche commento in questo senso. Ho anche cambiato molti tempi verbali, spero che non abbiano appesantito troppo la narrazione!

Critiche bene accette da chiunque ovviamente (specialmente se costruttive) :)

PS per Giacomo: non preoccuparti! non me ne accorgo più neanche, mi succede sempre :D

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LA LOTTA

Le casse del pc emisero un piccolo crepitio d’accensione.
“Il colloquio avrà inizio tra – 15 – minuti.”
Mi richiusi la porta alle spalle, lasciando tornare il buio nello studio. Solo la luce dello schermo si riversava sulla scrivania immacolata, facendo brillare un vasetto sgargiante con un finto cactus e un paio di poster motivazionali appesi poco più lontano, su una parete color pastello. L’area visibile alla webcam era recintata da un perimetro di nastro da pacchi: oltre quel recinto, il resto della mia vita si ammonticchiava sul pavimento, aggrovigliata tra i cavi dell’illuminazione professionale, degli speaker e del microfono.
“Si prega di assicurarsi che la visibilità sia ottimale e l’ambiente adeguato.”
Nell’ombra, mi voltai verso lo specchio appeso dietro la porta e tirai un lieve sospiro. Scrutai il mio stesso aspetto, cercai di giudicarlo con occhi esterni, e infine provai ancora una volta l’espressione che avrei dovuto tenere davanti al computer, il sorriso da perfetta candidata.
Piccole rughe si raccolsero agli angoli della bocca, rovinando tutto. Smisi di sorridere.
“Si consiglia di utilizzare illuminazione artificiale e di evitare oggetti estranei nell’inquadratura:”
Conoscevo quella tiritera a memoria.
Cattiva illuminazione e un ambiente poco professionale…
“… possono compromettere le possibilità del candidato, indipendentemente dalle sue capacità professionali.”
Come se non fossero la mia età, il mio cinese scadente, la crisi economica, o l’arrivo della trentaduesima – o trentatreesima? – pandemia di Sars a compromettere le mie possibilità. Ormai non avevo più nessuna speranza di uscirne: il mio lavoro era diventato cercare un lavoro. Chissà se sarei mai riuscita almeno a ripagare il costo dell’attrezzatura da ripresa.
Il computer continuò a recitare le sue raccomandazioni, mentre dallo specchio mi avviavo verso la scrivania. Accesi i fari da studio, che lavarono via la penombra dall’angolo delle riprese, e ancora abbagliata mossi un passo verso la luce.
I miei piedi urtarono qualcosa, facendomi perdere l’equilibrio.
Sentii il rumore di libri e cartacce rotolare sul pavimento, mentre tentavo malamente di restare in piedi, e mi aggrappai al fusto sottile del faretto più vicino, che si lasciò trascinare avanti, ma mi aiutò a non cadere.
Appena ripresi l’equilibrio vidi il disastro che avevo combinato: c’erano fogli e libri sparsi ovunque, e avevo trascinato in mezzo alla stanza tutti i fari, tanto che uno, tirato dal groviglio di cavi, si era completamente girato verso di me, abbagliandomi di nuovo.
La mia goffaggine mi irritò, e mista alla tensione e alla paura del colloquio imminente, esplose. Ebbi la tentazione irrefrenabile di prendere a calci il resto dei libri, gridare e andarmene sbattendo la porta, ma riuscii a controllarmi. Respirai a fondo. Mi chinai, lentamente, a raccogliere tutto.
Va tutto bene. Sono solo inciampata, niente di grave! È tutto sotto controllo. Non è successo niente.
“Il colloquio avrà inizio tra – 10 – minuti.”
Raccattai i libri e i fogli. Li spinsi fuori dal recinto, dentro una pila di vestiti che li respinsero, come se volessero fare il possibile per irritarmi a loro volta. Fatto ciò, con un gesto della mano spazzai via gli ultimi brandelli di carta, ma uno si infilò sotto il nastro adesivo, incastrandosi. Lo strappai fuori.
“Il colloquio sta per iniziare!” intervenne il computer, con una voce più amichevole, senza che io gli prestassi alcuna attenzione. “Assicurati di essere ben visibile nell’inquadratura e di non avere nessun problema software o hardware.”
Non si trattava del solito post-it o di un appunto scivolato da qualche manuale. Aveva la superficie liscia di una fotografia.
“Hai testato il sistema audio, per esempio? Se hai qualche problema, premi il pulsante AIUTO e risolveremo tutto per te.”
Avevo ancora delle fotografie analogiche in casa?
Gli gettai un’occhiata. Era una vecchia istantanea dai colori sbiaditi, che riconobbi in un istante.

Dalla foto si affacciavano diversi volti, tutti sorridenti sotto le mascherine chirurgiche e gli inutili visori di plastica che decenni prima si usavano per proteggersi dalla Sars.
Com’ero giovane. E com’era giovane lei…
Sullo sfondo si scorgeva l’immenso stadio di Felcsút. Persino nella foto era evidente lo stato pietoso in cui versava, così come la desolazione del paesino da cui prendeva il nome: niente di più che un grumo di case, abbandonate nella campagna ungherese.
Il giorno in cui eravamo arrivate era stato memorabile. Avevamo viaggiato per una settimana e attraversato a piedi, di notte, frontiere sigillate da anni a causa delle continue pandemie di Sars. Avevamo passato giorni su minivan stipati di clandestini slavi, incuranti della pandemia. E alla fine, all'improvviso, avevamo visto lo stadio di Felcsút sorgere dall’orizzonte vuoto come una cattedrale nel deserto.
Scaricate in fretta con i nostri bagagli, avevamo subito trovato il braciere: niente di più che un modesto falò vegliato da due ragazzini zingari, che erano nientemeno che il comitato di accoglienza. Il più piccolo ci aveva condotte attraverso il villaggio fantasma e ci aveva spiegato tutto; ci aveva persino fatto quella foto con la sua vecchia polaroid, assieme alla delegazione del Nicaragua con cui avremmo dovuto condividere l’alloggio. Ricordavo i nomi della gran parte di loro: uno aveva persino vinto l’oro sui cento metri in passato, ed era sicuro che ne avrebbe vinto un altro.
In effetti, la gran parte dei partecipanti ci aveva precedute a Felcsút. I Giochi sarebbero cominciati entro due giorni.

Negli anni le Olimpiadi erano state prima rimandate, poi cancellate, e infine ufficialmente bandite. Assembramenti di tale entità, al tempo della Sars, erano un incubo organizzativo: nemmeno le Olimpiadi potevano generare incassi tali da giustificare la spesa. Ma la gran parte di noi non era lì per il premio: noi eravamo lì per la gloria, e l’avremmo avuta ad ogni costo, anche se avessimo dovuto guadagnarcela in uno stadio abbandonato, lontano dalla civiltà, sotto gli occhi soltanto dei nostri stessi avversari.
Il giorno dell’apertura dei Giochi gareggiai io: avevo appena ventun anni. Ero specializzata nei duecento metri piani, ma ero stata ammessa semplicemente come rappresentante del mio Paese: se ci fossero stati dei seri minimi da rispettare per l’accesso alle gare, come una volta, forse non sarei neanche riuscita a candidarmi.
Poche ore dopo essere arrivata, avevo iniziato a sentire voci di un record mondiale in arrivo, e in breve avevo capito che il mio viaggio era stato vano.
Avevo corso nella seconda batteria, su una pista di pessimo tartan gettato in qualche modo sullo sterrato, ma avevo fatto un tempo pessimo. Non mi ero neanche avvicinata al podio: quarantatreesima posizione su cinquantuno. Avevo dato la colpa al tartan schifoso, alle mie attrezzature scadenti a casa, allo stress del viaggio: ma in fondo sapevo che non tutto era perduto.
Lei, infatti, aveva ben più di una speranza. Durante gli allenamenti si era avvicinata a un record mondiale. Il suo nome era così noto che incontrammo dei visitatori venuti fin lì solamente per vedere la gara di salto con l’asta, per vedere lei, e io stessa sarei stata uno di quegli spettatori, impaziente di vederla vincere.

Il secondo giorno ero stat talmente eccitata da non riuscire nemmeno a sedermi sulle tribune. Davanti a me, i quattrocentristi sfrecciavano sul tartan attorno al campo da calcio. I lanciatori di peso misuravano minuziosamente i loro lanci. Del salto in lungo non vedevo molto più che lontane ondate di sabbia, mentre il fioretto occupava solo una striscia di terra, nel mezzo dell'arena. I saltatori con l’asta, proprio davanti a me, si lanciavano in aria uno dopo l’altro, simili a enormi cavallette.
Lei entrava in gara penultima, a causa del suo record personale, e io non ero mai stata così impaziente prima di allora. Volevo vedere il suo, di salto: volevo vederla vincere.
Quando finalmente era entrata in gara, più della metà dei concorrenti era già stata eliminata e un sole torrido picchiava sugli atleti. L’asticella era a quattro metri e settantaquattro, alta persino per gli standard del salto con l’asta. L’avevo vista entrare in campo, dritta e fiera, con la criniera africana domata a stento e la pelle lucida come bronzo. Nell’afa del mezzogiorno, sembrava fatta di metallo.
Sotto i miei occhi impazienti, si era preparata al primo salto.
Aveva soppesato l’asta, allineandola alla traiettoria. L’aveva messa in posizione, fissando l’obiettivo per un lungo istante.
Poi era scattata. I suoi passi, regolari come quelli di un robot, avevano una precisione meccanica. Aveva accelerato in poche, potenti falcate, puntato l’asta nella buca e in un attimo si era lanciata verso la sbarra.

“Il colloquio avrà inizio tra – 5 – minuti.”
Sussultai, strappata brutalmente dal ricordo, Mi alzai in piedi.
”Se è tutto in ordine, sei pregata di sederti alla scrivania e iniziare la procedura di login.“
Guardai la scrivania, poi rivolsi un’altra occhiata alla foto.
Quel salto… Era stato l’ultimo atto dell’Olimpiade, per me. Gli spari a salve della polizia ungherese erano esplosi proprio in quell’istante dietro di me, facendomi perdere l’attimo cruciale. Avevano causato un panico improvviso nella folla e negli atleti, che si erano dileguati in un batter d’occhio: lo stadio era talmente grande che le poche pattuglie presenti erano riuscite a fermare ben poca gente, ma erano bastate, di fatto, a segnare la fine dei Giochi.
Nel correre via, assieme agli spettatori, avevo fatto in tempo a vedere solo una cosa: l’asticella. Lassù, intoccata, il simbolo della vittoria.
In seguito avevo cercato di ricongiungermi con lei. L’avevo cercata a lungo, per giorni, ma invano. Sentii dire che alcuni atleti erano stati catturati durante l’incursione e, probabilmente, ciò era successo anche a lei.
Così ero tornata sola, avevo persino riportato i suoi bagagli alla sua famiglia. Ma lei non era mai più tornata.
Sentii i miei occhi farsi lucidi. Era come se la mia vita fosse finita quel giorno a Felcsút: terminata la carriera sportiva e con il peso della sua scomparsa sulla coscienza, non avevo mai più avuto una motivazione così intensa, una tale voglia di vincere, di vivere. Il solo ricordo di quegli anni mi distrusse.
Mi rigirai la foto tra le mani. Sul retro, vidi una calligrafia spigolosa: la dedica che ci aveva fatto il vincitore dei centro metri piani, scomparso anche lui assieme a molti degli atleti di valore dell’ultima Olimpiade della storia.
“L’importante nella vita non è il trionfo, ma la lotta. L’essenziale non è aver vinto, ma essersi battuti con valore. Ma io so già che voi vincerete!”
La lacrima scappò dai miei occhi.
“Il colloquio avrà inizio tra – 2 – minuti. Non sei ancora visibile nell’inquadratura: hai bisogno di aiuto?”

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Mauro Lenzi
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Re: La lotta

Messaggio#14 » lunedì 27 luglio 2020, 11:22

Ho potuto dare solo un'occhiata veloce.
Miglioramenti sensibili!


Avevo ancora delle fotografie analogiche in casa?
Gli gettai un’occhiata. Era una vecchia istantanea dai colori sbiaditi, che riconobbi in un istante.

Poche ore dopo essere arrivata, avevo iniziato a sentire voci di un record mondiale in arrivo, e in breve avevo capito che il mio viaggio era stato vano.
(questa non mi è del tutto chiara. Record mondiale nella sua specialità? Dopo non racconta nulla di quel che è successo...)

Il secondo giorno ero stat talmente eccitata da non riuscire nemmeno a sedermi sulle tribune.


In bocca al lupo!

zan
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Re: La lotta

Messaggio#15 » lunedì 27 luglio 2020, 19:50

Grazie per aver beccato gli ultimi errori! Correggo e posto. Speriamo bene :)

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Giacomo Puca
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Re: La lotta

Messaggio#16 » mercoledì 29 luglio 2020, 14:27

Ciao Zan!
Innanzitutto complimenti per aver raggiunto la semifinale.

Mi dispiace non aver potuto commentare prima la nuova versione.
Che dire, trovo che il racconto scritto così valorizzi molto di più la vicenda. C'è poco da fare, la forma è contenuto.
Qui e là c'è ancora margine di miglioramento, ci sono delle frasi un po' legnose, qualche refuso, ma è migliorato tantissimo.
La cosa che mi piaciuta di più è l'uso della voce del pc per "far passare il tempo", e per creare quel momento di "vuoto" dopo il salto. Hai dato un tocco di suspense, come una pausa musicale. Ottimo.
La similitudine dei saltatori come enormi cavallette, per quanto semplice, mi ha colpito molto. L'ho trovata una nota di concretezza, che non guasta mai.

occhio che:
non è quattrocentristi ma quattrocentisti
non è il vincitore dei centro metri ma dei cento metri

In bocca al lupo per la tua semifinale!
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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