Lello scordato

Partenza: 01/07/2020
loba
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Lello scordato

Messaggio#1 » martedì 14 luglio 2020, 11:17

Hanno fatto allo sputo lungo, al rutto del tuono, alla trona delle sberle. Enzo a sorpresa ha vinto il triathlon speciale (bevi corri nuota, tutto senza vomitare), mentre Battista l’hanno portato in ospedale, giù a fondo valle, che lui non è mai stato un tipo sportivo ma quest’anno ha voluto provare il salto del bancone, che diceva di sentirsi in forma: non ha fatto una grande prestazione. Beppe invece ha fatto il pieno di medaglie alla corsa ad ostacoli e ai trecento con secchiello, come al solito. Se c’è uno meglio di me alla corsa ad ostacoli, dice sempre Beppe, io non l’ho mai visto, probabilmente perché mi stava dietro. Quest’anno poi è stata aggiunta una nuova disciplina, l’hanno chiamata prova a farti offrire un amaro da Lello. Io sono Lello, e a questa nuova disciplina nessuno ha vinto niente: l’anno prossimo, hanno detto, andrà meglio.
Il mio bar si chiama Da Lello. Si chiama così perché mio nonno si chiamava Lello. Poi il bar è passato a mio padre, Lello pure lui. E adesso lo mando avanti io, che non mi chiamo mica Lello, ma mi chiamano tutti così per via di mio nonno, di mio padre e del bar. Il mio bar sta in un paesino di 300 cristiani, all’ombra di una gran montagna, al confine con la Svizzera. Io sono nato qua, come mio padre e mio nonno. Loro hanno fatto la guerra, mio nonno la prima, mio padre la seconda. Io dico sempre che spero non ce ne sia una terza, che se no quella tocca sicuramente a me. Però ormai sono vecchio, magari la terza tocca a mio figlio. Mio figlio è un cretino. Sta a Milano, si chiama Lorenzo: studia. Che cazzo ti studi, gli dico sempre io, che c’è il bar da mandare avanti. Lui dice che non capisco. Alla malora tu e il bar, mi dice. Io gli dico sempre che è un cretino.
Quando ogni quattro anni fanno le Olimpiadi, noi al bar facciamo le Olimpiadi da Lello. Che sono molto più divertenti. A quelle vere non ci puoi partecipare così, bisogna che ti alleni tutta la vita, che fatichi per anni. Alle nostre invece può partecipare chiunque. Certo, è meglio se uno si allena, che se no rischia di fare la figura dello scemo. Contro il Beppe, ad esempio, o il Nino, che loro sono professionisti e fanno le nostre Olimpiadi da tutta la vita.
Certi anni partecipano pure alcuni turisti che vanno per montagne e che sono in paese quando noi gareggiamo. Un paio di volte abbiamo invitato anche qualche alpino che si trovava in zona, che gli alpini non deludono mai e c’è sempre da divertirsi.
In verità, sono anni ormai che almeno un pugno di turisti c’è sempre in mezzo alle nostre Olimpiadi: i crucchi, bisogna dirlo, tutti nazisti e mangiacrauti, però sono bravini. Lo dicono tutti in paese, a bassa voce. Gli spagnoli invece tutti vigliacchi, i francesi troppo fragili. Di russi invece se ne vedono pochi, ma quando se ne vedono sono tutti da ricordare. Un anno ad esempio c’è stato un russo che alla trona delle sberle era un campione, aveva preso l’argento: Conni, lo chiamavamo. Il suo nome vero era un nome strano in russo, ma noi lo chiamavamo Conni perché era il rumore che faceva quando gli veniva il singhiozzo: conni conni conni, quando beveva troppo partiva e non la finiva più. Conni quell’anno ha preso l’argento, ma l’oro è rimasto del Tenente Maresciallo Minuccio Pedotti, che è l’inventore in persona della disciplina della trona: anche il russo era spacciato contro il Tenente.
Io le chiamo sempre Olimpiadi, ma insomma, ormai le facciamo tutti gli anni. Ci piacciono così tanto che farle ogni quattro anni ci pareva un peccato. Una volta ho pensato come mai le Olimpiadi le fanno solo ogni quattro anni, quelle vere intendo, e anche i mondiali. Sono le cose più belle e si fanno solo ogni quattro anni. Magari è perché se uno vince gli dispiace di rimanere campione solo per un anno, così hanno allungato a quattro, che due era da pidocchi e tre è un numero infame, come il cinque. Poi ho pensato ai Greci e al fatto che le Olimpiadi le hanno inventate loro, e mi sono detto che lo stesso discorso degli anni di sicuro valeva anche per loro e che saranno stati i Greci a decidere di farle così. I Greci erano gente sveglia.
La trona delle sberle funziona così: tutti gli atleti, a coppie, si siedono uno di fronte all’altro lungo una tavolata che allestisco io per l’occasione nel bar. Le coppie le sorteggio io. Così disposti, gli uni in fronte agli altri, gli atleti che si dovranno sfidare pranzano insieme. Il pranzo dura un’ora esatta ed è estremamente impegnativo, si tratta di polenta e cinghiale, o di spezzatino e gorgonzola, di pizzoccheri, o di trippa. Ogni atleta deve accompagnare il pasto con un litro e mezzo di rosso della casa. Terminato il pranzo, che è parte della competizione (esistono varie tecniche per affrontarlo), si leva tutto dalla tavola e si fa spazio, e gli atleti cominciano a gareggiare scambiandosi degli schiaffoni spaventosi. Il regolamento è chiaro. Se sposti la testa sei eliminato, se da sotto il tavolo fai cose strane con le gambe sei eliminato, se quando ricevi il colpo dell’avversario chiudi gli occhi sei eliminato. Gli atleti devono essere preparati e capaci di usar sia la destra che la sinistra e a ricever sia da destra che da sinistra, perché si fa prima da una parte e poi dall’altra, finché uno non cede e allora viene eliminato. Alla fine rimangono gli ultimi due sfidanti. Uno dei due è invariabilmente il Tenente Maresciallo Minuccio Pedotti. Arrivati a questo punto si fa una pausa di quindici minuti.
Le tempistiche sono state affinate negli anni: abbiamo fatto vari esperimenti e siamo arrivati alla formula attuale, che è perfetta. Nei quindici minuti di pausa, i finalisti fanno tutto quello che è in loro potere per disputare la finale nelle migliori condizioni psicofisiche possibili. C’è chi sostiene che questo sia il momento fatale. Alcuni si sforzano di vomitare il pranzo e il vino per alleggerirsi, altri bevono ancora un goccio o mangiano un boccone per rinfrancarsi e recuperare le forze perdute a suon di sberle, altri corrono per far ripartire la circolazione, alcuni vanno a casa a far l’amore per rilassarsi e far scorrer tutto il sangue da una parte che non sia la faccia o le mani, altri vanno in chiesa a farsi confessare da Don Mario che l’aiuto del Signore, dicono, non guasta mai.
L’anno che Conni il russo è arrivato in finale, nei suoi quindici minuti di pausa è venuto da me e mi ha chiesto della vodka. Io però di vodka al bar non ne ho mai avuta e allora Conni si è disperato in un russo stretto che non ho capito e ha detto che avrebbe perso e che era tutta colpa mia. E infatti Conni è subito crollato come un povero russo percosso e ancora una volta ha vinto il Tenente.
Il Tenente Maresciallo Minuccio Pedotti dice di avere un segreto, e io gli credo. Non è più grosso degli altri, o più forte, il Tenente, ma in qualche modo riesce sempre ad arrivare in finale. Nei suoi quindici minuti di pausa si chiude in bagno e nessuno sa che cosa fa. E qui viene il bello: quando esce dal bagno è calmo calmo, serenissimo, e allo scoccar dell’ora della finale, quando ogni anno si siede di fronte a un muso arrossato e gonfio, lui è placido e roseo come un pupo felice. Il Tenente allora chiede di posizionare un grosso cuscino sul tavolo, alla destra o alla sinistra dello sfidante in base al lato in cui si disputerà la finale, e quando viene il suo turno, che può essere subito o dopo aver ricevuto pacificamente un gran colpo degno di un finalista, esplode una cannonata difficile anche da vedere, che fende l’aria e come una valanga si abbatte sullo sfidante che stramazza svenuto esattamente lì dove il Tenente aveva fatto posizionare il cuscino. La fine di Conni il russo non è stata diversa.
A parte la trona, comunque, che forse è la più spettacolare, abbiamo un sacco di altre discipline. Ma voglio raccontarvi come sono andati i trecento con secchiello di quest’anno.
I trecento con secchiello sono la prova più dura delle Olimpiadi. Sono una prova di resistenza, di cervello e di strategia, e una delle poche che si svolge fuori dal bar. Gli atleti devono riempire ognuno il proprio secchiello con le acque del fiume che scorre giù a valle, risalire la costa del monte per i trecento metri che danno il nome alla gara ed arrivare a un pianoro dove sono poste tante botti quanti sono gli atleti: vince chi riempie per primo la propria botte con le acque del fiume che scorre a valle.
Immaginate l’impresa: riempire una botte del tipo barrique bordolese da centonovanta litri – è la misura più piccola che abbiamo – con un secchiello che ne tiene al massimo tre. La matematica non ha mai avuto rispetto per me, ma se fate il calcolo capite da voi che bisogna fare su e giù parecchie volte. In più i trecento metri sono in gran dislivello e se anche uno empie il secchiello fino all’orlo alla fine arriva in cima che è vuoto per metà.
Tempo fa si era discusso di dimezzare la distanza da percorrere, o di procurarsi botti meno capienti, ma i circa quindici “eroi con secchiello” che ogni anno resistono e si sfidano per il podio si sono sempre opposti ad ogni modifica al regolamento in nome del ricordo del buon Guerrino Felice Bovisi, per tutti lo stambecco con secchiello, che ideò la disciplina e finché fu in vita rimase il campione bestiale dei trecento.
Ai trecento nessun turista ha mai raggiunto il podio. Anzi, capita spesso che il podio rimanga mezzo vuoto, cioè che alla fine arrivino solo in due, a volte anche solo uno. La gara inizia alle otto del mattino e solitamente va avanti fino a sera, ma può anche continuare di notte e fino al giorno dopo: gli atleti sono liberi di fare come credono. Possono andar su di corsa, camminare, fare pause, fermarsi e poi riprendere, allontanarsi e ricominciare dopo un’ora, dopo quattro. I trecento si vincono così: con la strategia. Ognuno fa come crede e qualcuno vince, qualcun altro no.
Quest’anno i turisti erano tre e hanno mollato tutti fra la quarta e la sesta tornata, sfiniti, dopo aver portato meno di una decina di litri d’acqua a testa, ed è andata avanti solo la quindicina degli “eroi”.
Uno dopo l’altro, lungo l’arco della giornata, gli sfavoriti sono caduti tutti e intorno alle sei del pomeriggio, sotto il sole infame di giugno ancora alto, a sfidarsi erano rimasti in cinque: Beppe, che poi vinse, detto sciupacime, che alla scomparsa dello stambecco con secchiello prese su di sé la sua grande eredità; Manolo, l’unico ad essere mai arrivato sul podio (secondo) alla sua prima volta ai trecento con secchiello; Marcello, che ha fatto una grande gara ma l’età gli ha giocato un brutto scherzo (all’ultima tornata, prima di empire completamente la sua botte, quando era già molto vicino al pianoro ed era in testa al gruppo che risaliva la costa, un colpo di sole l’ha colto e lui s’è sentito mancare, e per non svenire ha pensato bene di gettarsi in viso l’acqua che aveva portato fin lassù. Seduto a terra ha intravisto con gli occhi appannati il Beppe che gli soffiava il gradino più alto del podio e la corsa disperata di Manolo, subito dietro, che imitava il Beppe e gli fregava anche il secondo posto). Il quarto che ha resistito era il Trainini, il fornaio dalle mani enormi, che quando ha visto Marcello in quelle condizioni (nei trecento con secchiello non esiste pietà) è schizzato su di corsa da fondo valle e gli ha soffiato anche il terzo posto. L’altro era il Dinoia, che quando ha visto tutto e ha visto che non c’era più speranza si è accasciato e ha dormito.
Le premiazioni le facciamo tutte insieme l’ultima sera al bar da me, e spesso c’è anche Lorenzo, mio figlio, che per venire a vedere le Olimpiadi ogni anno torna apposta da Milano. Questa cosa mi fa sperare che un giorno il bar lo prenderà lui. Poi però alle premiazioni, quando si congratula con questo e quello, dice sempre un sacco di stupidaggini e io ogni volta mi ricredo e mi dico che quando sarà, meglio che il bar prenda fuoco. Lorenzo stringe la mano micidiale del Tenente Pedotti, ad esempio, e tutto ubriaco che dovrebbe vergognarsi, che non si capisce neanche una parola, dice: «Citius!, Altius!, Fortius!» e batte un pacca sulla spalla del Tenente. E il Tenente Maresciallo, che è di cuore buono, invece di dargli uno sberlone con quelle sue mani terribili che lo faccia tornare sobrio, dice: «Che hai detto, piccolo Lello?»
«Pierre de Frédy» dice lui.
Che vergogna! Il sorriso idiota che ha in faccia potrebbe anche essere quello di uno che sa che cosa sta dicendo, se solo non fosse così ubriaco da dire tutte le parole per il verso sbagliato. Sembra che parli un’altra lingua.
Il Tenente, buono oltre ogni apparenza, avvicinando l’orecchio dice ancora: «Che hai detto, piccolo Lello?»
«De Coubertin!» sbotta Lorenzo, adesso tutto accigliato. E anche il Tenente allora non ce la fa più e prorompe in una grande risata e urla verso di me, che sto dietro il bancone: «Lello! Non dar da bere più niente a tuo figlio, è ubriaco che non si capisce neanche cosa dice.»
A questo punto mio figlio, che la scusa sia questa o sia un’altra, se ne esce furibondo dal bar e se ne torna di filato a Milano, dicendo che non ci metterà mai più piede in questo posto di ignoranti. Ho sempre paura che si schianti in auto sui tornanti. Ma non è mai successo. Ogni anno è sempre tornato, per le Olimpiadi.

Le premiazioni finiscono e tutti vanno a casa. Io rimango solo. Mi guardo intorno, nell’antico bar di mio nonno e di mio padre, vuoto. Pulisco i tavoli. Sono tavoli vecchi. Spazzo per terra. Spengo le luci.
Abito al piano di sopra. Una volta c’era mia moglie, con me. Una volta c’era mio figlio, ora non vuole passare nemmeno una notte nella casa paterna, preferisce scappare, guidare quattro ore, di notte, ubriaco, pur di scappare.
Salgo al piano di sopra e apro la porta. Accendo la luce e sul muro davanti, appese, ci sono le foto di mia moglie, da una parte, e le mie, dall’altra. Era bellissima. In tutte le foto lo è. Anche le mie foto sono belle: la maglia del mio paese non mi è mai stata così bene. Città del Messico, 1968. Non mi è mai più stata così bene. Lei era bellissima.
Spengo la luce. Penso a mio figlio.



loba
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Re: Lello scordato

Messaggio#2 » martedì 14 luglio 2020, 11:20

Bonus:

1) Un personaggio prova una disciplina olimpica -2
2) Motto e citazione di De Coubertin -2

alexandra.fischer
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Re: Lello scordato

Messaggio#3 » venerdì 17 luglio 2020, 21:31

LELLO SCORDATO di Loba Specifiche rispettate in pieno. Simpatico questo barista, soprannominato Lello (ma il cui nome vero è dimenticato dalla gente). Da ex atleta olimpico del 1968 ha mantenuto il gusto della sfida. L’atmosfera ricorda quella di certi film di Bud Spencer o anche di Enrico Montesano (penso alla trona delle sberle, lo spunto lungo, il rutto, il tuono, i trecento con secchiello. Per non parlare di quella più dura: farsi offrire un amaro da Lello). L’atmosfera goliardica (tavolata dove si ci abbuffa e sbevazza e partono sberloni davanti ai quali bisogna restare impassibili o la gara al fiume che ricorda quasi il mito delle Danaiadi certo che ci vuole una bella forza per riempire una botte dalla capienza di oltre cento litri con un secchiello che porta al massimo tre litri d’acqua…con aggiunta di percorso infido di rocce). I personaggi sono tratteggiati in modo gustoso (l’astuto tenente dai due cuscini, il russo superstizioso che finisce per perdere senza la sua vodka). Ed è ben reso anche il figlio che studia a Milano, fa da spettatore, ma rimane estraneo allo spirito olimpico, fuorché nella citazione che nessuno capisce. Interessante l’ambientazione del bar, gestito da tre generazioni e situato sul confine svizzero (il che dà una nota internazionale alla tipologia dei partecipanti). Ben rese la fatica dei partecipanti alla gara al fiume sotto il sole di giugno. E c’è il retrogusto amaro (è vedovo, vive di ricordi, e il figlio Lorenzo non pare deciso a proseguire l’attività paterna. Non si ferma neppure a dormire da lui quando va a trovarlo).

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Andrea Lauro
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Re: Lello scordato

Messaggio#4 » sabato 18 luglio 2020, 7:54

Il bello di questo testo è la voce narrante. Un linguaggio involuto, da bar appunto, che racconta con distaccata ironia le vicende di queste olimpiadi nostrane. Quindi una lista di discipline che incuriosiscono e attraggono il lettore. Le avrei gestite in maniera differente: il bello di queste discipline è che non sai come funzionano, allora avrei sfruttato questa leva per mostrare l’evolversi di ogni singola sfida.
Esempio: “La trona delle sberle funziona così:” da qui inizi una digressione molto tell su come si articola la prova. Fai la stessa cosa con “i trecento”. Il momento più bello? Quello in cui mostri la scena del cuscino. Se avessi gestito il resto della prova così, avrebbe reso molto di più.
Quello che manca in questo testo, secondo me, è la tensione narrativa: non ho percepito subito quale era il vero problema del protagonista, l’hai accennato all’inizio ma rimane poco sviluppato per tutto il racconto se non sul finale. In mezzo vengono definiti molti personaggi, caratteristici ma dispersivi. E il vero conflitto del barista, il rapporto con un figlio che lo rinnega, l'essere rimasto solo quando tutto finisce, rimane in un certo senso slegato dal contesto.
I bonus ci sono tutti; non mi è chiaro però il tema, di che evento storico stiamo parlando? Le Olimpiadi in senso generico?
Al netto delle considerazioni di cui sopra, una prova divertente e coinvolgente.
Grazie per la lettura!
andrea

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Giorgia D'Aversa
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Re: Lello scordato

Messaggio#5 » sabato 18 luglio 2020, 10:25

Ciao! La giornata è iniziata bene con il tuo racconto, che mi ha molto divertita e messa di buon umore. Davvero spassoso, e complimenti per le belle idee delle discipline olimpioniche da bar montanaro!

Concordo con Andrea qui sopra quando dice che avrebbe gestito diversamente alcune scene: probabilmente se avessi scelto di mostrare meglio le discipline, il risultato sarebbe stato più efficace e ancora più immersivo. Devo però ammettere in tutta onestà che, nonostante io mi scagli sempre contro l'utilizzo del tell, nella tua prova il risultato finale è comunque coinvolgente perché hai sapientemente gestito il raccontato; in ogni caso, ci troviamo nella testa della voce narrante e questo aiuta.

Nonostante si tratti perlopiù di un monologo interiore (o comunque un racconto a posteriori) sono riuscita a figurarmi Lello: la sua personalità e il suo modo di essere emergono con chiarezza dalle parole che hai scelto per il racconto. Ho nutrito subito simpatia per lui e le sue discipline, ma soprattutto empatia rispetto alla situazione con il figlio.

Mi sarebbe piaciuto continuare ad ascoltare le sue "chiacchiere da bar", avrei continuato a leggere volentieri se ci fosse stato altro... e questo è sempre un buon segno. Bravo e buona sfida!

Luca Vitali
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Re: Lello scordato

Messaggio#6 » sabato 18 luglio 2020, 12:40

Ho appezzato moltissimo il tuo racconto, è davvero interessante. Le trovate delle olimpiadi da bar sono talmente divertenti che anche se sono in pieno stile raccontato starei a leggerle per ore, quindi questo è Tell fatto bene, cosa davvero difficile da raggiungere. Il protagonista fa molta tenerezza, ma qui secondo me viene il punto dolente del racconto: troppo poco. Troppo pochi i momenti riguardanti il figlio o direttamente con il figlio che parla con lui, si poteva esplorare molto di più un personaggio e un tema con potenzialità enormi. Davvero, complimenti per il racconto perchè per ora è il mio preferito, ha un'identità unica che me lo farà ricordare. Una cosa però non mi torna: cosa rende "storiche" queste olimpiadi? Per caso me lo sono perso io nel testo?

loba
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Re: Lello scordato

Messaggio#7 » sabato 18 luglio 2020, 14:26

Eilà, grazie a tutti.
Non so bene se sto rispondendo a qualcuno nello specifico o a tutti, la tecnologia non mi ha mai assistito e io d'altra parte non ho mai desiderato capirla. Ma tant'è, l'importante è che in qualche modo riusciate a leggere.
Vi ringrazio per i commenti: tutti utili e tutti incentrati, per ora, sulle stesse osservazioni; questa è la prova che avete ragione: non potete sbagliarvi tutti :)
Che dire, grazie.
Per chi lo chiedeva, l'evento storico sarebbe la partecipazione di Lello alle Olimpiadi del '68. Un evento decisamente storico, per Lello.
Un po' semplice? Vero
Strumentale? Vero
Posso difendermi? No di certo.
Ma, di nuovo, tant'è.
(A questa espressione, tant'è, mi sono affezionato; perdonatemi)
Buona giornata a tutti e grazie di nuovo.

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Bennik
Messaggi: 13

Re: Lello scordato

Messaggio#8 » domenica 19 luglio 2020, 22:24

Molti dei racconti che ho letto finora hanno un punto di forza, ovvero la rivelazione finale, e il tuo non fa eccezione, tuttavia, è la rivelazione che più mi ha sorpreso e divertito. Era davvero inattesa per me, che avevo approcciato la storia nell’ottica del regolamento che prevedeva la pratica di una disciplina olimpica. Leggendo ho subito pensato che il tuo espediente per rientrare nella consegna del regolamento fosse quello di aver creato delle fittizie olimpiadi “paesane”, fatte da gente semplice che si misura in prove tanto pittoresche quanto difficili. E di fatto è così. La scrittura è davvero coinvolgente e gustosa nel suo linguaggio tipico da locanda, che, insieme alla narrazione in prima persona, riesce a far immedesimare il lettore nell’atmosfera paesana e gioviale. Ma ecco, credevo fosse tutto là, nella proposizione di un quadro olimpico alternativo, sui generis, invece il finale ha dato un sapore nuovo all’intero racconto, spingendomi a rileggerlo con nuovi occhi, non più gli occhi di un normale barista, ma di un ex-atleta olimpico (che ammetto non sapere se sia un personaggio realmente esistito).

Per il resto hai rispettato le varie consegne, quindi il lavoro è ok.

Complimenti e buona fortuna!
Bennik

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