La botta sale, il bebop rimane

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Andrea Lauro
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La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#1 » giovedì 30 luglio 2020, 21:44

Appoggio la fronte contro il muro del camerino: è fresco, un sollievo in questa serata infernale. Manca un’ora all’apertura delle danze, e Tony non si vede. Le mani spingono sull’intonaco, voglio dare uno scossone al locale, ma senza Tony non si fa niente. Non va.
Una goccia di sudore trova strada tra pelle e colletto, riga la schiena. Batto un pugno sul muro.
La porta scatta, si apre: Paul Sander tiene la maniglia, mi fa cenno.
«Ike!» Ha il fiatone. «L’ho trovato, vieni.»
Annuisco, aggiusto col dito gli occhiali e lo seguo: attraversiamo il locale, i clienti prendono posto ai tavoli, riempiono gli spazi. Sono tutti qui per vedere noi, la novità: è la nostra serata, ma rischiamo la catastrofe.

Paul va spedito, gli sto dietro ma devo chiedere permesso, mi scusi. Bianchi, soprattutto. Imbocchiamo il corridoio, dalle cucine viene rumore di piatti e stoviglie.
«Dove diavolo è finito?» chiedo.
Paul si volta, gli occhi sgranati.
Fa’ che non sia morto. Fa’ che non sia morto.
Arriva a una porta, la apre e dietro spuntano barattoli e bottiglie: una dispensa. La luce è accesa, Paul inclina la testa in direzione degli scaffali.
Tra le latte d’olio siede la sagoma di Tony “Rabbit” Blackfoot, il batterista bop più veloce del Queens.
E devo dire che Tony sta una merda.
La testa è incassata tra le spalle, apre e chiude la bocca neanche fosse un pesce. L’eroina è una brutta bestia.
Paul sbotta. «Siamo fottuti! Siamo fottuti! Ci linceranno, cazzo!» Si avvicina a Tony. «Chi te l’ha venduta? Dimmelo! Mettiti in quella testa da negro che non ci puoi fottere così!»
Siamo a New Orleans da due giorni: qui non è New York, non trovi la roba a ogni angolo di strada. Soprattutto quella buona.
Meglio che intervenga.
«Sta’ calmo, Paulie.» Mi chino, la fronte di Tony è imperlata. «Ehi, Tony. Guardami, sono qui. Ike.»
Un mezzo sorriso si allarga sul volto. La testa gli ballonzola avanti e indietro, sta dicendo .
Paulie pesta i piedi. «Non ci puoi fottere così», continua a ripetere.
Paul Sanders è un buon contrabbassista. Non il migliore, certo, ma è affidabile come un chiodo da bara: si infila sotto il levare di Tony e da lì non lo sposti più. E nella vita fuori dal palco è un tipo a posto, senza vizi. Puttane a parte, intendiamoci: chi è che ci rinuncia?
L’unico difetto di Paulie è che perde il controllo. Arrivi tardi alle prove? S’incazza. Il sax è calante? S’incazza. Amico sta’ tranquillo, gli diciamo, le grane si risolvono: il povero non ce la fa. Anche perché noi della band godiamo a farlo sudare. Noi e le nostre storie malate.
Sono accovacciato, pesco dalla tasca l’astuccio. «Ecco, Tony. Ce l’ho qui.» Apro, tiro fuori una fialetta. Possibile che gli occhi di Tony abbiano ripreso consistenza? «Dai, su.» Levo il tappo, prendo quella testa da negro di Tony e la tengo ferma. Si sa mai che me la faccia rovesciare. Ma un tossico impara presto a non fare quel genere di errori. Magari sbaglia tutto nella vita, ma non una sniffata.
Gli appoggio la fialetta sotto la narice, Paulie impreca mentre Tony tira su tutto, fa piazza pulita.
«Bravo, così.» Neanche fossi sua madre. Tony fa un’espressione da scemo. Che Dio ce la mandi buona.
Ritappo la fiala e metto via. Mi alzo.
Paul si tiene stretta la testa, le impedisce di fuggire. Povero Paulie, quante grane gli diamo. Apre le braccia. “E ora?” sembra chiedermi.
«Aspettiamo» dico io.
Paul abbassa la voce. «Posso parlarti un minuto, Ike?»

Lasciamo Tony tra le latte d’olio e i cibi in scatola; da una porta di servizio usciamo in strada.
Luglio incolla con una patina umida le notti di New Orleans, i pantaloni si attaccano alle cosce, provi a farti aria ma è peggio. Se sapessi nuotare, mi sarei già buttato nel Mississippi. Siamo qui per portare il bebop nella patria del dixieland: il dio del jazz è dalla nostra parte.
Il brusio del locale scompare sotto i clacson delle automobili.
Gli occhi di Paul escono dalla testa, giuro. È al limite.
Mi prende per la camicia. «Tu sai che se salta la serata siamo fottuti?»
«L’hai già detto, sì.»
Dà un calcio a una bottiglia vuota. Ce l’avranno lasciata i tizi delle cucine.
Paul sputa in terra. «Non possiamo andare avanti così. Niente serata, niente ingaggio per l’intera settimana. Mr. Phillips non sembra accomodante.»
Mr. Phillips dirige il locale. E no, non ha l'aria di uno a cui piace fallire. In questa terra di alligatori e serpenti, i neri come lui hanno imparato a ritagliarsi la propria porzione di cattiveria.
«Tranquillo,» gli dico, «vedrai che Tony si riprende.»
Riesco a farlo incazzare di più.
«Certo!» urla, «visto che è strafatto di eroina, diamogli pure un assaggio dell’altra! Come ho fatto a non pensarci prima.»
Ehi ehi, lascia a me questo genere di cose. Lascia che il vecchio Ike compia il miracolo.
Gli poso una mano sulla spalla. «Paulie, va tutto bene.»
Un rombo di tuono, giù in fondo alla strada; lampi illuminano le nuvole.
«Una tempesta» fa Paul. «Ci mancava una tempesta.»
«E che ti frega, mica viene a sentirci. Mica paga il biglietto.»
E l’unica tempesta che dovresti temere, mi verrebbe da aggiungere, è quella silenziosa dell’indifferenza. A questa gente del sud piace la musica comoda, sono assuefatti come io lo sono alla coca. Ci temano pure, ci insultino, ma non si azzardino a liquidarci. Non sarei pronto.
Paul allunga il collo nell’altra direzione, dove la strada va a morire. Schiocca le labbra. «Ho sentito che da queste parti se la fanno sotto per le alluvioni.»
L’ho sentito pure io. Spingo gli occhiali col dito. «Vedrai che andrà tutto bene.» Estraggo l’astuccio. Quando ci vuole, ci vuole.
Paul scuote il capo. «È un segno, invece: è la tempesta che ci piomberà addosso se Tony non si sveglia.»
Il naso tira in un colpo solo, ecco un’altra fialetta vuota. Col pollice aggiusto le narici. Un bel respiro.
«Dai, andiamo a vedere» dico.

Tony è ancora lì: gli faccio ciao-ciao e i suoi occhi seguono la mano. Stiamo facendo passi da gigante.
«Su, campione.» Gli cingo la vita. «Dai che si va in scena.»
Tony si aggrappa a noi, manda piccoli mugugni e tenta di mettere i piedi al posto giusto. E puzza, puzza da far schifo.
Soffoco un conato. «Tony, Cristo, da quant’è che non ti lavi? Ti sei cambiato i vestiti stamattina?»
Il problema dei tossici è questo, si dimenticano tutto. Ti fai, e il resto viene dopo.
Portare un negro alto come lui a spasso per il locale è un’impresa; specie se ogni tanto ti scivola e lo devi tenere. Dall’altra parte c’è Paul, che con un braccio chiede di far spazio e sposta i clienti. Ecco la porta del camerino: di Mr. Phillips nemmeno l’ombra, grazie a Dio.

Giro la maniglia e apro. La scena è questa: Chubby sta sniffando coca dalle tette di una cameriera. Quel ciccione impenitente, se lo lasci fare finisce sempre col portarle a letto.
Chubby Jones è l’ultimo del nostro quartetto di negri scesi a New Orleans.
La cameriera si rialza di scatto, tira su la camicetta e si copre le tette sporche di polverina magica.
E Chubby la rassicura. «Calma, piccola, non avere paura. Questi sono i miei amici.»
Le labbrone da alto sassofonista, la fronte rilassata: Chubby, l’enorme panda che ci portiamo dietro per avere sollievo dai nostri peccati.
La cameriera si aggiusta la gonna, infila la scarpa che le era caduta e abbozza una parola di scusa. Imbocca la porta e esce.
Chubby si gira verso di noi con la calma di un alligatore che ha appena pranzato. «Che succede, ragazzi?»
Paul sbotta. «Succede che se il coglione non si riprende, la serata è fottuta. Ci butteranno nel bayou con una pietra al collo.»
Chissà se Paulie è più spaventato all’idea che non saliamo sul palco, o che saliamo e facciamo la figura dei dilettanti.
E in tutto questo, la botta non mi è ancora arrivata.
Chubby poggia le mani sulle ginocchia, si dà una spinta e si alza. Va da Tony, così vicino che sembrano sul punto di baciarsi. L’eroinomane e il bestione.
Chubby alza una mano, gliela passa attorno al collo e giuro ti verrebbe da dire che ora glielo spezza. Invece le labbrone si aprono, la voce scorre sul velluto.
«Ehi, Tony, amico. Non c’è nessun problema. Siamo qui per te.»
E queste parole sono dinamite, Cristo, sono un assolo di Parker. La faccia di Tony diventa tutta rughe, gli occhi scavano nella pelle e la bocca si storce. Tony “Rabbit” Blackfoot, proprio lui Gesù, comincia a piangere come un vitello. Gli esce questo verso da cucciolo che non mi spiego, qualcosa che erompe da qualche angolo della sua infanzia e che lascia me e Paul fuori posto. Fuori scala.
Le grosse dita di Chubby prendono a massaggiargli il collo. Mi verrebbe da dirgli che non può fare così, che Tony non è una puttana. Ma resto a guardare, e per un istante vorrei essere io la puttana di Chubby, vorrei essere al centro del suo mondo e farmi cullare da quella voce profonda. La testa di Tony gli crolla sulla spalla, singhiozza e bela, l’agnello.
«Shhhh» gli fa Chubby. «È tutto a posto, fratello. Tutto a posto.»
Le luci del camerino disegnano su questa coppia di sopravvissuti un contorno d’oro. Il sassofonista si gira verso di noi. «Avete le sue bacchette?»
Paul si guarda attorno, le prende dalla custodia e gliele porge. Non dice una parola.
Chubby le stringe, si scosta da Tony e gliele mostra. Quasi stesse dando l’eucarestia.
«Tieni, Tony, preparati. Tra un attimo si va in scena.»
E in quel momento di pura adorazione, di messa pentecostale, la porta si apre e compare la faccia di Mr. Phillips.
«Il pubblico sta aspettando. Che cazzo fate?»
Paul apre le braccia. «Ancora un momento, Mr. Phillips.»
Il manager scopre gli incisivi. Indica Tony, che si è seduto con le bacchette in mano e lo sguardo basso. «Che ha Rabbit
«Niente» faccio io. Gli butto lì pure un mezzo sorriso.
Mr. Phillips non la beve, alza l’indice e ci ammonisce. «Cinque minuti, non uno di più.» Un cenno a Tony. «Farà meglio a riprendersi, o uso quelle bacchette per levargli la pelle dal muso.»
Sbatte la porta.
Che stronzo. Phillips è un negro che ragiona da bianco. Ma è il nostro trampolino di lancio.

La botta sta salendo, era ora. Sale e vorrei gridarlo ai quattro venti. E all’improvviso ho una rivelazione. Guardo Paul.
«Siamo qua per questo, Paulie.» Aggiusto gli occhiali sul naso. «Non capisci?»
«Ike. Non capisco cosa?»
«La tempesta, la tempesta!» Indico il muro. Dietro quel muro c’è un altro muro. E dietro l’altro muro il temporale incombe su questa notte di luglio. «Quello è un segno del cielo!»
La botta è arrivata. Dio, che sensazione. Ogni volta ci mette di più.
«Paulie, noi siamo la tempesta! La tempesta che spazzerà via tutte queste muffe dell’old jazz. Tutti gli standard, tutti i ballabili. Li distruggeremo!»
Le parole salgono e non le controllo. Sto parlando per Parker, Dizzie e tutti gli altri.
«Siamo i messaggeri di Dio!»
Le bacchette di Tony stanno tentando un paradiddle. Si fermano.
Chubby succhia l’ancia del sax. Si ferma.
Paul mi guarda serio, arriccia le labbra, la testa annuisce.
Li ho tutti dalla mia parte.
Questa serata è nostra.
Tony abbozza un sorriso. Dio, fa’ che vada tutto bene.
La porta si apre, dal locale entra un miscuglio di parole e tintinnare di bicchieri.
Mr. Phillips digrigna i denti.
«Ultima chiamata, jazzisti
Chubby si alza. Paulie si stacca dal muro. Tony si raddrizza, le mani secche stringono le bacchette.
«Siamo pronti, boss



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antico
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Re: La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#2 » venerdì 31 luglio 2020, 18:23

Tutto ok con i caratteri. Se apporterai modifiche entro la chiusura del tempo utile per la prima traccia avvertimi che ripasso a controllare.

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Polly Russell
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Re: La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#3 » sabato 1 agosto 2020, 0:12

Uhhh! La tua prima persona è sempre dannatamente succulenta, di solito me la immagino come la voce fuori campo di Turko, solo che questa volta invece di Statham è Samuel L. Jackson.
L’ambientazione è perfetta, non sono mai stata a New Orleans ma me la immagino esattamente così, il passaggio dei pantaloni appiccicati addosso è perfetto.
Non ho capito la storia delle fiale, ma immagino esistano. Nell’immaginario collettivo la cocaina non è certo in fiale, ma conoscendoti ti sarai informato.
Certo un mix di coca e ero non è proprio il massimo per riprendersi, ma presumo che se non gli viene un infarto può dire di aver inventato lo Speedball! XD
Unico neo, se proprio devo trovarne uno, il numero di personaggi in scena, che, non solo non mi fa capire chi sono i “due” richiesti dalla traccia, ma obbliga te a farli chiamare spesso per nome. Soprattutto Ike.
Polly

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Eugene Fitzherbert
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Re: La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#4 » sabato 1 agosto 2020, 21:31

Mi piace il jazz, la scena di New Orleans, i bayou!
Vedo che stai esplorando ancora gli orizzonti Pulp della scrittura in prima persona: sono insidiosi ma fanno delle belle soddisfazioni.
Il tuo quartetto sgangherato che vuole sfondare è magistrale, nel bene e nel male. La vuoi sapere una cosa: da quando ho iniziato a leggere fino alla fine mi aspettavo di vedere saltare fuori un nome dei grandi del jazz tra i protagonisti, ho anche googlato per vedere se Ike fosse il soprannome di qualcuno (e ho trovato solo Ike Turner, ma noon c'azzecca).
Pensa che figata se questo inizio terrificante non fosse altro che i primi passi di qualche leggenda del jazz, nata tra coca, sudore e polvere.

Anche se, siccome credo che da un momento all'altro irromperà una certa Katrina a radere al suolo New Orleans, non ci siano con i tempi...

Comunque, bell'inizio. I want more!

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Emiliano Maramonte
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Re: La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#5 » domenica 2 agosto 2020, 20:55

Ciao Andrea!
Che dire? Mi inchino ancora alla tua bravura. Come sempre, scrittura pulitissima, consapevole e sorvegliata. Sei stato grandioso nel costruire la vicenda di questa band di bepop che vuole sfondare e rivoluzionare la "fossilizzata" scena musicale di New Orleans. Purtroppo non sono molto esperto del periodo né di quel tipo di musica (tu, evidentemente sì), ma questo non conta perché la trama si segue abbastanza bene. Oltretutto hai ricreato l'atmosfera e il sapore di quegli anni, con le contrapposizioni tra "negri" e bianchi, con tutto ciò che ne consegue e con tutti i pregiudizi del caso. Molto incisivo il conflitto narrativo di Tony che si strafa di cocaina e che genera la giusta ansia per preparare i frammenti successivi. Godibilissimo lo stile da film americano: mi sono immaginato una voce fuoricampo che narrava gli eventi... un effetto bizzarro ma coinvolgente!
Unico appunto: un po' di eccessiva concitazione che non sempre consente di seguire bene lo scorrere delle scene e, soprattutto, un "sovradosaggio" di personaggi che, penso, ti faccia un pelo scantonare dai parametri richiesti dall'Antico. Vedremo come si svilupperà. Sono curioso di vedere come se la vedrà la band allo sbaraglio!

Complimenti!
Buona Maratona!

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Andrea Lauro
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Re: La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#6 » domenica 2 agosto 2020, 21:52

Polly Russell ha scritto:Uhhh! La tua prima persona è sempre dannatamente succulenta, di solito me la immagino come la voce fuori campo di Turko, solo che questa volta invece di Statham è Samuel L. Jackson.
L’ambientazione è perfetta, non sono mai stata a New Orleans ma me la immagino esattamente così, il passaggio dei pantaloni appiccicati addosso è perfetto.
Non ho capito la storia delle fiale, ma immagino esistano. Nell’immaginario collettivo la cocaina non è certo in fiale, ma conoscendoti ti sarai informato.
Certo un mix di coca e ero non è proprio il massimo per riprendersi, ma presumo che se non gli viene un infarto può dire di aver inventato lo Speedball! XD
Unico neo, se proprio devo trovarne uno, il numero di personaggi in scena, che, non solo non mi fa capire chi sono i “due” richiesti dalla traccia, ma obbliga te a farli chiamare spesso per nome. Soprattutto Ike.


Eugene Fitzherbert ha scritto:Mi piace il jazz, la scena di New Orleans, i bayou!
Vedo che stai esplorando ancora gli orizzonti Pulp della scrittura in prima persona: sono insidiosi ma fanno delle belle soddisfazioni.
Il tuo quartetto sgangherato che vuole sfondare è magistrale, nel bene e nel male. La vuoi sapere una cosa: da quando ho iniziato a leggere fino alla fine mi aspettavo di vedere saltare fuori un nome dei grandi del jazz tra i protagonisti, ho anche googlato per vedere se Ike fosse il soprannome di qualcuno (e ho trovato solo Ike Turner, ma noon c'azzecca).
Pensa che figata se questo inizio terrificante non fosse altro che i primi passi di qualche leggenda del jazz, nata tra coca, sudore e polvere.


megagenius ha scritto:Ciao Andrea!
Godibilissimo lo stile da film americano: mi sono immaginato una voce fuoricampo che narrava gli eventi... un effetto bizzarro ma coinvolgente!
Unico appunto: un po' di eccessiva concitazione che non sempre consente di seguire bene lo scorrere delle scene e, soprattutto, un "sovradosaggio" di personaggi che, penso, ti faccia un pelo scantonare dai parametri richiesti dall'Antico. Vedremo come si svilupperà. Sono curioso di vedere come se la vedrà la band allo sbaraglio!


Grazie Polly, Eugene ed Emiliano!
Vi dirò che ero indeciso se narrarlo in prima o in terza: la scelta è stata dettata, come avrete intuito, dalla necessità di trattare quattro personaggi, perdipiù tutti masculi. Se avessi usato la terza, i dialogue tag sarebbero stati un putiferio illeggibile di pronomi! E infatti la Polly ha notato comunque qualche IKE di troppo.
Per cercare di stare nel tema, ho cercato di incentrare la vicenda su due dei quattro, Ike e Paulie, dando loro uno spazio apposito fuori dal locale durante il quale vedono fisicamente arrivare la tempesta. Ma è anche vero che nella scena finale ci sono tutti e quattro.

Questione fiale: le ho viste in qualche film ambientato in quegli anni... l'odierna bustina mi sembrava troppo decontestualizzata! Ma se avete altre idee, cambio al volo!

Allora spero di non deludervi sul seguito! Sto cercando di tenere la mente aperta a diverse soluzioni... come starete facendo voi!
grazie ancora, stiamoci sotto che è divertente!
andrea

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antico
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Re: La botta sale, il bebop rimane

Messaggio#7 » lunedì 3 agosto 2020, 20:01

Gran livello, ma un paio di dubbi: 1) sono quattro protagonisti e non due. Vero, parti con due e con Tony praticamente assente, ma poi entra in scena con tutta la sua fisicità e infine arriva anche Chubby. Insomma, la traccia è rispettata, ma anche arricchita: se dovessi, senza conoscerla, provare a indovinarla direi che i protagonisti che si preparano alla tempesta sono quattro. 2) sembra un racconto fatto e finito e arrivato alla fine mi sento già soddisfatto. La domanda è: riuscirà a rilanciarsi nella seconda traccia? Per quanto riguarda la valutazione in questo contesto dico pollice quasi su per la problematica legata al numero dei protagonisti. Gran bel pezzo, ma curioso di scoprire come riuscirai a dare forma al racconto finale.

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