Flare - I°

Dario17
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Flare - I°

Messaggio#1 » domenica 2 agosto 2020, 16:59

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immagine presa da http://www.greenme.it
[Settembre – 2032]

Un colpo secco, dal basso.
Monica sfilò le mani dai pantaloni di suo marito e si rimise composta sul sedile del guidatore.
Afferrò il volante, collocò i piedi sopra i pedali giusti e riattivò i comandi manuali della Tesla Model-12.
«Che diavolo è successo?» esclamò.
«Siamo passati sopra qualcosa di veramente duro, la botta è venuta da sotto.» rispose Fabio, infilando le braccia in una camicia a rovescio «Forse una radice sporgente oppure un grosso buco dell’asfalto.»
«Beh, adesso guido io. Daremo un’occhiata alla macchina dopo essere arrivati a casa. Non è che possiamo fermarci per ogni cazzata proprio adesso!» chiarì Monica.
Non aveva ancora finito di scandire la parola “cazzata” che la macchina prese a vacillare.
Sussulti leggeri e costanti scossero i sedili, le cianfrusaglie nel portaoggetti e lo schermo a led dove scritte e forme geometriche delineavano in tempo reale la mappa della zona.
Fabio aprì il finestrino, si allungò per quanto le cinture glielo permisero e mise la testa fuori.
«Al rifugio, ho detto!» sbraitò Monica.
Monica schiacciò il pedale.
Le file di alberi tinti di autunno divennero più leste nello scorrere via ai lati della strada.
«Ehi!» fece Fabio. Rimise la testa nell’abitacolo.
Guardò sua moglie con occhi sgranati, in un connubio tra il rimprovero e lo scocciato.
L’oscillazione dell’autovettura si trasformò in una vera e propria vibrazione generale; la sensazione fu quella di un’eterna ed ultima frenata di un vecchio ascensore, poco prima di aprire le porte.
L’auto affrontò una leggera curva e Monica sentì il volante gemere sotto la sua presa.
«Non possiamo continuare, dobbiamo fermarci.» la redarguì Fabio.
Esalando l’ultima decina di sussulti, la Tesla si accoccolò su di una piazzola d’emergenza, sul bordo della strada.
Monica scese per prima.
Un’istante prima di spegnere l’auto, la sensazione d’impotenza che le aveva dato il volante le era entrata dentro, drizzandole la peluria del collo nascosta dalla cascata di capelli neri e lisci.
Fabio scese e fece un giro attorno all’auto, a passi lenti.
Arrivò di fronte al cofano e si fermò. Mise le mani sui fianchi e tirò la testa all’indietro.
«Questa non ci voleva, Cristo…»
«Cosa, Fabio, cosa?»
«Guarda le gomme.» disse senza raddrizzare il capo.
La posizione obliqua di entrambe le ruote anteriori erano la firma e la controfirma sulla gravità della rottura dell’auto e Monica arrivò diretta alla soluzione del mistero: semiasse spezzato.
«Oh cazzo! Ed ora? Al nostro rifugio mancano ancora più di dieci chilometri, perdio!» Monica batté i pugni sul tettuccio della Tesla.
«Ed ora, tesoro, come prima cosa fai un bel respiro. Poi prendiamo gli zaini e ci incamminiamo. Che ore sono?»
Monica tirò fuori lo smartphone.
«Le sei e ventidue! Mancano meno di quaranta minuti allo Spegnimento! E noi siamo senza macchina in mezzo al nulla, Fabio! Nessuno ci può venire a prendere, è tutto bloccato!»
Suo marito sorrise.
La dottoressa Monica Hao, vicedirettrice dell’istituto oncologico di Nuova Terni, riconobbe per l’ennesima volta nella sua vita l'eccezionale tranquillità del malato che aspettava il turno di vista fuori la sua sala d’aspetto, in compagnia dei familiari posseduti da tutta la comprensibile ansia del mondo.
L'illogica calma dell’uomo la cui vita è in pericolo, circondata dall’irrequietezza dei loro cari.
«Andiamo, tesoro.» sentenziò Fabio «Vedrai che troveremo un posto dove possiamo ripararci. Su, gambe in spalla.»
Monica si guardò intorno.
Uno dei più bei pomeriggi di ottobre dell’ultimo secolo; un’orchestra perfetta di luce e temperatura, di campagne coltivate e cieli puri.
Poi lo vide.
Monica sussultò, aprì il cofano dell’auto, tirò fuori gli zaini e richiuse.
«Andiamo!»
La dottoressa Hao non seppe mai se quella striscia violacea nel cielo tra gli alberi accanto la piazzola fu solo uno scherzo del suo cervello oppure fosse stata la prima avvisaglia della tempesta solare che quella notte si sarebbe abbattuta sulla Terra.

[…]

L’impianto bio-tecnologico innestato nel cuore di Fabio pompava alla grande.
Dopo mezz’ora di camminata a passo più che sostenuto, l’uomo si sentiva tonico e affatto stanco, il respiro regolare ed insensibile alla fatica.
Diede un colpetto allo zaino per far aderire meglio la cinghia alla spalla.
Un tramonto ramato li scrutava da dietro l’interminabile sequenza di colline umbre che li circondava.
Alla loro destra, il guard-rail che li accompagnava fin da quando avevano abbandonato l’auto non accennava a smettere di seguirli come un cane fedele.
Un colpo di vento, odore pungente di cose vive.
Oppure era odore di Apocalisse?
Fabio si voltò verso la moglie: i suoi occhi troppo grandi per essere considerati orientali ma anche troppo affilati per una donna occidentale vegliavano su di lui.
Al suo fianco in quel momento non vi era sua moglie, ma la vicedirettrice Hao.
Una donna stoica, una guardiana delle vite altrui, la dirigente di ferro di uno dei migliori ospedali del paese.
Una donna che col sudore della fronte manteneva la famiglia tutta da sola, trattenendo più persone possibili aggrappate alla loro vita terrena formulando diagnosi ed escogitando cure.
Lui dov’era quando sua moglie era in ambulatorio? A scrivere racconti nello studio del loro attico, a vincere i concorsi letterari organizzati per tutta la penisola italica.
Si ravvivò il ciuffo castano da adolescente.
Tanti attestati e strette di mano su di un palco, ma con quelli non era mai riuscito a fare la spesa ed a riempire il frigorifero.
«Fabio, aspetta!»
Senza accorgersene, l’uomo l’aveva distanziata di una decina di passi.
L’impianto al cuore funzionava alla grande: solo l’ironia smisurata di cui era capace la vita stava per trasformare il rimedio tecnologico alla sua malformazione cardiaca congenita in un collasso, nel caso si fosse esposto direttamente alla nube di particelle cariche che il Sole stava per sparare contro l’intera umanità.
Un brillamento solare.
Un flare.
I governi avevano gonfiato il petto ed avevano deliberato: spegniamo tutto per qualche giorno, rintaniamoci nelle case e stringiamo le chiappe sperando che l’intera rete elettrica mondiale non frigga come i telegrafi di mezzo mondo nel 1859, data dell’ultima tempesta geomagnetica arrivata in forze sul pianeta blu.
La scienza aveva generato la lista delle spiegazioni empiriche e da esse erano state ricavate tutte le leggi a cui i cittadini avrebbero dovuto attenersi, ad ogni condizione particolare la sua giusta dose di precauzioni e raccomandazioni.
I coniugi Hao avevano avuto il loro vademecum: Fabio, come tutti quelli in possesso di impianti bio-elettrici nell’organismo, avrebbero dovuto rintanarsi da qualche parte e starsene al riparo dall’esposizione diretta alla tempesta solare.
La cantina ristrutturata in tavernetta di lusso nella loro casa in collina era stata la risposta più comoda e logica.
Avrebbero trascorso la durata dello Spegnimento in tranquillità, crogiolandosi in un benessere ben più denso rispetto ai meno abbienti che si sarebbero dovuti adattare in strutture sotterranee statali ed improvvisate.
Un piccolo giardino dell’Eden privato, cinque metri sotto terra.
A cui però, per un motivo appresso all’altro, non riuscivano ad accedere da una settimana.
La scienza aveva dato sì all’umanità il corretto modo di affrontare la calamità, ma con solo sette giorni di preavviso.
Non molti.
Pochissimi per una vicedirettrice costretta dal suo ruolo ad organizzare i preparativi per l'intera struttura ospedaliera per lo Spegnimento.
Si erano ridotti a partire il giorno stesso della tempesta e pochi minuti prima la macchina li aveva lasciati a piedi.
Se la loro casa in collina era la valle dell’Eden, lui e Monica sembrarono in quel momento dei novelli Adamo ed Eva, soli e circondati dal nulla, alle prese con un esilio un po’ troppo anticipato.
«Acceleriamo, mancano solo quindici minuti!» gridò Monica.
La marcia fatta fino ad ora divenne una corsa di buona lena.
«Se ricordo bene, è alla fine di questa strada in discesa.» Fabio allungò il braccio ed indicò un punto di fronte a sé.
Superarono una rotonda stradale ed arrivarono ad una strada collegata ad essa, in discreta pendenza.
Un centinaio di metri più sotto, una stazione di benzina.
Anziché usare il manto stradale che circondava il dislivello e si inseriva morbidamente nello spiazzo delle pompe GPL, Monica e Fabio scavalcarono il guard-rail e si fecero scivolare nel tappeto erboso.
Sollevarono del terriccio, si aiutarono con mani e braccia per non fare bruschi capitomboli e saltarono un paio di radici pericolose (ne avevano avuto abbastanza di quei tentacoli legnosi).
Filarono dritti all’entrata del punto ristoro, deserto ed illuminato da luci di emergenza autonome.
Monica scosse le maniglie della porta a vetri, senza risultato.
«Spostati, amore.» le disse suo marito, con tono serafico.
Volò un mattone contro la superficie trasparente e la fece esplodere.
Monica emise un gridolino e si allontanò. Fabio ne afferrò un secondo ed un terzo dimenticati vicino all’autolavaggio automatico, figli dimenticati di chissà quale restauro del rifornimento.
Altri due scoppi ed altre migliaia di lacrime vetrose caddero dalla porta.
Entrarono.
«Quando finirà questa storia, tesoro, temo che dovrai staccare qualche assegno e firmare qualche lettera di scuse.» disse Fabio.
«Dai, dai! Entriamo!»
Una soffocante vampata di aria stantia li abbracciò con ardore.
Dall’interno, le luci d’emergenza si rivelarono più forti e capace di illuminare il bancone, i tavoli e le bottiglie sugli scaffali.
Sulla destra, due porte laccate di rosso.
La prima era chiusa, la scritta TOILETTES fugò ogni dubbio ai due coniugi.
La seconda era socchiusa.
Fabio estrasse il suo cellulare, attivò l’applicazione con sopra il disegno di una torcia da campeggio.
Si avvicinò alla porta socchiusa e riversò il cono di luce bianca sul legno.
Le diede un colpetto con la punta della scarpa da tennis flagellata da segni verdi e marroni.
Dio, o chi per lui, aveva impedito loro di raggiungere il loro Eden ma, da quel che vide, sembrava proprio che si fosse pentito e che volesse rimediare.
«Cosa c’è lì, Fabio?» chiese sua moglie.
La sentì appoggiare lo zaino su di un tavolo e poi scivolare alle sue spalle.
Un secondo cono di luce illuminò l’ambiente.
Un magazzino senza finestre e senza sbocchi per il flusso di particelle cariche che sarebbe piombato su di loro alla velocità di cinque milioni di chilometri all’ora.
«La mia stanza.» fece lui.
«Vuoi dire la NOSTRA stanza.» lei gli prese il braccio.
Sua moglie Monica era tornata. Non la dottoressa Hao, in quel momento forse in pausa pranzo a sbocconcellare il consueto riso in bianco del mercoledì e del venerdì.
«Veramente, avrei prenotato una singola…»
«Stronzo! Stai rischiando di lasciarci le penne e ti metti a dire cazzate?»
«Per le cose serie, ci sei tu, no?»

[…]

Monica Hao si sedette sullo spiazzo del bar libero dai cocci della porta a vetri.
Estrasse lo smartphone dalla tasca.
Lo schermo nero come una notte in miniera.
Lo Spegnimento.
Alzò gli occhi al cielo.
Sulla linea dell’orizzonte ormai oscurato dall’imbrunire, piccoli flussi eterei cominciarono a danzare ed a rincorrersi in un connubio di riflessi ocra, magenta e smeraldo.
Sembravano miasmi di un incendio al di là dell’orizzonte. O al di là della galassia.
Monica si guardò intorno e si beò per l’ennesima volta dell’idea di suo marito tra le quattro pareti del magazzino.
Si rialzò e rientrò nel bar.



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Re: Flare - I°

Messaggio#2 » lunedì 3 agosto 2020, 0:54

Tutto ok con i caratteri.

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Re: Flare - I°

Messaggio#3 » mercoledì 5 agosto 2020, 16:44

Una tempesta solare sulla Terra globalizzata, che macello, vero? I due protagonisti ci sono e ci lavori abbastanza bene intorno anche se mi sfuggono alcune loro interazioni come il rapporto sessuale con cui apri (era necessario?) e la chiusa con Monica che pensa prima di tornare dal marito (anche qui mi sembra ci sia una promessa sessuale): mi sembra di capire che tu volessi spingere sul desiderio ancora vivo tra i due, ma lo avrei preferito vedere uscire da una semina più diffusa rispetto a due momenti ben delimitati di cui il primo mi è sembrato una forzatura e il secondo mi è apparso accessorio. Occhio a un aspetto che mi pare uscire da questo pezzo: non mi sembri super efficace quando c'è da tenere su la tensione del lettore (a meno che fosse una tua intenzione ben definita che poi si mostrerà nei suoi effetti nel prosieguo). Direi un pollice tendente verso l'alto ma con qualche riserva. Un pelo meglio del racconto di Marchese più che altro per la questione protagonisti (che per il suo testo è stato parecchio penalizzante mentre è uno dei punti di forza del tuo).

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Re: Flare - I°

Messaggio#4 » mercoledì 5 agosto 2020, 19:29

antico ha scritto:... e la chiusa con Monica che pensa prima di tornare dal marito (anche qui mi sembra ci sia una promessa sessuale): mi sembra di capire che tu volessi spingere sul desiderio ancora vivo tra i due, ma lo avrei preferito vedere uscire da una semina più diffusa rispetto a due momenti ben delimitati di cui il primo mi è sembrato una forzatura e il secondo mi è apparso accessorio.


Confesso di non aver assolutamente pensato per la chiusa ad una qualche promessa sessuale.
Se nella lettura hai captato ciò, questo me lo appunto come una mia mancanza di chiara esposizione e me ne dolgo.
Io puntavo a mostrare per l'ennesima volta la sua necessità di avere il controllo della situazione e che il fatto che suo marito fosse (provvisoriamente) al sicuro la facesse stare bene.

Se il lettore interpreta male, lo scrittore ne ha sempre la responsabilità.

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Re: Flare - I°

Messaggio#5 » mercoledì 5 agosto 2020, 19:50

Credo che l'elemento che mi ha portato a pensarlo sia proprio l'intro. Nel cercare una simmetria con la chiusa ho fatto un 1+1 errato. Però sì, credo vada comunque sistemato.

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