Capitolo 1. I segni degli Dei

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Giorgia D'Aversa
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Capitolo 1. I segni degli Dei

Messaggio#1 » domenica 2 agosto 2020, 23:08

Capitolo 1. I segni degli Dei

Una goccia mi bagna la fronte. Non riesco a scorgere la falla, ma un rivolo d’acqua scivola tra le travi del soffitto e si lascia cadere sul mio volto.
«Merda Vania, ci sta piovendo in casa!»
Mia sorella alza appena la testa dal suo rammendo e rimane con ago e filo sospesi a mezz’aria. Sospira e torna a cucire, senza nemmeno degnarsi di passarmi il secchio accanto a lei.
Tiro indietro la sedia, che stride sul pavimento. Inutile contare su una reazione da parte sua, è più facile sbrigarsela da sola. Afferro il manico e lo sbatto a terra dove lo sgocciolio si è tramutato in torrentello.
La pioggia batte violenta sul legno ormai gonfio, in qualsiasi direzione la porti il vento: l’aria ha iniziato a spingere con prepotenza sulle pareti e il suo fischio, insieme ai colpi sopra le nostre teste, è assordante. Ho paura che, se va avanti così, il tetto possa cedere: preferirei non morire fra queste quattro mura.
«Dobbiamo riparare il tetto, altrimenti qui si allaga tutto,» urlo nel tentativo di farmi sentire.
Vania non distoglie lo sguardo dal vestito e prosegue imperterrita, succhiandosi il labbro inferiore. Mi piazzo di fronte a lei con le mani sui fianchi, confidando in una qualche reazione: niente. Le strattono il polso destro e il filo scuro si tira tra la sua mano e la stoffa.
«Ma ci sei? Hai visto che sta piovendo in casa?» Alzo il tono della voce.
Lei inclina la testa e mi fissa con uno sguardo indulgente che mi fa sentire un’idiota. «Certo che ho visto, Clizia. Non vedo perché dovresti agitarti tanto.»
Fa per alzarsi, le lascio il braccio e indico il soffitto.
«Quello resta in piedi con lo sputo e la speranza, e qui piove da giorni.» Le indico una finestra. «Potrebbe arrivare una tempesta e la cosa non mi piace.»
Aggrotta la fronte in un accenno di dubbio che sparisce subito: se è preoccupata come lo sono io, non lo dà a vedere.
«Noi due non ci possiamo fare nulla. Se ci fosse Bemus avremmo già rinforzato il tetto da giorni.»
Vania scrolla le spalle, recupera uno straccio dal tavolo e si inginocchia ad asciugare le gocce di pioggia che hanno bagnato il pavimento. Ci rinuncio.
«Cerco di capire com’è la situazione fuori, tu controlla che il secchio non si riempia.»
Afferro il mantello dall’appendiabiti e me lo avvolgo intorno alle spalle. Alzo il cappuccio e faccio scorrere la lastra in metallo sui passanti; i cardini perdono di stabilità, agitati dal vento. Spingo il maniglione e l'acqua mi bagna la faccia. Strizzo gli occhi e mi chiudo rapida la porta alle spalle.
All’esterno il mondo è grigio sotto lo scrosciare dell'acqua: tengo la testa bassa e, facendomi scudo con la stoffa, avanzo ad ampie falcate. Il mantello mi sventola attorno al corpo come una bandiera e l’aria agita anche la gonna nera, che mi scopre i polpacci alle sue fredde sferzate.
Fiancheggio la casa e gli stivali affondano nella fanghiglia scura trascinata dall’acqua torrenziale che minaccia di superare la barriera del cuoio. Piove da giorni e non sembra aver intenzione di smettere, anzi. Un tuono romba in lontananza e mi fermo sul posto, stringendo il mantello: possibile che stia davvero arrivando una tempesta? Le nubi si addensano fosche sull’orizzonte, ma il cielo non ruggisce più. Allungo il passo.
Sul retro l’impalcatura della scala a pioli non sembra aver subito danni, per fortuna. Ne afferro un’estremità bagnata e pianto una suola sul primo scalino: è stabile, posso provare a salire. La pioggia aumenta d’intensità e mi lava la faccia, il vento tira indietro il cappuccio e i capelli mi si incollano sulla testa. Inutile coprirmi di nuovo. Mi puntello su un piede e stringo con forza le mani su uno dei pioli più alti.
«Clizia, ma sei impazzita?» Una mano si protende a stringere la scala. «Se sali sul tetto con questo vento ti farai male!»
La faccia perplessa di Enio, il figlio di Veturia, è rigata da enormi gocce che si impigliano sugli accenni di peluria. Mi lascio cadere a terra, i piedi affondano nel fango.
«C’è una falla, e se non la sistemo avremo un laghetto al posto della casa.» Taglio corto e cerco riparo sotto la struttura di appoggio delle scale.
Come se mi divertissi a camminare su tetti bagnati, rischiando di rompermi una caviglia o di rimanerci secca. Di solito di queste cose si occupa Bemus, non io.
«Non c’è qualcuno che può darti una mano?» La sua voce suona come un pigolio.
«Vuoi forse aiutarmi tu?» Faccio un cenno col mento al suo corpo magro da adolescente. «È facile che il vento ti spazzi via, lo sai.»
Enio si gratta sconsolato la testa. «Comunque non dovresti salire. Gli anziani si sono riuniti in concilio con gli oracoli e… mi sa che ora vogliono discutere con tutto il villaggio.»
Un rivolo di paura mi risale lungo la spina dorsale stuzzicando i timori annidati nel cervello. A quanto pare la situazione ha turbato anche loro.
«Allora la sicurezza di casa mia dovrà aspettare.» Raddrizzo le spalle e mi strizzo la treccia. «Quando ci sono di mezzo gli aruspici è meglio non fare sciocchezze. Vado a chiamare Vania, vediamoci dopo all’edificio principale.»
Alzo di nuovo il cappuccio e torno verso l’ingresso: il battito del mio cuore si uniforma al rumore secco della pioggia sul terreno.

I miei vestiti non smettono di sgocciolare sul pavimento e gli stivali sono zuppi d’acqua: al posto dei piedi mi sembra di avere dei pesci. I bracieri disposti lungo la parete circolare non sono sufficienti ad asciugarmi. Vania mi lancia un’occhiata esasperata.
«Ma quanto ci mettono? Sono lì dentro da tantissimo!» Soffia e i capelli scuri e increspati sulla testa la fanno sembrare una gatta.
«Smettila di lamentarti, ogni vaticinio richiede il suo tempo.»
Non posso darle del tutto torto: i bambini aggrappati alle gonne delle madri mostrano segni di insofferenza, qualcuno dei più piccoli piange. Con la pioggia che là fuori peggiora e la tensione che si accumula, il tempo trascorso qui dentro è lunghissimo.
Da una porta laterale sbucano gli anziani con le loro tuniche bianche, seguiti dai tre oracoli: le loro teste pelate, su cui i piccoli fuochi fanno giochi di luce, mi attraggono come le statue della divinità. Il corteo si dispone a semicerchio e anche i più piccoli si zittiscono.
Glauco fa un passo avanti e prende la parola. «Gli aruspici hanno parlato. Come temevamo, questo lungo temporale non è solo un capriccio della natura: sta arrivando una tempesta.»
Avevo ragione! Cerco subito lo sguardo di Vania, che al contrario del mio rimane saldo sui capi del villaggio. Ha la mascella contratta. Un mormorio si diffonde per tutta la sala e un fulmine illumina a giorno i volti sconvolti dei presenti. Un bambino scoppia a piangere.
«Questa pioggia incessante, oltre a rovinare i raccolti che la nostra Dea ci dona, non presagisce nulla di buono. I vaticini sono confusi su questo, ma piuttosto nefasti.»
Trattengo il respiro: sta per accadere qualcosa di brutto e Bemus e gli altri sono là fuori nelle terre della caccia, distanti da noi. La nostra fonte di protezione, lontana chissà ancora per quanto. Non so se essere sollevata che, qualunque cosa accada, lui possa salvarsi, oppure sentirmi impaurita per la sua assenza.
«Fenomeni atmosferici del genere, stando a quel che sappiamo della nostra storia, significano una sola cosa. Abbiamo il timore che una qualche divinità malevola voglia impadronirsi del territorio consacrato alla Dea.» Glauco china la testa facendo ondeggiare le perline colorate intrecciate nella barba.
«Com’è possibile?» Sbotta un ragazzino. «Lei qui è potente e venerata, ama la nostra terra e ci protegge, non dovrebbe subire gli attacchi di un Dio minore e pure malvagio.»
Veturia piagnucola. «Forse non le abbiamo offerto abbastanza sacrifici… oppure non ci ama abbastanza!»
Eppure, prima che iniziasse a piovere, la vita al villaggio era la solita di sempre, senza nulla di strano e fuori dal comune. È probabile che è così che iniziano le tragedie: nel silenzio della normalità.
Agrio si distacca dagli altri anziani e alza le braccia per intimare il silenzio. «Vi prego di non trarre conclusioni affrettate, né tantomeno di rischiare di essere blasfemi. Gli oracoli interpelleranno il volere degli Dei per scoprire cosa sta succedendo, nel frattempo voi rimanete al sicuro nelle vostre case.»
Reprimo uno sbuffo: certo, nella speranza che la nostra non cada in pezzi. Senza finestre e con pareti come queste potrei fingere che si tratti di un semplice temporale primaverile ma, sotto lo scoppiettio del fuoco e il vociare del villaggio, il vento urla funesto le sue promesse di sventura.
Glauco fa passare gli occhi sulla gente riunita, incrocia anche il mio sguardo. «Il Concilio ora torna a riunirsi, vi faremo sapere non appena avremo le idee più chiare sugli affari divini.»
Il gruppo di anziani e oracoli si inchina, le vesti frusciano sul legno.
«Che la Dea prosperi sempre.» Intoniamo in coro.
Mi avvolgo nel mantello fradicio e sporco di terra, avvicinandomi all’uscita. Vania mi si accosta.
Faccio un cenno verso le donne e i giovani che sciamano all’esterno. «Io passo per l’Altare, come farà la maggior parte di loro. Tu va’ a casa e controlla quel dannato secchio.»

Sotto la pioggia torrenziale, la distanza che divide le sale del Concilio dal tempio della Dea sembra raddoppiare. La piazza è allagata, dei fiumiciattoli hanno preso il posto delle stradine in ghiaia, creando nuovi percorsi. Inciampo nei miei stivali ricolmi d’acqua nel tentativo di schivare rami, sassi e detriti portati dal vento; tengo come punto di riferimento la gonna verde di una donna davanti a me e cerco di non mettere i piedi in una buca o di finire con la faccia nell’acqua.
Gli occhi mi bruciano, il vento mi avrà fatto entrare dei granelli di terra. Eppure, nonostante la pioggia in faccia che crea una patina opaca, le colonne in pietra si stagliano riconoscibili di fronte a me. Scatto in avanti e supero qualche persona: il tepore del tempio mi avvolge e inspiro con gratitudine l’odore di incenso che permea l’ingresso.
Mi inchino davanti alla statua della Dea e premo la fronte sul pavimento bagnato. Accoglimi, signora delle messi.
Mi alzo, prendo una spiga di grano dal cesto che la divinità imbraccia e ne stacco lo stelo: mi metto in bocca il resto facendo attenzione a non morderlo e procedo lungo il corridoio di destra. Il frumento mi solletica il palato.
Nel santuario delle donne alcune figure sono già chine al suolo davanti all’Altare; le candele disposte ai lati rendono l’ambiente ultraterreno. Il silenzio è una benedizione, il rumore della pioggia è ormai lontano. Mi avvicino al marmo intagliato con le figure della Dea dell’abbondanza e mi prostro a terra.
Aspettando la tempesta.



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Re: Capitolo 1. I segni degli Dei

Messaggio#2 » lunedì 3 agosto 2020, 1:00

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Re: Capitolo 1. I segni degli Dei

Messaggio#3 » mercoledì 5 agosto 2020, 19:46

Un pezzo molto solido che, però, mi ha dato l'impressione di essere un po' "sottotono". I due protagonisti sono le due sorelle, ma invero interagiscono molto poco e anzi Vania non sembra neppure potersi valere del titolo di protagonista. La tempesta, letterale e forse anche metaforica, sta arrivando e tutto il pezzo vive di questa attesa e probabilmente l'impressione dimessa che ne ho tratto deriva proprio da questo. Cliffhanger debole. Vedremo l'evolversi. La mia idea è che tu abbia voluto tenere i toni bassi proprio per fare deflagrare il racconto più avanti. Pollice tendente all'alto e posizione di classifica in compartecipazione con Maramonte, Nesler e Polly Russell.

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