Capitolo 2. La verità degli Dei

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Giorgia D'Aversa
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Capitolo 2. La verità degli Dei

Messaggio#1 » giovedì 6 agosto 2020, 21:28

Capitolo 2. La verità degli Dei

Il dolore si irradia dalle ginocchia ai polpacci, nonostante la protezione della gonna. Da quant’è che sono in questa posizione? Apro la bocca e mi lascio cadere sul palmo sinistro l’estremità del grano lucida di saliva.
«Dea Terra, proteggi il villaggio e gli uomini che cacciano nelle terre del tuo divino fratello. Veglia su mio marito e sul suo ritorno, salva le nostre case e i raccolti.» Stringo le dita al petto e il frumento mi solletica la pelle.
Faccio leva con l’altra mano sulla pietra e mi alzo per sgranchirmi le gambe; il santuario, fatta eccezione per due donne genuflesse, è ormai deserto.
Deposito il grano umido nella cesta intrecciata sull’Altare, il busto bianco della Dea mi fissa da dietro. In quegli occhi c’è la pietà di una madre e la saggezza di chi regna sull’umanità: il suo sguardo è la carezza di cui ho bisogno per percepirla vicina, per avere la certezza che ci difenderà. Al suo cospetto so sempre che nulla di brutto potrà accadere. Vorrei che fosse così anche oggi. La omaggio con un inchino e mi volto verso l’uscita.
Vania entra trafelata e rischia di sbattere contro il tavolino che regge l’incenso.
«Ma che ci fai qua?» Sbotto, ma abbasso subito la voce. «Ti avevo detto di rimanere a controllare la casa, proprio oggi ti viene voglia di pregare?»
Lei mi supera in direzione delle poche donne rimaste. «Ti assicuro che non è il nostro problema principale, al momento.»
Vorrei urlarle addosso, ma non qui. Dopo ci sarà il tempo. Cammino rapida, il massimo che la sacralità del santuario mi consente; all’ingresso mi fermo davanti alla statua della Dea e mi prostro. Prima i riti, poi la casa.
Dal corridoio di sinistra sbuca Enio, respira forte e agita le braccia davanti a sé. «Ho avvisato gli altri di là,» deglutisce e prende un respiro, «cosa dovremmo fare secondo te?»
«Ragazzo, mi dici che sta succedendo?» Mi alzo sbuffando e apro le braccia.
«Vieni, ti faccio vedere.»
Lo seguo all’esterno del tempio. Tra la pioggia ancor più forte e il grigiore del cielo, all’orizzonte si erge mostruoso il dito nero di una divinità: dalle nuvole si stacca una lingua scura, che si assottiglia per toccare terra come una maledizione. Vortica su se stesso, sulle nostre coltivazioni benedette.
«Per gli Dei, cos’è quello?» Mi sostengo a una delle colonne.
Il vento mi schiaffeggia la faccia e i capelli mi vorticano davanti agli occhi. Non ho mai visto una mostruosità del genere, non esiste una parola con cui possa indicarlo: non avrà un nome, ma è di sicuro l’opera di una qualche divinità maligna, proprio come ha detto l’anziano Glauco. Rimango immobile e mi aggrappo ancor di più alla colonna, le gambe si sono trasformate in macigni. Eccola, la tempesta.
Vania appare al mio fianco e solleva il mento. «Questo è il nostro problema.»
«Avete avvisato il concilio?»
Mia sorella annuisce. «Se quel coso arriva qui, spazzerà via tutti gli edifici in legno. Dobbiamo radunare l’intero villaggio nelle sale sotterranee del tempio.»
Enio contrae le labbra e si getta correndo sotto le secchiate d’acqua, in direzione della piazza.
La nostra casa. Costruita da Bemus e gli altri uomini con fatica, abitata dalla nostra famiglia con gratitudine. La casa che volevamo presto colorare con la presenza di un figlio.
Sulla terra si abbattono come pugni le gocce di pioggia. Qualcosa di duro cade sulle scalinate del tempio e rotola fino ai nostri piedi; il cielo vomita piccoli pezzi di ghiaccio, della grandezza di sassolini. Mi abbasso per prenderne uno e me lo rigiro tra le dita: si scioglie subito e mi lascia il palmo bagnato. Protendo il braccio verso mia sorella, che mi fissa con il volto inespressivo. Come fa a mantenere sempre questa calma glaciale, anche di fronte a situazioni del genere? Un po’ la invidio.
Infilo la mano che ha toccato la pioggia solida nel collo dell’abito e tiro fuori l’amuleto sacro; stringo il vetro levigato tra le dita, percorrendo le estremità del triangolo rovesciato. «La Dea lo fermerà.»
Deve fermarlo, o qualche altra divinità deve intervenire a fermare questa catastrofe. Lascio scivolare la collana tra le pieghe del vestito e alzo il cappuccio umido.
«Abbiamo bisogno di cibo, acqua e delle coperte. Andiamo ad aiutarli.»

L’umidità dei sotterranei del tempio mi entra nelle ossa. Mi strappo di dosso il mantello fradicio e friziono le braccia. Ho male ovunque, quei cubetti di ghiaccio cadono con violenza dal cielo; sono stanca come se mi avessero picchiata e vorrei dormire per una giornata intera.
Mi impongo di camminare e seguo Vania nel corridoio che immette nella stanza principale: tutto il villaggio, o quel che ne rimane per via dell’assenza degli uomini, si ammassa nella sala insieme ai viveri. Chi parla lo fa a coppie o in piccoli gruppi, accanto a statue, simboli e piccoli altari; ma il mormorio generale non permette di rispettare la sacralità del luogo. I bambini sono stretti nelle coperte e le donne si agitano per sistemare quanto necessario almeno a superare la notte. Il Concilio si muove dall’altro lato della stanza attorno al lungo tavolo sul quale sono posti gli strumenti per il vaticinio; le assi di legno sono sporche di sangue fresco che gocciola sul pavimento dalle intercapedini. Le teste degli aruspici sono chine sulle viscere degli animali e parlottano tra di loro. A breve avremo il responso divino.
Qua sotto, il vento che sta spazzando le fronde degli alberi è un timore lontano. Posso fingere che il nostro mondo non ci stia crollando davanti agli occhi e continuare a pregare. Muovo un passo in direzione di uno dei piccoli altari votivi, ornati di statuette scure delle divinità e di una, più alta e chiara, della Dea. Mia sorella mi trattiene afferrandomi il polso e mi trascina in un angolo appartato. Che vuole ora?
«Ascolta, Clizia.» I suoi occhi dardeggiano in entrambe le direzioni. «Io e te dobbiamo parlare, e forse questa tempesta è l’occasione migliore per farlo.»
Aggrotto la fronte, non mi piace questa sua improvvisa voglia di raccontarsi a me. La mano con cui mi stringe il braccio non è solo bagnata, ma è anche sudata.
Il rimbombo causato da un tamburo ci interrompe: disposto davanti al tavolo, il Concilio è pronto a pronunciarsi sulla tempesta. Le donne interrompono le loro attività, bambini e ragazzi si alzano in piedi. Cala il silenzio.
«I segni degli Dei hanno parlato e purtroppo la situazione è più grave del previsto.» Glauco si liscia la barba. «Pare che sia stata commessa un’empietà da parte di qualcuno che vive in questo villaggio. Un’empietà… carnale.»
Un mormorio sommesso si alza dai presenti.
Una delle donne ghigna. «E perché mai una sgualdrinella avrebbe a che fare con questa maledetta tempesta e la divinità maligna?»
«L’atto potrebbe essere stato compiuto proprio in prossimità di un luogo sacro al dio in questione, come una sorgente d’acqua, una cascata o un lago.» L’anziano abbassa mesto il capo. «L’offesa arrecatagli, commessa da un membro di questa comunità, ha indebolito la sacralità della nostra Dea e permesso alla divinità dell’acqua di acquisire maggior potere.»
Mi intrometto. «Dunque qual è la soluzione proposta dal Concilio? Dobbiamo fare sacrifici alla Dea per ridarle vigore?»
«L’ideale sarebbe sacrificare chi ha commesso l’empietà.» Ammette Glauco. «E se fosse uno degli uomini, potremmo soccombere alla furia della divinità.»
Uccidere una persona del villaggio o accettare la nostra stessa morte. Le unghie di Vania mi entrano nella carne. Per tutte le divinità, ma che le prende?
«Lasciami, mi fai male!» Sibilo nel divincolarmi dalla sua stretta.
Qualche persona si gira verso di noi e mia sorella, pallidissima, mi lascia il braccio, ma si nasconde dietro di me. Lo sguardo severo degli anziani ci trafigge.
«Voi due. Avete qualcosa a che fare con tutto questo?» Il volto glabro dell’aruspice Sileo è una maschera di gesso.
«No, no.» Scuoto con foga la testa, stendo un braccio per tenerla dietro di me e allontanarla da quelle occhiate. «Scusate, non so cosa sia preso a mia sorella.»
Vania fa un passo avanti e scansa la mia protezione, torcendosi le dita.
«Sì. Potrei essere la responsabile.» Le trema la voce. «Io… io ho giaciuto con il marito di Clizia, Bemus.»
Non mi guarda. Non osa nemmeno guardarmi, la maledetta. Al contrario, tutto il villaggio mi osserva: i loro occhi ricolmi di pietà mi graffiano la carne. Il ricordo del viso luminoso di Bemus è una lama che mi incide le orbite: non voglio credere a questa follia, né vedere tutti i frammenti di quotidianità in cui il sospetto si è annidato in me, quei lievi sorrisi che increspavano le loro bocche prima che lui partisse…
Ma devo aver capito male, per forza. Attorno a me, i presenti la guardano con le bocche distorte in smorfie di disprezzo; mi pulsano le tempie, le loro labbra si muovono in insulti che non comprendo.
Roteo su me stessa imprimendo tutta la mia forza nel palmo aperto: lo schiaffo centra la guancia morbida di Vania. Si tiene una mano sullo zigomo con la bocca semi aperta: il rossore del colpo svetta sul candore del viso, rossi anche gli occhi attorno al nero delle pupille.
Sputo ai suoi piedi l’odio che non posso esprimere a parole. «Sei una sorella di merda. Mi fai schifo.»
Mi fissano tutti, il peso del loro compatimento e dei giudizi mi si attacca sulla pelle. La stanza mi vortica attorno e mi copro la bocca reprimendo un conato, la mia stessa mano è un corpo estraneo che non riconosco. I membri del Concilio ci ignorano, parlano tra loro raccolti davanti ai vaticini.
«Io e Bemus volevamo parlartene, lo giuro.» Vania ha il respiro spezzato tra le lacrime. «Volevamo aspettare il suo ritorno dalla terra di caccia, ma poi… poi mi sono resa conto di una cosa.»
Fa scivolare un palmo sul ventre, accarezzandolo piano. Non l’ho mai vista piangere.
La voce bassa di Glauco riempie la stanza. «Tua sorella deve essere punita, Clizia. La decisione è stata presa: quel che ti viene concesso dagli oracoli è la scelta della sua punizione. Dal momento che sei stata disonorata e che la colpevole è sangue del tuo sangue, sta a te decidere la modalità.»
Le labbra bagnate di Vania mormorano un silenzioso “salvami”.
«Puoi sacrificarla, qui e ora, davanti alla Dea. Una morte rapida per ingraziare le divinità. Altrimenti,» alza due dita, «puoi scegliere di esiliarla al di fuori del territorio della nostra signora Terra, nelle regioni libere. Lì è probabile che la sua morte sia lenta e dolorosa, preda delle belve.»
Lei sgrana gli occhi. Deglutisco, la bile mi rotola in gola.
«Ma poiché non verrà versato del sangue, anche tuo marito dovrà essere allontanato.» Prosegue Glauco. «In entrambi i casi, non sappiano con certezza che reazione avranno le divinità e se la tempesta cesserà. L’importante è che la fonte del turbamento divino venga allontanato dalla terra sacra alla Dea, con una morte o l’esilio.»
Gli occhi liquidi di mia sorella non lasciano i miei. Una preghiera silenziosa.
«Clizia, ti prego… il bambino.» Sussurra con le mani giunte.
La ignoro. La faccia mi brucia, digrigno i denti.
«Mia sorella riceverà il marchio dell’empietà e rimarrà senza patria e aiuti esterni: quando torneranno gli uomini, impediremo a Bemus di varcare i confini. Che siano i territori liberi e gli Dei a decidere il loro destino.»
Ricaccio indietro i singhiozzi che stanno per dilaniarmi l’anima e rimetto alla Dea la mia decisione.
«Lode alla Dea.» Intona il Concilio.



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Re: Capitolo 2. La verità degli Dei

Messaggio#2 » venerdì 7 agosto 2020, 0:41

Molto bene, caratteri ok, pronta per il giudizio!

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Re: Capitolo 2. La verità degli Dei

Messaggio#3 » giovedì 13 agosto 2020, 14:28

Non male lo sviluppo. La tempesta imperversa a tutti i livelli e sei brava a mostrarcela sia da un punto di vista visivo che da quello delle emozioni. E le due protagoniste, qui finalmente ben evidenziate, dividono le loro strade. In più, il tutto è perfettamente funzionale alla traccia. Vediamo come proseguirà, ma in questa fase mi sento di alzare la valutazione a pollice su anche se in classifica ti posiziono ancora dietro a Borchi il cui racconto, al momento, mantiene ancora una maggiore ricchiezza e completezza.

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Re: Capitolo 2. La verità degli Dei

Messaggio#4 » giovedì 13 agosto 2020, 18:26

Grazie per il commento, Antico! Sono contenta che questa seconda parte ti abbia convinto di più, ma effettivamente come avevi detto per il primo pezzo sottotono era mia intenzione salire man mano di intensità :)
Per fortuna le tracce non hanno distrutto quel che avevo in testa!

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