Com'è difficile essere me!

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Eugene Fitzherbert
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Com'è difficile essere me!

Messaggio#1 » giovedì 6 agosto 2020, 19:08

Com'è difficile essere me!
di Eugene Fitzherbert


Mentre Diego era in Medicheria, Sara vide Luna che allungava la mano nuda verso la testa dell’ustionato «Ah-ah!» la redarguì. «Mai senza guanti!» E la tirocinante ritrasse la mano, regalandole l’ennesimo sguardo sorpreso.
Dato che non sapeva come comportarsi con lei, Sara la ignorò e passò in rassegna i farmaci preparati da Anna.
Le sirene annunciarono l’arrivo dell’ambulanza.
«Forse ce n’è più di una.» Disse Anna.
Sara prestò orecchio. «Sembra così. Chissà che è successo, forse un aereo è caduto su un treno…»
Sara superò la porta d’ingresso dell’ambulatorio e percorse un corridoio che la portò oltre una porta scorrevole e sulla rampa di ingresso per le ambulanze. Il basculante si stava alzando lentamente, mostrando i veicoli che arrivavano, con la tipica cacofonia psichedelica
«Sono troppo veloci.» Commentò Anna al suo fianco.
«Già.» Sul viale battuto dalla pioggia aleggiava una strana foschia, come vapore.
L’ambulanza era a una decina di metri dall'ingresso. «Oh! Non rallentano!» La voce di Anna era salita di tono per la paura.
In quell'istante, un tuono potentissimo esplose sulla strada, sotto l’ambulanza. Sara basita vide l’asfalto del viale gonfiarsi come una pustola ed esplodere in una fiammata. L’ambulanza si sollevò, camminando in equilibrio sulle ruote anteriori, seguita da una scia di fuoco attecchito sul paraurti posteriore.
«Che cazzo sta succedendo?» Urlò l’anestesista terrorizzata. «Fermatevi, cazzo! Fermatevi!»
Vide l’espressione inorridita del conducente aggrappato allo sterzo, quando il veicolo fuori controllo urtò con il tetto sulla trave del basculante.
«Dottore’, stai attenta!» Anna la prese per una manica e la tirò dentro il corridoio.
Il conducente fu scaraventato fuori dall'abitacolo attraverso il parabrezza e si schiantò sulla porta scorrevole che non fece in tempo ad aprirsi del tutto: fu tranciato in due dallo stipite di metallo, dalla spalla fino al fianco, e rimase in equilibrio come una bandiera sanguinante, prima di scivolare lentamente a terra.
«Chiudete il pronto soc-» urlò Sara, ma la seconda ambulanza piombò con tutto i suoi trentacinque quintali sui rottami della prima, sprizzando fuoco e schiacciando del tutto il corpo straziato del conducente.
Sotto l'onda d'urto, il controsoffitto si accartocciò sulla sua struttura metallica, come se stesse prendendo un respiro e poi esplose in un clangore metallico di polvere e frammenti, scoprendo le tubature sottostanti come tendini e vene artificiali. Uno dei tabelloni di lana di vetro colpì Sara in testa, mozzandogli il respiro e la frase. Incurante del sapore di sangue, Sarà si affrettò verso l’ambulatorio. Si gettò uno sguardo terrorizzato alle spalle, e vide il volto insanguinato di un centodiciottista attraverso il finestrino. Poi alle spalle dell’uomo comparve un ustionato dagli occhi bianchi che lo afferrò per il collo. Fu una frazione di secondi, ma Sara fu sicura di aver visto gli occhi dell’Operatore prendere fuoco, prima di esplodere.

«Che cosa sta succedendo?» Chiese Diego che emergeva in quel momento dalla medicheria, il telefono in mano. Intorno a lui, l’ambulatorio era per metà crollato su se stesso.
Sara gli andò subito incontro. «Che casino!» Ansimava, gli occhi spiritati e spaventati. «Le ambulanze si sono schiantate. E fuori l’asfalto sta esplodendo! Dove cazzo siamo finiti?» Si tenne a distanza di un braccio da lui, negando al suo corpo un contatto che esigeva.
«Sara, calmati. Ricordati che sei un'anestesista dal cuore di ghiaccio…» Le tese la mano.
Lei sospirò. «Hai ragione.» Ma è così difficile essere me! Pensò, voltandogli le spalle. «Là fuori è un incubo. Il centodiciottista dell’ambulanza è stato aggredito da un ustionato.» Si girò nuovamente verso Diego, fermo a un passo da lei, il braccio leggermente alzato. «I suoi occhi hanno preso fuoco, Diego. Fuoco! Che cazzo significa tutto questo?»
«Non lo so, Sara, non ne ho idea.»
Lei stava per avvicinarsi, il momento le sembrava adeguato, ma Anna gridò: «Ehi, tu, lasciami! Aiuto!»
L’infermiera era vicina alla barella dell’ustionato e cercava di divincolarsi agitando il braccio stretto nella mano del paziente. Dalla parte opposta, Luna teneva una mano nuda sul torace dell’ustionato.
Sara, immobile nel tentativo di interpretare la scena, vide Diego scattare verso la ragazza: «Lascialo! Non sei una tirocinante!»
Allora Sara vide le carni abbrustolite dell’ustionato illuminarsi di arancione. Il fumo e l’odore di bruciato inondarono l’aria, tra le urla dell’infermiera.
A quel punto, Diego con un calcio spinse la barella. Quella, bloccata dai freni, si inclinò da un lato; Anna strattonò ancora il braccio, e la barella rimbalzò e le rovinò addosso, portandosi dietro il paziente e Luna.
Sara si riprese dallo stupore e si diresse verso Anna, incastrata sotto la barella.
Il paziente piombò a terra con un inequivocabile crack liquido e si rivoltò supino, mostrando l’arto destro spezzato di netto poco sopra il polso, il moncone dell’osso che sporgeva dalla carne lacerata. Con una violenza inaudita, l’ustionato affondò l’osso affilato nella gamba di Anna. Urlando e ringhiando, l’infermiera cercava di divincolarsi.
Sara la raggiunse e la tirò per le ascelle lontano dal quel delirio: una striscia di sangue denso correva dietro la gamba ferita. Niente di buono!
Diego, in preda alla furia, mollò due calci all'ustionato, polverizzando tutta la deontologia medica, e rivolto a Sara, disse: «Dobbiamo andare via di qui!»
Sara non rispose neanche, perché era evidente che non era una nottata come tutte le altre. «Anna, ce la fai a metterti in piedi?»
L’infermiera gridò di dolore e strinse gli occhi, ma si alzò. Diego la sorresse e cominciò a dirigersi verso l’uscita del PS.
«Non da quella parte, Diego. La passerella è occupata dalle ambulanze e probabilmente è in fiamme. Passiamo dalla medicheria e raggiungiamo l’uscita principale.»
Sara mosse un passo portandosi dietro Anna che sanguinava copiosamente. Allarmata, sgambettò veloce verso la medicheria e subito adagiò l’infermiera a terra. «O hai il peggior ciclo della tua vita, o quello stronzo ti ha veramente conciato per le feste.»
Diego si avvicinò, dopo aver chiuso la porta, mentre lei scopriva i lembi della divisa: uno squarcio frastagliato di quindici centimetri correva nella parte interna della gamba.
In mezzo al sangue, Sara vide i muscoli lacerati guizzare senza appigli. «La prossima volta che ti depili, cerca di usare un rasoio più preciso. Dobbiamo mettere qualche punto…»
Anna sorrise: la ferita era pessima, e qualche punto era un eufemismo. Ma c’era un problema: «Sara, il carrello delle medicazioni è andato a farsi benedire quando l’ambulanza si è schiantata. E poi nell'ambulatorio c’è quella specie di mostro e…» Si fermò un momento, poi sgranò gli occhi. «Luna!»
«A proposito di Luna,» si intromise Diego. «Il direttore Sanitario mi ha detto che non ha autorizzato nessun tirocinante qui…»
«E allora chi è Luna? Che ci fa qui?» Chiese Anna.
«Non lo so. E comunque mi pareva strana. Avete visto prima? Ha toccato l’ustionato e quello ha brillato! Che razza di storia è questa?»
Sara seguiva lo scambio di battute interessanti, ma li interruppe: «Basta chiacchiere, Diego. Bisogna recuperare spongostan e punti dalla sala operatoria. Ci vado io, tu resta qui con lei: sai cosa fare.»
Diego annuì.
«Non ti lasceremo qui, Anna. Cosa mai potrebbero fare due medici da soli senza un’infermiera.» Disse Sara sorridendo.
«Ma come fai? Come fai a essere così?» Le chiese Diego, mentre lei si alzava per andarsene.
«Non è facile essere me, Diego.»
E li lasciò.

La sala operatoria si trovava due piani più su. Sara percorse i corridoi bui guardandosi le spalle, in attesa di vedere quel maledetto ustionato, o Luna. Quella ragazza le era sembrata inquietante all'inizio, ma dopo aver visto quello che aveva fatto, ne era spaventata. Se non sei una tirocinante, chi sei, Luna?
Ma erano tutte le assurdità della serata a disorientarla: i tuoni che esplodevano rossi nel terreno, per esempio, la scena assurda del centodiciottista che prendeva fuoco dopo il tocco dell’ustionato, l’attacco ad Anna…
L’ospedale era pieno di mostri! E non sono gli ortopedici!, aggiunse sghignazzando.
«Dannazione!» Si disse. «Smettila di fare così solo perché hai paura!» Ma in quel momento era terrorizzata, così come lo era stata prima, fin da quando era arrivato l’ustionato… e alcuni mesi prima, quando le cose con Diego stavano cominciando ad andare bene…
Fanculo! Diego è un capitolo chiuso. E poi quando mai un’anestesista può stare con un medico di PS?
Sospirò di fronte alle porte della Sala operatoria e le aprì con una spinta. Dalla sala della chirurgia generale intascò due Stapler, la spillatrice per umani, come la chiamava lei, e due buste di Spongostan, spugnette di gelatina emostatiche, e si rimise in marcia.
Non c’era molto tempo: Anna sanguinava come un maiale sgozzato, e Diego anche se era bravo non poteva resistere a lungo. Si ricordò quanto si divertivano a inventarsi Caos Clinici, scenari assurdi su cui discutevano per ore… …Fin quando lei non diceva qualcosa di sbagliato, e mandava in vacca tutto.
Al piano terra, due mani le si avvolsero intorno alla bocca e la tirarono in un androne buio.
«Sta’ ferma», le sussurrò una voce all'orecchio.
Lei annuì, e attese che l’uomo la lasciasse. «Rino, mi hai fatto prendere uno spavento della Madonna!» Sara si mise una mano sul torace. «Porca troia. Ma dove cazzo sei stato?»
«A pregare.» Le rispose l’infermiere, candidamente. «E ti hanno mai detto che dici troppe parolacce?»
Sara preferì ignorarlo. «Rino, dobbiamo tornare in PS. C’è un casino che non ti puoi immaginare: Anna è stata ferita.»
«Là fuori è un inferno. Per strada, nel parcheggio, la terra si sta aprendo e sta vomitando fuoco e fiamme. E con il fuoco vengono gli Empi e i Maledetti si risvegliano.»
Sara lo guardava esterrefatta. «Ma che cazzo dici? Vuoi dire che quando vai a pregare, vai veramente a pregare?»
Lui si bloccò. «Certo. Sono un Miliziano del Secondo Regno e sono stato chiamato per affrontare questi prodigi.»
Sara non sapeva se mettersi a ridere o esserne impietosita: l’infermiere aveva subito un brutto colpo e stava delirando a ruota libera.
«So che fai fatica a crederci, ma devi avere fede. Fuori c’è l’inferno e io sono qui per combattere e aiutarvi a uscire.»
«Sì, va bene, Rino, però la cosa più importante adesso è andare da Anna e salvarle il culo.»
«Certo. Poi ce ne andiamo.» Si girò e da un angolo buio prese una mazza da baseball con un chiodo quadrato che sporgeva all'estremità. «Ti difendo con la mia mazza.»
Sara non ce la fece più. Scoppiò a ridere.
«Il chiodo è una reliquia: viene dalla Croce.» Stava spiegando risentito Rino.
«Sì, sì, ci credo, ok. Ora ti prego non nominare più la tua mazza.» E questo le fece esplodere un’altra salva di risa isteriche. Con la coda del cervello si rendeva conto che la sua ilarità fuori luogo era solo una difesa, l’ennesima, allo stress e al panico che la attanagliava. Decise di darci un taglio. «Andiamo!» Ordinò a Rino e si avviò.
Alle sue spalle, l’infermiere disse: «Dobbiamo stare attenti agli Empi che bruciano, ma soprattutto alla ragazza. Luna.»
Sara rabbrividì a quelle parole.

Nei pressi della medicheria, Sara accelerò il passo: c’era qualcosa di sbagliato.
Rino, dietro di lei, si trascinava quell'obbrobrio di mazza da baseball modificata sulle spalle (Perché così si porta questo oggetto fatto di legno e ferro, come Cristo ha portato la sua croce), e continuava a mormorare litanie senza senso, in latino, in dialetto, in qualche lingua inventata.
Era a un paio di metri dalla medicheria quando Sara si sentì invadere dal terrore.
Quelli che sembravano dei tenui bagliori sullo stipite della porta, o degli effetti delle luci di emergenza sui muri erano delle bruciature roventi, lasciate da qualcuno camminava con il moncone di un osso incandescente che gli spuntava dal braccio.
«Oh no!» Mormorò. S’affrettò ancora di più e per poco non scivolò, quando le sue Crocs sciaguattarono in una pozza di sangue che si stava allargando da sotto la porta. «Oh no!» E irruppe nella medicheria.
Anna era sparsa per tutta la stanza, una composizione dilaniata di sangue e pezzi di corpo attaccati al muro, che scivolavano verso il pavimento.
Oltre a quello spettacolo raccapricciante, non c’era nessun altro: la medicheria era vuota.
Dal fondo della stanza la pioggia entrava scrosciando da una finestra rotta, lavando via le tracce di sangue. «Diego…», sussurrò Sara. Il cuore le marciava nel petto, il respiro affannoso. Non si accorse di quando l’acqua le bagnò il viso e non fece caso al vetro frastagliato che le aprì piccoli tagli nelle dita, quando si affacciò: la terra esplodeva in crateri roventi che spumeggiavano di vapore, raffreddati dalla pioggia. E da lì, emergevano figure rosse come tizzoni, alte come uomini.
«Gli Empi.» Disse Rino alle sue spalle. «Sono arrivati.»
Sara vide, in lontananza, una ragazza e un uomo. «Diego? Perché?»



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Re: Com'è difficile essere me!

Messaggio#2 » venerdì 7 agosto 2020, 0:37

Molto bene, caratteri ok, pronto per il giudizio!

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Re: Com'è difficile essere me!

Messaggio#3 » giovedì 13 agosto 2020, 10:17

Premettendo che il livello rimane più che buono, c'è qualcosa che non mi convince in questa seconda parte e, di conseguenza, in tutto il racconto: a volte vuole essere brillante, poi scade nel drammatico, nell'horror splatter, in generi differenti che mi sembrano ancora da amalgamare al meglio. Rino, così ben seminato nel corso della prima parte, non lo nomini fino a quando non riappare con le sue rivelazioni che, più che altro, lo fanno sembrare una figura demenziale. Permane il mistero sulla figura di Luna, ma non mi sembra che tu sia riuscito a mantenerla centrale il giusto. Infine, alcuni punti mi convincono poco (come quando Sara ripete "non è facile essere me"). Molto buone alcune scene, su tutte lo schianto delle ambulanze, davvero ben reso. La tempesta è arrivata, ECCOME. I protagonisti si separano, molo bene. Il cliffhenger è buono. La valutazione scende a un pollice alto ancora convinto, ma sarà fondamentale la chiusa. In classifica, vai a pari con i testi di Puca e Polly.

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