Flare - II°

Dario17
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Flare - II°

Messaggio#1 » giovedì 6 agosto 2020, 21:14

Monica, ancora in balia della lotta tra il sonno e la veglia, allungò la mano alla ricerca di Fabio.
Tastò il vuoto.
La donna scattò come una molla.
«Sono qua.» disse lui.
Il magazzino senza finestre era illuminato da una pozza di luce stagnante e rettangolare generata dalla porta d’ingresso spalancata. Suo marito era seduto su di una cassa di lattine verdi incellofanate, in mano una bottiglia d’acqua piena per metà. L’uomo era in penombra, come un boss di vecchi film noir intento ad impartire ordini agli scagnozzi senza mostrare il volto alla telecamera.
«Non hai dormito?» gli chiese.
«Al contrario, ho dormito alla grande. Mi sono svegliato solamente poco fa.»
«Non sei uscito fuori, vero?»
«No.»
«Che ore sono?»
«Sono passate da poco le sette, ma mi fido poco di quel vecchio orologio a muro sopra la porta del bagno, pare abbia sessant’anni. Però sarà il nostro unico intermediario con il dio del Tempo fin quando saremo qui.»
«Non parlare come scrivi racconti, scemotto.» bofonchiò lei, la bocca impastata dal sonno.
Informazioni e ricordi ripresero a fluire nella testa di lei man mano che l'oblio del sonno le scivolava via.
Lo Spegnimento, certo.
Cellulari, televisori, radio…tutti ridotti al silenzio fino a quando il brillamento solare non fosse passato.
«Mangia.»
Fabio le lanciò una busta rettangolare e Monica l’afferrò al volo. Quando strinse la presa sentì frusciare un involucro di plastica.
Un gelato con biscotto: un attentato al suo rigido sistema d’alimentazione.
«Scherzi, vero?»
«Per domani tutto il contenuto del freezer sarà andato a male. Approfittiamone, no? E poi sono certo che il furgoncino con il tuo solito cornetto integrale al miele farà ritardo stamattina.»
La dottoressa aprì la confezione con la premura di chi smista scorie radioattive ed azzardò un morso.
Delizioso, come il peccato.
«Faccio un giro dei dintorni, tu resta qui dentro.» disse Monica, liberandosi della carta straccia del gelato come fosse un’arma del delitto «Non appena il sole sarà un po’ più alto e smetterà di battere nella sala principale, potrai uscire.»
«Certo, capo.» Fabio fece il saluto militare.
Si era limitato ad un solo pizzico di sarcasmo, pensò Monica: l’ironia e la pazienza erano amiche intime di suo marito fin da quando lo aveva conosciuto, tanto da diventarne persino gelosa.
«Se vuoi sgranchirti le gambe fa pure, tesoro. Ma ti ricordo che non siamo in una zona di guerra, non è necessario perlustrare i confini.» disse Fabio.
«Magari passa qualcuno.» Monica alzò le braccia.
«In una stazione di rifornimento persa tra le colline? Sarebbe un bel colpo di fortuna. Io però la mia scorta di buona sorte me la sono giocata tutta quando ti ho sposata, sono a secco da quasi un decennio…»
Lei afferrò un portatovagliolo dimenticato nel magazzino e glielo tirò ai piedi: un colpo di avvertimento.
Quando l'amica “Ironia” faceva la lasciva e allungava un po’ troppo le mani su suo marito, bisognava intimarla di non alzare troppo la cresta.
Monica aprì il suo zaino, tirò fuori la giacca a vento e se la infilò.
Uscì dal magazzino e dal bar senza salutarlo, non tanto perché era indispettita ma per non dare a Fabio ulteriori appigli per altre battutacce: un cucchiaino di acidità per suo marito, dopo colazione.


Il cielo turchino di metà mattinata era molto affollato.
Sottili nuvolette biancastre giocavano sparse per la volta celeste, come scolarette intente a scambiarsi segreti.
Il Sole fece capolino tra di esse, ancora dedito a fare gli straordinari.
Gli scienziati avevano intimato la popolazione a tenere conto dei soliti metodi precauzionali contro l’esposizione solare.
Non vi sarebbe stato il rischio di morire sciolti per le strade dalla tempesta solare ma sarebbe stata cosa buona e giusta proteggersi con il solito kit di indumenti, occhiali da sole e creme solari.
Monica tirò la zip della sua giacca a vento fin sotto il mento ed indossò il cappuccio.
L’autunno era piuttosto mite e dopo aver percorso la strada in pendenza si sentì piuttosto accaldata.
Raggiunta la rotonda stradale, la dottoressa si guardò intorno.
Il silenzio assordante dell’Apocalisse regnava sovrano.
“L’essere umano è ben lungi dall’essere perfetto” pensò la dottoressa “ma se questa tempesta sarà l’inizio della fine, avremmo meritato una colonna sonora migliore”.
Una voce nell’aria.
«…ssuno…iuto…»
Monica si voltò.
A volte il vento sa essere ingannevole ed il cervello tira scherzi poco simpatici, elucubrò.
«…cerco…socco…»
Ancora una volta, la stessa percezione di una voce. La donna ripassò mentalmente tutte le varie conseguenze possibili per la troppa esposizione al Flare ma non ricordò nulla che potesse essere collegato ad allusioni uditive.
Parecchio stress poteva sollecitare disturbi come acufene o fischi nelle orecchie e lei ne aveva accumulato una bella scorta negli ultimi tempi, ma le sembrava comunque di sentire mozziconi di parole sensate…
«Lei!»
Dalla strada opposta a quella per la stazione di servizio, ad una trentina di metri, due figure in bicicletta si diedero slancio e con una serie di fitte pedalate si avvicinarono di gran carriera.
Quando furono più vicini, Monica notò polpacci sottili e lisci, volti ricoperti da una peluria insignificante e fronti imperlate di sudore e foderate di foruncoli.
Due adolescenti o poco più.
Inchiodarono le biciclette a pochi passi da lei.
«Signora, abbiamo bisogno d’aiuto! Venga, presto, venga con noi! Nostra madre, nostra madre…!»
cominciò a dire il primo, in preda ad un incredibile farfugliamento.
«Calmati, io…» Monica abbozzò un tentativo di farlo rallentare per capire meglio.
«Sta zitto! Così non le fai capire un accidente!» il secondo ragazzo, dalla voce più matura e di una spanna più altro del primo, sentenziò il suo status di fratello maggiore con quelle poche parole, poi riprese.
«Signora, siamo fermi da ieri sera nel nostro camper guasto in un parcheggio a qualche chilometro da qui, lungo questa strada.»
Indicò il sentiero contrario a quello del rifornimento «Nostra madre da stamattina è in preda a deliri e convulsioni: abbiamo con noi le medicine ma non riusciamo a somministrargliele, sta molto più male rispetto ai soliti attacchi. Abbiamo bisogno di un adulto…»
“Bisogno di un medico” corresse mentalmente la dottoressa Hao.
Monica si sentì squarciare in due parti uguali: un lembo di sé stessa tentò di rimanere il più vicino possibile alla stazione di servizio dove suo marito era bloccato, l’altro scalpitò per farsi dire l’esatta posizione del camper e correre in soccorso di quella donna.
“Ma poi sarà vero?”
Monica sentì l’istinto femminile trattenerle le gambe.
E se fosse stato tutto un trucco per aggredirla? Erano due sbarbatelli quelli di fronte a lei ma abbastanza in forze da farle passare un brutto quarto d'ora se si fossero rivelati violenti dopo qualche metro.
Nessuno nei dintorni, nessuno da cui farsi aiutare...
…perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica…
Il Giuramento.
La forza dell’abitudine le fece infilare una mano nella tasca dei jeans alla ricerca dello smartphone.
Inutile. Reti telefoniche spente.
Farsi dare una bicicletta e raggiungere suo marito per avvertirlo e farsi accompagnare? Manco a parlarne, non avrebbe messo in pericolo la sua vita dopo tutte le vicissitudini passate e poi non era proprio il giro dell'orto, rischiava di perdere tempo prezioso.
…giuro di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà…
Guardò negli occhi i due ragazzi e si chiese se quello che stava leggendo fosse panico e smarrimento oppure un talento per la recitazione e l’inganno. All’ospedale ne aveva sentite di ogni e, sebbene non fosse il suo campo, aveva spesso toccato con mano le conseguenze di una violenza gratuita ed efferata.
«Signora!»
Il fratello maggiore la riscosse dal suo fiume di pensieri. Per due ragazzini che temono per la vita della propria madre, i secondi possono sembrare secoli?
«Si si, io…»
…perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori…
«Io sono un medico. Portatemi da vostra madre il più in fretta possibile e fate qualsiasi cosa io vi dica, chiaro?»
La vicedirettrice Monica Hao si era rimessa il camice ed aveva sbattuto i pugni sulla sua scrivania, sebbene fosse lontana un centinaio di chilometri.
Una presa di posizione netta, per dare e darsi coraggio.

[…]

Fabio Hao era seduto sul bancone.
Era sgattaiolato via dal magazzino non appena la salvifica rotazione della Terra aveva spostato il fascio di luce dall’interno all’ingresso del bar. Non appena fu fuori da quella improvvisata camera da letto, si era fatto avvolgere da una risacca fatta di ricordi d’infanzia, infiniti pomeriggi passati nel bar gestito dai suoi genitori.
Rilesse per l'ennesima volta il cartello VIETATO FUMARE.
Col senno di poi, aveva sempre ringraziato di essere nato dopo la legge antifumo nei locali e di non essere stato costretto ad aspirare le tonnellate di fumo passivo a cui erano stati costretti i suoi predecessori, figli di baristi dei decenni precedenti.
«Trentasei…trentasette…trentotto…»
Finì di contare le bottiglie del secondo ripiano poi in un colpo vi sommò quelle del terzo, molto meno affollato di aromi e liquori.
«Cinquantuno bottiglie.» disse a bassa voce.
Le bottiglie gli piacevano fin da bambino: etichette colorate e con forme tutte diverse, un mosaico sempre a portata del suo sguardo quando alzava lo sguardo dai suoi compiti di scuola.
Poi ci fu Marina e le bottiglie cominciarono a piacergli per tutt’altro motivo.
Quando aveva dodici anni, mentre si riempiva un bicchiere d’acqua, la ventenne barista neoassunta dai suoi era stata costretta da una odiosa richiesta di un cliente a salire su di uno sgabello per prendere una bottiglia di amaro sullo scaffale più in alto.
Fabio aveva alzato lo sguardo e la minigonna in denim di Marina non aveva fatto mistero di nulla.
Aveva guardato fino a che poté e gli era venuta una bellissima nausea allo stomaco. Era tornato a sedere al suo tavolo ed aveva chinato la testa sul suo quaderno.
La linea della colonna per le divisioni a due cifre gli si sovrappose per tutto il resto della sera a quella sottile striscia di cotone rosa, schiacciata dalle rotondità intime e misteriose di Marina.
Aveva finito i suoi compiti nonostante la fastidiosa ma soave caricatura di una erezione tra le gambe.

Il Fabio adulto scese dal bancone e guardò fuori.
Sembrava a tutti gli effetti una mattina come tante altre ed invece fuori infuriava la tempesta.
Una bufera invisibile per la quale, lui novello Edmond Dantès Conte di Montecristo, era stato segregato perché colpevole di avere nel petto un bypass di ultimissima generazione.
A lui piacevano i temporali e tutti i suoi banali cliché.
Tuoni di sottofondo.
Secchiate di pioggia contro i vetri.
Sirene in lontananza, dirette verso chissà quale incidente stradale o albero caduto.
I temporali normali erano onesti: fanno quello che fanno sempre e ti intimano a stargli lontano.
Un Flare questo non lo fa. Anzi, ti tenta con la sua invisibilità per farti avvicinare.
“Và che bel sole che c’è, esci fuori a goderti un’ondata elettromagnetica, o piccolo ometto con circuiti elettrici aggrovigliati alle arterie…”
«Ma vaffanculo, stella bastarda.» disse Fabio Hao rivolgendosi al cielo in lontananza «Sono uno scrittore, posso rimanere segregato per mesi tra quattro mura senza sentire lontanamente la tua mancanza.»
Il telefono del bar squillò.



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Re: Flare - II°

Messaggio#2 » venerdì 7 agosto 2020, 0:40

Molto bene, caratteri ok, pronto per il giudizio!

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Re: Flare - II°

Messaggio#3 » giovedì 13 agosto 2020, 13:58

Vedo un problema potenziale per la terza parte: questo testo vive di una quiete attesa e in questa seconda parte non si raggiunge nessun climax. In fase conclusiva potrebbero sorgere problemi di equilibrio interni, ma è una questione che valuterò più avanti perché dovendo valutare fino a qui: mi piace. La tempesta è in atto e i due protagonisti si dividono, quindi tutto ok. Continuo a trovare particolarmente azzeccata l'idea di base e penso tu abbia per le mani uno spunto davvero pregevole. Basandomi sul risultato fino a questo punto (e anticipandoti che la chiusa potrà essere assolutamente decisiva oltre che complessa perché potrebbe dimostrare un difficile equilibrio interno) alzo la mia valutazione a un pollice quasi su.

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