Noi non salviamo vite, le allunghiamo

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Eugene Fitzherbert
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Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#1 » martedì 11 agosto 2020, 9:54

Non salviamo vite, le allunghiamo
Di Eugene Fitzherbert

La porta si chiuse alle spalle di Sara.
Diego premeva le garze sulla ferita di Anna. «Un paio di punti e te la cavi.»
«Dotto’, ho bisogno di una trasfusione.» Sospirò. «Sono nella merda.»
«Te la caverai, ti aiutiamo noi.»
«Sai quante volte ho sentito quella frase?» Sorrise amara, il volto pallido, le occhiaie scure.
Diego distolse lo sguardo. Quante volte l’aveva pronunciata lui, quella frase? Quella menzogna?
Si voltarono verso la porta da dove giungeva un raspare secco. La porta si spalancò e comparve l’ustionato, accompagnato dal suo odore marcescente di bruciato.
Anna gemette.
Diego strinse i denti.
Il mostro mosse un passo verso di loro e sollevò il moncone del braccio con l’osso affilato, mentre avanzava lento.
«Che facciamo?»
«Diego, io sono fottuta. Lasciami qui e cerca di scappare.»
«Non ti lascio qui.»
Il mostro era pochi passi da loro.
«Fanculo!» Diego si staccò dalla gamba di Anna, fece per alzarsi e l’infermiera ne approfittò per spingerlo via.
Diego perse l’equilibrio e rotolò a terra. «Anna, che cosa…»
Anna cercava disperatamente di allontanarsi dal mostro, spingendo sui talloni che continuavano a scivolare nel sangue.
L’ustionato affondò senza pietà il moncone di osso nel torace dell’infermiera e la sollevò. Anna gemette.
«Lasciala, figlio di puttana!» Urlò Diego mentre si rialzava.
Il fumo cominciò a sollevarsi dal torace ferito di Anna, e lei spalancò la bocca in un urlo muto. Piccole fiamme le scaturirono dal fondo della gola, i capelli si accartocciarono, gli occhi si illuminarono da dentro ed esplosero con un pop catarroso. Il resto del corpo cominciò a infiammarsi dall’interno, e poi esplose.
Diego si coprì la faccia con il braccio e si girò dall’altra parte per ripararsi dai pezzi di Anna che volarono per tutta la stanza in uno shrapnel sanguinolento.
Il medico si voltò pronto a scagliarsi contro il mostro, invece, avvertì una sensazione bruciante all’addome e quando i suoi piedi persero contatto con il pavimento, si rese conto che lo spuntone di osso gli aveva scavato le carni. Poteva già sentire il fuoco ardere nelle profondità del suo corpo. Chiuse gli occhi e salutò mentalmente Sara per l’ultima volta. «Addio», mormorò e attese la morte.
Il calore cominciò a recedere, e con un tonfo si ritrovò a terra a fissare l’ustionato che si illuminava, fumava e si inarcava come in preda a un atroce dolore.
«Ma cos…»
Il mostro divenne grigiastro come un tizzone morente, e si ridusse in cenere. Alle sue spalle, piccola e con l’espressione sorpresa, c’era Luna.
Diego cercò di articolare una parola, ma le sue viscere stracciate lo fecero contorcere in uno spasmo. Tossì e sputò sangue. Si strinse in posizione fetale, e quasi non sentì le mani di Luna che lo mettevano supino. Lui gemette, stremato.
Luna gli sussurrò: «Niente per niente.» Gli mise la mano sulla pancia insanguinata, e lui si inarcò in preda alle vertigini. Davanti agli occhi, sfarfallarono sequenze accelerate, fotogrammi del passato, del presente e del prossimo futuro. «Ho bisogno di te.»
Lui spalancò gli occhi, il volto stravolto. «Per questo mi hai salvato?»
«Sì.»
In quel momento un boato fece tremare le finestre nella stanza e un altro le ridusse in frantumi.
Diego si alzò cautamente, anche se ormai la pancia era guarita, non aveva tracce di ferite.
Seguì Luna fuori dalla finestra, nella pioggia e tra le esplosioni.

Sara e Rino si muovevano sotto la pioggia, circondati dal rumore assordante del terreno che si gonfiava e scoppiava. Sara teneva gli occhi fissi su Diego e la tirocinante, a qualche centinaio di metri di distanza: si dirigevano verso uno dei crateri più grandi, ai margini del parcheggio dell’ospedale.
«Dai buchi emergono gli Empi, essi cammineranno nel mondo e semineranno morte e distruzione» stava dicendo Rino. «Accanto a loro ci saranno i Maledetti, gli Adoratori che li accompagneranno e si sporcheranno di sangue. E infine il mondo brucerà!»
«Falla finita. Portiamo via Diego.»
«Luna è pericolosa. È a lei che dobbiamo puntare.»
Quella frase la lasciava perplessa. C’era un passaggio che non la convinceva, come se le stesse sfuggendo qualcosa. Il delirio religioso dell’infermiere si stava trasformando in qualcosa di troppo concreto: era preoccupante.
«Luna, Luna, Luna…» continuava a ripetere Rino con la sua mazza in spalla.
A pochi metri dai due, Sara chiese. «Rino, ma tu come fai a sapere che si chiama Luna? Non sei rimasto a pregare dall’inizio del turno?»
«Sara, io conosco il mio Nemico.»

Poco dopo le venti, in PS c’erano un paio di pazienti in attesa di dimissione. De Santis si lamentava al computer, e Anna stava armeggiando tra farmaci e siringhe.
«Beh, allora io vado a pregare.» Annunciò Rino.
«Sì sì…» rispose laconica Anna. «Ci vediamo al cambio.»
Il medico non alzò neanche lo sguardo.
Rino non se ne fece un problema. Uscì dall'ambulatorio, e si diresse verso le scale antincendio, e da lì, un piano sotto, si fermò in un corridoio buio e maleodorante, di fronte a due armadietti di metallo, insignificanti. Tirò fuori una chiave.
«Pregare è importante.» Disse spalancando le porte. «Ma ancora più importante è
chi si prega.»
L’interno dell’armadietto era un altare decorato con spruzzi di vernice rossa che colavano lungo le pareti. Rino accese due ceri illuminando un pentacolo rovesciato. La luce tremolante delle fiammelle rimbalzava sulle effigi di demoni dalla pelle di scaglie e le corna di capra.
Rino si inginocchiò sul cemento, chiuse gli occhi e attese.

«È la notte. Gli Empi stanno arrivando.» La voce gli esplose nella testa come le grida di mille donne incatenate. «Arriverà anche il Nemico. Il suo Sangue è il male. Tu sei il mio Maledetto: sai cosa devi fare.»
«Sì.»
«Il suo nome è Luna.»
«La ucciderò.» Rino allungò un braccio e afferrò la mazza da baseball chiodata. «La reliquia che ha ucciso Cristo sulla croce, tornerà a uccidere ancora.»
Una risata si levò dal fondo dell’armadietto, stridula come catene arrugginite.
«Ora attendi ancora qualche ora quaggiù. Saprai quando sarà il momento di agire.»

Diego e Luna erano a pochi metri da un enorme cratere spalancatosi sull'asfalto del parcheggio, tra automobili rovesciate dall'esplosione, i finestrini distrutti e le gomme sciolte.
Rino partì all'attacco con la sua arma alzata sulla testa. Le sue urla fecero voltare la tirocinante. Anche Diego si guardò indietro, e Sara vide con spavento che la sua divisa era stracciata e coperta di sangue. Era ferito?
«Muori!» Rino in poche lunghe falcate fu addosso a Luna e calò la mazza chiodata sulla ragazza.
Il chiodo affondò nella parte destra del cranio e il resto della calotta si infossò sotto la violenza del colpo. L’occhio di Luna si accartocciò, donandole per un momento un’espressione sorniona. Subito dopo, le ossa fratturate tranciarono il globo oculare in una poltiglia giallastra.
Sotto lo sguardo esterrefatto di Sara, Rino scalzò la mazza dalla testa di Luna in un fiotto di sangue denso e prima ancora che la vittima potesse cadere a terra, abbatté un altro colpo sulla spalla, dilaniandola.
Diego si lanciò verso l’infermiere: «Lasciala stare!» Gridava sotto la pioggia incessante.
Sara si era aspettata che la voce di Diego fosse impaurita, sorpresa, spaventata, e invece quello che traspariva era una determinazione convinta, inaspettata… quasi fuori luogo.
«Anche tu?» Disse Rino in tono rabbioso, mentre volgeva le sue attenzioni verso Diego. «E va bene! I Nemici del mio Signore sono i miei Nemici!» E calò la mazza.
Sara non credeva ai suoi occhi: Diego aveva sollevato le mani aperte sulla sua testa, il palmo rivolto verso l’alto, e aveva lasciato che il chiodo le trafiggesse da parte a parte, bloccando il colpo a pochi centimetri dalla sua faccia.
L’anestesista si scosse dalla sorpresa e si lanciò verso Rino. «Lascialo stare, pezzo di merda!» Con un salto, si abbarbicò alle spalle dell’infermiere. L’altro se la scrollò di dosso, mandandola a terra. Con un grugnito, Sara si rimise in piedi: dalle tasche prese la Stapler e lo Spongostan.
«Lascia stare Diego, stronzo!» Con un balzo, avvolse le braccia intorno al collo dell’infermiere e le gambe attorno alla vita. Con la mano sinistra gli cacciò lo Spongostan in bocca, e con la destra gli puntò la Stapler sulla faccia e premette il grilletto a ripetizione. Il click dei punti che facevano presa sulla pelle faceva da contrappunto alle urla di Rino, che lasciò la presa sulla mazza e cercò di schiaffeggiarla via. Lei, implacabile, continuò a cucirgli la faccia alla cieca.
Poi, le urla di Rino divennero un gorgoglio soffocato, una tosse gutturale. Dopo un paio di singhiozzi, crollò al suolo insieme a Sara, soffocato dallo Spongostan. Lei si mise in piedi: Rino giaceva esanime, il volto ricoperto di clip metalliche, un occhio chiuso da tre clip in sequenza e la bocca storta e sanguinante. Aveva due punti metallici sullo zigomo come piercing artigianali e una narice era chiusa da una salva di graffette.
«I chirurghi hanno ragione: quando inizi con la Stapler, non vorresti mai smettere.» Disse Sara.
Solo allora cercò con lo sguardo Diego: Sara lo raggiunse di corsa. «Scappiamo da questo casino, ti prego. Ho visto altri ustionati, o che cazzo sono, che venivano fuori dalle buche. Non posso sopportare altro.»
«Sara, una volta mi dicesti una cosa che non dimenticherò mai: Noi non salviamo vite, le allunghiamo. Al massimo guadagniamo qualche momento in più.» Sorrise. «Ecco, io ho guadagnato qualche momento in più, grazie a Luna. E questo ha un prezzo, che sto per pagare adesso. Voglio solo dirti che per me non è mai finita del tutto, tra di noi.»
«Diego, che cazzo stai dicendo? Hai guadagnato qualche minuto?» Allungò una mano verso di lui, per afferrarlo e tirarlo lontano dal bordo del cratere. Per farlo ragionare, per fargli capire che neanche per lei era veramente finita, che c’era margine per migliorare e per essere seri e coscienziosi. Ma gli occhi dell’altro erano opachi, lontani.
«Sara, il sangue di Luna ora è il mio sangue.» Indicò Luna. «Rino me l’ha trasferito con la sua reliquia, la stessa che ha portato la morte di un Dio.» Alzò le mani bucate, sanguinanti, rosse e gonfie, le dita retratte, i tendini lacerati. «Luna mi ha mostrato tutto: è l’unica alternativa. Addio.»
E fece un altro passo indietro.

Che ci faceva in quel posto?
Erano le ventuno quando Luna si era trovata all'ingresso di un pronto soccorso. Dal riflesso sulle porte scorrevoli che si aprivano lentamente vide che aveva un camice.
Guardò verso l’alto: «Perché sono qui?»
Non si aspettava certo una risposta, e rimase sorpresa quando nella testa gli esplose la Voce:
«Sei stata inviata per impedire l’avvento del Secondo Regno. Arriveranno da sotto terra, saranno fatti di fuoco e fiamme.»
Luna era ancora più perplessa: perché doveva farlo lei? E soprattutto cosa doveva fare?
«Sei il ricettacolo del Sangue del Distruttore. Devi versarlo direttamente dentro una porta di ingresso, così le chiuderai tutte.»
«E cosa ne sarà di me?»
«Sarà un piccolo sacrificio. Brucerai, ma vivrai per sempre nella grazia e nella gloria.»
Un altro modo per dire che era condannata a morte certa, irreversibile.
«Sì, mio Signore. Sarò il tuo vessillo e il tuo ricettacolo.»
Doveva trovare un modo per evitare quella morte, per riuscire a scappare dalle estreme conseguenze. Doveva essere un altro a farlo al posto suo. Certo, c’era il problema del sangue, ma le sarebbe venuto in mente qualcosa.
Entrò in Pronto Soccorso. «Sono Luna, la Tirocinante della notte.» Disse al medico seduto alla scrivania.
«Piacere, Diego De Santis.»
Sembrava perfetto: uno strumento adatto ai suoi scopi. Una bella idea cominciò a frullarle per la testa.
Mi spiace per te, Diego, pensò. Hai appena vinto i tuoi momenti di gloria nel nome di un Bene più grande.
Cosa si fa per qualche attimo di vita in più!

«Sara, Luna mi ha mostrato la via: è stato tutto predetto. Ero morto, ma lei mi ha fatto tornare perché sapeva che avrei dovuto finire il lavoro al posto suo. Il sangue deve arrivare nel fuoco e bruciare.»
«Diego, ti sei bevuto il cervello? Vieni qui, perdio.»
«Esatto, Sara. Per Dio.» E fece un salto all'indietro, cadendo nel pozzo di fuoco.
«Diego! No!»
La terra le tremò sotto i piedi e cadde a terra.
Per un attimo, tutti i rumori si spensero. Poi, da ogni buco che si era aperto nel parcheggio, salì un ronzio basso e ingravescente, una vibrazione che si trasformò in un boato senza precedenti.
Da tutti i pozzi salirono lingue di fuoco liquido alte una decina di metri, in cui nuotavano sagome umanoidi di ustionati, in una cacofonia folle di urla e strepiti.
Le colonne di fuoco si solidificarono, trasformandosi in ciclopici blocchi di pietra nera e grigia, dall'aspetto sinuoso, come liquido cristallizzato. Qua e là un volto terrificato o un arto ripiegato sporgevano per ricordare da dove provenissero quelle creature: l’Inferno.
Sara piangeva, nel vedere quello spettacolo raccapricciante, sapendo che era costato la vita di qualcuno che forse era più di un amico.
E tutto per via di Luna.
Si voltò verso il cadavere della tirocinante …
Di lei non c’era traccia, solo una vaga macchia di sangue sull'asfalto.
Ultima modifica di Eugene Fitzherbert il mercoledì 12 agosto 2020, 10:08, modificato 4 volte in totale.



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Mauro Lenzi
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#2 » martedì 11 agosto 2020, 14:21

Solita premessa, scrivo da smartphone e odio farlo, per cui commenti minimal, soprattutto nei modi... :(


L’interno dell’armadietto era un altare -che- decorato con spruzzi di vernice  rossa che colavano lungo le pareti. 

Capisco il pdv di Sara, ma io Stapler e Spongostan non so cosa siano e non ricordo se lo hai fatto capire nelle altre tracce. Per cui la scena non mi è stata chiara e alla fine mi sembra che lo abbia steso con una grossa graffettatrice.. non so.

(Qui sembrerò str... straordinariamente costruttivo..)
La Sara che mi è piaciuta nelle altre tracce è stata messa in ombra da una che oltre alle graffette sui nemici sconfitti spara frasi da film yankee:
«Bye bye, figlio di puttana.» Disse Sara.

E troppe volgarità a caso.

E fece un salto all'indietro, cadendo nel pozzo di fuoco.
«Diego! Che cazzo fai, coglione!»

Per me, o lo dice prima che lo faccia, o in quel frangente grida, al massimo il suo nome o un No!

Insomma ha perso il suo fatalismo e la sua ironia, che le davano una grande profondità. Te lo dico perché sono convinto che tu possa facilmente recuperare, con le capacità che hai.

Ci sono anche troppi "lascialo/a stare" , ne ricordo almeno tre... cerca di variare un po'.


Fantasia e colpi di scena, tanta sostanza. Brau!

alexandra.fischer
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#3 » martedì 11 agosto 2020, 15:08

Il tema è centrato. Alla fine, è il Dottor Diego De Santis a sacrificarsi per salvare l’umanità dagli Empi (demoni venuti fuori dall’inferno) ma il suo destino si è compiuto quando ha incontrato la tirocinante Luna (lei combatte questa legione. Rino è un adepto del male (ha un altare preposto alle evocazioni, ha la mazza da baseball rivestita con la Corona di Spine di Gesù Cristo ed è uno strumento del Demonio) sotto l’apparenza di infermiere. Molto ben riuscita la serie di scene di combattimento nelle quali il medico e l’anestesista affrontano Rino e lo sconfiggono (con una Stapler e uno Spongstan). Bello il finale: Diego è un dannato in cerca di redenzione. Di lì la sua azione eroica, che lo riporta all’inferno (si spera in un girone non troppo spaventoso)
Attento:
«Te la caverai, ti aiuteremo noi.» (in questa frase metterei Sara come soggetto, visto che è entrata e poi la fai agire all’interno della narrazione chiamandola infermiera)
«Sai quante volte ho sentito questa frase?» Sorrise amara
Qui farei dire alla paziente Anna: «Sai quante volte ho sentito questa frase, infermiera?»
Il tutto per rendere più facile la comprensione dei Punti di Vista (Il Lettore Superficiale potrebbe credere che Anna è l’infermiera…magari aggredita dal mostro).
‘Fanculo!
Il medico si voltò (in questo caso puoi togliere medico, lasciando il soggetto sottointeso)

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Polly Russell
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#4 » martedì 11 agosto 2020, 15:29

Il gemito di Anna sconvolse Diego:
Ma boh, secondo me non serve, è ovvio che sia sconvolto, quindi mi basta sapere che gli urla contro.
Una risata si levò dal fondo dell’armadietto, come catene arrugginite scosse da pazzi torturati.
quo è chiaro l’intento di una frase che faccia effetto, ma... come suonano le catene mosse da pazzi torturati? lol, io sarei per un più semplice “rugginosa come catene scosse”
Alzò le mani bucate, sanguinanti, rosse e gonfie, le dita retratte, i tendini lacerati. «Luna mi ha mostrato tutto: è l’unica alternativa. Addio.»
addio toglilo o ci spoileri il finale.

Wow Eugene! Davvero un finale col botto e doppio triplo quadruplo cambio di prospettiva verso il finale, non ho ancora deciso se odiare Luna o no! lol
Scherzi a parte, davvero una piccola “bastardella” che mi ribalta il racconto come una frittata. Ottimo!
Mi è piaciuta l’idea dei flashback, ben strutturati, utili, non scontati. Ottima anche la scena dello spappolamento di Luna. Un gran buon lavoro.
Polly

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roberto.masini
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#5 » martedì 11 agosto 2020, 19:17

Ciao, Eugene.
Ottimo racconto dove lo splatter e i flashback si sprecano ma non sono fini a se stessi. Un po' di Tarantino e un po' di Romero sapientemente miscelati. Un racconto dalla fenomenale OSSatura!

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Eugene Fitzherbert
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#6 » mercoledì 12 agosto 2020, 10:01

Grazie a tutti per aver letto il racconto e per i consigli, ne sto facendo tesoro.

Rispondo a Mauro per la questione graffette: la Stapler e lo spongostan erano abbondantemente spiegate nella parte seconda, anzi a dirla tutta erano un elemento portante di quella fase.
Buono il suggerimento sul parlato di Sara, aggiusterò.
Sulla questione fatalismo: Sara è cambiata e anche tanto nel corso della sua disavventura e questi sono i risultati.

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antico
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#7 » giovedì 13 agosto 2020, 0:15

Tutto ok con i caratteri, pronto per la valutazione!

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antico
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Re: Noi non salviamo vite, le allunghiamo

Messaggio#8 » sabato 15 agosto 2020, 18:41

Vai verso una chiusura con un botto come si deve e questa è cosa buona e giusta. Però ho perplessità legate ai personaggi di Rino e di Luna perché li trovo solo abbozzati con un contesto che rimane piuttosto offuscato e motivazioni per il tutto che vengono solo suggerite in modo superficiale. Rino sembra davvero una macchietta, ma forse tale lo volevi. Luna, invece, è decisamente più importante ai fini del racconto e non ce ne parli: si trova davanti all'ospedale portata dal volere del Signore, però decide subito di trovare una scappatoia al suo destino... Molto bene, idea ottima! Però poi non c'è semina e neppure preparazione e, alla fine, scopriamo che è scomparsa pur con il cranio sfondato e rimango, da lettore, insoddisfatto per come ci siamo arrivati perché non ho capito dove fosse puntato il focus del racconto. Intendiamoci, mi è piaciuto, ma in questa sede devo concentrarmi sulle motivazioni che mi portano a posizionarlo in una certa parte della classifica rispetto agli altri lavori. Come valutazione rimango su un pollice tendente verso l'alto in modo convinto che si piazza dietro al racconto di Fagiolo perché meno compatto e focalizzato mentre sta davanti a quelli di Marzola (meno brillante) e di Polly (che ha un problema alle fondamenta).

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