Catene sulla pelle - parte 3

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Luca Nesler
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Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#1 » mercoledì 12 agosto 2020, 10:29

Un lampadario spento la guardava tra le crepe dell’intonaco. Il tocco morbido di un lenzuolo sotto di lei. Un brivido la percorse pizzicandole i capezzoli. Si mise seduta: era nuda! Tre candele accese su un comò illuminavano la camera da letto. Nello specchio il suo viso. I capelli sciolti, opachi.
Com’era finita lì?
Il trattore…
Aveva tirato una leva a caso e si era ribaltato. Aveva pensato di morire di freddo nella cabina.
Quindi qualcuno l’aveva salvata.
La mano sinistra doleva. Le dita gonfie e rosse. Forse il congelamento.
Perché era nuda?
Si alzò. C’erano due porte, una era aperta su un bagno. Si avvicinò all’altra: chiusa a chiave. Non l’avevano salvata, l’avevano rapita.
Si voltò e si appoggiò al legno scrostato. Sul letto un asciugamano piegato con la scritta Hotel Adler. Sopra c’era una saponetta.
Sesso, si trattava ancora di quello.
Si avvicinò alla finestra e scostò la tenda, fuori la neve continuava a vorticare.
Forse Patrick l’aveva portata in quella Stadt del cazzo. Possibile? Il posto era in ordine, ma non c’erano rumori oltre al sibilo della Tempesta. Tornò a sedersi.
Stupida! Aveva ragione Patrick: non sapeva valutare le situazioni. Anzi, non sapeva valutare se stessa. Aveva sempre pensato di farcela, ma era solo una ragazzina debole e sciocca. Una presuntuosa, stupida stronza!
Da quando aveva seguito quel volpino non aveva fatto altro che peggiorare la situazione ogni volta. E ora?
Si toccò l’inguine. Avrebbe fatto tanto male? Forse se—
La serratura scattò, Ester si coprì col lenzuolo. La porta si aprì e un cerchio di luce l’abbagliò.
«Eccoti qui, ragazzina.»
Patrick!
Abbassò la torcia. Il giaccone arancio - non era il suo - era chiazzato di rosso attorno al collo. L’uomo sospirò, lasciò cadere il fucile, spense la torcia e si richiuse la porta alle spalle. Tremava e aveva il viso arrossato e gonfio.
L’anello delle manette al polso, come un braccialetto. Ester lo indicò. «Come hai…»
«Ho sparato alla catena.» Fece due passi, tolse lo zaino dalle spalle e si lasciò cadere sul letto.
«Perdi sangue?»
«Non è mio. Ho solo freddo.» Si girò a guardarla. «Cazzo, sei nuda.» Levò la giacca. «Metti questa.»
Ester mise il giaccone. Era caldo.
«A guardarti non ti hanno ancora fatto niente. Dobbiamo andarcene, ragazzina.»
«Dove siamo?»
«All’inferno. Questa gente… Tempo fa stavo con loro.» Patrick si tirò su e prese a massaggiarsi la faccia. «Ti ho mentito: non ho mai venduto nessuno alla Stadt. Sapevo di quel posto perché il mio compagno veniva da lì. Speravo di comprarmi una nuova vita.»
Ester fece il giro del letto e raccolse il fucile. «Mi hai portata tu qui?»
«È scarico.» Si lasciò ricadere sul letto aprendo le braccia «No. Dopo che mi sono liberato ne ho ammazzato uno. L’altro è scappato. Hanno delle radio, quindi avrà chiamato qualcuno per portarti qui. Ho visto il trattore rovesciato e ho capito che t’avevano presa.»
Possibile che stesse dicendo la verità?
«Hai affrontato la Tempesta a piedi. Perché?»
«Ho sbagliato tutto. L’ho realizzato quando mi hai tirato le provviste e le munizioni. Sei pazza, ma buona. Non meriti quello che ti farebbero qui.»
Non sembrava in grado di aiutare qualcuno. Controllò il fucile. Scarico davvero. «Non hai munizioni?»
Patrick scosse la testa. «Ho fatto secco un altro tizio nella hall. Sai cos’è un hotel.»
«Me l’hanno raccontato.»
«Possiamo andarcene dalla porta alla fine del corridoio. Se raggiungiamo il parcheggio in fondo alle scale possiamo uscire. Lì c’è una scatoletta grigia sul muro di fianco all’ingresso, dentro è inserita la chiave che sblocca la saracinesca.»
«Ma tu ce la fai?»
Sorrise. «Mi scaldo e—»
Delle voci oltre la porta.
Patrick si mise seduto. «Cazzo! Nasconditi!»
Il bagno, l’armadio, dietro la tenda… sotto al letto!
Ester si buttò a terra e strisciò tra la polvere. Patrick le strappò il fucile, le passò la torcia, lo zaino. La porta si spalancò su tre paia di piedi.
«Tu?» La voce di un uomo. «Proprio tu, Patrick. E dov’è la ragazza?»
Entrarono restando vicini al muro. Patrick doveva averli puntati col fucile.
«Andata.»
«Ma era nuda.»
«Le ho portato dei vestiti e delle provviste. Avevamo un mezzo e ormai sarà lontana.»
Il ronzio di una radio portatile. «Davide, Klaus, la troia è scappata. Prendete i fucili e uscite a cercarla. Tu però sei rimasto.»
«Volevo spararti in faccia, Fabian.»
Un paio di scarponi scuri mossero un passo. «Hai ammazzato due compagni.»
«Mattia ha attaccato il mio rifugio. L’ho riconosciuto solo quando sono andato a spogliarlo.»
«E Gregor?»
«Mi si è parato davanti quando sono entrato. Ma dimmi, Fabian, da quando è un problema far fuori i nostri?»
Il tipo sbuffò. «Ancora? Pablo era uno straniero e noi stavamo morendo di fame.»
«Stavamo assieme, e lo sapevi.»
«Ti sei innamorato di uno schiavo. Sei un coglione.»
Scattarono avanti, un suono secco e la faccia di Patrick finì a terra di fronte a lei.
I piedi del tizio con gli scarponi tornarono vicino alla porta. «Scarico: lo sapevo. Christian, com’è messo il bagno della cucina?»
«Devo ancora spostare i vestiti in lavanderia. È che—»
«Fa’ lo stesso. Portalo giù e dissangualo.»
Spensero le candele, in due trascinarono fuori Patrick e la porta si chiuse.
Ester aspettò che il cuore si calmasse. Strisciò fuori dal nascondiglio, issò lo zaino in spalla e accese la torcia.
Dissanguarlo? Cazzo, doveva andarsene subito.
Socchiuse la porta e guardò nel corridoio. Buio. Da una finestra quadrata sul fondo venivano i bagliori dei lampi.
Uscì e voltò verso il lato opposto. Ecco la porta che aveva detto Patrick, oltre c’erano delle scale. Scese due gradini e si sedette. Il marmo sulla pelle del sedere la fece fremere di freddo. Spense la torcia.
Patrick si era sacrificato per farla scappare. Alla fine era un brav’uomo.
Sospirò. Era di nuovo sola. Chinò la fronte contro le ginocchia.
E dove cazzo vai, Ester? Sei solo una stupida ragazzina.
No, la verità era che da solo nessuno ce la poteva fare. Né lei né Patrick.
Si alzò, riaccese la torcia e tornò indietro.
Poco oltre la camera in cui stava c’era un’ampia scalinata. La moquette attutiva il suono dei suoi piedi scalzi mentre scendeva i gradini. In fondo, una sala vasta ed elegante si apriva di fronte a una grande porta a vetri coperta di sbarre.
Ester mise una mano davanti alla torcia e tese l’orecchio: rumori a destra. Un cartello diceva: Esszimmer e il disegno di un piatto con delle posate.
Raggiunse una coppia di porte con finestre rotonde. Oltre il vetro una lama di luce arrivava da una stanza socchiusa.
Avanzò spingendo la porta e l’odore del sangue le torse lo stomaco. La luce proveniva da una sorta di bagno. Dovevano avere un generatore.
Da dietro uno spigolo arrivavano i gemiti di qualcuno che faticava. Si addossò alle piastrelle. Un sinistro alone rosato si espandeva dal pavimento alle pareti, rosso cupo tra le fughe. Sulla destra c’era un mucchio di vestiti. Dovevano essere quelli di cui il tipo si era scusato. Qualunque cosa facessero lì, le sarebbero tornati utili.
Posò la torcia e si sporse: Patrick era appeso per i piedi, nudo. Un uomo grasso lo issava con una corda a un gancio al soffitto, soffiando ad ogni strattone. C’erano due grossi coltelli a terra.
Ester si avvicinò in silenzio, raccolse il coltello con la lama più lunga. Deglutì, lo impugnò con due mani, lo alzò sopra la testa.
Il ciccione aveva una schiena enorme. Il cuore doveva stare nel centro.
Trattenne il fiato e piantò il coltello fino al manico che vibrò mentre la lama deviava contro le ossa. L’uomo gridò e Ester arretrò.
Il grassone si voltò con gli occhi sgranati. Ansimava, il sangue si unì a un filo di bava. Socchiuse gli occhi e si buttò carponi rantolando.
Patrick era finito a terra. Ester prese l’altro coltello e tagliò la corda che stringeva le caviglie.
«Ehi, sei vivo?»
Patrick emise un gemito leggero. Era messo male.
Gli liberò i polsi e si voltò verso il mucchio di vestiti. Quelli di Patrick erano in cima alla pila. Glieli lanciò.
Il ciccione era faccia a terra.
Tolse la giacca e raccolse un maglione. Pantaloni, calzetti.
Un paio di stivali di gomma blu con dei palloni da calcio erano tra le scarpe.
Camilla.
Una stretta la prese al petto, gli occhi le si riempirono di lacrime. La piccola Camilla li indossava sempre. Li aveva trovati in un camper abbandonato.
Con la gola serrata controllò il mucchio di vestiti. Non c’era dubbio: avevano preso tutta la sua gente. Una striscia rosa finiva sotto una porta metallica. Un’oblò ghiacciato nascondeva l’interno.
«Grazie, ragazzina.» Patrick stava infilando i pantaloni.
Ester raccolse degli scarponi e gli si avvicinò. «Tieni. Come ti senti?»
«Mi scoppia la testa e mi vanno a fuoco i piedi.»
«Dai, dobbiamo andarcene.»
Patrick si alzò, urlò e cadde seduto. «Non credo di riuscirci.»
«No, cazzo. Non mi lasci da sola.» Ester si piegò, si passò un braccio di Patrick sopra il collo e si tirò su.
Si asciugò gli occhi con la manica: non riusciva a smettere di piangere.
L’uomo pesava come la carcassa di un cinghiale. Trascinava un piede appoggiandosi al muro con la mano libera. «A destra c’è una scala di servizio.»
La scala era stretta. Patrick si lasciava scivolare da un gradino all’altro. Dopo l’ultima porta si aprì un ambiente buio.
«Destra, avvicinami al muro.»
Patrick tirò su un interruttore e delle lampade illuminarono il parcheggio. Auto, furgoni, barili, attrezzi e un mucchio di cose che non aveva mai visto.
«In fondo dovrebbe esserci un grosso trattore. Prendiamo quello. Perché piangi?»
Ester sentì gli occhi pizzicare più forte, la bocca si piegò e le uscì un verso strozzato. Lasciò il braccio di Patrick che indietreggiò.
Papà, Camilla e tutti gli altri...
Patrick le toccò una spalla. «Mi dispiace, ma dobbiamo andare.»
I singhiozzi le spezzavano il fiato. Annuì e tirò su col naso.
Voci e il colpo di una porta che sbatte.
«Cazzo, arrivano!» La spinse. «Mettiti dietro quella colonna!»
«Vieni!»
«No, vai!» tirò fuori un coltello dalla tasca e fece scattare la lama.
«Ma—»
«Nasconditi e attirali!»
Attirali?
Ester corse dietro la colonna e ci si appoggiò. Cercò di respirare piano, si asciugò ancora gli occhi e il naso. Strinse le cinghie dello zaino e attese.
Le voci risuonarono chiare. «La saracinesca è giù: sono dentro.» Quel Fabian.
Molti passi. Si sporse oltre la colonna: erano quattro, Patrick non c’era. Avevano delle asce e un badile.
Attirali. Cazzo.
Uscì allo scoperto. «Ragazzi, state calmi, ok?»
«Puttana! Dov’è Patrick?»
Un getto liquido li investì. Patrick zoppicò fuori da una colonna e lasciò cadere una tanica squarciata. L’odore di benzina riempì l’aria.
I tipi lasciarono cadere le armi e cominciarono a spogliarsi.
«Ehi, Fabian.» Patrick si chinò. Aveva qualcosa in mano. «Salutami Pablo.» Accese la traccia di benzina versata.
Le fiamme li avvolsero e la vampata di calore la costrinse a ripararsi il viso.
Le urla superarono il crepitio.
Patrick zoppicava mordendosi un labbro, la raggiunse e la spinse. «Forza, ragazza! Apri la saracinesca!»
Ester si voltò: la scatola grigia. Corse ad aprirla, la chiave era dentro. La girò e un suono metallico l’avvisò dello sblocco. Si mise al centro, afferrò la maniglia sul fondo della saracinesca e cominciò a sollevarla.
Il rombo di un motore alle sue spalle. Patrick era sul trattore. Le ruote dietro erano alte quanto lei.
«Tirala su, svelta!»
Ester spinse più forte che poteva e l’aria gelida della tempesta la investì ferendole il viso. Il trattore la raggiunse.
«Sali, veloce! Qui è pieno di carburante e bombole di gas!»
Le fiamme si allargavano. I tizi erano a terra e l’aria sapeva di carne cotta.
Montò su un sedile alla sinistra del posto di guida. Chiuse lo sportello mentre il trattore rombava nel buio, fuori dall’hotel.
Nella luce dei fari le raffiche gelate sembravano circoscritte e meno violente.
Un boato fece ondeggiare il mezzo, Ester si afferrò le ginocchia. Una luce arancio illuminò l valle. Dall’hotel in fiamme si levarono nuovi scoppi . Pezzetti indistinti piovvero attorno.

La neve luccicava alla luce del sole, immobile come una coperta.
Patrick le sorrideva. «Siamo fuori dalla Tempesta da un po’. Hai dormito abbastanza?»
Ester si raddrizzò. «Mmm. Come stai?»
«Mi sono scaldato, ma sono stanco.»
Le montagne sembravano distanti, oltre la distesa bianca dei campi coperti. Solo qualche albero spuntava rompendo la monotonia del paesaggio.
«Sai guidare?»
Ester scosse la testa. «Non un trattore. Sennò non ti sarei venuta a cercare.»
Patrick rise. Afferrò un pomello sopra il volante. «Per andare avanti si sposta l’inversore su avanti.» Indicò una leva «per accelerare spingi questa verso il disegnino del leprotto. Per rallentare…»
«La tiro indietro.»
«Bene. I pedali non li toccare.»
«D’accordo.»
«Svegliami se sei in difficoltà.»
«Dove andiamo?»
«In Spagna. Lì le bombe non sono cadute. Me l’ha detto Pablo.»
«Come ci arriviamo?»
«Tieni il sole alle spalle.»
Si scambiarono di posto. L’uomo mise la giacca sotto la testa e si accoccolò sul sedile.
«Ah, Patrick?»
«Sì?»
«Mi chiamo Ester.»
Mosse la manopola e il trattore partì.
Ultima modifica di Luca Nesler il mercoledì 12 agosto 2020, 23:42, modificato 5 volte in totale.



Simone Marzola
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#2 » mercoledì 12 agosto 2020, 18:40

Ciao Luca,

Ottimo finale, molto post apocalittico.
Ho apprezzato il dettaglio rivelazione sulla sorte dei compagni di Ester, gli stivali abbandonati.
Quindi la Stadt e i cannibali sono gli stessi se ho capito correttamente, giusto?

Ho trovato un pochino didascalico la proprio la rivelazione sul cannibalismo. Dici: "Dissanguarlo? Morivamo di fame… Quei tipi erano cannibali."
Ok che siamo nel pdv di Ester e lei ha l'improvvisa rivelazione, ma dopo mi mostri bene quello che loro fanno. Forse con qualche (macabro) dettaglio i più, non è necessario esplicitarlo così al lettore. Magari al "dissanguarlo" Ester può iniziare a farsi dei dubbi sull'abbandonarlo (detta male: dissanguarlo? No Ester, se sei lì è colpa sua, scappa!). Poi scappa e ha il vero ripensamento, come descrivi, e a quel punto la scena nel mattatoio.

Per il resto non credo di avere altro da segnalarti: ottima prova!

A rileggerci!

alexandra.fischer
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#3 » mercoledì 12 agosto 2020, 19:14

Tema centrato. La fuga di Patrick e di Ester chiude il cerchio in modo perfetto. Si lasciano dietro un mondo distopico, dove la civiltà è regredita a una sorta di Medioevo tecnologico (non esistono più le fabbriche, il commercio. Si uccide per rubare. Come si può intuire dalla scena degli stivaletti di Camilla e dall’abbigliamento dell’uomo grasso addetto alla manovella). Molto belle le scene d’azione, con lui che la aiuta prima a nascondersi e poi a scappare, e arriva a mentire i complici per proteggerla. Magistrale il finale con lui che le insegna a guidare il trattore. Bella la scena della benzina nella quale lui si libera degli ambigui alleati. Non c’è altro modo di definirli, dopo che hanno dissanguato Pablo, l’amore di Patrick. E lo capisco quando sceglie la Spagna come possibile rifugio per cercare la pace dopo la tempesta). Molto bella l’ambientazione (albergo, garage, montagna a fine tempesta, paesaggio monotono ma rassicurante).
Attento:
Forse, se…
«Mi scaldo e…»
calzini
«Ma…»
È che…
Via il trattino dalla frase: Tu sei rimasto

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Luca Nesler
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#4 » mercoledì 12 agosto 2020, 20:22

Simone Marzola ha scritto:Ciao Luca,

Ottimo finale, molto post apocalittico.
Ho apprezzato il dettaglio rivelazione sulla sorte dei compagni di Ester, gli stivali abbandonati.
Quindi la Stadt e i cannibali sono gli stessi se ho capito correttamente, giusto?

Ho trovato un pochino didascalico la proprio la rivelazione sul cannibalismo. Dici: "Dissanguarlo? Morivamo di fame… Quei tipi erano cannibali."
Ok che siamo nel pdv di Ester e lei ha l'improvvisa rivelazione, ma dopo mi mostri bene quello che loro fanno. Forse con qualche (macabro) dettaglio i più, non è necessario esplicitarlo così al lettore. Magari al "dissanguarlo" Ester può iniziare a farsi dei dubbi sull'abbandonarlo (detta male: dissanguarlo? No Ester, se sei lì è colpa sua, scappa!). Poi scappa e ha il vero ripensamento, come descrivi, e a quel punto la scena nel mattatoio.

Per il resto non credo di avere altro da segnalarti: ottima prova!

A rileggerci!


Ciao Simone, grazie per il suggerimento. Lo colgo volentieri. Il problema col mostrato puro è sempre la chiarezza, quindi tendo a dare troppe info da una parte e a non darne a sufficienza dall'altra.
Proviamo così.

Grazie anche dei complimenti! Alla prossima!

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Mauro Lenzi
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#5 » mercoledì 12 agosto 2020, 20:24

Grazie Luca Nesler per la pazienza e l'interesse con cui hai ascoltato i miei suggerimenti, che per inconvenienti tecnici non ho potuto riportare qui.
Un gran bel racconto e con uno stile che approvo pienamente!

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Luca Nesler
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#6 » mercoledì 12 agosto 2020, 20:27

alexandra.fischer ha scritto:Tema centrato. La fuga di Patrick e di Ester chiude il cerchio in modo perfetto. Si lasciano dietro un mondo distopico, dove la civiltà è regredita a una sorta di Medioevo tecnologico (non esistono più le fabbriche, il commercio. Si uccide per rubare. Come si può intuire dalla scena degli stivaletti di Camilla e dall’abbigliamento dell’uomo grasso addetto alla manovella). Molto belle le scene d’azione, con lui che la aiuta prima a nascondersi e poi a scappare, e arriva a mentire i complici per proteggerla. Magistrale il finale con lui che le insegna a guidare il trattore. Bella la scena della benzina nella quale lui si libera degli ambigui alleati. Non c’è altro modo di definirli, dopo che hanno dissanguato Pablo, l’amore di Patrick. E lo capisco quando sceglie la Spagna come possibile rifugio per cercare la pace dopo la tempesta). Molto bella l’ambientazione (albergo, garage, montagna a fine tempesta, paesaggio monotono ma rassicurante).
Attento:
Forse, se…
«Mi scaldo e…»
calzini
«Ma…»
È che…
Via il trattino dalla frase: Tu sei rimasto


Grazie mille Alexandra! Mi spiace non essere riuscito a commentare tanti di voi, ma ho sottovalutato l'impegno.
A presto!

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Andrea Lauro
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#7 » mercoledì 12 agosto 2020, 23:07

Commento parte I

Attenzione attenzione! Buono l’ingresso destabilizzante. Ho anche ricontrollato il titolo per essere sicuro d’essere nel racconto giusto.
E dentro con un bel plot twist che non ti aspetti. Dovrei riguardarmi i primi due per capire se Patrick, nella sua menzogna, è comunque fedele al personaggio. A occhio, mi sembra possibile, quindi bravo. E inoltre usi a tuo favore la critica dell’antico sul comportamento strano della ragazza.

“Prendete i fucili e uscite a cercarla. - Tu però sei rimasto.” quel trattino “-” in mezzo è voluto?
“Si buttarono sul letto, Patrick gemette mentre le molle del materasso scricchiolavano.”: questo pezzo l’ho frainteso. Per un attimo ho pensato che fossero una squadra di amanti libidinosi. Togli il dubbio: il rumore di un cazzotto, la faccia di Patrick che appare per terra.
“raccolse il coltello con la lama più grossa.”: evita la ripetizione con “raccolse quello con la lama più grossa”

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Andrea Lauro
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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#8 » mercoledì 12 agosto 2020, 23:26

Commento parte II

“Voci e un colpo, come di una porta che sbatte.”: visto che effettivamente è una porta che sbatte (e non un fucile, ad esempio), la riformulerei in “Voci e il colpo di una porta che sbatte.” (con questo indicativo in mezzo a tutti i passati remoti, che è intrigante devo dire).
“Strinse le bretelle dello zaino e attese.”: le cinghie? cazzata, eh..
“Un boato la fece accucciare, una luce arancio illuminò la strada e gli alberi coperti di neve. Pezzetti indistinti caddero davanti al trattore. L’hotel bruciava.”: darei più enfasi al momento del boato. Messo lì in quelle coordinate perde di efficacia. E invece scoppiano bombole! Finalone! Qualcosa tipo: “Un boato. L’aria si spostò tutta assieme, Patrick perse per un attimo la guida e il trattore cambiò direzione. Ester si fece piccola sul sedile, una luce arancio….”
“il disegnino del leprotto, per rallentare…”: metterei il punto, come hai fatto per il periodo prima (prima del dialogue tag)

Come dicevo, ben gestito durante i tre racconti il conflitto dei due, viene risolto nel terzo dopo una serie di avvicendamenti che portano ad unirli in un destino comune.
E detto questo, buona revisione!

Andrea

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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#9 » mercoledì 12 agosto 2020, 23:43

Andrea Lauro ha scritto:Commento parte II

“Voci e un colpo, come di una porta che sbatte.”: visto che effettivamente è una porta che sbatte (e non un fucile, ad esempio), la riformulerei in “Voci e il colpo di una porta che sbatte.” (con questo indicativo in mezzo a tutti i passati remoti, che è intrigante devo dire).
“Strinse le bretelle dello zaino e attese.”: le cinghie? cazzata, eh..
“Un boato la fece accucciare, una luce arancio illuminò la strada e gli alberi coperti di neve. Pezzetti indistinti caddero davanti al trattore. L’hotel bruciava.”: darei più enfasi al momento del boato. Messo lì in quelle coordinate perde di efficacia. E invece scoppiano bombole! Finalone! Qualcosa tipo: “Un boato. L’aria si spostò tutta assieme, Patrick perse per un attimo la guida e il trattore cambiò direzione. Ester si fece piccola sul sedile, una luce arancio….”
“il disegnino del leprotto, per rallentare…”: metterei il punto, come hai fatto per il periodo prima (prima del dialogue tag)

Come dicevo, ben gestito durante i tre racconti il conflitto dei due, viene risolto nel terzo dopo una serie di avvicendamenti che portano ad unirli in un destino comune.
E detto questo, buona revisione!

Andrea


Grazie mille Andrea! Fatto tutto (più o meno bene)

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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#10 » giovedì 13 agosto 2020, 0:19

Tutto ok con i caratteri, pronto per la valutazione!

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Re: Catene sulla pelle - parte 3

Messaggio#11 » domenica 16 agosto 2020, 18:36

Un finale che trovo un bel passo avanti rispetto alle parti precedenti. Continuano a non convincermi alcuni comportamenti della ragazza... Dunque: si sveglia nuda viva. Trova i vestiti del suo gruppo, ma non s'impunta di scoprirne il destino? Va bene che, da quello che sappiamo, molti siano stati dissanguati e messi in dispensa, ma c'è la possibilità che qualcuno, soprattutto le donne, siano ancora vive... E qui arriva il limite di caratteri: non ne avevi abbastanza per giusticare una sua ricerca. Quindi, mio parere, avresti dovuto impostare il tutto in modo leggermente diverso per non fare arrivare il lettore a pensare che questa sia un po' scema (ricordo anche lo zaino pieno di viveri che butta, senza alcun senso, all'uomo durante la seconda parte). Per il resto: ci rendi più verosimile la sua figura con l'incidente con il trattore e con una prospettiva sul mondo, finalmente, con tutti i suoi limiti di conoscenza ben evidenziati. Ancora un appunto: l'arrivo di Patrick a salvarla mi sembra strano: ha appena ammazzato un suo vecchio compagno, devono fare di fretta per non farsi beccare e lui, invece, si corica sul letto e si mette a chiacchierare? Inverosimile. Detto questo, la chiusa, come ho detto, è buona e il pezzo mi sembra più solido e, soprattutto, contestualizzato, rispetto ai primi tre. Considerata anche la forma sempre molto buona, per me è un pollice tendente verso l'alto in modo convinto che si piazza davanti al racconto di Polly perché meno frazionato nelle sue parti mentre sta dietro a quelli di Marzola e Fitzherbert perché più contestualizzati in ogni loro parte.

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