Ossessioni
Inviato: domenica 18 ottobre 2020, 19:00
Il dottor Zielinski osserva la fotografia sulla scrivania. Segue con un lieve movimento della testa un motivetto jazz in dolby surround e mordicchia una Montblanc color platino. Solleva la testa e mi scruta attraverso le lenti senza montatura.
Allunga la foto verso di me. «Ho ricevuto richieste di ogni tipo», sprofonda nello schienale della poltrona e mi sorride, «ma devo ammettere che la sua è davvero singolare.»
Annuisco e ricambio il sorriso. «Allora cosa ne pensa?»
«Non vedo particolari difficoltà. Ma posso chiederle perché proprio lui?»
«Claudio Augusto, dottore, è stato il più grande imperatore di Roma.» Punto l'indice sulla fotografia. «Osservi l'austerità del suo volto.» Seguo il profilo della statua.
«È un viso sublime, non c'è dubbio.»
«Io direi potente. Lei crede che con un viso come il mio si possa governare un impero?»
Zielinski tamburella le dita sulla scrivania.
«Non abbia timore di rispondere, dottore.»
Il dottore si passa la lingua sulle labbra.
«Varcata la porta del suo studio, ho dismesso i panni di uomo influente per diventare uno dei suoi pazienti. Sono nelle sue mani, ora.»
«Non ho l'abitudine di entrare nel merito delle scelte dei miei pazienti, signor Fanucci. Mi sembra deciso ad andare in fondo —»
«Lo sono!»
«Bene.» Il dottore resta impassibile. Con la mano libera afferra la fotografia, si alza dalla poltrona e si accosta a me. «Suggerisco di partire da un trapianto di capelli, qui e qui.» Punta la penna e mi sfiora la fronte. «Un lifting del viso e del collo per levigare la pelle.» Rotea la stilo intorno al mio viso. «Un lipofilling per aumentarne il volume.» Se la infila nel taschino del camice. Posa la foto sulla scrivania, si china e mi stira le tempie con i pollici. «Sì... direi anche una blefaroplastica per eliminare le borse sotto gli occhi e ridarle uno sguardo vivace.»
Mi piego in avanti sulla sedia e punto i piedi. Il dottore si rimette a sedere, sfila la penna dal taschino e scarabocchia qualcosa su un taccuino di fianco alla foto. Solleva lo sguardo. «Cominciamo lunedì.» Inarca le labbra in un sorriso tirato.
***
Dio, la pancia mi fa un male cane. Tasto i lividi bluastri sotto gli occhi. Il Fentiazac fa miracoli. Ancora una settimana e addio ecchimosi. Dovrei chiedere al dottore di aumentarmi il dosaggio, a costo di stare sul cesso tutta la settimana. Il prossimo consiglio d'amministrazione è giovedì... o mercoledì? Ho lasciato l'agenda in ufficio.
Qualcuno bussa alla porta. «Avanti!»
«Permesso, signor Fanucci?»
«Dorothea! Entra pure, capiti al momento giusto.»
Dorothea ha il viso tirato. Solleva la chioma corvina con un colpo di mano e sfila via la sciarpa di cashmere. «É davvero caldo qui.» Posa la sciarpa ai piedi del letto e una cartella di cuoio sulla scrivania.
«Hai preparato la relazione?»
Dorothea abbassa gli occhi. «Come si trova qui all'Astoria?» Si sfrega le mani e si stringe nelle spalle. «Mi dicono che fanno una tartare meravigliosa.»
«Non ho molta fame in questo momento.» Afferro il bicchiere di Zacapa e lo finisco in un sorso. Il mal di pancia sembra scomparso.
Dorothea fruga nella cartella. «Dovrebbe leggere questo.»
Mi allunga una cartellina trasparente. La apro e tiro fuori una risma di fogli. Tasto il taschino della giacca. «Ti dispiace se lo guardo più tardi?» Devo aver lasciato gli occhiali in bagno.
Dorothea sospira.
«Desideri qualcosa da bere?»
«Grazie, ma preferisco rimanere lucida.»
«Capisco, è un momento importante.»
«Sì... è di questo che le volevo parlare.» Dorothea si sfila gli occhiali.
«Vede, sono venuta a ricordarle che il consiglio ha deciso di non procedere.»
«Quando? La seduta è calendarizzata per la settimana prossima e—»
«C'è già stata.»
«Ma... com'è possibile? Non ne sono stato informato!»
«Vede, è già un po' che il consiglio ha deciso di ritirarle la delega.»
Dio! Dovevo aspettarmelo da un branco di idioti. «Lo sai che non possono farlo.»
«Beh, c'è chi è pronto a giurare che lei non c'è più con la testa e—»
«Chi lo dice?» Dorothea si accosta alla vetrinetta degli alcolici e tira fuori la bottiglia di rum.
«Gliene verso un goccio, così si rilassa un po'.»
Do una manata alla bottiglia che cade sul pavimento e si frantuma con un rumore sordo. Dorothea resta immobile con i palmi aperti. Non sembra stupita. Mi supera di scatto e fruga nella borsa. Tira fuori una Kim e la infila tra le labbra.
«"L'imperatore ha sbroccato", questo dicono di lei, signor Fanucci.»
Vacillo.
«Devo essere onesto, signore. Questa sua fissazione per la chirurgia plastica... Il culto dell'immagine, sì, insomma. Penso che abbia perso la bussola...»
Mi avvicino alla scrivania e mi metto seduto.
Il consiglio non se l'è sentita di prendersi la responsabilità di un operazione da duecento milioni.»
«Ma sono impazziti? Hanno buttato via due anni di lavoro!»
Dorothea tira fuori un accendino dorato dalla tasca dei pantaloni e accende la sigaretta. Si avvicina alla porta finestra e caccia fuori il fumo. «Non le ho nemmeno chiesto se posso fumare.» Si sforza di sorridere.
«E tu? Sei d'accordo con loro, non è vero?»
Dorothea ha gli occhi lucidi e si tiene un pollice tra i denti. «Io voglio solo aiutarla, signor Fanucci. Lasci alle spalle la storia della società, si goda la...» Si blocca e si morde un labbro.
«Dillo, avanti!»
«Apro la porta e vedo un vecchio con il volto tumefatto. Non è esattamente quello che mi aspettavo di trovare. Si ravveda, è ancora in tempo per tornare in sé.» Prende il posacenere e vi affonda la sigaretta. Pigia con insistenza, fino ad imbrattarsi le dita di cenere. Una nuvola di fumo grigio si solleva. Afferra le sue cose e ondeggia sui tacchi verso l'uscita.
«Dove vai?»
«Devo andare. Si riguardi.» Solleva una mano ed esce dalla camera.
Per un attimo mi è parso di vedere lo scintillio di una lacrima sul suo volto. Che si fotta anche lei, cazzo! Ora sono davvero solo. Afferro la risma di carte, apro la finestra e la getto via. I fogli scendono come foglie morte. Non finisce qui, questo è certo.
***
Profilo destro, profilo sinistro. Lo specchio non mente. «Davvero un gran lavoro, dottore.». Lo poso sulla scrivania.
Le labbra carnose di Zielinski si increspano e lasciano intravedere una dentatura perfetta. «Il suo viso ha riacquistato freschezza, signor Fanucci. Direi che abbiamo raggiunto l'obiettivo.»
«Sono d'accordo, ma possiamo fare di più.»
Zielinski torna serio «Non è soddisfatto?» Si passa la Montblanc da una mano all'altra.
«Tutt'altro! Ma io non voglio somigliare all'imperatore, io voglio essere lui.»
Il dottore guarda verso un punto oltre le mie spalle, come se meditasse le parole giuste da dire. «Capisco. Solo una domanda, signor Fanucci. Glielo devo chiedere... Come si sente?»
«Benissimo, perché?»
«Sa, possiamo assomigliare come una goccia d'acqua a qualcuno, ma non potremo essere mai come quella persona. Il nostro vissuto ci—»
«Dottore, non faccia lo strizzacervelli, la prego.»
«Non volevo essere scortese—»
«Lei non conosce il sapore della sconfitta, vero, dottore? Beh, nemmeno io. Deve fare davvero schifo. » Mi alzo dalla sedia a mi avvicino alla finestra. «Soprattutto quando ci si sente ancora nel pieno delle proprie forze.» Il giardino è disseminato di foglie secche, gli alberi sono completamente spogli. Un corvo su un ramo sembra fissarmi, immobile.
«Che cosa cambierebbe ancora?» Zielinski sfoglia il taccuino degli appunti e ci scarabocchia qualcosa.
«Augusto possedeva una linea del viso più decisa, e un mento volitivo. Con quel profilo non poteva che essere l'imperatore.»
Il dottore dondola il capo e si porta la penna alla tempia. «Una rinoplastica e una mentoplastica sono tutto ciò che ci serve», dice senza sollevare la testa dal taccuino.
«Benissimo!»
«E finirei con una otoplastica». Zielinski mi mostra la foto e indica un orecchio. Le sue mani, lisce e affusolate, impugnano la Montblanc con la grazia di un direttore d'orchestra. Quelle sono le mani di un vero chirurgo plastico. Il mio sarà il volto di un vero imperatore.
***
La chiatta scorre sul fiume come se volasse. Sembra tutto così infinitamente piccolo dalla finestra dell'ufficio. Una vista così non ce l'ha nemmeno Dio. Se solo questo mal di testa mi desse tregua... Ingoio l'ultimo sorso di armagnac e poso il bicchiere vuoto sulla scrivania. Qualcuno bussa alla porta. Mi siedo e sistemo il portasigari. Stringo la cravatta e faccio un bel respiro. Pigio l'apriporta.
De Laurentis si presenta in doppio petto nero e un viso funereo. «Gigi, ben arrivato! Virginia non ti ha annunciato.»
«Era sorpresa di vederti qui, e a dire il vero anche io.» Mi stringe la mano, impacciato.
«Grazie per essere venuto.»
Ha il palmo sudato. «Hai la faccia di uno che ha appena finito un incontro di box.»
«Ultima round. L'imperatore è ancora in piedi.» Provo a sorridere, ma mi blocco. Una fitta sale dalla base del mento e mi arriva dritta tra gli occhi. Per un attimo vedo le stelle.
«Non hai una bella cera, sei sicuro di star bene?»
«Mai stato meglio, grazie a zio Brufen.» Stavolta increspo solo le labbra. Cazzo, sto facendo la figura del coglione.
«Forse dovresti andarci piano con quello». De Laurentis indica con un cenno del mento in direzione della scrivania.
L'armagnac! «Un sorso non hai mai fatto male a nessuno, su! Anzi, ne vuoi un po'? É una riserva. Semplicemente divino!»
«Grazie, non bevo alle undici del mattino.» De Laurentis mi fissa inespressivo.«Spero tu abbia un’ottima ragione per volermi incontrare.»
Mi alzo dalla sedia. Afferro il bicchiere e lo poso nella credenza.
«Gino, vado dritto al dunque. La storia del ritiro della delega...»
De Laurentis sospira e incrocia le braccia.
«Davvero non capisco.»
Tiene lo sguardo basso. «Fanucci, è una vecchia storia. Dovresti accettare il turnover, fa parte del ciclo delle stagioni...»
Il cuore galoppa, deve essere il cortisone. Devo mantenere la calma, Cristo. «Beh la mia stagione non è ancora finita!»
Gino mi guarda. «Caro Fanucci, te lo dico per l'ultima volta.» Serra le labbra e inarca le sopracciglia. «É venuto il momento per il vecchio saggio di ritirarsi nel bosco.»
Faccio due passi decisi verso di lui. Si scosta, sembra sorpreso dalla mia reazione. Solleva d'istinto il braccio, come a difendersi da un ceffone. Gli serro il polso con le dita. «La senti questa?»
De Laurentis sbarra gli occhi.
«Ti sembra la presa di un vecchio? Tempo due mesi e sarò come nuovo.» Lo mollo e torno a sedere.
Lui si alza di scatto. Ha il volto contratto. «Hai due giorni per portare via la tua roba.» Si volta e si incammina verso l'uscita.
«Lo decido io quando mollare, smidollato!»
Mi getta un ultimo sguardo, ed esce sbattendo la porta.
Lancio un urlo. La testa mi duole come se mi avessero sparato con una sparachiodi nel cranio. Sudo freddo. Apro il cassetto della scrivania e tiro fuori il Brufen. Mi avvicino al frigo bar, agguanto la lattina di coca e la apro. Sì, due compresse andranno bene. Cazzo, cazzo, cazzo. Ingoio le compresse e tiro giù un sorso. Ora un bel respiro, su. Farò un altro salto da Zielinski e sistemerò la cosa una volta per tutte.
***
Dio, quanto odio il led del televisore. Sono ore che mi fissa come l'occhio di un ciclope. «Infermiera! Dell'acqua, infermiera!»
«Arrivo, arrivo!» L'infermiera pattina sul pavimento lucido di cera e mi porge un bicchiere con la cannuccia.
Appoggio le labbra e tiro su. «Bella fresca, che meraviglia.»
La ragazza afferra con delicatezza la cannuccia e me la sfila dalla bocca. Ha un profumo meraviglioso. Chanel n.5, forse. Mi appoggio sul cuscino e sospiro. Il riflesso del sole sul soffitto mi acceca.
L'infermiera posa il bicchiere sul comodino, e la sveglia suona. «É l'ora dell'antibiotico, signor Fanucci.»
«Odio l'Amoxicillina, mi dà disturbi intestinali, non ne avrebbe di un altro tipo?»
«Devo rispettare le prescrizioni del medico, ma glielo farò presente.»
«Lo faccia subito. Perdo la dignità ogni volta che vado di corpo!»
L'infermiera si china su di me e sbatte le ciglia. «Non si deve preoccupare per questo, è il mio mestiere e lei è in una condizione molto particolare.». Il suo alito profuma di gomma alla fragola.
«Si allontani, Cristo! Non le ho chiesto un parere. Faccia quello che le dico e basta!»
La ragazza si solleva e mi fissa con gli occhi lucidi.
«E ora, la prego, mi porti qui lo specchio.»
Si volta, si avvicina con passo svelto alla parete e solleva lo specchio.
Il viso appare senza ecchimosi. «Bello l'imperatore Augusto, vero?»
La donna annuisce.
«Ora, mi apra la camicia per favore e pieghi lo specchio a 45 gradi.»
Una mano fredda mi fruga il petto.
Il ventre scolpito mi ricordano i personaggi eroici dei film hollywoodiani anni 60'. Zielinski è un mago della vaser lipolisi, non c'è che dire. «La meningite è stata una benedizione, non trova, infermiera?» La donna tira indietro lo specchio e scuote la testa. «Beh, signor Fanucci, è un bene che lei affronti con questo spirito la convalescenza.»
«Ma cosa dice, sciocca! Mi guardi bene. Sono o no la copia vivente del busto dell'imperatore Augusto?» Rimiro il mio tronco, senza piú gli arti.
L'infermiera appende lo specchio al chiodo, si volta e incrocia le braccia. «Signor Fanucci, il dottor Ortis suggerisce di non alimentare le sue fantasie.»
«Chi accidenti è il dottor Ortis?»
«Ogni giorno la stessa storia... Il dottor Ortis è il suo medico curante, e questa è la clinica psichiatrica di Santa Magdalena, lo ha dimenticato di nuovo.»
«Clinica psichiatrica? Ma di cosa parla? Dov’è il dottor Zielinski?»
«Zielinski appartiene al passato. Ora è Ortis il suo medico.» La ragazza abbassa lo sguardo e si avvicina al comodino. «Va bene, ora prenda il suo antibiotico.»
«Stupida gallina, non usi quel tono con me! Cos’è questa storia del nuovo dottore? Com’è che nessuno non mi dice nulla?»
L’infermiera scarta la compressa e l’appoggia sul palmo.
«Non mi ignori, sà! Sono l'imperatore, e pretendo di essere riverito!»
La ragazza sorride.
«Scoprirò l’autore di questo stupido scherzo! Vedrà se non mi sentiranno in azienda.»
La ragazza si accosta al mio orecchio. «Lei non è più nessuno», sussurra. «Si ricorda che l’hanno licenziata sei mesi fa? Ora prenda la pastiglia, prima che la gliela cacci in gola a forza.»
Allunga la foto verso di me. «Ho ricevuto richieste di ogni tipo», sprofonda nello schienale della poltrona e mi sorride, «ma devo ammettere che la sua è davvero singolare.»
Annuisco e ricambio il sorriso. «Allora cosa ne pensa?»
«Non vedo particolari difficoltà. Ma posso chiederle perché proprio lui?»
«Claudio Augusto, dottore, è stato il più grande imperatore di Roma.» Punto l'indice sulla fotografia. «Osservi l'austerità del suo volto.» Seguo il profilo della statua.
«È un viso sublime, non c'è dubbio.»
«Io direi potente. Lei crede che con un viso come il mio si possa governare un impero?»
Zielinski tamburella le dita sulla scrivania.
«Non abbia timore di rispondere, dottore.»
Il dottore si passa la lingua sulle labbra.
«Varcata la porta del suo studio, ho dismesso i panni di uomo influente per diventare uno dei suoi pazienti. Sono nelle sue mani, ora.»
«Non ho l'abitudine di entrare nel merito delle scelte dei miei pazienti, signor Fanucci. Mi sembra deciso ad andare in fondo —»
«Lo sono!»
«Bene.» Il dottore resta impassibile. Con la mano libera afferra la fotografia, si alza dalla poltrona e si accosta a me. «Suggerisco di partire da un trapianto di capelli, qui e qui.» Punta la penna e mi sfiora la fronte. «Un lifting del viso e del collo per levigare la pelle.» Rotea la stilo intorno al mio viso. «Un lipofilling per aumentarne il volume.» Se la infila nel taschino del camice. Posa la foto sulla scrivania, si china e mi stira le tempie con i pollici. «Sì... direi anche una blefaroplastica per eliminare le borse sotto gli occhi e ridarle uno sguardo vivace.»
Mi piego in avanti sulla sedia e punto i piedi. Il dottore si rimette a sedere, sfila la penna dal taschino e scarabocchia qualcosa su un taccuino di fianco alla foto. Solleva lo sguardo. «Cominciamo lunedì.» Inarca le labbra in un sorriso tirato.
***
Dio, la pancia mi fa un male cane. Tasto i lividi bluastri sotto gli occhi. Il Fentiazac fa miracoli. Ancora una settimana e addio ecchimosi. Dovrei chiedere al dottore di aumentarmi il dosaggio, a costo di stare sul cesso tutta la settimana. Il prossimo consiglio d'amministrazione è giovedì... o mercoledì? Ho lasciato l'agenda in ufficio.
Qualcuno bussa alla porta. «Avanti!»
«Permesso, signor Fanucci?»
«Dorothea! Entra pure, capiti al momento giusto.»
Dorothea ha il viso tirato. Solleva la chioma corvina con un colpo di mano e sfila via la sciarpa di cashmere. «É davvero caldo qui.» Posa la sciarpa ai piedi del letto e una cartella di cuoio sulla scrivania.
«Hai preparato la relazione?»
Dorothea abbassa gli occhi. «Come si trova qui all'Astoria?» Si sfrega le mani e si stringe nelle spalle. «Mi dicono che fanno una tartare meravigliosa.»
«Non ho molta fame in questo momento.» Afferro il bicchiere di Zacapa e lo finisco in un sorso. Il mal di pancia sembra scomparso.
Dorothea fruga nella cartella. «Dovrebbe leggere questo.»
Mi allunga una cartellina trasparente. La apro e tiro fuori una risma di fogli. Tasto il taschino della giacca. «Ti dispiace se lo guardo più tardi?» Devo aver lasciato gli occhiali in bagno.
Dorothea sospira.
«Desideri qualcosa da bere?»
«Grazie, ma preferisco rimanere lucida.»
«Capisco, è un momento importante.»
«Sì... è di questo che le volevo parlare.» Dorothea si sfila gli occhiali.
«Vede, sono venuta a ricordarle che il consiglio ha deciso di non procedere.»
«Quando? La seduta è calendarizzata per la settimana prossima e—»
«C'è già stata.»
«Ma... com'è possibile? Non ne sono stato informato!»
«Vede, è già un po' che il consiglio ha deciso di ritirarle la delega.»
Dio! Dovevo aspettarmelo da un branco di idioti. «Lo sai che non possono farlo.»
«Beh, c'è chi è pronto a giurare che lei non c'è più con la testa e—»
«Chi lo dice?» Dorothea si accosta alla vetrinetta degli alcolici e tira fuori la bottiglia di rum.
«Gliene verso un goccio, così si rilassa un po'.»
Do una manata alla bottiglia che cade sul pavimento e si frantuma con un rumore sordo. Dorothea resta immobile con i palmi aperti. Non sembra stupita. Mi supera di scatto e fruga nella borsa. Tira fuori una Kim e la infila tra le labbra.
«"L'imperatore ha sbroccato", questo dicono di lei, signor Fanucci.»
Vacillo.
«Devo essere onesto, signore. Questa sua fissazione per la chirurgia plastica... Il culto dell'immagine, sì, insomma. Penso che abbia perso la bussola...»
Mi avvicino alla scrivania e mi metto seduto.
Il consiglio non se l'è sentita di prendersi la responsabilità di un operazione da duecento milioni.»
«Ma sono impazziti? Hanno buttato via due anni di lavoro!»
Dorothea tira fuori un accendino dorato dalla tasca dei pantaloni e accende la sigaretta. Si avvicina alla porta finestra e caccia fuori il fumo. «Non le ho nemmeno chiesto se posso fumare.» Si sforza di sorridere.
«E tu? Sei d'accordo con loro, non è vero?»
Dorothea ha gli occhi lucidi e si tiene un pollice tra i denti. «Io voglio solo aiutarla, signor Fanucci. Lasci alle spalle la storia della società, si goda la...» Si blocca e si morde un labbro.
«Dillo, avanti!»
«Apro la porta e vedo un vecchio con il volto tumefatto. Non è esattamente quello che mi aspettavo di trovare. Si ravveda, è ancora in tempo per tornare in sé.» Prende il posacenere e vi affonda la sigaretta. Pigia con insistenza, fino ad imbrattarsi le dita di cenere. Una nuvola di fumo grigio si solleva. Afferra le sue cose e ondeggia sui tacchi verso l'uscita.
«Dove vai?»
«Devo andare. Si riguardi.» Solleva una mano ed esce dalla camera.
Per un attimo mi è parso di vedere lo scintillio di una lacrima sul suo volto. Che si fotta anche lei, cazzo! Ora sono davvero solo. Afferro la risma di carte, apro la finestra e la getto via. I fogli scendono come foglie morte. Non finisce qui, questo è certo.
***
Profilo destro, profilo sinistro. Lo specchio non mente. «Davvero un gran lavoro, dottore.». Lo poso sulla scrivania.
Le labbra carnose di Zielinski si increspano e lasciano intravedere una dentatura perfetta. «Il suo viso ha riacquistato freschezza, signor Fanucci. Direi che abbiamo raggiunto l'obiettivo.»
«Sono d'accordo, ma possiamo fare di più.»
Zielinski torna serio «Non è soddisfatto?» Si passa la Montblanc da una mano all'altra.
«Tutt'altro! Ma io non voglio somigliare all'imperatore, io voglio essere lui.»
Il dottore guarda verso un punto oltre le mie spalle, come se meditasse le parole giuste da dire. «Capisco. Solo una domanda, signor Fanucci. Glielo devo chiedere... Come si sente?»
«Benissimo, perché?»
«Sa, possiamo assomigliare come una goccia d'acqua a qualcuno, ma non potremo essere mai come quella persona. Il nostro vissuto ci—»
«Dottore, non faccia lo strizzacervelli, la prego.»
«Non volevo essere scortese—»
«Lei non conosce il sapore della sconfitta, vero, dottore? Beh, nemmeno io. Deve fare davvero schifo. » Mi alzo dalla sedia a mi avvicino alla finestra. «Soprattutto quando ci si sente ancora nel pieno delle proprie forze.» Il giardino è disseminato di foglie secche, gli alberi sono completamente spogli. Un corvo su un ramo sembra fissarmi, immobile.
«Che cosa cambierebbe ancora?» Zielinski sfoglia il taccuino degli appunti e ci scarabocchia qualcosa.
«Augusto possedeva una linea del viso più decisa, e un mento volitivo. Con quel profilo non poteva che essere l'imperatore.»
Il dottore dondola il capo e si porta la penna alla tempia. «Una rinoplastica e una mentoplastica sono tutto ciò che ci serve», dice senza sollevare la testa dal taccuino.
«Benissimo!»
«E finirei con una otoplastica». Zielinski mi mostra la foto e indica un orecchio. Le sue mani, lisce e affusolate, impugnano la Montblanc con la grazia di un direttore d'orchestra. Quelle sono le mani di un vero chirurgo plastico. Il mio sarà il volto di un vero imperatore.
***
La chiatta scorre sul fiume come se volasse. Sembra tutto così infinitamente piccolo dalla finestra dell'ufficio. Una vista così non ce l'ha nemmeno Dio. Se solo questo mal di testa mi desse tregua... Ingoio l'ultimo sorso di armagnac e poso il bicchiere vuoto sulla scrivania. Qualcuno bussa alla porta. Mi siedo e sistemo il portasigari. Stringo la cravatta e faccio un bel respiro. Pigio l'apriporta.
De Laurentis si presenta in doppio petto nero e un viso funereo. «Gigi, ben arrivato! Virginia non ti ha annunciato.»
«Era sorpresa di vederti qui, e a dire il vero anche io.» Mi stringe la mano, impacciato.
«Grazie per essere venuto.»
Ha il palmo sudato. «Hai la faccia di uno che ha appena finito un incontro di box.»
«Ultima round. L'imperatore è ancora in piedi.» Provo a sorridere, ma mi blocco. Una fitta sale dalla base del mento e mi arriva dritta tra gli occhi. Per un attimo vedo le stelle.
«Non hai una bella cera, sei sicuro di star bene?»
«Mai stato meglio, grazie a zio Brufen.» Stavolta increspo solo le labbra. Cazzo, sto facendo la figura del coglione.
«Forse dovresti andarci piano con quello». De Laurentis indica con un cenno del mento in direzione della scrivania.
L'armagnac! «Un sorso non hai mai fatto male a nessuno, su! Anzi, ne vuoi un po'? É una riserva. Semplicemente divino!»
«Grazie, non bevo alle undici del mattino.» De Laurentis mi fissa inespressivo.«Spero tu abbia un’ottima ragione per volermi incontrare.»
Mi alzo dalla sedia. Afferro il bicchiere e lo poso nella credenza.
«Gino, vado dritto al dunque. La storia del ritiro della delega...»
De Laurentis sospira e incrocia le braccia.
«Davvero non capisco.»
Tiene lo sguardo basso. «Fanucci, è una vecchia storia. Dovresti accettare il turnover, fa parte del ciclo delle stagioni...»
Il cuore galoppa, deve essere il cortisone. Devo mantenere la calma, Cristo. «Beh la mia stagione non è ancora finita!»
Gino mi guarda. «Caro Fanucci, te lo dico per l'ultima volta.» Serra le labbra e inarca le sopracciglia. «É venuto il momento per il vecchio saggio di ritirarsi nel bosco.»
Faccio due passi decisi verso di lui. Si scosta, sembra sorpreso dalla mia reazione. Solleva d'istinto il braccio, come a difendersi da un ceffone. Gli serro il polso con le dita. «La senti questa?»
De Laurentis sbarra gli occhi.
«Ti sembra la presa di un vecchio? Tempo due mesi e sarò come nuovo.» Lo mollo e torno a sedere.
Lui si alza di scatto. Ha il volto contratto. «Hai due giorni per portare via la tua roba.» Si volta e si incammina verso l'uscita.
«Lo decido io quando mollare, smidollato!»
Mi getta un ultimo sguardo, ed esce sbattendo la porta.
Lancio un urlo. La testa mi duole come se mi avessero sparato con una sparachiodi nel cranio. Sudo freddo. Apro il cassetto della scrivania e tiro fuori il Brufen. Mi avvicino al frigo bar, agguanto la lattina di coca e la apro. Sì, due compresse andranno bene. Cazzo, cazzo, cazzo. Ingoio le compresse e tiro giù un sorso. Ora un bel respiro, su. Farò un altro salto da Zielinski e sistemerò la cosa una volta per tutte.
***
Dio, quanto odio il led del televisore. Sono ore che mi fissa come l'occhio di un ciclope. «Infermiera! Dell'acqua, infermiera!»
«Arrivo, arrivo!» L'infermiera pattina sul pavimento lucido di cera e mi porge un bicchiere con la cannuccia.
Appoggio le labbra e tiro su. «Bella fresca, che meraviglia.»
La ragazza afferra con delicatezza la cannuccia e me la sfila dalla bocca. Ha un profumo meraviglioso. Chanel n.5, forse. Mi appoggio sul cuscino e sospiro. Il riflesso del sole sul soffitto mi acceca.
L'infermiera posa il bicchiere sul comodino, e la sveglia suona. «É l'ora dell'antibiotico, signor Fanucci.»
«Odio l'Amoxicillina, mi dà disturbi intestinali, non ne avrebbe di un altro tipo?»
«Devo rispettare le prescrizioni del medico, ma glielo farò presente.»
«Lo faccia subito. Perdo la dignità ogni volta che vado di corpo!»
L'infermiera si china su di me e sbatte le ciglia. «Non si deve preoccupare per questo, è il mio mestiere e lei è in una condizione molto particolare.». Il suo alito profuma di gomma alla fragola.
«Si allontani, Cristo! Non le ho chiesto un parere. Faccia quello che le dico e basta!»
La ragazza si solleva e mi fissa con gli occhi lucidi.
«E ora, la prego, mi porti qui lo specchio.»
Si volta, si avvicina con passo svelto alla parete e solleva lo specchio.
Il viso appare senza ecchimosi. «Bello l'imperatore Augusto, vero?»
La donna annuisce.
«Ora, mi apra la camicia per favore e pieghi lo specchio a 45 gradi.»
Una mano fredda mi fruga il petto.
Il ventre scolpito mi ricordano i personaggi eroici dei film hollywoodiani anni 60'. Zielinski è un mago della vaser lipolisi, non c'è che dire. «La meningite è stata una benedizione, non trova, infermiera?» La donna tira indietro lo specchio e scuote la testa. «Beh, signor Fanucci, è un bene che lei affronti con questo spirito la convalescenza.»
«Ma cosa dice, sciocca! Mi guardi bene. Sono o no la copia vivente del busto dell'imperatore Augusto?» Rimiro il mio tronco, senza piú gli arti.
L'infermiera appende lo specchio al chiodo, si volta e incrocia le braccia. «Signor Fanucci, il dottor Ortis suggerisce di non alimentare le sue fantasie.»
«Chi accidenti è il dottor Ortis?»
«Ogni giorno la stessa storia... Il dottor Ortis è il suo medico curante, e questa è la clinica psichiatrica di Santa Magdalena, lo ha dimenticato di nuovo.»
«Clinica psichiatrica? Ma di cosa parla? Dov’è il dottor Zielinski?»
«Zielinski appartiene al passato. Ora è Ortis il suo medico.» La ragazza abbassa lo sguardo e si avvicina al comodino. «Va bene, ora prenda il suo antibiotico.»
«Stupida gallina, non usi quel tono con me! Cos’è questa storia del nuovo dottore? Com’è che nessuno non mi dice nulla?»
L’infermiera scarta la compressa e l’appoggia sul palmo.
«Non mi ignori, sà! Sono l'imperatore, e pretendo di essere riverito!»
La ragazza sorride.
«Scoprirò l’autore di questo stupido scherzo! Vedrà se non mi sentiranno in azienda.»
La ragazza si accosta al mio orecchio. «Lei non è più nessuno», sussurra. «Si ricorda che l’hanno licenziata sei mesi fa? Ora prenda la pastiglia, prima che la gliela cacci in gola a forza.»