Divisioni

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo ottobre sveleremo il tema deciso da Debora Spatola. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Giacomo Puca
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Divisioni

Messaggio#1 » domenica 18 ottobre 2020, 22:25

Divisioni

Tre colpi scuotono la serranda.
Certo che hanno fatto in fretta.
Bussano di nuovo. “Allora? Ci sei?”
Hanno mandato una donna? Italiana?
Spingo il tasto, la serranda ha uno scossone, sale cigolando e il sole si intrufola. La luce staglia un paio di tacchi a spillo, uno tamburella sul cemento, facendo perno sul tacco.
La serranda continua a salire, rivelando gambe sottili inguainate in calze grigio ardesia, quadricipiti fasciati da un tailleur antracite, giacca dello stesso colore. Una mano poggiata sulla cresta del bacino, l’altra che stringe una pochette nera.
Una cravatta vermiglione fa capolino dalla scollatura della giacca, labbra dello stesso rosso stringono una sigaretta spenta.
La serranda completa la salita sferragliando.
Mi strofino gli occhi. “Marika?”
Marika sbatte un paio di volte le ciglia nero mascara, mi squadra passando gli occhi dai miei piedi scalzi, alla tuta logora e impolverata, alla barba non fatta da mesi.
Una sagoma ovale si frappone fra noi. Una donna col fisico a botte, in completo gessato a righe, occhiali da sole e capelli biondo cenere raccolti in una treccia.
Marika sfila qualcosa dalla pochette, “certo che ti sei trovato proprio un bel posticino. Cos’è merdoso avenue o siamo ancora in schifo road?”
Mi piego di lato aggirando la cicciona, la indico a Marika. “Questa chi è, Lesbocop?”
“Dopo tanti bodyguard palle-muniti,” Marika fa scintillare un accendino, “ho capito che fede cieca e scroto non puoi trovarli nella stessa persona.”
Una pistola, una donna. La sublimazione del femminismo radicale.
Lesbocop si gira, a un cenno di Marika si fa da parte.
“Mi aspettavo un uomo…” esco dall’ingresso, mi copro dal sole con la mano, “un uomo di Don Nino, intendo.”
Marika fa un tiro, sbuffa il fumo. “Consulente.”
“Per i camorristi?”
“Tienilo a mente, right?” Marika punta l’indice verso il fabbricato, verso il garage in cui vivo. Col dito traccia un cerchio immaginario, “ognuno fa la sua scelta.”
La bellezza non salverà il mondo.
“Accomodatevi allora,” le invito a entrare con ampi gesti delle mani, come farebbe un concierge.
Lesbocop supera Marika, si incammina nel breve corridoio, prende la prima e l’unica porta, sulla destra.
“Uno bravo come te,” Marika getta la sigaretta, “è un peccato che si riduca a vivere in sudicio street.”
“È la volta buona.”
“Dite tutti così, poi vi trovano nel Tamigi.” Marika schiaccia il mozzicone sotto la scarpa. “Vediamo cos’hai per me.”

Superiamo la porta del corridoio, entriamo nello studio. Rachel si muove come un cane anti-bomba, lasciando le sue orme sulla polvere che invade il pavimento. Scruta i tavolacci addossati alle pareti, infila le mani e rovista tra scalpelli, modelli anatomici di legno, punteruoli, ceselli. Tira un calcio al materasso a terra, le molle cigolano.
Io e Marika fermi sulla porta, aspettiamo che finisca. Marika annusa, si porta un indice sotto le narici. “My gosh, da quant’è che non lavi?” L’odore della crema mani biologica, silicon-free, gluten-free come una maschera antigas.
“Sarà un millequattrocento birre,” mi arriccio una ciocca di barba intorno al dito, annuisco, “sì direi circa mille e quattro.”
Marika inarca un sopracciglio.
Lesbocop gira attorno al fagotto rosso a centro stanza. Solleva il collo per vedere se c’è qualcosa in cima al telo, all’altezza di Marika in tacchi più un palmo. Si mette sulle punte.
Soddisfatta, va al divanetto due posti che ho piazzato davanti alla scultura, alla distanza a cui lo metteresti per vedere la tivù. Lesbocop solleva i cuscini rosa fenicottero, li spreme, contempla la lanugine sul telaio del divanetto. Si gratta il collo, gira su sé stessa, si ferma in direzione dei finestroni. Rettangoli di vetro punteggiato dal fango, piazzati in alto tra soffitto e parete, coperti da una griglia metallica a rombi.
“Siamo in un seminterrato,” indico a Lesbocop le finestre, “al massimo vedi i piedi di qualche cattivo.”
Marika sospira, “non lo parla l’italiano.” Mostra un ok a Lesbocop unendo indice e pollice, la bodyguard risponde con due Ok, allo stesso modo.
“Scusa per la puzza comunque. Ho avuto da fare.”
“Noto.” Marika si avvicina a uno dei tavoli. Il genere di tavolo grande come quello che useresti la domenica coi parenti, sormontato da un Taj Mahal di lattine di birra, con la cupola che sfiora il soffitto.
Minareti svettanti, in alluminio nero Guinness.
Pinnacoli slanciati, in alluminio blu Foster’s.
Muri di cinta ben piantati, in alluminio verde Beck’s.
Millequattrocento lattine di birra, o sette mesi in tempo umano.
Il prodotto che diventa arte.
“Spero non sia questo il tuo capolavoro.” Marika si allontana dal Taj Mahal. Si avvicina alla statua coperta, stringe il drappo, “ottantamila sterline di materiale e hai solo questa cosetta?”
Poggio una mano sulla sua, i calli arpionano la pelle liscia di Marika come ruote chiodate.
Marika mi incenerisce con lo sguardo. “Cosa? Cosa hai fatto? Una madonnina da mettere al cimitero di Highgate?”
“Ottantamila sterline non è tanto materiale, non se compri da Piacenti.” La lascio.
Marika si guarda la mano, la apre e chiude un paio di volte, “Piacenti può vendere solo al ministero delle belle arti per restauri sul Bernini. Non può vendere ai privati e non può certo esportare a Londra.”
“Sarà per questo che ha voluto sessantamila euro per un blocco?”
“Asino. Quello è il prezzo a cui dovresti vendere due pezzi buoni, non comprare un blocco.”
“Magari è un centesimo del prezzo a cui venderemo questa,” indico il fagotto rosso.
Marika scuote la testa. “Che grande, grandissimo coglione.” Apre la pochette e tira fuori uno specchio a conchiglia, dello stesso rosso delle unghie delle labbra. Persino delle suole. “Ti credi Michelangelo e ti sei impiccato con le tue mani. Stupido.”
Indico il divanetto.
Marika si siede sul ciglio di un cuscino, stringe le cosce, piega le gambe di lato, le accavalla. Lesbocop piantata vicino al Taj Mahal, osserva Marika che si guarda nello specchio, Marika che smette di guardarsi riflessa perché ho stretto il drappo tra due dita.
Marika mi guarda con la sufficienza riservata a un’estetista che si prende troppe confidenze mentre lima l’unghia di un alluce.
Tiro, quanto basta perché scivoli via da solo. Il drappo fruscia sul marmo, svolazza per aria, tocca terra.
Marika sgrana gli occhi. “My God!” Scatta in piedi, barcolla sui tacchi. Allarga le braccia per equilibrarsi. “Ma è…” si avvicina alla statua, scuote la testa. “È meravigliosa.”
Con le dita tremanti sfiora il volto femminile scolpito. Coi polpastrelli segue la venatura grigia del marmo, che disegna il filo del naso, che scinde le labbra in metà identiche. La venatura grigia si ramifica sul collo, si espande sul petto come il delta di un fiume d’oro. Venuzze brillanti scivolano nella stretta gola tra i seni di pietra per affondare giù, sotto il drappo scolpito con cui Calei si copre l’inguine.
“Come si chiama?”
“Calei”
“È la donna più bella del mondo.”
“Per questo mi serviva il marmo di Piacenti."
“Di Bernini.”
Il prodotto che diventa arte.
Marika avvicina le labbra a quelle di Calei, le sfiora, aspetta che la statua faccia la sua parte nel bacio.
Lo so perché anche io l’ho baciata. Chiunque avrà Calei, non potrà non baciarla, non potrà resistere. Chiunque sarà deluso, quando scoprirà che non parla, che non copre quell’ultimo centimetro tra le tue labbra e le sue.
Marika indietreggia di un passo. “Il nome della modella?” Sulle labbra di Calei risalta una velatura di rossetto.
“Non esiste.”
“È una di quelle cose del tipo lei-è-mia-soltanto-mia?” Marika sbuffa, indica Calei, “anche se questa ti rende lo scultore del secolo, anche allora la modella del secolo è troppo in alto per te.”
Vado faccia a faccia con Marika. Lesbocop scatta sull’attenti, Marika le mostra un palmo, inchiodandola al suo posto.
“No,” mi chino, percorro la muscolatura tonica di Marika, fasciata in sfumature nere da sartoria.
Afferro il drappo rosso ai suoi piedi, torno su.
Con uno spigolo del trappo tolgo il rossetto dalle labbra di marmo, copro la statua. “È più una situazione tipo non-esiste-perché-l’ho-sognata.”
La mascella e le spalle di Marika si abbassano, il petto si sgonfia, la testa scende. Va a sedersi in poltrona.
Marika schiarisce la gola, prende lo specchietto abbandonato sul cuscino, lo apre e vi si guarda. “Lo sai, sì, che sei ricco?”
Continuando a guardare nello specchio, Marika inumidisce un dito con la lingua, lo passa sullo spigolo delle labbra, togliendo un filo di rossetto fuori posto. “Sarà un classico, tipo la Gioconda, o la nona di Beethoven.”
Sposto la pochette e mi siedo accanto a lei. “Ricco e famoso?”
“Ricco, famoso. Tra cento anni dei ritardati faranno il comitato per riportare Calei in Italia.” Marika infila la lo specchietto nella pochette, schiocca le dita, si alza.
Lesbocop si materializza al suo fianco.
Marika allunga un braccio, la manica della giacca si ritira facendo spuntare un cinturino in pelle rossa, un quadrante nero. “Tra diciamo,” Marika guarda il quadrante, “diciamo, tre ore qualcuno verrà a prenderla. Il tempo di qualche telefonata.”
Annuisco, “ne approfitto per mangiare qualcosa.”
Marika fa un altro dei suoi cerchi con l’indice, stavolta intorno a me, “facciamo che ti dai anche una sistemata.”

~~~
Davanti al McDonalds c’è una convention di teenager brufolosi. Sulla vetrina del fast food campeggia una Monna Lisa cento volte più grande dell’originale. In questa versione pantagruelica, regge tra le mani un cartoncino squadrato, rosso, pieno zeppo di patatine stick. Sul cartone è incisa una M dello stesso colore delle patate. E dello stesso sapore, anche se questo non lo dicono.
Appena vendo la scultura torno a spaccare la vetrina. Che mi arrestino, va bene, lo accetto. Ma non è questo il modo di trattare la Gioconda.

Nel locale il puzzo di fritto farebbe vomitare Calei. A un tavolo quattro ragazzini intingono patatine in una ciotolina di Ketchup melmoso. Ai loro piedi una signora di colore, chinata, raschia via dalle piastrelle chiazze nere. Patatine cadute, schiacciate, impastate con le suole fino a formare croste color fegato.

Per il cesso, tanto per cambiare, c’è la fila. Un tipo in giacca e cravatta, prototipo di impiegato londinese, aspetta davanti una porta chiusa. Altre due porte hanno il cartello di guasto.
In questo antibagno, in fila, sei bombardato di musica classica. La primavera di Vivaldi gracchia dagli speaker appesi alle pareti.
La musica più bella mai scritta, usata per coprire i suoni che un cheeseburger fa alla fine del suo viaggio intestinale.
Archi di musica barocca per nascondere il rumore di piscio negli orinatoi.
Dal cesso esce un ragazzino, sarà un collega dei quattro campioni al tavolo di prima. Prototipo-di-impiegato entra dentro.
Beethoven prende il posto della musica barocca.
Quelli che progettano i fast food sono dei geni, bisogna dirselo. Per la puzza ci sono i deodoranti. Ma i clienti si imbarazzano, se pensano che qualcuno stia sentendo tutti i plof, e gli splash e i proot che fanno in bagno.

Se qualcuno mi tirasse nel cesso, se fosse il cesso più usato, in agosto, con l’aria condizionata e lo sciacquone rotti, e mi infilassero la testa nel water, forse allora sarei più disgustato di come sono dall’idea di usare Beethoven per coprire le scoregge di prototipo-di impiegato.

Un bolo acido mi risale l’esofago, la saliva in bocca prende il sapore bilioso di uno stomaco vuoto tormentato dall’odore del fritto. Lascio il bagno, esco dal locale. Mi serve un antiacido.
E qualcosa con dentro della benzodiazepina.

Sfilo tra la massa di scolari vomitati da un Bus a due piani che borbotta col motore al minimo, li supero.
Insegne luminose bianche e verdi di una farmacia, brillanti e convulsivanti come quelle di un casinò a Las Vegas. Il faro della civiltà, l’approdo sicuro dove stiviamo le molecole della felicità.

La porta automatica si apre con un sibilo. Un’onda di aria condizionata gelida mi alza i peli anche dove non pensavo di averne. Muscoletti minuscoli che sollevano i peli, una delle poche cose che non puoi scolpire: la pelle d’oca.
Luci neon bianchissime rimbalzano sul pavimento di granito lucidato. Un paio di passi e un cartonato altezza uomo sbarra la via. Piazzato in rotta di collisione con qualsiasi cliente, impossibile da evitare.
Stampati sul cartone, affiancati, due volti di Van Gogh intrappolati in uno dei tanti autoritratti.
Avvicino il volto.
Sembra uno di quei giochi tipo dieci piccole differenze. L’autoritratto è lo stesso, solo che il Van Gogh a destra sorride. Invece della benda, c’è un orecchio. Questo Van Gogh strafatto butta lo sguardo oltre la cornice, guarda una scatolina di medicinali, bianca, con una fascetta blu di Prussia: Zaltox 80mg – for Schizophrenia.
L’arte che diventa prodotto.
Un uomo in camice spunta dal bancone, vi poggia sopra le mani, si protende in avanti.
Gli indico il cartonato, “come si fa a fare una cosa simile?”
Il farmacista inarca un sopracciglio.
“Come – si – fa!?”
Il farmacista strabuzza gli occhi.
Gli mostro i medi.
Me ne vado.
Non esiste al mondo che Calei possa fare questa fine. Zero possibilità.

Dall’altro lato della strada, oltre la colonna di berline e monovolume e suv e bus, c’è uno di quei negozi di ferramenta di una qualche catena. Esiste ancora qualcosa che non sia in franchise?
Attraverso la strada, zigzagando tra i veicoli che sbuffano. Dietro i parabrezza, i volti di guidatori esasperati, mi osservano.
Sì, un ferramenta andrà bene.

~~~

Sul vialetto di casa è parcheggiato un furgoncino, sul portellone la scritta: Thoresy e Thoresy art gallery.
Stringo la busta del ferramenta al petto e scavalco il cancelletto. La saracinesca è sollevata, il battente sformato in due punti come un labbro leporino.
In punta di piedi attraverso il corridoio. Puzza di sigarette.
Qualcuno parlotta nello studio, tendo l’orecchio.
Le voci di Lesbocop e Marika.
Entro nello studio.
Marika è di spalle, rivolta verso Calei denudata del drappo; tra le dita una sigaretta fumante. Lesbocop è inginocchiata su una cassa di legno, sistemata dov’era il divanetto che hanno spostato. La cassa è squadrata, come una bara dei tempi passati, imbottita all’interno.
Una bara per statue.
Lesbocop alza la testa, i nostri sguardi si incrociano, dà un colpetto di tosse. Marika si gira verso di lei, “abbiamo bussato.”
Poggio la busta del ferramenta a terra, tra i piedi. “Siete in anticipo.”
Marika si volta, fa un tiro. “L’acquirente era impaziente.”
“L’acquirente o Marika De Rossi? Ah, già. Qui ti fai chiamare Marika Thoresy.”
Marika increspa il labbro, un arco asimmetrico di fastidio scopre le faccette ceramiche che coprono i denti da fumatrice. Lesbocop la affianca.
“Ci ho ripensato, Calei è mia. Non vendo. Di’ a Don Nino che gli mando una scultura a settimana se vuole. Pure il Vito Corleone uno a uno che non volevo fargli.”
Marika fa schizzare via il mozzicone con uno scatto dell’indice. “Calei è già venduta,” indica il suo petto, “a me. In cambio ho acquisito i tuoi debiti. Vedi, Don Nino è un coglione.”
“Perché non sa quanto vale Calei?”
“E anche perché continua a fidarsi di me.” Marika sfiora la spalla di Lesbocop, che sussulta, “Voglio riconoscere i tuoi meriti. Aiuta Rachel a caricarla e considererò annullati tutti i debiti che hai con me.”
“Calei non finirà sulle vetrine di McDonalds o in una pubblicità di supposte. Mai.”
Marika fa no con l’indice, “Calei diventerà tutto quello che mister McDonalds o Lady Coca-Cola vorranno. A me i soldi, a te la fama.”
Stringo i piedi attorno al sacchetto del ferramenta, attorno alla bottiglia di plastica.
Marika si sporge per guardare nella busta, “che hai lì?”
Bloccandola con i piedi, svito la bottiglia. Il tappo anti-bambino gracchia.
Track.
Track.
Track.
Sfilo dalla busta la bottiglia di acido per gli scarichi. “Brindiamo?” Sollevo la bottiglia come un calice, “Alla morte di Calei!”.
Marika schiocca le dita, “Rachel!”

Lesbocop mi si fionda addosso. Piego la bottiglia all’indietro, ad altezza lancio di molotov. Una boccata di acido esce e cade alle mie spalle.
Imprimo lo slancio, la torsione che daresti a una frusta, Lesbocop a un passo.
La bottiglia, stretta in mano, percorre un arco; dalla bocca sventaglia liquido color caramello.
Lesbocop mi placca, facendomi rinculare e piegare, ma dando al braccio ulteriore spinta.
Mezza bottiglia di acido erutta in una raffica di gocce e schizzi color whisky. La bordata scavalca Lesbocop.
Marika spalanca la bocca in un urlo che non esce, d’istinto guizza su un lato, si piazza tra Calei e l’acido.
Uno splash solforico si infrange sul viso di Marika, sulle guance, nella bocca, sul tailleur antracite, sul cravattino vermiglione. Un grosso cazzotto acido schiantato sulla faccia perfetta della gallerista.
Marika collassa, si accartoccia su sé stessa con la testa fumante, come una delle torri gemelle.
Lesbocop mi molla il polso, allarga le braccia e la bocca in un’espressione di terrore. Vola da Marika. Nella testa di Lesbocop, di Rachel, io non esisto più.
Poggio a terra la bottiglia alleggerita.

Le braccia e le mani di Calei sono crivellate di puntolini e chiazze effervescenti. Il viso, le spalle, il seno, il ventre intonsi. La spuma del marmo corroso, il suo contrasto con le parti intatte, staglia sul marmo la sagoma di Marika.
Il viso di Marika sfrigola, nascosto da una maschera di fili di fumo che si impennano e si increspano a mezz’aria. Lo studio odora di pelle sciolta, di peli bruciati, di stoffa Gucci erosa.
Il petto di Marika sale e scende in cicli corti e spasmodici. Le braccia, le gambe nelle calze bucherellate tremano. I piedi scalzi sbatacchiano, una scarpa già volata via.
Il petto di Marika si dilata, un bottone della giacca salta.
Il petto si svuota, emettendo l’aria in un lungo gorgoglio
Marika diventa immobile, la sua faccia continua a fumare.
Rachel si china, poggia la mano sul viso di Marika. Sotto il fumo corrosivo, la mano sfrigola. La carezza fa il suono melmoso di un grumo di pittura che scivola dalla tela.
Rachel si alza, scuote la testa come un cane bagnato, gli occhiali volano via. Occhi lucidi, iridi zaffiro coronate da una ragnatela di capillari irritati.
Rachel mi inchioda con gli occhi, digrigna i denti, stringe i pugni.
La mano della carezza, serrata, gronda sangue. Una spugna tirata fuori da un secchio di frattaglie e strizzata.
Sangue di Marika, sangue di Rachel.
La mano sana si intrufola sotto la giacca, riemerge con una pistola tremante.
Due esplosioni mi squassano i timpani.
Sul mio addome si apre un buco. Sulla coscia, un altro. Due schizzi di sangue, uno per foro. La sensazione di essere su un ascensore che scende troppo veloce.
Rachel punta ancora la pistola fumante.
Dalle ferite, il sangue esce in rigagnoli pigri. L’ascensore accelera da far fischiare le orecchie, da rendere i muscoli delle gambe creta fresca.
Mi piego in avanti, cado di lato sguazzando in una pozzanghera di sangue. Il sangue rosso mi copre, come il drappo copre Calei. Sono pieno di buchi, come Calei.
L’artista che diventa arte che diventa prodotto.
La testa leggera come se stessi respirando elio da tutta la vita. Le palpebre pesanti, gusci di piombo.
Un terzo boato squassa lo studio, mi scuote dal torpore.
Rachel cade, di faccia, su Marika. La treccia di capelli tranciata in un mozzicone, al posto del cranio una mezza calotta gocciolante.

Calei ridotta a un Pollock di sangue e ossa scheggiate. Tra i seni, in un occhiello di roccia frastagliata, si è incastrato il proiettile.
Stringo i denti, contraggo i muscoli del collo, del cranio. Tutto questo solo per tenere su le palpebre.
La statua crepita, cade una polverina avorio. Dal foro di proiettile si allarga una frattura, si spande con uno schianto secco lungo le venature.
La parte destra della statua si sbriciola, frana in una nuvola di polvere e scaglie. La parte sinistra ancora in piedi, le venature trasformate in una ragnatela di crepe.
Calei, da quel che resta del suo volto, dall’unico occhio, mi osserva. Sbiancata dalla polvere, coperta da quel fondotinta fatto di sé stessa. Solo uno schizzo di sangue risalta ancora sul viso, si allunga dallo spigolo della mezza bocca a salire, come una virgola.
Come un sorriso.
Sorrido anch’io e chiudo gli occhi.

– Fine –


In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Giacomo Puca
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Re: Divisioni

Messaggio#2 » domenica 18 ottobre 2020, 22:57

Concorro per entrambi i bonus:
Narrazione in prima persona
Personaggio stravagante (Rachel, ma anche lo stesso protagonista)
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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MatteoMantoani
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Re: Divisioni

Messaggio#3 » mercoledì 21 ottobre 2020, 22:25

Ciao Giacomo, piacere di leggerti. È con molta amarezza che mi accingo a commentare il tuo racconto, per il fatto che trovo l’idea molto buona, ma sviluppata malissimo. La bellezza ridotta a forma di caricatura per scopi pubblicitari è certamente un’interpretazione davvero originale del tema della gara, però la forma della narrazione è davvero carente. Ho faticato molto durante la lettura, sia a causa di errori nel descrivere le scene (vedi il mio commento puntuale), sia a causa della costruzione delle frasi: descrizione, ridescrizione, ridescrizione. Perché? Tagliare! Tagliare! Tagliare! Ho visto anche delle similitudini assolutamente inutili (allusioni alle Torri Gemelle), che non fanno altro che appesantire la trama. Inoltre c’è un difetto evidente che distrugge l’attenzione, infatti a metà racconto (in corrispondenza della farmacia), sveli il finale! Come conseguenza la seconda metà del racconto è del tutto inutile. Ci sono anche alcuni piccoli errori che una rilettura attenta avrebbero di sicuro risolto. Davvero un peccato, ripeto, perché l’idea di base mi è piaciuta molto. Ti consiglio veramente di riprovarci e di affinare il tuo stile. Sono sicuro che con idee come questa ma messe giù meglio avrai molto più successo.

Ecco il mio commento puntuale.

labbra dello stesso rosso stringono una sigaretta spenta
Fin qua descrizione pesantissima. Potevi rendere tutto in due frasi senza perdere dettagli utili a figurarsi il personaggio.

alla barba non fatta da mesi.
Problema di pdv. Marika guarda il protagonista che porta la voce narrante e mentre lo fa il tizio elenca tutti i suoi difetti. No, se vuoi descrivere il personaggio che porta il pdv devi usare altri espedienti. La prima persona è rognosa per questo motivo e sbagliare è facile.

Una sagoma ovale si frappone fra noi
Metti i due punti e non il punto dopo questa frase, altrimenti uno non collega le due cose e non capisce cosa sia la sagoma. Poi: possibile che compaia solo adesso? La saracinesca implica uno spazio ampio, la persona si era nascosta dietro il muro e fa lo scherzone di comparire di colpo? Soprattutto: perché una persona dovrebbe avere forma ovale? Subito dopo infatti dici che ha la forma di una botte…

Mi piego di lato aggirando la cicciona
Chi è? Mister Fantastic? Casomai: “Mi sposto di lato per guardare Marika in faccia”

Marika fa scintillare un accendino
Nei beat non serve specificare chi compie l’azione, altrimenti i beat non servirebbero a niente!

Una pistola, una donna. La sublimazione del femminismo radicale.
Te lo segnalo solo qui, ma questo vale anche più avanti. Evita frasi del genere, suonano come se il personaggio si girasse a una platea invisibile e facesse una battuta. Non funziona, fa prosa teatrale e non narrativa.

Lesbocop si gira, a un cenno di Marika si fa da parte.
Perché si gira? Basta dire: “a un cenno di Marika Lesbocop si fa da parte”.

mi copro dal sole con la mano
Quindi proteggi il sole dal tuo splendore. Semmai è il contrario: “copro il sole con la mano”, oppure “copro gli occhi per proteggermi dalla luce”, “mi proteggo dal sole”; e comunque perché lo fa adesso quando la saracinesca è aperta da mezzora?

“Consulente.”
Si fa riferimento a una persona in particolare? Non si capisce. Magari specifica prima: “Mi aspettavo Calogero Raggetti.”; “Non c’è più, è un consulente”…

Marika punta l’indice verso il fabbricato, verso il garage in cui vivo. Col dito traccia un cerchio immaginario
La segnalo qui, ma vale anche più avanti. Evita di spiegare la stessa cosa due-tre volte: “Marika punta l’indice verso il garage e traccia un cerchio immaginario.” Punto! E comunque, attenzione: come fa a indicare una cosa come se fosse all’esterno quando ci è dentro?

come farebbe un concierge.
Altra azione ripetuta più volte: taglia, taglia, taglia…

Tamigi
Sul momento mi sono fermato a pensare, poi ho dedotto che il riferimento al Tamigi sta a significare che siamo a Londra. Il fatto che uno debba fermarsi a pensare è un problema grosso. Fai capire che siamo a Londra prima, parli di italiani e di camorristi, come faccio a capire che siamo a Londra?

Rachel si muove come un cane anti-bomba, lasciando le sue orme sulla polvere che invade il pavimento
Chi è Rachel? Finora parli di lei come Lesbo-cop.

L’odore della crema mani biologica, silicon-free, gluten-free come una maschera antigas.
Chi sente questi odori? Marika? Il pdv è sullo scultore e siamo in prima persona: non possiamo sentire gli odori che sente Marika a meno che non li senta anche il pdv. Comunque manca qualcosa che colleghi questa frase alle precedenti.

Lesbocop gira attorno al fagotto rosso a centro stanza. Solleva il collo per vedere se c’è qualcosa in cima al telo, all’altezza di Marika in tacchi più un palmo. Si mette sulle punte.
L’ho letta tante volte, ma non ho capito niente. Fagotto indica qualcosa di piccolo, che si può trasportare. Direi piuttosto “scultura coperta dal drappo rosso”, poi parli di altezza di Marika in tacchi più un palmo. Non so quanto è alta Marika, non so che tacchi ha e non so quant’è un palmo. Rendo l’idea?

Lesbocop solleva i cuscini rosa fenicottero, li spreme, contempla la lanugine sul telaio del divanetto. Si gratta il collo, gira su sé stessa, si ferma in direzione dei finestroni. Rettangoli di vetro punteggiato dal fango, piazzati in alto tra soffitto e parete, coperti da una griglia metallica a rombi.
Passaggio pesantissimo. Il secondo periodo (si gratta il collo) è inutile. Sarebbe meglio alleggerirla, soprattutto la nota struttura a tre descrizioni dell’ultima frase. Tagliare, tagliare, tagliare.

Il genere di tavolo grande come quello che useresti la domenica coi parenti, sormontato da un Taj Mahal di lattine di birra, con la cupola che sfiora il soffitto.
A parte il discorso alla platea invisibile, secondo me un dettaglio del genere dovrebbe saltare all’occhio subito, prima dei cuscini del divano, e non alla fine: dovrebbe essere la prima cosa che tutti notano entrando nello studio, assieme alle altre n-mila sculture dello stesso tipo.

“ottantamila sterline di materiale e hai solo questa cosetta?”
Cosetta? È alta un palmo più tacchi più Marika… mi sembra abbastanza grande!

Poggio una mano sulla sua, i calli arpionano la pelle liscia di Marika come ruote chiodate.
Scopo di questo contatto?

Apre la pochette e tira fuori uno specchio a conchiglia, dello stesso rosso delle unghie delle labbra. Persino delle suole.
Taglia, taglia, taglia!

Marika che smette di guardarsi riflessa perché ho stretto il drappo tra due dita
Cioè porge di nuovo l’attenzione su di me? Non si capisce.

Marika mi guarda con la sufficienza riservata a un’estetista che si prende troppe confidenze mentre lima l’unghia di un alluce.
Non ho capito l’allusione.

con cui Calei si copre l’inguine.
Chi è Calei?

Marika avvicina le labbra a quelle di Calei, le sfiora, aspetta che la statua faccia la sua parte nel bacio.
Come fa? Non abbiamo detto che la statua è alta lei coi tacchi più un palmo?

Mi fermo qui, altrimenti comincerei davvero a segnarti ogni riga. Spero di averti dato consigli utili e scusa se sono stato brusco. Il fatto è che le batoste aiutano tanto a migliorarsi: le ho provate sulla mia pelle, perché fino a poco tempo fa scrivevo come te. Se fossero stati tutti sinceri con me, avrei perso molto meno tempo a fare sempre gli stessi errori.

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Giacomo Puca
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Re: Divisioni

Messaggio#4 » giovedì 22 ottobre 2020, 3:01

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Ciago Mentis, grazie per aver trovato il tempo di analizzare il mio testo. Mi dispiace averti cagionato amarezza. Ammetto però che ho trovato una buona metà dei tuoi commenti inscrivibili in uno spettro che va dall'opinabile all'assurdo. Eviterò di commentare i punti su cui mi trovo particolarmente d'accordo con te, o comunque le critiche che ritengo plausibili anche senza condividerle.

-Torri gemelle: è una metafora per far capire che il modo in cui cade. Collassa su sé stessa con la testa in fumo. Questo evento scioccante viene immediatamente connesso nella mente del pdv con un altro shock che ha sperimentato, cioè 11-09.

-Non posso aver svelato il finale perché né scultore né lettore possono prevedere la presenza anticipata delle donne, il cambio di proprietà della statua...

-La parte in cui il narratore accenna al suo aspetto l'ho pensata appositamente per giustificare l'auto-descrizione, mi è sembrato assurdo vederla considerata come difetto. Ho creato prima la scena in cui lui, seguendo la serranda salire, osserva la donna. Poi osserva la donna che lo guarda da testa a piedi. Se tu fossi davanti a una donna vestita alla perfezione che ti squadra, non penseresti a quanto sciattamente sei vestito? Tu no? Beato te, quando sono mal vestito e qualcuno mi guarda, penso di continuo a quanto male sia vestito o alla barba incolta...

-Una sagoma ovale si frappone fra noi
L'idea era l'essere talmente concentrati su Marika da accorgersi di Lesbocop solo quando si muove.

-Nei beat non serve specificare chi compie l’azione, altrimenti i beat non servirebbero a niente!
Qui te lo dico, ho riso. Il beat, pensato per associare la battuta ad un soggetto, evitando i verba dicendi... non vorrebbe soggetto. Serio? Serio?
Chiediamolo agli autori che suppongo tu frequenti molto, come me d'altronde→
-Cestaro si accuccia accanto al secchio e con la spatola mescola la colla «Guarda che così mi offendo Misure giuste, certo.»
Da "la mia vita con le blatte", Simone Corà.

-Seth raccoglie la lanterna. «Facevamo bene a finire di leggere le tavolette.»
Da "sangue del mio sangue", Giuseppe menconi.

-Dante sussultò e si voltò verso il prete. "Anch'io vorrei dire qualche parola, se il sacerdote e il padrone di casa lo consentono.
Da "Eternal war 3 - il sangue sul giglio", Livio Gambarini.

-Una pistola, una donna. La sublimazione del femminismo radicale.
Qui non saprei se darti ragione. Io lo ritengo un fraseggio mentale del narratore. Ci sta però che possa non piacerti.

Lesbocop si gira, a un cenno di Marika si fa da parte.
Serve dirlo perché Lesbocop dà le spalle a Marika. Quindi a meno che non abbia occhi sulla nuca, si gira verso Marika, e solo al suo cenno si fa da parte.

-mi copro dal sole con la mano
Altro appunto che mi ha fatto cadere dalla sedia. Che accidenti vuol dire "Quindi proteggi il sole dal tuo splendore"??
Allora la frase "mi riparo dal vento con la giacca" secondo la tua interpretazione, vorrebe dire che riparo il vento dalla mia ventosità?
Lui si copre solo adesso, perché adesso esco dall’ingresso. Finché sto nel garage il volto era ancora in ombra. Ci può stare che non sia chiaro, questo secondo punto.

-Consulente
Qui mi dispiace che non si sia capito, sono felice che tu l'abbia scritto perché mi aiuta a correggerlo. L'idea era che il pdv si aspettasse un banale "uomo" della camorra, lei sottolinea "consulente" riferendosi a sé stessa. Forse anche solo un "consulente, prego" avrebbe risolto.

-Tamigi.
Qui è difficile rispondere. L'idea è che l'ambientazione venga suggerita man mano nella storia. Dopotutto fino a questo momento non era particolarmente utile sapere in quale città si fosse. Comunque mi appunto che possa suonare straniante.

Rachel si muove come un cane anti-bomba, lasciando le sue orme sulla polvere che invade il pavimento
Chi è Rachel? Finora parli di lei come Lesbo-cop.
Grazie, qui il protagonista non ancora sa il nome della bodyguard. Mi è semplicemente scappata.

-L’odore della crema mani biologica, silicon-free, gluten-free come una maschera antigas.
Facci caso, non ho descritto odori. Il personaggio vede Marika coprirsi il naso col dito. E il personaggio immagina il perché: usare la sua crema da ricca per coprire l'odore. Lui non sente nulla.

-Fagotto indica qualcosa di piccolo, che si può trasportare.
Treccani: fagòtto1 s. m. [forse affine al gr. ϕάκελος «fascio, fastello»]. – 1. Involto di roba, piuttosto grosso e fatto alla meglio. Ci sta che sia ambiguo, ma di certo il termine non implica necessariamente qualcosa di piccolo.

-“ottantamila sterline di materiale e hai solo questa cosetta?”
Secondo te, ottantamila sterline di materiale e presentarsi con una statua alta meno di due metri è ovvio? Parliamo di marmo, non platino.

-Poggio una mano sulla sua, i calli arpionano la pelle liscia di Marika come ruote chiodate.
Scopo di questo contatto?
Evitare che marika scopra la statua. Vuol essere lui a farlo, facendola osservare dalla poltrona.

-Marika che smette di guardarsi riflessa perché ho stretto il drappo tra due dita
Cioè porge di nuovo l’attenzione su di me? Non si capisce.
Sì. Marika si guarda nello specchio, nota che il personaggio ha preso il drappo allora sposta l'attenzione su di lui.

-Marika mi guarda con la sufficienza riservata a un’estetista che si prende troppe confidenze mentre lima l’unghia di un alluce.
Non ho capito l’allusione.
Qui siamo nel fraseggio mentale del pdv come prima. Si immagina che lo sguardo di sufficienza che Marika gli riserva, sia il medesimo riservato a un'estetista.

-Marika avvicina le labbra a quelle di Calei, le sfiora, aspetta che la statua faccia la sua parte nel bacio.
Come fa? Non abbiamo detto che la statua è alta lei coi tacchi più un palmo?
Non mi sembra una distanza tale da impedire un bacio. Se avessi messo che Marika tende il collo, si mette con le punte avrei avuto come commento taglia, taglia, taglia...

-con cui Calei si copre l’inguine.
Chi è Calei?
Il pdv mostra i movimenti delle mani di Marika, così che anche il lettore capisca come sia fatta la statua. Incollo il passaggio:
Con le dita tremanti sfiora il volto femminile scolpito. Coi polpastrelli segue la venatura grigia del marmo, che disegna il filo del naso, che scinde le labbra in metà identiche. La venatura grigia si ramifica sul collo, si espande sul petto come il delta di un fiume d’oro. Venuzze brillanti scivolano nella stretta gola tra i seni di pietra per affondare giù, sotto il drappo scolpito con cui Calei si copre l’inguine.
Mi sembra strano non capire chi sia Calei, visto che pdv sta descrivendo minuziosamente una statua femminile, l'unica statua femminile presente...
E comunque, letteralmente il rigo dopo:
“Come si chiama?”
“Calei”


Mi fa piacere che fino a poco fa scrivessi come me, io fino a poco fa scrivevo molto peggio di così ed è stato duro arrivare a questo punto. Però tant'è...

Grazie del tempo che hai dedicato al mio racconto, pur essendo spesso in disaccordo con te ne ho ricavato parecchie indicazioni utili.
Alla prossima.
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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MatteoMantoani
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Re: Divisioni

Messaggio#5 » giovedì 22 ottobre 2020, 7:49

Ciago Mentis, grazie per aver trovato il tempo di analizzare il mio testo. Mi dispiace averti cagionato amarezza. Ammetto però che ho trovato una buona metà dei tuoi commenti inscrivibili in uno spettro che va dall'opinabile all'assurdo. Eviterò di commentare i punti su cui mi trovo particolarmente d'accordo con te, o comunque le critiche che ritengo plausibili anche senza condividerle.


Ciao Giacomo,
grazie per aver commentato sopra ai miei commenti, mi dai l'opportunità di imparare a distinguere gli errori veri da quelli che mi figuro io per miei errori di comprensione.
Vorrei spiegarmi meglio in alcuni punti.

-Torri gemelle: è una metafora per far capire che il modo in cui cade. Collassa su sé stessa con la testa in fumo. Questo evento scioccante viene immediatamente connesso nella mente del pdv con un altro shock che ha sperimentato, cioè 11-09.

Ora che me l'hai spiegato capisco il senso di quella similitudine. Però ancora ti consiglio di rivederla: l'allusione a un fatto reale come l'attacco alle Torri Gemelle è un po' troppo forte e svia l'attenzione. Una similitudine deve riuscire a cogliere un particolare che dura veramente una frazione di secondo; in genere io le uso solo se costretto.

-Non posso aver svelato il finale perché né scultore né lettore possono prevedere la presenza anticipata delle donne, il cambio di proprietà della statua...

Guarda, mi spiego meglio e vado a prendere la frase esatta:
Non esiste al mondo che Calei possa fare questa fine. Zero possibilità.
Qui ho capito che sarebbe tornato a casa a distruggere la statua. Mi sembra evidente. Se togliessi questa frase o scrivessi invece qualcosa di un pochino più ambiguo per lasciare ancora il dubbio il racconto ne guadagnerebbe.

Se tu fossi davanti a una donna vestita alla perfezione che ti squadra, non penseresti a quanto sciattamente sei vestito? Tu no? Beato te, quando sono mal vestito e qualcuno mi guarda, penso di continuo a quanto male sia vestito o alla barba incolta...

Il fatto è che qui è un po' troppo: come hai detto tu al massimo uno pensa "oddio mi sta squadrando perché sono sciatto", qui invece lui riesce persino a capire quale dettaglio lei vede con lo sguardo. Scusa, sarò io ma mi sembra un po' una forzatura.

-Una sagoma ovale si frappone fra noi
L'idea era l'essere talmente concentrati su Marika da accorgersi di Lesbocop solo quando si muove.

Mi sembra un pochino irrealistico. La sensazione che lasci per la comparsa fulminea di un personaggio è un po' spaesante. Introdurrei appunto la "sagoma" nello stesso momento in cui la saracinesca si apre... oppure questa Marika è talmente figa che persino la vista dei suoi piedi isola le mie percezioni del resto del mondo?

-Nei beat non serve specificare chi compie l’azione, altrimenti i beat non servirebbero a niente!
Qui te lo dico, ho riso. Il beat, pensato per associare la battuta ad un soggetto, evitando i verba dicendi... non vorrebbe soggetto. Serio? Serio?
Chiediamolo agli autori che suppongo tu frequenti molto, come me d'altronde→
-Cestaro si accuccia accanto al secchio e con la spatola mescola la colla «Guarda che così mi offendo Misure giuste, certo.»
Da "la mia vita con le blatte", Simone Corà.

-Seth raccoglie la lanterna. «Facevamo bene a finire di leggere le tavolette.»
Da "sangue del mio sangue", Giuseppe menconi.

-Dante sussultò e si voltò verso il prete. "Anch'io vorrei dire qualche parola, se il sacerdote e il padrone di casa lo consentono.
Da "Eternal war 3 - il sangue sul giglio", Livio Gambarini.

Qui mi sono espresso male e ho scritto una mezza cazzata. Me ne sono accorto solo dopo aver postato. Il fatto è che tu avevi già scritto Marika poco prima, e questa ripetizione nel beat si nota. Si capisce che è Marika a parlare, anche se levi quella specificazione il pezzo non ne risente.

-Una pistola, una donna. La sublimazione del femminismo radicale.
Qui non saprei se darti ragione. Io lo ritengo un fraseggio mentale del narratore. Ci sta però che possa non piacerti.

Fa veramente tanto battuta da teatro, non fraseggio mentale. Saranno gusti, come dici tu.

Lesbocop si gira, a un cenno di Marika si fa da parte.
Serve dirlo perché Lesbocop dà le spalle a Marika. Quindi a meno che non abbia occhi sulla nuca, si gira verso Marika, e solo al suo cenno si fa da parte.

OK, ma da come lo dici sembra che si giri con uno scopo preciso e non si capisce qual è

-mi copro dal sole con la mano
Altro appunto che mi ha fatto cadere dalla sedia. Che accidenti vuol dire "Quindi proteggi il sole dal tuo splendore"??
Allora la frase "mi riparo dal vento con la giacca" secondo la tua interpretazione, vorrebe dire che riparo il vento dalla mia ventosità?
Lui si copre solo adesso, perché adesso esco dall’ingresso. Finché sto nel garage il volto era ancora in ombra. Ci può stare che non sia chiaro, questo secondo punto.

Guarda, sarò io ma il verbo coprire mi fa pensare a nascondere interamente qualcosa, quindi il sole (che è piccolo) e non tutta la tua figura. Infatti ci si copre gli occhi dal sole (che sono piccoli e possono venire coperti dalla mano). Anche qui forse sono seghe mentali. Però è quello che pensavo quando leggevo.
No, non si capisce che stanno uscendo.

-Tamigi.
Qui è difficile rispondere. L'idea è che l'ambientazione venga suggerita man mano nella storia. Dopotutto fino a questo momento non era particolarmente utile sapere in quale città si fosse. Comunque mi appunto che possa suonare straniante.

Magari allora spiega dopo che sei a Londra, qui sì, mi ha un po' stranito

-L’odore della crema mani biologica, silicon-free, gluten-free come una maschera antigas.
Facci caso, non ho descritto odori. Il personaggio vede Marika coprirsi il naso col dito. E il personaggio immagina il perché: usare la sua crema da ricca per coprire l'odore. Lui non sente nulla.

Ho capito quello che intendi, però anche qui secondo me è un po' troppo, descrivi questo odore come se lo sentissi anche tu, e non puoi, oppure se puoi avresti dovuto introdurlo prima, appena Marika ti passa vicino o qualcosa del genere.

-Fagotto indica qualcosa di piccolo, che si può trasportare.
Treccani: fagòtto1 s. m. [forse affine al gr. ϕάκελος «fascio, fastello»]. – 1. Involto di roba, piuttosto grosso e fatto alla meglio. Ci sta che sia ambiguo, ma di certo il termine non implica necessariamente qualcosa di piccolo.

Ci sta, forse qui mi sono figurato io male qualcosa perché ho sempre pensato a "fagotti" come qualcosa di trasportabile.

-“ottantamila sterline di materiale e hai solo questa cosetta?”
Secondo te, ottantamila sterline di materiale e presentarsi con una statua alta meno di due metri è ovvio? Parliamo di marmo, non platino.

Non so, mi sembra ancora una frase che andrebbe riformulata. Hai appena detto che la statua è più alta di Marika, poi lei dice "cosetta". Ok, lo fa in relazione al prezzo del materiale, ma io che ne so quanto costa il marmo? Guarda, lascia stare, forse anche qui sono io che mi complico la vita.

-Poggio una mano sulla sua, i calli arpionano la pelle liscia di Marika come ruote chiodate.
Scopo di questo contatto?
Evitare che marika scopra la statua. Vuol essere lui a farlo, facendola osservare dalla poltrona.

Meglio esplicitarlo allora: "La fermo posando la mia mano sulla sua". Ti farei anche notare che il commento tattile che descrivi sembra più una sensazione di Marika che del pdv.

-Marika che smette di guardarsi riflessa perché ho stretto il drappo tra due dita
Cioè porge di nuovo l’attenzione su di me? Non si capisce.
Sì. Marika si guarda nello specchio, nota che il personaggio ha preso il drappo allora sposta l'attenzione su di lui.

Sì ma è una frase complicatissima da seguire. Lui si accorge di una cosa dal modo in cui se ne accorge Lesbocop... non fa prima ad accorgersi che Marika smette di specchiarsi e basta? E poi, se si sta specchiando, come fa a vederti?

-Marika mi guarda con la sufficienza riservata a un’estetista che si prende troppe confidenze mentre lima l’unghia di un alluce.
Non ho capito l’allusione.
Qui siamo nel fraseggio mentale del pdv come prima. Si immagina che lo sguardo di sufficienza che Marika gli riserva, sia il medesimo riservato a un'estetista.

Ok. Complicatissimo. Taglia, taglia, taglia ;)

-Marika avvicina le labbra a quelle di Calei, le sfiora, aspetta che la statua faccia la sua parte nel bacio.
Come fa? Non abbiamo detto che la statua è alta lei coi tacchi più un palmo?
Non mi sembra una distanza tale da impedire un bacio. Se avessi messo che Marika tende il collo, si mette con le punte avrei avuto come commento taglia, taglia, taglia...

Qua invece avrei preferito che avessi specificato che allunga il collo :) Mi avresti risolto la sega mentale di capire come fa a raggiungere le labbra essendo (molto) più in alto di lei. Io ho un film mentale in testa, e me lo devi rendere coerente...

-con cui Calei si copre l’inguine.
Chi è Calei?
Il pdv mostra i movimenti delle mani di Marika, così che anche il lettore capisca come sia fatta la statua. Incollo il passaggio:
Con le dita tremanti sfiora il volto femminile scolpito. Coi polpastrelli segue la venatura grigia del marmo, che disegna il filo del naso, che scinde le labbra in metà identiche. La venatura grigia si ramifica sul collo, si espande sul petto come il delta di un fiume d’oro. Venuzze brillanti scivolano nella stretta gola tra i seni di pietra per affondare giù, sotto il drappo scolpito con cui Calei si copre l’inguine.
Mi sembra strano non capire chi sia Calei, visto che pdv sta descrivendo minuziosamente una statua femminile, l'unica statua femminile presente...
E comunque, letteralmente il rigo dopo:
“Come si chiama?”
“Calei”


Sì, lo so che lo dici anche dopo, allora cosa serve dirlo anche qui? Giuro, la prima cosa che ho pensato è stata: "Ma chi è questa Calei?", sarà colpa mia che non do un nome alle statue.

Mi fa piacere che fino a poco fa scrivessi come me, io fino a poco fa scrivevo molto peggio di così ed è stato duro arrivare a questo punto. Però tant'è...
Grazie del tempo che hai dedicato al mio racconto, pur essendo spesso in disaccordo con te ne ho ricavato parecchie indicazioni utili.
Alla prossima.

Spero che la frase non ti sia sembrata spocchiosa, lungi da me a decantarmi come esperto: sono un principiante, e ti assicuro che fino a poco tempo fa scrivevo da canissimo (e forse ancora, non lo so, sono qui per scoprirlo) e le batoste mi sono servite. Per questo mi arrogo il diritto di fare agli altri quello che gli altri hanno fatto a me: perché mi è servito. Il mio scopo è imparare, sono qui per questo. Se mai ti dovesse capitare di leggere un mio lavoro ti invito a massacrarlo come io ho fatto col tuo.

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Giacomo Puca
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Re: Divisioni

Messaggio#6 » lunedì 26 ottobre 2020, 18:01

Eccomi Mentis, scusa se rispondo solo adesso. Vedo di analizzare brevemente qualche punto.

MentisKarakorum ha scritto:

-Non posso aver svelato il finale perché né scultore né lettore possono prevedere la presenza anticipata delle donne, il cambio di proprietà della statua...

Guarda, mi spiego meglio e vado a prendere la frase esatta:
Non esiste al mondo che Calei possa fare questa fine. Zero possibilità.
Qui ho capito che sarebbe tornato a casa a distruggere la statua. Mi sembra evidente. Se togliessi questa frase o scrivessi invece qualcosa di un pochino più ambiguo per lasciare ancora il dubbio il racconto ne guadagnerebbe.


La tua idea è interessante, e tra l'altro è una idea che avevo anche avuto. Il problema sta nel fatto che, in una narrazione in prima persona, nascondere in modo così plateale le informazioni è una scelta mediocre. Immagina di essere il pdv: decidi di distruggere la statua, ma pur di nascondere la cosa al lettore, l'informazione non emerge mai dal fraseggio mentale? Nemmeno velatamente? Come potresti pensare a qualcosa ed escluderla dal fraseggio?


Qui mi sono espresso male e ho scritto una mezza cazzata. Me ne sono accorto solo dopo aver postato. Il fatto è che tu avevi già scritto Marika poco prima, e questa ripetizione nel beat si nota. Si capisce che è Marika a parlare, anche se levi quella specificazione il pezzo non ne risente.


Mi cito:
Mi piego di lato aggirando la cicciona, la indico a Marika. “Questa chi è, Lesbocop?”
“Dopo tanti bodyguard palle-muniti,” Marika fa scintillare un accendino, “ho capito che fede cieca e scroto non puoi trovarli nella stessa persona.”


Qui ritengo che l'unica posizione che potresti difendere non è tanto esprimere o meno il soggetto nel beat, ma escludere del tutto il beat→
Mi piego di lato aggirando la cicciona, la indico a Marika. “Questa chi è, Lesbocop?”
“Dopo tanti bodyguard palle-muniti, ho capito che fede cieca e scroto non puoi trovarli nella stessa persona.”

Funziona, ma preferisco comunque l'uso del beat. Infatti qui il beat non l'ho messo per attribuire la battuta, ma per ritmarla. Prova a rileggere le due versioni, vedrai che quando uso il beat la seconda parte ha più enfasi. Al massimo farei in modo di togliere il primo Marika per evitare la ripetizione.

Lesbocop si gira, a un cenno di Marika si fa da parte.
Serve dirlo perché Lesbocop dà le spalle a Marika. Quindi a meno che non abbia occhi sulla nuca, si gira verso Marika, e solo al suo cenno si fa da parte.
OK, ma da come lo dici sembra che si giri con uno scopo preciso e non si capisce qual è


L'idea è che la bodyguard d'istinto vada a frapporsi tra padrona e possibile minaccia, poi si giri per prendere ordini, come a dire "adesso che faccio?"
---
Grazie ancora per il tempo. Ammetto che il primo commento mi aveva infastidito per via del mix di "correzioni" opinabili e un tono di velata superiorità. Sono da poco sul forum ma se cerchi i miei primi commenti ho fatto "correzioni" ancora più lunghe e cavillose, e ho imparato in fretta che ci vuol tatto. Comunque, mi è passata. È sempre prezioso avere un così attento commentatore dei propri testi: so quanto tempo ci voglia e lo apprezzo.


Un saluto,
Giacomo
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Re: Divisioni

Messaggio#7 » lunedì 26 ottobre 2020, 18:19

La tua idea è interessante, e tra l'altro è una idea che avevo anche avuto. Il problema sta nel fatto che, in una narrazione in prima persona, nascondere in modo così plateale le informazioni è una scelta mediocre. Immagina di essere il pdv: decidi di distruggere la statua, ma pur di nascondere la cosa al lettore, l'informazione non emerge mai dal fraseggio mentale? Nemmeno velatamente? Come potresti pensare a qualcosa ed escluderla dal fraseggio?

Non sono proprio d'accordo. Va bene scrivere in modo immersivo, ma avere il controllo di quello che si scrive è pur sempre il fulcro di tutto. Sei tu che decidi cosa mostrare, tu modelli il personaggio e la storia. Certo, il tutto deve essere coerente, ma una piccola omissione non è necessariamente una caduta di stile, specie se aiuta a creare la giusta tensione per arrivare al finale.

Grazie ancora per il tempo. Ammetto che il primo commento mi aveva infastidito per via del mix di "correzioni" opinabili e un tono di velata superiorità. Sono da poco sul forum ma se cerchi i miei primi commenti ho fatto "correzioni" ancora più lunghe e cavillose, e ho imparato in fretta che ci vuol tatto. Comunque, mi è passata. È sempre prezioso avere un così attento commentatore dei propri testi: so quanto tempo ci voglia e lo apprezzo.


Lungi da me atteggiarmi a superiore. Se i miei commenti ti hanno messo a disagio sono molto dispiaciuto e mi scuso. Anche per me sono le prime esperienze e ricevere feedback mi aiuta a correggere il tiro. Forse mi sono lasciato andare troppo dall'emozione perché ripeto: ho veramente trovato la tua idea di base brillante, ma ho trovato la lettura del racconto molto difficoltosa per i motivi che ti ho spiegato. Spero che nel bene o nel male i miei commenti ti siano comunque serviti, e sì, ci ho messo dell'impegno. Massacra pure i miei racconti, fammi trovare i difetti e le cose che non funzionano in quello che scrivo: solo dal confronto nasce crescita.
Ho trovato la nostra discussione molto stimolante, spero che non sarà l'ultima. Buon lavoro e buona fortuna!

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Davide Di Tullio
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Re: Divisioni

Messaggio#8 » lunedì 26 ottobre 2020, 21:41

Ciao Giacomo

anche a sto giro mi tocca commentarti. Comincerai ad odiarmi! :-D. Il tuo racconto mi ha convinto. A parte qualche ingenuità (la sigaretta spenta, che nella scena successiva è magicamente accesa e altre minuzie) ha una connotazione ben definita: una posta in gioco chiara, il conflitto e il PDV Tematico del protagonista, tutte caratteristiche che rendono il racconto godibile (non so quanto consapevolmente tu abbia pensato a questi aspetti, ma ci sono e ti invito a rifletterci ogni qualvolta progetti una storia, perché funziona e si vede). Anche lo stilema, sebbene non pulitissimo (si può fare sempre meglio) funziona ai fini dell'immersione. Il PDV tematico è la cosa è piaciuta di più. Una buona intuizione, niente affatto banale, un tema a cui mi sento personalmente molto vicino.

Una buona prova!

a rileggerci!

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Re: Divisioni

Messaggio#9 » lunedì 26 ottobre 2020, 22:39

Davide Di Tullio ha scritto:Ciao Giacomo

anche a sto giro mi tocca commentarti. Comincerai ad odiarmi! :-D. Il tuo racconto mi ha convinto. A parte qualche ingenuità (la sigaretta spenta, che nella scena successiva è magicamente accesa e altre minuzie) ha una connotazione ben definita: una posta in gioco chiara, il conflitto e il PDV Tematico del protagonista, tutte caratteristiche che rendono il racconto godibile (non so quanto consapevolmente tu abbia pensato a questi aspetti, ma ci sono e ti invito a rifletterci ogni qualvolta progetti una storia, perché funziona e si vede). Anche lo stilema, sebbene non pulitissimo (si può fare sempre meglio) funziona ai fini dell'immersione. Il PDV tematico è la cosa è piaciuta di più. Una buona intuizione, niente affatto banale, un tema a cui mi sento personalmente molto vicino.

Una buona prova!

a rileggerci!


Ciao Davide, è sempre un piacere ricevere un tuo commento, altro che odio XD
L'accensione della sigaretta non è descritta, ma si desume dal fatto che sia spenta, si veda Marika usare un accendino, poi Pdv viene "distratto" da un pensiero, guarda la bodyguard e quando torna su Marika, la trova a fumare.
Per quanto riguarda posta in gioco, conflitto e punto di vista, sì sono tutti elementi che ho progettato ben prima di iniziare a scrivere (in realtà più della metà del tempo l'ho passata a rimuginare su questi elementi). Sono contento che tu abbia notato queste cose perché qui ho cercato di spingere al mio massimo con le conoscenze tecniche di cui dispongo. Anche con il pdv mi sono divertito parecchio: avere tra le mani uno scultore mi permette di inserire un sacco di dettagli sui colori, le forme e termini anatomici che normalmente altri pdv non potrebbero usare.
Grazie ancora e a rileggerci ;)
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Re: Divisioni

Messaggio#10 » mercoledì 28 ottobre 2020, 11:25

Ciao Giacomo, una buona idea Questa del tuo Pigmalione moderno, ma andrebbe sistemata un po’. Intanto per l’aderanza al tema. Il protagonista mi sembra più schifato, amareggiato, arrabbiato. Ma non disperato. Però di questo punto puoi anche fregartene, una volta finita La Sfida, le sue emozioni trovano senso, e puoi usare il testo per fare altro.
Poi qualche imprecisione, come il ripetersi quasi maniacale del soggetto, credo di aver trovato la parola Marika, trenta volte! Trova un modo di identificarla che non sia necessariamente il suo nome. Oppure i MuscolettI che drizzano i peli. È uno scultore, quindi ha studiato anatomia, lo sa che non sono i muscoli, ma le terminazioni nervose legate ai bulbi piliferi a farlo. (ho fatto il liceo artistico), e non vedo perché non si possa scolpire la pelle d’oca. Forse nessuno lo ha voluto fare, ma non è impossibile.se hai visto la cappella di San Severo sai cosa intendo.
Non ho capito cosa volesse fare dell’acido. Non sapeva che Marika fosse già lì, quindi? Voleva uccidersi? E quindi regalare la sua statua al mondo e al McDonald?
Credo che forse volesse distruggere la statua, ma credimi l’acido, oltre a donare un po’ di opacità al marmo non fai un bel niente. Un bel martello? Tanto per rimanere nel classico? Vedi Michelangelo.
Devi di certo rimetterci le mani, comunque mi piace il modo in cui hai deciso di narrare, condendo il tutto di riflessioni, pensieri diretti, emozioni. Di certo è molto immersivo.
Alla prossima.
Ah! I bagni pubblici, in Giappone, hanno la musichetta coprì rumore da sempre.
Polly

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Re: Divisioni

Messaggio#11 » mercoledì 28 ottobre 2020, 17:07

Polly Russell ha scritto:Ciao Giacomo, una buona idea Questa del tuo Pigmalione moderno, ma andrebbe sistemata un po’. Intanto per l’aderanza al tema. Il protagonista mi sembra più schifato, amareggiato, arrabbiato. Ma non disperato. Però di questo punto puoi anche fregartene, una volta finita La Sfida, le sue emozioni trovano senso, e puoi usare il testo per fare altro.
Poi qualche imprecisione, come il ripetersi quasi maniacale del soggetto, credo di aver trovato la parola Marika, trenta volte! Trova un modo di identificarla che non sia necessariamente il suo nome. Oppure i MuscolettI che drizzano i peli. È uno scultore, quindi ha studiato anatomia, lo sa che non sono i muscoli, ma le terminazioni nervose legate ai bulbi piliferi a farlo. (ho fatto il liceo artistico), e non vedo perché non si possa scolpire la pelle d’oca. Forse nessuno lo ha voluto fare, ma non è impossibile.se hai visto la cappella di San Severo sai cosa intendo.
Non ho capito cosa volesse fare dell’acido. Non sapeva che Marika fosse già lì, quindi? Voleva uccidersi? E quindi regalare la sua statua al mondo e al McDonald?
Credo che forse volesse distruggere la statua, ma credimi l’acido, oltre a donare un po’ di opacità al marmo non fai un bel niente. Un bel martello? Tanto per rimanere nel classico? Vedi Michelangelo.
Devi di certo rimetterci le mani, comunque mi piace il modo in cui hai deciso di narrare, condendo il tutto di riflessioni, pensieri diretti, emozioni. Di certo è molto immersivo.
Alla prossima.
Ah! I bagni pubblici, in Giappone, hanno la musichetta coprì rumore da sempre.


Ciao Polly, grazie per il commento.
Riguardo al tema, la disperazione non è solo quella del protagonista ma anche quella di Rachel che perde la sua bellissima padrona. L'idea era la presenza nella storia di due elementi molto belli (Marika e Calei) e che questa bellezza produca disperazione (muoiono tutti, statua compresa, nel finale).

I muscoletti sono... muscoletti. Si chiamano muscoli erettori piliferi o muscoli orripilatori. Non credo che delle terminazioni nervose possano produrre movimento: tutt'al più possono innescarlo facendo contrarre i muscoli.

Statue con la pelle d'oca non ne ho mai viste e non sono riuscito nemmeno a trovarle googolando. Se avessi qualche link ci darei volentieri un'occhiata.

Questione acido. L'acido serve per sfigurare la statua e così impedire che diventi famosa e mercificata. Anche sugli effetti dell'acido non sono d'accordo con te. Forse l'acido cloridrico al 20% produce mera opacizzazione, ma l'acido solforico per gli scarichi divora marmo e roccia carbonatica in un modo impressionante.

La questione della musica nei bagni del Giappone non la sapevo. Comunque questa storia ha un elemento autobiografico: mi è venuta in mente proprio in un McDonalds di Londra. Nei bagni c'era la primavera di Vivaldi sparata a tutto volume e mi è venuto un po' di scoramento pensando a quei capolavori usati per coprire il rumore.

Grazie ancora e un saluto,
Giacomo
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

Elliott
Messaggi: 11

Re: Divisioni

Messaggio#12 » mercoledì 28 ottobre 2020, 19:23

Mi è piaciuta la schiettezza del racconto, assieme all'umorismo cinico e insofferente del protagonista. Alcune frasi, poche, confondono e rallentano il ritmo del racconto ma tutto sommato è molto scorrevole e leggendolo ti viene proprio voglia di arrivare alla fine.
Elliott Toledo

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