Solo un gioco

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo ottobre sveleremo il tema deciso da Debora Spatola. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Mauro Lenzi
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Solo un gioco

Messaggio#1 » domenica 18 ottobre 2020, 23:29

L’auto blu è ferma coi lampeggianti accesi. Corro dietro a Isabella con l’ombrello aperto sulla sua testa: il trolley che trascino cade in una pozzanghera e mi schizza le caviglie. Tento di recuperarlo con un piede.
L’autista ci corre incontro. Prende il bagaglio e apre il baule.
Giro attorno a Isabella, l’ombrello sempre su di lei. La maniglia della portiera è bagnata, perdo la presa. Isabella attende, con un sorriso serafico sul viso di porcellana. Recupero la presa, spalanco. Lei mi prende il polso e scivola sul cuoio dei sedili. Chiudo la portiera.
Il finestrino scende di pochi centimetri. Finalmente Isabella mi guarda.
Stupenda.
“Grazie, Enrico. Sei sempre così gentile.” Si scosta una ciocca corvina. “Anche a occuparti del nostro tesoro. Io e Kristian te ne siamo grati.”
“Sarà un piacere”, mento. “Fate buon viaggio.”
“Non ti darà noie. È un ragazzo così tranquillo.”

Infilo la chiave nell’ascensore e premo il pulsante dell’ultimo piano. Di Andrea ho solo il ricordo di un ragazzino magro e timido. E viziato, ma è normale quando sei adottato da una coppia ricca. La porta si apre nel soggiorno dell’attico.
Il ritratto di Kristian è appeso proprio di fronte, in alto. A mezzo busto, un sorriso appena accennato e le braccia incrociate. Al polso sinistro il Master Grand Tourbillon da cui non si separa mai. Il pittore è riuscito a rendere perfino la luce dell’oro rosa.
“Ciao, Enrico.”
Il divano ad angolo occupa mezzo soggiorno. Dallo schienale spunta una chioma bionda, a coda di cavallo.
“Andrea?” Muovo un passo e la gomma bagnata delle scarpe stride sul parquet. Me le sfilo e le lascio accanto all’ombrello.
Si è alzato in piedi, vicino alla parete esterna a vetro. Una sagoma allampanata, con le mani ficcate nei jeans stracciati, firmatissimi come la sua maglietta scarabocchiata.
Mi sfrego le mani. “Beh, ti risparmierò di dirti quanto sei diventato alto e che non ti ricordavo così capellone.”
“Mh-mh.”
“Complimenti per la maturità. Isabella mi ha detto che hai preso il massimo.”
Alza le spalle ricurve. “Vorrei vedere, con quello che sarà costata la retta. Ma grazie.”
Non avevo dubbi.
“Isabella avrà qualcosa in contrario se prendo un paio di birre dal frigo e brindiamo?”
“L’alcool lo reggo poco.”
Si stravacca sul divano. Faccio per sedermi, ma sono fradicio e non so se l’acqua va d’accordo con la pelle bianca del divano.
Andrea ha intrecciato le dita in grembo e mi scruta dal basso. “Fatti una doccia, ti rimedio degli abiti di Kristian. Avete la stessa taglia.”
“No grazie! Sto così.”
“Ho capito, vuoi prenderti un raffreddore e avere la scusa per restare steso.”
Inspiro a fondo. “Tanto... suppongo di dover passare il weekend a guardarti giocare a....”
Sotto la tv da innumerevoli pollici non vedo nessuna console.
Andrea si alza in piedi e si stiracchia. “Fatti questa doccia, che poi usciamo. Ho voglia di un apertivo.”

Mi ha lasciato i vestiti sul divano. Camicia e pantaloni di lino, comodi. Avrà pescato a caso, ma ci ha preso: nulla di appariscente, ma la stoffa è di prima qualità. Nello stile di Kristian.
Apro l’armadietto dei liquori. Eccola lì: Ardbeg Supernova, 2014.
Non mi va di bere qualcosa di così carico già nel pomeriggio; giusto l’odore, poi lo caccerò nel cesso. Riempio mezzo bicchiere: alla faccia tua, Kristian. Uno scalpiccio di piedi nudi viene dalla zona notte: sarà Andrea. Inspiro l’aroma pungente della torba affumicata.
Abbasso il bicchiere e mi giro.
C’è una biondina che si guarda allo specchio. Maglietta bianca come una seconda pelle che lascia scoperte spalle e ventre, jeans attillatissimi alla caviglia. Gambe lunghe e snelle, sormontate da un culetto a mandolino. Sarà la ragazza di Andrea, mica male. Non c’è da stupirsi, quando uno ha i soldi.
Si gira i capelli da una parte. “Che te ne pare?”
La voce è maschile.
Di Andrea.
Si volta verso di me. Sul contorno degli occhi c’è un filo di trucco nero.
“Andrea, stai scherzando? Mica vorrai uscire così!”
Inclina la testa da un lato e mette le mani sui fianchi snelli. “Perché, sto male?”
“No! Cioè, voglio dire…”
Sorride. “Neanche tu.” Mi butta qualcosa, che afferro al volo. “Kristian mi ha regalato l’auto ma si è scordato che non ho la patente.”
Apro il palmo: il portachiavi è un cerchio sormontato da ali. Ho un tuffo al cuore. No, è solo il simbolo della Mini.
Serro il pugno. “Andrea, vestiti come una persona normale, altrimenti…”
“Mi sculacci?” Fa le labbra a cuoricino. Ha messo anche del rossetto rosa.
“Mi rifiuto di uscire, ecco tutto!”
Andrea si gira a guardarmi, serio. “Esco, ora. Sai che Isabella ha detto di non lasciarmi solo.”
“E… allora?”
Alza le spalle. “Non fingere che non ti importi. Lo sappiamo che le vai sempre dietro come un cagnolino.”
Mi sento raggelare.
Aggrotta la fronte, mi viene vicino. Frappongo il bicchiere di whisky. Andrea me lo abbassa.
“Scusami.”
La sua maglietta ha un rigonfiamento sul petto.
“Ti sei messo anche il reggiseno?”
Annuisce. “Se no si vedono i capezzoli. Non voglio mica sembrare volgare.”
Porto il bicchiere alla bocca e tracanno fino all’ultima goccia.

Il locale ha tavolini e sedie sono abbozzi di design in plastica e finta pelle grigio chiaro, alle pareti foto di divi americani anni ‘50, musica troppo bassa perché la riconosca. Che schifo di posto. Perfetto, perché non ci rimetterò mai più piede.
La cameriera ci viene incontro. “Ciao. Due?”
Mi paro davanti ad Andrea e annuisco.
“Dove volete” dice la ragazza.
In fondo nell’angolo di sinistra, ecco il tavolino appartato che volevo. Da lì Andrea darà le spalle alla sala e tutto quello che gli altri vedranno sarà una bionda. Mi ci fiondo, afferro la sedia all’angolo.
Una mano sulla mia spalla. “Grazie” bisbiglia Andrea. Mi gira attorno e si mette a sedere.
Dare le spalle alla sala tocca a me. Spero tanto di tornare a casa il prima possibile.
Gli allungo il menu. “Dimmi cosa vuoi, ordino io.”
“Solo se dici: la mia amica prende…”
“Parla sottovoce!”
Sgrana gli occhi. “Lo sto facendo...” Non avevo notato quanto sembrassero più grandi. Si è fatto solo il contorno, le ciglia le ha lunghe al naturale.
Scuoto la testa. È vero, sono troppo teso. In fondo sembra proprio una ragazza.

Andrea si sporge verso di me. “Rilassati,” bisbiglia. “È solo un gioco.”
“Ma perché?”
“È divertente, dai.” Tiene il bicchierone con due mani e mi fissa mentre succhia il drink dalla cannuccia.
Ficco dentro il naso alla mia pils commerciale. Sono già poco lucido. Accidenti al whisky di prima: avrei dovuto ordinare qualcosa di analcolico anch’io.
Piagnucolerà con Isabella se non faccio buon viso a cattivo gioco: posso solo sperare che duri poco. E forse so come fare.

Andrea sbatte il Margarita sul tavolo.
“Oddio, gira tutto” ridacchia. “Prendiamo qualcosa per riempire lo stomaco, per favore.”
“Qui fa schifo. Serata asporto e film.”
Storce la bocca da un lato. Non farmi storie, ragazzetto.
“Va bene, finisco questo e andiamo.”
“Sei sicuro? Mi sembri già ubriaco.”
“Sicura, Enrico. Ubriaca. Reggimi il gioco.”
“Va bene… basta che andiamo!”
China la testa. Oddio, mica si metterà a frignare qui davanti a tutti?”
Solleva il viso, si scosta una ciocca con un soffio e mi guarda dritto negli occhi.
“Mi spiace per prima. Non pensavo fossi innamorato.”
“Co- cosa?”
“Di Isabella. L’ho capito dalla faccia che hai fatto.”
Un brivido mi gela la schiena. Prendo fiato. “Doveva essere una faccia molto patetica.”
Andrea piega la testa di lato. Socchiude le labbra in un sorriso dolce. “Al contrario, era molto tenera.”
Mi perdo nel fondo del mio bicchiere. “Solo una vecchia cotta. Ormai mi sono disilluso…”
“Allora vivi nel ricordo di quel sentimento.”
Un tepore mi sale dalla mano. Sopra c’è quella di Andrea!
Mi ritraggo. “Senti amico: io non sono gay.”
Scatta in piedi. “Non ho mai pensato che lo fossi...” Vacilla.
Lo prendo tra le braccia. Posa la testa sulla mia spalla. I suoi capelli mi carezzano la guancia: hanno un buon profumo. Dal basso ventre mi sale un formicolio. Oh no!

La gomma del tergicristallo stride sul parabrezza. Ha ormai smesso di piovere, ma non voglio il silenzio. E neppure musica.
Il semaforo è rosso. Freno. L’auto dietro di noi si ferma, troppo vicino. Un suv nero: i fari spianati illuminano di azzurro l’abitacolo della nostra mini.
Andrea guarda fuori dal finestrino, la mano sotto il mento. “Puoi stare tranquillo,” dice, rivolto alla strada.
“Io sono tranquillo! Volevo solo mettere le cose in chiaro.”
“Parlavo di Isabella. Non le dirò niente.”
Meglio cambiare discorso. “La chiami mamma, qualche volta?”
“Mai. Vogliono essere chiamati per nome.”
Semaforo verde. Riparto.
Quindi neanche Kristian è: papà. Che pensiero stupido, ma mi fa piacere.
“Beh, di sicuro l’affetto non ti è mancato. Questo è l’importante.”
Andrea si gira verso di me. “Cosa vuoi dire?” La sua voce è gelida.
“Che ti fanno fare una bella vita.”
Il parabrezza stride troppo forte, ora. Lo spengo.
“Non parlo solo di soldi. Sai, Isabell—”
“Ho mal di testa!” sbotta. “E mi è passata la fame.”
“Poco male, siamo arrivati.”
Così ci leviamo dalle palle questo Suv e i suoi fari maledetti.
Metto la freccia, accosto al marciapiede e attendo che il cancello elettrico si apra.
Il suv ci sorpassa e si ferma davanti a noi. Un XC90, bella macchina.
“I tuoi ti hanno assegnato una guardia del corpo?”
“Non so, ma non sarebbe la prima volta... è importante?”
“Beh, potevano dirmelo.”
“Possiamo entrare? Ho bisogno di buttarmi sul divano.”

L’ascensore sale un piano dopo l’altro. Andrea ha la fronte appoggiata alla parete. E se nell’attico ci fosse un energumeno vestito di pelle e occhiali scuri ad aspettarmi? Una via di mezzo tra un T-800 e il motociclista dei Village People.
Signorino Andrea, bentornato. Il suo accompagnatore l’ha accudita bene?
Mi ha fatto ubriacare per poi trattarmi come un culattone e un bamboccio viziato; tu che dici?
Che è un vero stronzo, signorino. Ora gli faccio un bel trattamento medievale.

Entriamo nell’attico. Un lampeggio rosso nel buio - sarà una telecamera - e le luci si accendono. Kristian mi sorride dal ritratto. Lo sguardo dall’alto in basso. Il Master Grand Tourbillon al polso. Il sedere tondo di Andrea che oscilla nei jeans attillati.
Scuoto la testa. “Ci vediamo domani. A che ora passo?”
Alza il braccio sottile e indica il divano. “Resta. Potrei uscire a fare qualche pazzia.”
Dannazione. Mi levo le scarpe e mi lascio andare sulla chaise longue. Almeno è finita.

Odore di caffè. Apro gli occhi: la luce del giorno entra dalla vetrata a parete del soggiorno. Sul divano a fianco a me c’è Andrea. Sta bevendo da una tazzona: i suoi occhi fissi su di me. Ha una camicetta bianca, e le gambe sono nude.
Ho addosso una coperta: me la deve avere messa lui. Gliela butto sulle ginocchia.
“Copriti!”
Abbassa la tazza: ha la faccia spalmata di crema bianca. Sorride. “Le fette di cetriolo per gli occhi non le avevo!”
Fa già caldo. Il display del mio Casio dice che sono le 11:13.
Andrea si alza in piedi, mi scalcia la coperta addosso. “Hai il pomeriggio libero. La sera, no.”
Si allontana verso la camera. Sotto la camicetta da notte si intravede la pelle dei glutei e una striscia sottile di stoffa scura, a T, che ci sparisce in mezzo.
“Ti sei messo un perizoma?!” gli grido dietro.
“L’avevo anche ieri sera.”
“Basta con questo gioco!”
Cerco il telecomando. Sarà un lungo pomeriggio. Col piffero che lo lascio solo: questo esce così, e quando gli trovano l’arnese lo gonfiano di botte. E poi sono cavoli miei.
“Yu-huu.”
Nel riquadro della porta c’è la sua gamba nuda e affusolata. Il piede accarezza lo stipite, su e giù.
Agguanto la coperta e mi ci ficco sotto.

“Sveglia, Enrico.”
Nell’aria c’è un buon profumo di donna. Giro il collo verso la vetrata.
La luce arancio del tramonto disegna una figura longilinea in abito rosso da sera con spacco, sandali aperti con tacco alto. I capelli lunghi, lisci, arrivano oltre le spalle nude. Sto sognando, questa modella non può essere Andrea.
“Alzati” fa. “Ho già prenotato.”
Si china su di me, mi prende la mano. Sulle unghie ha uno smalto trasparente.
“N-no…”
“Sù, fai il bravo, c’è una sorpresa.”
Schizzo in piedi, lo squadro. “So benissimo che c’è la sorpresa.”
“Mettiamo al bando le battute scontate?”
“Del tipo… niente accenni a sorprese, attrezzi e cose così?”
Annuisce. “E io non dirò che hai paura che potrebbe piacerti.”
L’ovale del viso ha un trucco leggero: rossetto rosso, matita e mascara. Non un capello fuori posto.
Stringo lo schienale del divano. “Questa tua… trasformazione. Ti è riuscita bene, davvero.”
“Mentre tu passavi il pomeriggio tra tv e pisolini, ho avuto il mio daffare tra piastra, smalto, trucco e prove di camminata sui tacchi. Ma ne è valsa la pena!”
“Però sei troppo appariscente. Non possiamo uscire così.”
“Dai, dobbiamo fare le cose in grande stile.”
Mi lancia le chiavi. Cerchio e ali. Ma la forma è diversa, e in mezzo c’è una B. Ora sì che ho un tuffo al cuore.
Andrea fa una risatina. “Sorpresa!”
“È… la Continental GT?”
“Anche tu hai diritto al tuo gioco.”

Mi lavo la faccia e mi guardo allo specchio del bagno. Un signore in smoking mi passa dietro, sogghigna.
“Complimenti, è bellissima. Gran lusso.”
“Grazie, ma è solo in prestito.“
Ridacchia. “Non deve giustificarsi.” Mi batte la mano sulla spalla. ”Però non sia così emozionato. È lei il maschio.”
“Ah? Non parlava della Bentley?”
Esce.
È lei il maschio. Lei chi, me o Andrea?
Non voglio saperlo.

Andrea mi aspetta al tavolo. Rilassato contro lo schienale, con un sorriso smagliante e la gamba che spunta sinuosa dallo spacco. Sembra proprio a suo agio. Si deve divertire un mondo a mettermi in imbarazzo.
Mi lascio cadere sulla sedia. “Si vede che questo è un posto di alta classe. Almeno evitano di ridere apertamente di me.”
“Nessuno ci deride.”
“E chi te lo dice?”
Gli occhi di Andrea saettano a destra e a sinistra. “Mi sento tutti gli sguardi addosso. E… mi piace.”
Mi allento il colletto della camicia. “Beh, se ripenso a come ti ho visto ieri appena arrivato…”
“Sì?”
“Sembri un fiore che è sbocciato.”
Mi fa un sorriso dolcissimo. Afferro la bottiglia nel secchiello. “Dicevo per dire! Questo cos’è, champagne?”
“Perrier, stasera non ho bisogno di alcool” mormora. “E comunque i miei hanno il loro conto, qui. Non devi preoccuparti.”
“Ti sembro uno che si preoccupa del denaro?”
Andrea si gingilla il pendente dell’orecchino. “Sei attratto dalla ricchezza, questo sì.”
“E chi non lo è?” Mi annuso le mani. “Ah, l’odore di cuoio del volante...”
Nell’abitacolo ho potuto godere solo con gli occhi. Il profumo di Andrea copriva quello degli interni.
Scuote la testa e ride. “Hai paura che domani si trasformi in zucca? Puoi guidarla ancora se vuoi.”
“No, che direbbe Kristian. E poi, resti tra noi...”
Mi sporgo in avanti. Andrea fa lo stesso. I suoi occhi brillano, liquidi.
“L’idea che quella pelle l’abbia toccata lui mi fa un po’ schifo!”
Il sorriso di Andrea si sgretola. Le labbra gli si contraggono, sembra sul punto di mettersi a piangere.
Alzo i palmi. “Scusa. Non volevo offenderlo, so che gli vuoi bene.”
Andrea manda giù un sorso d’acqua. Il pomo d’adamo è appena accennato.
“Enrico, c’è una cosa che voglio dirti.”
“Aspetta: non sono insensibile. Posso immaginare come sia essere adottato. Ma anche per Isabella, non poter aver figli... non deve essere stato facile, capisci?”
Andrea fa un sorriso triste, o di compatimento. “Isabella è fertile. Kristian non voleva che si rovinasse la linea.”
“Mi rifiuto di crederci. E comunque ti fanno fare una vita da sogno.”
“Sempre per tornare al discorso dei soldi, vero?”
Mi schiarisco la voce. “Dico che dovresti apprezzare di più certe cose.”
“Tipo? Come mi hanno preso a dieci anni da un istituto, e mi hanno fatto spogliare e visitare... dappertutto?”
“Abbassa la voce!”
“Anni di sedute dallo psicologo? O dall’endocrinologo?”
“Endocrinologo?”
Si morde il labbro. “Davvero hai pensato che bastasse del trucco per farmi sembrare così femminile? Sto assumendo ormoni, da prima della pubertà.”
“E i tuoi lo sanno?”
Si copre il viso con la mano, ha un singulto. Ride o piange?
“Oh, Enrico... quanto sei puro. Ma in fondo è questo che mi piace di te. Non parliamone più.”

Mostro il medio al ritratto di Kristian e al suo Master Grand Tourbillon.
Andrea abbassa le luci. “Smettila”
“Non puoi lamentarti. Ti ho retto il gioco tutta la sera, anche se mi sentivo addosso gli sguardi di derisione.”
“Erano di invidia.”
Non volevo ammetterlo, ma ha ragione. Sembra davvero una modella. Con quell’abito poi. Ma comincio a pensare che lo sia anche senza.
Mi posa le mani sul petto. “Mi daresti della lei anche quando siamo soli?”
“P-perché?”
“Perché mi hai fatto capire che preferisco essere donna.”
“Ma così non è più… un gioco.”
Sbatte gli occhi. “Cosa vorresti che fosse?”
Schiude le labbra. Sempre più vicina, finché non ci sono solo gli occhi, e più neanche quelli. Solo il suo profumo, il tocco morbido e umido sulla mia bocca, il suo sapore.
Il soggiorno divampa di luce vivida.
Io e Andrea ci scostiamo. C’è un uomo in passamontagna e tuta nera: mi punta contro una pistola con silenziatore.
“Ti prego”, dice Andrea. “Non fargli del male. È colpa mia.” Gli si avvicina e gli sussurra qualcosa all’orecchio. Lui mugugna, annuisce.
La guardia del corpo! Ora dirà tutto a Isabella e Kristian! Ma perché il volto coperto? Ha deciso di rapirla?
Andrea si inginocchia davanti a lui, gli abbassa i pantaloni.
“No!” grido.
Lui continua a tenermi sotto tiro, con la sinistra le affonda le dita tra i capelli, le guida la testa avanti e indietro. Dalla manica sollevata, un luccichio circolare di oro rosa.
Jaeger-leCoultre, Master Grand Tourbillon.
“Kristian!”
Ridacchia. Si sfila il passamontagna. Ha i capelli appiccicati sulla fronte. “Ben ritrovato, Enrico.”
“Lasciala stare!”
Alza le sopracciglia. “Sono anni che vorresti scoparti mia moglie, ora pure mio figlio. E vieni a dire a me di lasciarlo stare.”
“No, tu non puoi capire!”
“Sei tu che non capisci. Questo è il mio gioco, e l’ho interrotto quando non l’ho trovato più divertente.”
Stringe la presa sulla nuca di Andrea e dà un colpo di reni. Lei manda un gemito soffocato.
Kristian storce la bocca. “L’abito rosso lo potevi indossare solo per me. Non ti era permesso andarci in giro.”
La telecamera… e chissà quante altre ce ne saranno. Kristian ha sempre visto tutto. Il viaggio in Germania per affari di famiglia era una scusa.
“Enrico, ora lo sai. Andrea è il mio giocattolo. E mi piace mezzo maschio, mezzo femmina.”
“Non puoi decidere della sua vita. Non più!”
“Sì invece. Io decido. Io concedo. E voglio darti un premio, perché in fondo mi hai fatto divertire. Vieni, cara!”
Dalla porta delle camere compare Isabella. Lingerie di pizzo nero come i capelli sciolti sulla pelle chiara, i seni pieni. Si avvicina, languida.
“I-Isabella! Gli permetti tutto questo?”
“Oh, sì. Sono una brava mogliettina.”
Mi afferra il mento e mi ficca la lingua nell’orecchio. Kristian ci guarda compiaciuto.
“Ti avrebbe già portato a letto da un pezzo. Le facevi pena.”
Isabella mi posa la mano sull’ombelico e scende, me la infila sotto la cintura.
Andrea si volta verso di me, la bocca impiastricciata di rossetto e il mascara che le cola dagli occhi.
“Va bene così, Enrico. Finalmente hai lei…”
Kristian le artiglia la nuca e la tira a sé. “Non fermarti!”
No.
Prendo Isabella per i capelli e strattono: manda un gridolino di sorpresa e piacere.
“Lasciate Andrea! O…”
Kristian gorgoglia una risata. “O cosaaarh!”
Un sibilo dalla pistola, la vetrina dei liquori va in frantumi. Kristian geme di dolore e arretra, le mani al basso ventre. Gli spingo contro Isabella: cadono a terra l’una sull’altro. La pistola è sul pavimento: la scalcio, finisce sotto il divano.
Andrea sputa, si pulisce le labbra. Le prendo la mano. Corriamo alla porta dell’ascensore, premo il pulsante.
Isabella è rannicchiata in un angolo. Kristian è carponi, le natiche pelose all’aria: tende una mano verso di noi, l’altra tra le gambe.
“Non portarmi via Andrea! Potrai avere Isabella tutte le volte che vorrai.”
La porta dell’ascensore si apre.
Kristian si sfila il Master Grand Tourbillon. Lo fa slittare sul parquet, fino ai miei piedi. “Puoi tenerlo. E avrai tanto altro: so cosa desideri, abbiamo gli stessi gusti.”
“Non più.” Schiaccio l’orologio sotto il tallone, in una poltiglia di pezzi di vetro e ingranaggi. “Fine dei giochi.”
Ultima modifica di Mauro Lenzi il domenica 18 ottobre 2020, 23:44, modificato 4 volte in totale.



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Re: Solo un gioco

Messaggio#2 » domenica 18 ottobre 2020, 23:38

Prima persona.
Andrea è stravagante? All'inizio, sì. Poi scrivendo la sua storia sono emersi fatti che me mi hanno fatto considerare questo personaggio come il più equilibrato, persino più del protagonista che è invece prigioniero di illusioni e luoghi comuni.
Così, nel dubbio, ho letto la definizione della Treccani. Stravagante: che divaga, che esce fuori dai limiti, o da determinati limiti, dal comune, dalla consuetudine, dal normale.
E allora, per me, sì: Andrea lo è.

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Re: Solo un gioco

Messaggio#3 » venerdì 23 ottobre 2020, 20:38

Ciao Mauro, piacere di leggerti!

Veramente bello il tuo racconto. L'intera storia è pervasa da un erotismo per nulla velato, ma mai volgare. È una cosa molto difficile da rendere, perché la sensazione è sempre quella di camminare su un filo in cui da una parte si dice troppo, dall'altra troppo poco.
Ho trovato il protagonista e soprattutto Andrea veramente ben caratterizzati. Il cambiamento affrontato dal protagonista è molto ben tracciato, e mi piace che tu sia riuscito a giocare sulla sua omofobia che nasconde in realtà un'attrazione. Per quanto riguarda Andrea, nel corso della storia sei riuscito a tracciare perfettamente la disperazione e la voglia di fuga di quest'ultimo, senza mai svelare nulla di esplicito fino alla sequenza finale.
Se devo proprio trovargli un difetto, il pezzo finale è il punto debole del racconto. Funziona, è efficace, è sensato, ma arriva e si conclude troppo in fretta, almeno dal mio punto di vista.
Si tratta comunque di un dettaglio (forse anche un parere personale) che non inficia la qualità generale del racconto.
Tema e bonus ci sono.

Ancora complimenti, a presto!

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Re: Solo un gioco

Messaggio#4 » venerdì 23 ottobre 2020, 23:24

Ciao Mauro e piacere di leggerti.

Il racconto è eccellente, sia dal punto di vista stilistico che da quello della trama. Andre ed Enrico sono ottimi personaggi e il modo in cui hai saputo costruire il loro lento avvicinarsi mi ha davvero colpito. Niente fughe in avanti, niente strappi improvvisi, niente volgarità: Enrico diventa attratto fisicamente da Andrea tanto quanto comincia a essere attratto dalla sua persona e dalla sua dolcezza. CI sono romanzi che impiegano centinaia di pagine per ottenere lo stesso effetto che tu hai ottenuto in 20k caratteri e questa è un'ottima cosa. Il punto più debole del racconto, come ti è già stato fatto notare, è il finale: l'intervento di Kristian incappucciato e di Isabella fa svoltare la trama, ma il colpo di scena rimane inespresso e si consuma in modo frettoloso. Fino all'ultimo mi sono aspettato un ulteriore colpo di scena, come la complicità segreta di Andrea al loro gioco, oppure un finale tragico, con l'omicidio dei genitori malvagi. La chiusura che dai, invece, sembra monca e ha un sapore troppo simbolico per una vicenda che ha una grande carica umana. Peccato, perché il resto è davvero eccellente.
Alla prossima!!

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Re: Solo un gioco

Messaggio#5 » domenica 25 ottobre 2020, 11:20

Ciao, Mauro
Bentrovato!
Il tuo è un bel racconto davvero, con una buona resa del rapporto tra i due (Andrea e Enrico). Sei riuscito a rendere in maniera equilibrata il cambiamento, anche se molto di Enrico resta nell'ombra. Dammi un attimo e ti spiego cosa intendo.
Come spiegato da altri più bravi me, il finale è la parte più problematica (per modo di dire). La scena di violenza e l'azione sono un po' confuse e non particolarmente verosimili. Un uomo morso all'inguine, con il pene sanguinante non si accascia al suolo esanime, ma reagisce, o ci prova, almeno. NOn puoi scaraventare una donna a terra e sperare che resti lì da sola. Non metti una pistola in un racconto e non la fai sparare.
E poi, ci sono alcune linee di dialogo e alcuni commenti che si potrebbero essere ancora migliore.
Ti faccio degli esempi, perché è giusto discutere a fondo di queste cose, che ci servono (a tutti e due) a crescere.

1) "Non mi va di bere qualcosa di così carico già nel pomeriggio; giusto l’odore, poi lo caccerò nel cesso."
Quando ho letto questo commento, ho pensato che lui non volesse bere perché probabilmente stava cercando di limitare l'alcool, ma poi invece ho realizzato che volesse semplicemente sprecare il wiskey di Kristian per puro vandalismo. Questo è un elemento importante della rivalità tra i due. Avresti dovuto calcare la mano su questa decisione. Scrivere 'Non mi va di bere' è molto debole, ma sottolineare che l'unico intento è quello di buttare il wiskey nel cesso, è molto diretto.

2)“Mi spiace per prima. Non pensavo fossi innamorato.”
“Co- cosa?”
“Di Isabella. L’ho capito dalla faccia che hai fatto.”
Un brivido mi gela la schiena. Prendo fiato. “Doveva essere una faccia molto patetica.”
Andrea piega la testa di lato. Socchiude le labbra in un sorriso dolce. “Al contrario, era molto tenera.”

Qui. Secondo me, per rendere meglio l'imbarazzo, potresti provare a togliere completamente la risposta di Enrico, che risulta molto finta. È stato appena punto sul vivo, uno dei suoi segreti più reconditi svelato da un tipo che PER ORA non gli va tanto a genio, preferirebbe stare zitto, e a quel punto Andrea interviene a dirgli che la faccia è tenera. Il silenzio di Enrico varrebbe più di qualsiasi linea di dialogo. Prova a vedere come viene.
Al massimo, se proprio vuoi tenergli la battuta, lui potrebbe dire, un po' sulle sue: Che faccia?
Mi sono spiegato?

3) Il finale.
O meglio la sequenza finale, in generale. Molto teatrale, con l'entrata in scena degli antagonisti in serie, uno dopo l'altro. Però appunto è molto teatrale e basta. Non è drammatica. La presenza della pistola fa parte del 'gioco', credo, ma non ha una reale importanza nell'economia della storia. Alla fine, Enrico è un dipendente, un sottoposto, non ha nessuna posizione di vantaggio sui due tanto da dover esser minacciato con una pistola.
Forse dovresti ripensare la scena, se vuoi che finisca così, con il lietofine della fuga romantica. Oppure stravolgere tutto e far morire Enrico, pure per sbaglio, con il colpo di pistola sparato per sbaglio che lo colpisce al torace. Così Andrea, nel tentativo di liberarsi della prigionia, perde l'unico amico che aveva.
Insomma, possiamo stare qui a parlarne per millenni.

Concludendo:
Il tuo è un ottimo racconto, davvero. Vivido, con una scrittura immersiva ben articolata e una scelta di dettagli per la maggior parte delle volte ben focalizzata. Devi rivedere la costruzione drammatica dei dialoghi, stando attendo ai dialoghi NON OBLIQUI, DIRETTI, come quelli della cameriera che li accoglie. È quasi del tutto irrilevante, a meno che non lo carichi emotivamente, mettendo il riferimento al sesso equivoco di Andrea.
Ti rifaccio i complimenti, e il commento lungo è solo perché il racconto meritava una lunga discussione, soprattutto per sistemare delle piccolezze e renderlo ancora migliore per le fasi finali!
Alla prossima, Mauro!

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Mauro Lenzi
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Re: Solo un gioco

Messaggio#6 » lunedì 26 ottobre 2020, 15:36

Grazie!

Maurizio e Agostino, il vostro sguardo è molto acuto e ha messo in evidenza cose che a caldo erano sfuggite anche a me.
Il finale cui ho dato un taglio netto era la parte di cui ero consapevole. In prima stesura avevo idea di andare avanti ancora un po'; ma ero decisamente fuori col limite di caratteri, ho usato la mannaia e ho visto che poteva funzionare anche così... ma sì, finire lì' non era proprio quello che avevo in mente. Se il racconto andrà avanti e potrà essere editato ne parleremo.

Delle cose che vi sono piaciute, posso solo dire che questo racconto è andato oltre le mie aspettative.


Eugene, capisco e apprezzo molto il fervore critico. Anche a me capita. Nel tuo caso è bene che io risponda in dettaglio su alcuni punti da te sollevati: ti spiego alcune cose e poi mi dici, ok?


Eugene Fitzherbert ha scritto:Un uomo morso all'inguine, con il pene sanguinante non si accascia al suolo esanime, ma reagisce, o ci prova, almeno. Non puoi scaraventare una donna a terra e sperare che resti lì da sola. Non metti una pistola in un racconto e non la fai sparare.


Aspetta, ricostruiamo la scena. Kristian viene morso, nella reazione al dolore gli parte un colpo, che colpisce la vetrina dei liquori. Subito dopo Enrico gli spinge contro Isabella. Kristian ha i pantaloni calati, cade a terra e Isabella pure.
Isabella non è particolarmente combattiva, ed è piuttosto passiva: attende la reazione di Kristian. C’è anche la possibilità, che io stesso non ho desiderato delineare con chiarezza, che spezzata la supremazia di Kristian, lui e Isabella inizino a rendersi conto della propria pochezza. In ogni caso l’azione dura pochi secondi.


Eugene Fitzherbert ha scritto: 1) "Non mi va di bere qualcosa di così carico già nel pomeriggio; giusto l’odore, poi lo caccerò nel cesso."
Quando ho letto questo commento, ho pensato che lui non volesse bere perché probabilmente stava cercando di limitare l'alcool, ma poi invece ho realizzato che volesse semplicemente sprecare il wiskey di Kristian per puro vandalismo. Questo è un elemento importante della rivalità tra i due. Avresti dovuto calcare la mano su questa decisione. Scrivere 'Non mi va di bere' è molto debole, ma sottolineare che l'unico intento è quello di buttare il wiskey nel cesso, è molto diretto.


In realtà sia la tua prima impressione che quello che hai capito, sono entrambe corrette. Il primo pensiero di Enrico è proprio che non gli va di bere whisky a quell’ora. Però aveva voglia di sentirne l’odore. Non pensavo fosse necessario specificare che non è un liquore qualsiasi, secondo te dovrei farlo? Poi ecco, già che se lo versa, allora abbonda. Tanto Kristian è ricco e gli sta sulle balle, perché non dovrebbe farlo? Ma non è lo scopo con iniziale per cui se lo versa.
A parte specificare qualcosa di più su quel whisky, mi pare che funzioni già così: per te no?


Eugene Fitzherbert ha scritto:2)“Mi spiace per prima. Non pensavo fossi innamorato.”
“Co- cosa?”
“Di Isabella. L’ho capito dalla faccia che hai fatto.”
Un brivido mi gela la schiena. Prendo fiato. “Doveva essere una faccia molto patetica.”
Andrea piega la testa di lato. Socchiude le labbra in un sorriso dolce. “Al contrario, era molto tenera.”

Qui. Secondo me, per rendere meglio l'imbarazzo, potresti provare a togliere completamente la risposta di Enrico, che risulta molto finta. È stato appena punto sul vivo, uno dei suoi segreti più reconditi svelato da un tipo che PER ORA non gli va tanto a genio, preferirebbe stare zitto, e a quel punto Andrea interviene a dirgli che la faccia è tenera. Il silenzio di Enrico varrebbe più di qualsiasi linea di dialogo. Prova a vedere come viene.
Al massimo, se proprio vuoi tenergli la battuta, lui potrebbe dire, un po' sulle sue: Che faccia?
Mi sono spiegato?


Sì. Orbene, il significato di quella battuta è / avrebbe dovuto essere, questo.
Enrico ha ancora del sentimento per Isabella, ma ormai è una cosa sopita da tempo. Forse crede di essere ancora innamorato di Isabella, oppure no: non è importante. Ma non lo è. Non vuole sembrare patetico, debole: invidia Kristian per praticamente tutto il racconto, ma non vuole ammetterlo, e in ogni caso l’importante è che non si veda. Quindi non si sente tanto punto sul vivo, e la risposta di Andrea lo quieta.
Però, sottolineo: lo scopo era mostrare che quel sentimento non c’è più. Alla fine la battuta di Andrea costituisce un’analisi probabilmente corretta: Enrico vive nel ricordo di quando amava Isabella.



Eugene Fitzherbert ha scritto:3) Il finale.
O meglio la sequenza finale, in generale. Molto teatrale, con l'entrata in scena degli antagonisti in serie, uno dopo l'altro. Però appunto è molto teatrale e basta. Non è drammatica. La presenza della pistola fa parte del 'gioco', credo, ma non ha una reale importanza nell'economia della storia. Alla fine, Enrico è un dipendente, un sottoposto, non ha nessuna posizione di vantaggio sui due tanto da dover esser minacciato con una pistola.


In realtà Kristian non è sicuro di sé a tal punto dal ritenere che la pistola non aiuti a far star buono Enrico. Tieni conto che Kristian era mascherato, e se avesse voluto farsi riconoscere si sarebbe tolto subito il passamontagna. Ma spaventare Enrico gli piaceva, e la pistola era un buon deterrente per evitare colpi di testa. Certo non era nelle sue intenzioni uccidere Enrico. La pistola insomma indica, assieme alla maschera, una finta sicurezza di sé.


Forse dovresti ripensare la scena, se vuoi che finisca così, con il lieto fine della fuga romantica. Oppure stravolgere tutto e far morire Enrico, pure per sbaglio, con il colpo di pistola sparato per sbaglio che lo colpisce al torace. Così Andrea, nel tentativo di liberarsi della prigionia, perde l'unico amico che aveva.
Insomma, possiamo stare qui a parlarne per millenni.
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Non sarebbe un brutto modo di passare dei millenni, ma non li abbiamo =D per cui (spoiler) il vero finale era quello che hai detto. Avrai letto sopra che il finale tronco non era veramente voluto dall’inizio, è stato dettato dalla necessità. SE potrò fare una riscrittura, allora… e diciamolo tutto, c’era quella complicità iniziale di Andrea che aveva postulato Agostino. Francamente pensavo si sarebbe capito, a una rilettura, che lei era in un certo senso al corrente del gioco. Vedi come taglia lei stessa la scena dell’auto della guardia del corpo.
Anche il finale tragico mi piace. Ma non è quello che vorrei da questa storia.


Eugene Fitzherbert ha scritto:Devi rivedere la costruzione drammatica dei dialoghi, stando attendo ai dialoghi NON OBLIQUI, DIRETTI, come quelli della cameriera che li accoglie. È quasi del tutto irrilevante, a meno che non lo carichi emotivamente, mettendo il riferimento al sesso equivoco di Andrea.


Premesso che non lo vedo come un vero dialogo, concordo che quelle due battute non hanno un vero peso nella trama: ma mi servivano per dare un minimo di veridicità alla scena, perché è normalmente quello che succede quando arrivi in un locale.
Come dici tu sarebbe ancora meglio. Ma, come dice un mio amico, il mostrato ha bisogno di spazio. =D sarebbe bello riuscire a farcelo stare, in seconda stesura… vediamo!


Ora che ti ho spiegato alcune cose, se hai tempo e voglia di farmi sapere cosa ne pensi, mi farà molto piacere.

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Sicuramente varrebbe la pena dare qualche ritocco, è una storia che mi ha suscitato un certo sentimento nello scriverla. Non so se è quello che avete percepito: forse quel che vi è piaciuto è dovuto anche a questo. Ma rileggendola a freddo, io lo sento.
Sicuramente mi ci sono affezionato. Vediamo come va, intanto grazie per il vostro aiuto.
E nel frattempo aspetto i parerri di Giacomo.

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Giacomo Puca
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Re: Solo un gioco

Messaggio#7 » mercoledì 28 ottobre 2020, 17:59

Ciao Mauro, piacere di rileggerti.

Tema
Centrato ma forse si poteva sfruttare meglio l'idea.
Mi spiego:
la disperazione di Andrea c'è ed è giustificata. Però questa disperazione avrebbe avuto maggior attinenza col tema "bellezza" se la bellezza fosse stata la causa della sua disperazione. Per esempio un Andrea adottato che crescendo è bruttino/a. I genitori ossessionati dal suo aspetto lo tormentano di interventi e farmaci e questo lo rende un modello/a ma scava anche un abisso di disperazione dentro di lui.

Stile
Pulito, immersivo, molto valido.
Ci sono dei passaggi che già ti hanno fatto notare come poco chiari. La questione del whisky e del cesso per esempio.
Evitando di ripetere cose che già ti hanno detto, direi che c'è un elemento stilistico ricorrente nei tuoi racconti che personalmente trovo "sbagliato": l'uso che fai dei tagli.
Non che di per sé fare tagli lasciando lo spazio bianco sia un errore, ma secondo me lo diventa quando tra prima e dopo il taglio cambia poco. Stessi personaggi, stesso ambiente, sono passate magari un paio d'ore. Aggiungici che ricorri spessissimo a questa scelta e ottieni una storia che ha la struttura di uno spezzatino (soprattutto la parte dell'aperitivo in cui i personaggi non si muovono dal tavolo e che hai reso addirittura in 3 mini-blocchi!)

Trama
Anche qui non vorrei ripetere le cose già dette da altri. L'attrazione progressiva e l'evoluzione del personaggio è resa ottimamente e non era semplice. Hai scelto poi un argomento parecchio spinoso che però mi sembra trattato in modo eccellente.
Ripeto anche qui che la struttura della storia è troppo frammentaria. Parcheggio, casa, aperitivo, auto, ascensore, casa. bagno ristorante, tavolo ristorante, casa! Un consiglio che mi sento di dare è quello di limitare gli elementi. Questi continui cambi di ambientazione confondono e tolgono forza al racconto.
Il finale scricchiola un po'. Sembra più adatto a un film alla James Bond, col cattivo che accoglie il protagonista nel salotto con tanto di pistola e passamontagna. Avevi creato una storia giocata molto sui sentimenti e sull'interiorità, finirla con tanta azione stona un po'.

Giusto un'idea: forse il personaggio di Isabella potrebbe essere utilizzato diversamente. Devota al marito, viene rifiutata però inaspettatamente da Enrico. Ora mettiti nei suoi panni: il marito preferisce Andrea e anche Enrico la rifiuta. Una tensione pronta ad esplodere.

Valutazione finale
Ottima prova. A differenza di altri tuoi racconti (es "i pazzi non giudicano") in questo il protagonista c'è, non sembra un robot ma dimostra una sua interiorità.
Le parti che più mi hanno colpito:
1. la prima scena in cui Andrea si presenta come donna.
2. Il frammento in cui Enrico parla dello schifo di toccare la pelle perché già toccata da Kristian e la successiva reazione di Andrea. Fantastico.

Fammi sapere se sei d'accordo o meno con quello che ti ho scritto.
Alla prossima,
Giacomo.
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Mauro Lenzi
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Re: Solo un gioco

Messaggio#8 » giovedì 29 ottobre 2020, 13:06

Grazie Giacomo degli ottimi spunti.

Come sai sono in un momento dove il tempo latita, ma ho piacere di risponderti, anche se rapidamente.


Questa disperazione avrebbe avuto maggior attinenza col tema "bellezza" se la bellezza fosse stata la causa della sua disperazione. Per esempio un Andrea adottato che crescendo è bruttino/a. I genitori ossessionati dal suo aspetto lo tormentano di interventi e farmaci e questo lo rende un modello/a ma scava anche un abisso di disperazione dentro di lui.

L'idea è buona, anche se avevo concepito Andrea in modo diverso. Lui è stato selezionato e scelto, come fosse un capo, dai suoi genitori adottivi. La bellezza era uno dei requisiti primari. Può certamente essersi imbruttito crescendo, e la chirurgia sarebbe stato un espediente molto forte, per questo dico che è una buona idea. Però Andrea l'ho concepito con un'idea di spontaneità e naturalezza, e volevo che la sua trasformazione apparisse come una cosa dotata di una certa armonia.


c'è un elemento stilistico ricorrente nei tuoi racconti che personalmente trovo "sbagliato": l'uso che fai dei tagli.
Non che di per sé fare tagli lasciando lo spazio bianco sia un errore, ma secondo me lo diventa quando tra prima e dopo il taglio cambia poco. Stessi personaggi, stesso ambiente, sono passate magari un paio d'ore. Aggiungici che ricorri spessissimo a questa scelta e ottieni una storia che ha la struttura di uno spezzatino (soprattutto la parte dell'aperitivo in cui i personaggi non si muovono dal tavolo e che hai reso addirittura in 3 mini-blocchi!)

Scrivo in mostrato e per motivi di trama mi trovo spesso a dover fare dei salti temporali, seppur brevi, per non fare una scena passo-passo che avrebbe elementi inutili. Ad esempio era inutile mostrare la scena dell'ordine del Margarita e poi continuare a narrare finché Andrea non si ubriaca. Mi serviva l'idea (maligna) di Enrico, e Andrea già ubriaco.
Se aldilà del riprogettare la struttura ci sono altri modi sono naturalmente molto interessato ai suggerimenti.


Il finale scricchiola un po'. Sembra più adatto a un film alla James Bond, col cattivo che accoglie il protagonista nel salotto con tanto di pistola e passamontagna. Avevi creato una storia giocata molto sui sentimenti e sull'interiorità, finirla con tanta azione stona un po'.

Come (forse) hai letto nella mia risposta a Eugene, la pistola ha una funzione simbolica (su cui torno subito sotto); ma anche una pratica: Kristian non ha veramente il controllo della situazione. Ha visto che il suo gioco gli stava sfuggendo di mano, e ha reagito in modo impulsivo. La sua comparsata non era pianificata. La pistola gli serviva per assicurarsi che Enrico non tentasse di aggredirlo. Anche il mostrare il suo volto non era nei suoi piani, è stato Enrico a riconoscerlo.


Giusto un'idea: forse il personaggio di Isabella potrebbe essere utilizzato diversamente. Devota al marito, viene rifiutata però inaspettatamente da Enrico. Ora mettiti nei suoi panni: il marito preferisce Andrea e anche Enrico la rifiuta. Una tensione pronta ad esplodere.

Altra buona idea, ma che , credo, avrebbe richiesto molto più spazio per essere portata avanti. Enrico ad esempio non ha fino a quel momento un vero motivo per rifiutarla. Pur che la storia è un passaggio da ciò che crede di volere (Isabella, la ricchezza: tutto ciò che appartiene a Kristian) a ciò che apprezza veramente. La situazione finale gli dà una spinta e lo costringe a prendere una decisione.


Molte grazie per i suggerimenti di storia alternativa e per le note stilistiche. Tutta ottima legna! ;)

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MatteoMantoani
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Re: Solo un gioco

Messaggio#9 » venerdì 30 ottobre 2020, 9:21

Ciao Mauro,
ho letto il tuo pezzo e sento di volerti scrivere anche se non costretto perché penso che i complimenti siano doverosi.
Dico subito che non ho letto il racconto con l'attenzione che dedicherei a qualcosa che mi viene richiesto di analizzare, ma come qualcosa che leggo per mio interesse.
Oltre ai complimenti vorrei anche parlarti di alcune cose che non mi hanno convinto, e inizierei da queste perché come i romani insegnano: "dulcis in fundo".
Nonostante il tuo stile immersivo sia reso molto bene, non vengo a sapere niente del protagonista e del suo background, ad esempio perché è innamorato e cosa lo spinga a essere così interessato a macchine di lusso, alcolici e orologi (forse la sua è una velata invidia, e questo traspare in molte occasioni, però l'avrei accentuato un poco).
La trama mi convince a parte il finale, e di conseguenza questo stravolgimento dell'ordine naturale (direi proprio così) identificato da questi genitori mostruosi che adottano e crescono un ragazzino al solo scopo di usarlo come gioco sessuale. Mi dispiace ma sebbene abbia colto il colpo di scena, trovo questo tema talmente forte che liquidarlo in così poche righe è semplicemente riduttivo (meriterebbe un romanzo dell'orrore a parte).
Ultima nota negativa: perché mai un ragazzo di diciotto-diciannove anni non può restare solo in casa mentre i genitori sono via? Ci dovrebbe stare qualche spiegazione in più, ad esempio che è malato di mente e che ha sindromi suicide (se l'hai detto scusa mi è sfuggito). Poi si capisce perché i genitori vogliono che il protagonista passi del tempo con lui, però quantomeno una domandina lui dovrebbe farsela già all'inizio.
Arrivando ai complimenti: ottimo stile, lettura molto scorrevole (tieni conto che l'ho letto una volta sola e credo di aver colto tutti i particolari). Le parti di lenta "trasformazione" di Andrea sono ottimamente rese, come anche lo stupore e il contrasto emotivo del protagonista (e mi piace come tu l'abbia messo sempre più in difficoltà, accentuando la trasformazione di Andrea solo poco alla volta). Niente da dire, la parte centrale del racconto mi ha trascinato e sono arrivato alla fine senza accorgermene, e questo ti fa onore.
Se rivedessi un momentino il finale e questo dettaglio shock dei genitori-aguzzini-maniaci (non dico di tagliarlo, ma assolutamente di ampliarlo e giocarci di più svelando tutto un poco alla volta), penso che ne verrebbe fuori un pezzo davvero niente male.
I miei complimenti, sono contento che tu sia arrivato in semifinale, te lo meriti. Buona gara!

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Mauro Lenzi
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Re: Solo un gioco

Messaggio#10 » venerdì 30 ottobre 2020, 9:40

Ciao Mentis, grazie: apprezzo molto. Anche l'accortezza nell'anticpare le critiche :D

Quando un commentatore trova per primo delle nuove osservazioni è sempre un arricchimento, quando ripete cose già dette da altri aiuta a fissare le priorità.

Mi pare che tu sia il primo ad aver chiesto qualcosa del protagonista. A parte il suo essere omofobico "nella norma", è attratto dalla ricchezza, e invidia in particolar modo una persona che quelle cose le ha: oltre all'essere il marito di una donna verso cui prova ancora del sentimento. In questo è tutto sommato poco eccentrico, forse è per questo che non ho sentito il bisogno di presentarlo molto.
Non si pone neanche molte questioni quando gli chiedono di star dietro al ragazzo: a parte che lo considera un viziato, gliel'ha chiesto Isabella e lui lo fa. Questo viene accennato anche in un sottile servilismo che si nota all'inizio e che Andrea gli rinfaccia, prima ci capire che dietro c'è comunque del sentimento, per quanto sopito.

C'è naturalmente da tenere sempre conto di una cosa: lo spazio dei caratteri. Non avevo pianificato il finale "troncato" ma avevo finito lo spazio a disposizione. Fortunatamente ha funzionato, rimane qualcosa che indebolisce il racconto ma non lo fa crollare. Idem se avessi caratterizzato di più i due antagonisti, questo avrebbe tolto spazio alla storia centrale tra Enrico e Andrea... che è l'asse portante di tutta la storia.

Insomma ora, grazie ai commentatori / giudici che mi hanno permesso di arrivare in finale, e anche ai tuoi commenti, so che dovrò allungare il finale, come tra l'altro era nelle mie intezioni iniziali. Questa è la priorità.
Se possibile caratterizzare un po' di più Kristian e Isabella, se non avrò già finito il nuovo "tesoretto" di caratteri.

Grazie mille, ripeto apprezzo molto i commenti "non dovuti" , un pensiero davvero gentile ;)
(ti ho ringraziato anche su FB ma non conoscendo il tuo contatto non ho potuto taggarti)

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Mauro Lenzi
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Re: Solo un gioco

Messaggio#11 » lunedì 2 novembre 2020, 4:00

Per non scombinare i post in evidenza rispondo qui ai commenti della lettrice anonima e di Milena Vallero, fatti sul topic del gruppo.

lettrice anonima ha scritto:
il tuo racconto mi è piacito molto. Hai rischiato di scatenare il mio animo da millennial che tende a essere sempre pronto ad offendersi, ma tu hai trattato il tema in maniera per niente delicata, ma, da mio punto di vista, molto attenta. Entrambi i personaggi principali sono realistici e il loro rapporto è vivo durante il racconto. L’unica cosa che ti ha fato finire secondo è il finale un po’ frettoloso. Hai lasciato durante il racconto degli indizi che ci facevano intuire dove saresti andato a parare, per cui la sorpresa non c’era e quindi mi aspettavo una scena interamente costruita, non un finale così…labile.

Grazie, cara lettrice. Sì, mi sono mosso su un terreno non facile. Avevo in mente Andrea da un po' sul tema Bellezza, ma la Disperazione mi ha chiesto un passo in più nella trama, con genitori che da assenti diventavano aguzzini. Non avevo intenzione di essere delicato, ma attento è qualcosa che cerco sempre di fare. Mi fa piacere che tu l'abbia notato.
Il finale che avevo in mente è arrivato con i caratteri in più, e una sistemazione grazie a qualche ottimo consiglio, nella seconda versione. Spero incontrerà il favore di chi legge, così come pare abbia avuto la storia fino a quel momento. Ho comunque voluto ritoccare anche parti che non avevano ricevuto critiche, naturalmente con l'idea di fare una cosa ancora migliore. Non è stato solo un mettermi alla prova nello scrivere, ma anche nel mettere da parte la prudenza del "se non te l'hanno criticato lascialo così". Anche su quel che funzionava ho voluto provare a fare ancora meglio, vediamo se ci sono riuscito.

Milena Vallero ha scritto:
Molto, molto interessante, anche se ho trovato il finale alquanto disturbante (ma ciò non è da leggersi come critica, tutt’altro). Mi è piaciuto molto lo stile, scorrevole e fluido; mi è piaciuta moltissimo la storia, inizialmente un po’ da “WTF”, se mi perdonate l’espressione, ma che poi vira verso toni intimi, spiazzanti, che mi hanno fatto pensare e, lo ammetto, anche stare un po’ male (e anche qui, non è da leggersi come critica). Mi sono piaciuti molto i personaggi, soprattutto Andrea. Incredibile come, nonostante tutto, riesca a essere così equilibrato. All’inizio, ovvio, non sembra sia così; dà l’idea di uno svitato o, peggio, di un maniaco. Ma quando i nodi vengono al pettine, la visione che si ha di lui si ribalta… ammetto di aver riletto il racconto due volte, volontariamente, per rivedere le reazioni di Andrea con gli occhi di chi ha tutte le informazioni. E sono coerenti e spontanee. Mi complimento con l’autore.
Se posso fare un appunto, tutta la storia del quadro è abbastanza telefonata. Io ho avuto il sospetto fin dalla prima volta che il ritratto è entrato sulla scena, e mi aspettavo l’arrivo di Kristian da un momento all’altro. Inoltre, i personaggi dei “genitori” (mi fa ribrezzo chiamarli così…) sono un po’ stereotipati; non so, ma i loro dialoghi mi suonavano un po’ forzati, del tipo “non sono cattivo, è che mi disegnano così… e quindi devo comportarmi da essere immondo”. Ma magari è un’impressione tutta mia.
Per il resto, un racconto che ho letto più che volentieri.

Grazie Milena.
Hai sollevato punti molto interessanti.

Elementi telefonati. Premessa, come scrittore ho un'esperienza molto limitata. Lo scrittore istintivo che è in me sarebbe meno esplicito; ma ho visto che, quando la tua opera viene letta e giudicata assieme a tante altre, essere troppo sottili non paga. La mia acerba esperienza mi suggerisce che, quando ci si ritrova nell'equilibrio incerto tra il lasciare intendere e l'essere espliciti, pendere un po' di più verso la seconda scelta tende a ottenere riscontri migliori in chi legge.

Antagonisti stereotipati. Complimenti per la sensibilità. Si tratta di una scelta che ho fatto volutamente, ma d'istinto mentre scrivevo, e tu me l'hai fatto capire. A parte che non volevo che rubassero spazio ad Andrea e Enrico (ahimé i caratteri limitati), il loro essere stereotipati nasce dal fatto che è proprio il loro atteggiamento: sono persone false, costruite. Ma grazie a te ho capito che questa cosa non è stata trasmessa a sufficienza. Ho tenuto conto di questa tua osservazione in seconda stesura, anche se non potevo costruirci molto sopra. Spero comunque che il miglioramento sia riuscito.

Mi fa piacere che tu abbia gradito un finale che è stato disturbante anche per me. Se il tema fosse stato solo Bellezza, avrei scritto una storia più soft :)



Grazie, care lettrici, e alla prossima!
Ultima modifica di Mauro Lenzi il lunedì 2 novembre 2020, 4:28, modificato 5 volte in totale.

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Re: Solo un gioco

Messaggio#12 » lunedì 2 novembre 2020, 4:11

Grazie, commentatrici e commentatori, per le vostre osservazioni; in primis quelle volte a migliorare.

Però mi sento di ringraziarvi anche perché in questa fase Solo un gioco ha ricevuto tanti complimenti, tra cui quello che mi ha donato la maggior soddisfazione:
Milena Vallero ha scritto: ammetto di aver riletto il racconto due volte, volontariamente, per rivedere le reazioni di Andrea con gli occhi di chi ha tutte le informazioni.

Un grazie speciale.

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