L'unica soluzione - Roberto Romanelli (RACCONTO RITIRATO DALL'EDIZIONE PER MOTIVI PERSONALI)
Inviato: lunedì 19 ottobre 2020, 23:09
— Alla fine non vedo altre soluzioni.
Gianna si girò verso di lei mentre terminava la discussione con un sospiro. Gli occhi che puntavano qualcosa alle sue spalle, trapassandola. Gli stessi occhi che un tempo era stata in grado di accendere di passione abbozzando un semplice sorriso e che ora cercavano rifugio nelle macchie di umidità sul muro del tinello.
— Io, ecco… non credevo che fossimo… — Veronica abbassò lo sguardo. Lei aveva sempre preferito il disegno irregolare delle venature sul pavimento in pietra.
Non c’era mai stato bisogno di grandi discorsi tra di loro. Si capivano al volo.
Anche quando non volevano.
Veronica si alzò dalla sedia e si avviò verso l’ingresso. Appoggiò la mano sullo stipite.
— Non ci sono altre soluzioni? — Chiese con un filo di voce.
— No.
— Non mi piace la tua soluzione.
La mano le ricadde sul fianco mentre si dirigeva verso la camera da la letto.
***
La gente usciva dal locale senza badare a lei. Da quando aveva lasciato la casa di Gianna non aveva più mangiato e aveva perso il senso del tempo. Potevano essere ore. Potevano essere giorni.
Se ne stava rannicchiata al buio nascosta dietro a un mucchio di vecchi mobili abbandonati dagli inquilini del palazzo di fronte.
Attendeva il momento giusto. Sarebbe andato bene chiunque. Il momento però era fondamentale. Il momento doveva essere quello giusto.
La luna, alla fine, si mostrò alta nel cielo.
Splendida, arrogante nella sua pienezza.
Veronica uscì fuori e si gettò in mezzo alla strada, la strada che la separava dal pub dove aveva incontrato Gianna per la prima volta.
La strada dove un’auto aveva accelerato per non perdere il semaforo giallo.
Il luogo dopotutto non era importante. Il momento doveva essere quello giusto.
***
Veronica sentiva il sangue colarle sul collo. Era caldo. Tutto il resto spariva in un eco indistinto di luci e rumori. Doveva essersi rotta l’ossa del collo nell’impatto. Avrebbe potuto andarle peggio. Avrebbe potuto sentire dolore.
***
— Bentornata figlia mia. Cosa desideri questa volta?
Gli occhi di fiamma di Lucifero le lambirono la pelle. Una scarica di piacere discese lungo la spina dorsale, le avviluppò il ventre e la fece crollare sulle ginocchia ansante.
— Ridammi il potere. — Riuscì a dire dopo un tempo che le parve infinito. Dove si trovava però il tempo non aveva alcun diritto.
— Un giorno dovrai fermarti. Dovrai pagare.
— Non mi importa. — Milioni di stelle morirono e altrettante nacquero mentre confermava per l’ennesima volta la sua condanna.
***
Veronica uscì dal pentacolo che aveva tracciato in camera. Piano, facendo attenzione a non rompere le linee tracciate col gesso, si avvicinò alla finestra aperta e attese.
Non era affatto vero che i gatti avessero sette vite. Ogni gatto faceva storia a sé. Orione, il famiglio che condivideva con Gianna, era morto almeno dieci volte. Undici se si contava anche quella sera.
Per Gianna Orione era uno strumento, uno dei tanti che il loro signore le aveva dato.
Veronica attese, incurante del freddo di dicembre e del fatto che fosse nuda, il suo sangue e quello di Orione che disegnavano due serpenti che congiungevano il cuore e la fronte riluceva nella luce della luna piena.
Veronica amava davvero Orione.
Più di Orione però amava il potere. Potere che sentiva di nuovo scorrere nelle vene.
Orione saltò dentro la stanza.
Fissò Veronica per qualche istante, soffiò il suo disappunto e si acciambellò sul letto.
Gianna si girò verso di lei mentre terminava la discussione con un sospiro. Gli occhi che puntavano qualcosa alle sue spalle, trapassandola. Gli stessi occhi che un tempo era stata in grado di accendere di passione abbozzando un semplice sorriso e che ora cercavano rifugio nelle macchie di umidità sul muro del tinello.
— Io, ecco… non credevo che fossimo… — Veronica abbassò lo sguardo. Lei aveva sempre preferito il disegno irregolare delle venature sul pavimento in pietra.
Non c’era mai stato bisogno di grandi discorsi tra di loro. Si capivano al volo.
Anche quando non volevano.
Veronica si alzò dalla sedia e si avviò verso l’ingresso. Appoggiò la mano sullo stipite.
— Non ci sono altre soluzioni? — Chiese con un filo di voce.
— No.
— Non mi piace la tua soluzione.
La mano le ricadde sul fianco mentre si dirigeva verso la camera da la letto.
***
La gente usciva dal locale senza badare a lei. Da quando aveva lasciato la casa di Gianna non aveva più mangiato e aveva perso il senso del tempo. Potevano essere ore. Potevano essere giorni.
Se ne stava rannicchiata al buio nascosta dietro a un mucchio di vecchi mobili abbandonati dagli inquilini del palazzo di fronte.
Attendeva il momento giusto. Sarebbe andato bene chiunque. Il momento però era fondamentale. Il momento doveva essere quello giusto.
La luna, alla fine, si mostrò alta nel cielo.
Splendida, arrogante nella sua pienezza.
Veronica uscì fuori e si gettò in mezzo alla strada, la strada che la separava dal pub dove aveva incontrato Gianna per la prima volta.
La strada dove un’auto aveva accelerato per non perdere il semaforo giallo.
Il luogo dopotutto non era importante. Il momento doveva essere quello giusto.
***
Veronica sentiva il sangue colarle sul collo. Era caldo. Tutto il resto spariva in un eco indistinto di luci e rumori. Doveva essersi rotta l’ossa del collo nell’impatto. Avrebbe potuto andarle peggio. Avrebbe potuto sentire dolore.
***
— Bentornata figlia mia. Cosa desideri questa volta?
Gli occhi di fiamma di Lucifero le lambirono la pelle. Una scarica di piacere discese lungo la spina dorsale, le avviluppò il ventre e la fece crollare sulle ginocchia ansante.
— Ridammi il potere. — Riuscì a dire dopo un tempo che le parve infinito. Dove si trovava però il tempo non aveva alcun diritto.
— Un giorno dovrai fermarti. Dovrai pagare.
— Non mi importa. — Milioni di stelle morirono e altrettante nacquero mentre confermava per l’ennesima volta la sua condanna.
***
Veronica uscì dal pentacolo che aveva tracciato in camera. Piano, facendo attenzione a non rompere le linee tracciate col gesso, si avvicinò alla finestra aperta e attese.
Non era affatto vero che i gatti avessero sette vite. Ogni gatto faceva storia a sé. Orione, il famiglio che condivideva con Gianna, era morto almeno dieci volte. Undici se si contava anche quella sera.
Per Gianna Orione era uno strumento, uno dei tanti che il loro signore le aveva dato.
Veronica attese, incurante del freddo di dicembre e del fatto che fosse nuda, il suo sangue e quello di Orione che disegnavano due serpenti che congiungevano il cuore e la fronte riluceva nella luce della luna piena.
Veronica amava davvero Orione.
Più di Orione però amava il potere. Potere che sentiva di nuovo scorrere nelle vene.
Orione saltò dentro la stanza.
Fissò Veronica per qualche istante, soffiò il suo disappunto e si acciambellò sul letto.