Semifinale Francesco Nucera

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo dicembre sveleremo il tema deciso da Flavia Imperi. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#1 » lunedì 11 gennaio 2021, 13:39

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Odissea Wonderland
Combattono in questa semifinale:

Specchio specchio, di Alessio Vallese
L'odore delle bugie, di Stefano.Moretto

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: mercoledì 13 gennaio alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 13 gennaio. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Stefano.Moretto
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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#2 » mercoledì 13 gennaio 2021, 12:02

L'odore delle bugie
di Stefano Moretto

L’odore di erba tagliata impesta tutto corridoio. La porta dell’aula è aperta, i miei compagni di classe sono già entrati. Michael sta guardando il monitor del suo banco. Tiene i capelli arruffati come sempre, adoro la loro tonalità castana, così simile alla mia. Si mette una mano davanti alla bocca per sbadigliare. Le maniche della camicia dell’uniforme sono arrotolate fino al gomito.
Mi passo le mani tra i capelli, sono in ordine. Scorro le dita sulle mie lunghe orecchie da San Bernardo, la pelliccia mi solletica i polpastrelli. La mia coda si dimena come un’ossessa, sembra che debba spazzare il pavimento. Devo calmarmi prima di entrare, non posso farmi vedere scodinzolare. Sarebbe tutto più facile se fossi anch’io umana.
Due primini mi fissano dall’altro lato del corridoio. Non riesco a sentire cosa dicono, ma di sicuro parlano di me. Immagino non ci fossero tante chimere da dove arrivano. Per fortuna questo è l’ultimo anno per me.
Prendo un respiro ed entro in aula. Michael si volta verso di me, mi sorride e alza la mano per salutarmi. A ogni passo il cuore batte più forte, la coda ha ripreso ad agitarsi e di sicuro sono rossa con un pomodoro. Appoggio lo zaino a lato del banco e mi siedo accanto a lui. La sua colonia sa di scorza d’arancia con una nota di menta.
«Ciao Michael.»
«Ciao Prisca, come sono andate le vacanze estive?»
I suoi occhi verdi si piantano nei miei. Sul suo mento è rimasto l’odore della schiuma da barba.
«Una noia mortale, dai miei nonni non c’era niente da fare. Te?»
«Le solite cose.» Scrolla le spalle. «Sai, nel gruppo si è sentita la tua mancanza.»
Accendo il monitor della mia postazione per distogliere lo sguardo da quegli occhi ipnotici. Lo schermo è lento come sempre ad accendersi.
Lancio un’occhiata al resto della classe. Claire tiene in mano il suo portacipria giallo e guarda la sua immagine riflessa nello specchietto. I capelli corvini le arrivano appena al collo, se li è tagliati quest’estate? Si volta verso di me e assottiglia gli occhi.
Michael mi poggia una mano sulla spalla, trattengo la coda dallo scodinzolare ancora.
«Lasciala perdere, non le piace essere osservata.»
Torno a fissare il monitor. «Sì, lo so.»
In classe entrano il professor Aurelio e una ragazza nuova. È rasata ai lati della testa e tiene i capelli neri legati in una treccia. Gira la testa per scrutare l’aula, la treccia le ondeggia dietro le spalle. Sul lato del suo collo, appena sopra il colletto della camicia, spuntano i tagli delle branchie. Una chimera. Si gira verso di me, i suoi occhi gialli indugiano sulle mie orecchie. Sorride e mi fa l’occhiolino.
Il professor Aurelio si schiarisce la voce.
«Quest’anno avrete una nuova compagna. Il suo nome è Venice, i suoi genitori si sono trasferiti da poco in città. Vedete di andare d’accordo.»
Di poche parole come sempre.
Venice viene verso il mio banco. Cosa vuole? Vuole sedersi qui? Emana un leggero odore di salsedine che inquina il profumo di Michael. Ha passato le vacanze al mare?
Si china su di me. «Era da un sacco che non vedevo un’altra chimera!» I suoi denti sono acuminati come pugnali e disposti su più file, sembrano volermi divorare a ogni parola. «Come ti chiami?»
Socchiudo le labbra, ma le parole mi muoiono in gola. La sua mano si avvicina alle mie orecchie.
Il professore dà un colpetto di tosse.
«Socializzerete durante la ricreazione. Ora iniziano le lezioni.»
Venice si gira e solleva la mano in segno di scusa. «Certo, scusi prof.»
Salvata dalla rigidità del professore.
«Ehi.» Michael mi sussurra all’orecchio «La nuova ragazza sembra forte, eh?»
«S… sì. Sembra… simpatica.»
Lo sguardo di Michael segue Venice fino in fondo alla classe. Le sue labbra sono inarcate in un sorrisetto. Non si sarà preso una cotta per la ragazza squalo?

-

La campanella copre le parole del professor Aurelio con il suo suono acuto. Premo sul monitor per chiudere l’ebook Storia del Secondo Impero Romano.
Michael si alza e si dirige verso il fondo della classe. Alcuni compagni di classe stanno accerchiando il banco di Venice, Chris si appoggia al suo banco.
«Venice, come la città italiana?»
Lei accavalla le gambe e sorride.
«In famiglia abbiamo tutti nomi che richiamano il mare. A me è andata bene, mia sorella l’hanno chiamata Oceano.»
Tira la testa all’indietro e ride. I ragazzi attorno a lei ridono. Michael ride. Anche le ragazze si alzano per andarle vicino, attorno al suo banco si crea uno stormo di ragazzi, non riesco neanche più a vederla. Claire è rimasta al suo posto, ha tirato fuori il portacipria e ci si sta specchiando. Gira la testa a destra e a sinistra fissando lo specchietto, come se cercasse la minima imperfezione.
«Prisca.» Uno dei ragazzi sta pronunciando il mio nome. «Si chiama Prisca.»
La testa di Venice spunta da sopra quelle degli altri, i suoi occhi viaggiano per la classe e si piantano su di me.
«Prisca!» Si fa largo tra i ragazzi. «È da un bel po’ che non vedo un’altra chimera! Di che generazione sei?»
Si siede sopra il mio banco e mi sorride con i suoi lunghi denti acuminati. La sua pelle emana un odore salato, sembra che si porti dietro il mare. Attorno a noi si accalca il resto della classe.
«Terza… terza generazione. Mio nonno è stato il primo, lo hanno creato qui in città.»
Venice sgrana gli occhi e avvicina il suo volto al mio.
«Terza? Ecco perché sei così vistosa. Io sono della sesta, ormai non mi restano tanti tratti. I miei dicono che il bisnonno aveva pure una grossa pinna tra le scapole!»
I suoi capelli in effetti ricordano una pinna per come sono acconciati, li tiene così per questo?
Una mano si poggia leggera sulla mia testa. Le dita passano delicate sopra le mie orecchie da San Bernardo, sono intrise del profumo di Michael.
«Oggi pomeriggio volevamo portare Venice a fare un giro della città, vieni anche tu Prisca?»
Ho ripreso a scodinzolare. Blocco la coda, anche se il contatto con la sua mano non me lo rende facile.
«Certo!»
La campanella suona di nuovo, i ragazzi si disperdono. Venice mi sorride, i suoi denti sembrano più affilati ogni volta che li vedo.
«Grande!»
Torna al suo posto, i ragazzi la guardano passare e scorrono lo sguardo dal basso all’alto come se dovessero scansionarla.
Michael si risiede accanto a me.
«Sei contenta che adesso c’è un’altra chimera a scuola?»
Non lo so. È così estroversa e spaventosa.
«Sì, credevo che non ne avrei viste fino all’università.»
Michael mi sorride, il mio cuore perde un battito.

-

Mi rigiro nel letto, il dischetto olografico se ne sta nel palmo della mano, spento. Neanche una lucina. Stringo il pugno e lo agito. Dammi un cenno di vita. Ti prego.
Il centro del disco emette un flash blu. Ha risposto. La chat viene proiettata in aria.

Chris: Ehi Prisca, cosa fai stasera?

Sbuffo e chiudo la sua chat. Sa che mi piace Michael, perché insiste?
Il dischetto si illumina di nuovo.

Michael: Scusami Pri, ho promesso a Venice di accompagnarla a vedere i fuochi stasera.

Lo aveva promesso anche a me un mese fa, se n’è dimenticato? Non è giusto che ora lei lo monopolizzi. Sollevo la testa dal cuscino e avvicino il dischetto alla bocca.
«Lo avevi detto anche a me. Non possiamo andarci tutti insieme?»
Le mie parole compaiono sotto le sue. Ributto la testa sul letto. Odio comunicare con il dischetto olografico, se fossi con lui potrei sentire il suo profumo.
Un altro flash azzurro.

Michael: È che volevo stare un po’ con lei, sai non si è ancora ambientata, non volevo stressarla con troppa gente.

«Non siete andati in spiaggia questo fine settimana?»

Michael: Sì, Venice sentiva la mancanza dell’acqua di mare. Lo sai che può respirare sott’acqua? Solo quella salata, però.

«Passate molto tempo insieme ultimamente.»

Michael: Non fare la gelosa, lo sai che sei la mia cucciolina.

Scodinzolo. Sono la sua cucciolina.
Un altro flash blu.

Chris: Stasera fanno i fuochi, ti va di andarci insieme?

Spengo il dischetto.

-

Michael sta chiacchierando con Venice fuori dalla classe. Ridono. Una fitta al petto mi attanaglia.
Claire si guarda nel suo portacipria. Cos’ha da fissarlo tanto? Cosa ci vede dentro? Si volta verso di me accigliata. Sostengo il suo sguardo, nessuna delle due vuole cedere per prima. Chiude il portacipria con uno colpo secco.
«Che vuoi?»
Sorrido. Ho vinto io.
«Se continui a usare quello specchio durante le lezioni te lo sequestreranno di nuovo.»
«Fatti gli affari tuoi.»
Lo riapre e torna a guardarcisi, la cipria all’interno è come nuova. Perché se la porta dietro se non la usa mai?
Chris passa accanto al suo banco e le poggia una mano sulla spalla.
«Nervosa, oggi?»
«Dille di non fissarmi.»
Chris passa lo sguardo su di me con un sopracciglio alzato.
Gli faccio la linguaccia. «Provaci.»
Lui solleva le mani e se ne va. Bravo, non ti mettere in mezzo.
Michael rientra in classe, mi si siede accanto e si stiracchia. I primi due bottoni della camicia sono aperti.
«Com’è andata ieri sera?»
Scrolla le spalle con un mugolio e picchietta sul monitor. Dalle sue labbra proviene l’odore salato di Venice.

-

Chiudo la porta e raggiungo il lavandino, il bagno puzza di cloro e limone. Faccio un respiro profondo, la traccia di Venice nel mio naso viene cancellata dall’odore dell’igenizzante. I miei occhi riflessi allo specchio sono lucidi. Devo farmela passare prima che riprendano le lezioni. Sono contenta di essere un San Bernardo: le orecchie stanno giù di loro, non devo preoccuparmi di non farle apparire tristi.
La porta del gabinetto dietro di me si apre. Mi giro, Claire è davanti a me. Metà del suo volto è verde e screpolato come fosse fatto di squame. No, è davvero fatto di squame verdi. Mi fissa con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta. Le squame assumono una tonalità giallastra.
Sono pietrificata. Vorrei dirle qualcosa, ma non riesco a formulare una frase. Socchiude gli occhi e mi fissa col suo solito sguardo astioso. La sua pelle passa dal giallo al rosso e si attenua fino a tornare alla sua solita carnagione pallida. Le squame si richiudono, la sua pelle è di nuovo perfetta.
«Sei una cagna o un cerbiatto?»
«Cosa… cosa?»
Sbuffa. «Mi fissi come se io fossi un camion e tu aspettassi di essere stirata. Mi chiedevo se magari avevi un po’ di sangue da cervo nelle vene. Però visto che non ti ho sentita entrare magari sei solo un topolino.»
Come fa a essere così calma?
«Tu… tu sei…»
«Già.»
«E non hai mai—»
«Senti.» Sbatte la mano sul lavandino. «Se vuoi andare in giro a dire che sono un camaleonte, fallo. Magari se lo fai Michael tornerà a guardarti in faccia per cinque minuti. Potrebbe pure farti pat pat sulla testa. Ti piaceva tanto, vero?»
Abbasso lo sguardo.
«Non lo farei mai.»
Ride.
«Certo che no. Tu sei la brava cagnolina, non faresti mai nulla per ferire gli altri.»
Gli occhi mi si inumidiscono, le piastrelle del pavimento si fanno sfocate.
«Perché… perché sei così cattiva con me?»
«Cattiva?» Il suo volto diventa violaceo. «Lascia che ti racconti una storia, cagnolina.»

-

Jackie aprì la porta di casa sua e mi fece cenno di entrare. Le pareti del salotto erano coperte da mobili rossi e gialli pieni di libri, custodie colorate di film e, in alto, miniature di antiche navi a vela. In un angolo c’erano tre spade ricurve impilate una sull’altra, i foderi erano verde smeraldo.
«Vieni Claire, andiamo in camera mia.»
Jackie mi prese per mano e mi trascinò via. Le pareti di camera sua erano tappezzate di poster degli Sky Apogee. Quelli sopra il suo letto ritraevano la band in costumi dai colori sgargianti in posa con i loro strumenti. Sopra la scrivania erano appesi quelli del cantante Chad, il suo preferito.
Mi avvicinai a lei.
«Ehi Jackie.» Le sussurrai all’orecchio « Hai chiesto ai tuoi se ci accompagnano al concerto di Maggio?»
Lei sorrise e annuì.
«Sì, ci porta lei! Domani prendiamo i biglietti!»
Gli Sky Apogee dal vivo, per la prima volta! Dovevo cambiare colore del volto, non potevo restare pallida, un rosso tenue sarebbe stato più spontaneo.
Jackie smise di sorridere, i suoi occhi spalancati erano fissi su di me. Mi portai una mano al viso, i polpastrelli toccarono il bordo di una squama. Persi un battito.
«Aspetta Jackie, posso spiegarti.»
«La tua faccia.»
Si allontanò da me, anch’io indietreggiai.
«Sì, io… non sono… cioè, ecco—»
«Chimera.»
Pregai che riuscisse a gestire la notizia. Che potessimo continuare a essere amiche.
Jackie lanciò un urlo disumano.
Mi portai le mani alle orecchie e mi accovacciai per terra. Persi il controllo della mia pelle, tutto il mio corpo divenne squamoso e verdognolo come una lucertola.
La madre di Jackie corse in camera e la prese tra le braccia.
«Che succede?»
Si girò e mi vide. Sgranò gli occhi, sollevò Jackie e la portò via dalla stanza.

-

Gli occhi di Claire sono lucidi. Emana un tenue odore acre e salato, un misto di rabbia e dolore.
«Rimasi da sola in quella stanza finché mia madre non venne a prendermi. Non rividi più Jackie, le cambiarono scuola.»
Vorrei dirle qualcosa, ma anche la mia coda è immobile a sfiorare il pavimento.
«Dici che sono cattiva con te, ma ti sei vista? Vivi sotto una campana di vetro e ti permetti il lusso di giudicare senza sapere niente degli altri. Guarda chi è davvero il tuo padroncino.»
Si estrae un dischetto olografico dalla tasca e me lo porge. Lo prendo e la sua chat si materializza a mezz’aria.

Michael: Esci oggi?
Claire: Viene anche la cagnolina?
Michael: Certo.
Claire: Non ti sei stufato di portartela dietro?
Michael: Ti diverti anche tu a vedercela gironzolare attorno.
Claire: Neanche un po’.
Michael: Dai, la convinco a mettersi un guinzaglio.
Claire: Credi di essere divertente?
Michael: Ti preoccupi per lei?
Claire: Mi dà fastidio che ci perdi tempo dietro.
Michael: Dai, lo sai che sei tu la mia cucciolina.
Claire: Non chiamarmi così.

Mi tremano le gambe. Claire si specchia nel portacipria, la sua pelle è candida come la neve. Afferro uno dei miei orribili orecchi da San Bernardo e lo tiro.
«Perché?» La mia voce è rotta. Il volto di Claire e il bagno sono sfocati. «Perché ho questi cosi? Se fossero normali—»
«Piantala di piagnucolare.»
Lascio la presa. Claire mi fissa accigliata.
«Dovresti essere contenta che si è staccato da te, vorresti davvero che ti guardasse solo perché sei umana? Adesso tormenterà Venice e tu passerai la fine dell’anno tranquilla.»
Mi passo le maniche della camicia sugli occhi. Mi guardo allo specchio, ho ancora gli occhi rossi.
«Credi che Venice lo sappia?»
«Non lo so e non mi importa.» Mi passa accanto, le nostre spalle si sfiorano. «E pensare che a qualcuno piaci sul serio.»
Odora ancora di rabbia. Esce dal bagno e sbatte la porta.
Michael non mi ha mai trasmesso le sue emozioni, erano sempre coperte dal profumo.
Lo metteva per nascondersi da me?

-

Venice sta con le spalle poggiate contro lo stipite della porta dell’aula, osserva il corridoio a braccia incrociate. Solleva una mano per salutarmi. L’odore di sale è più forte del solito. Mi sale la nausea.
«Ehi, Prisca. Oggi andiamo al centro commerciale, vieni con noi?»
Sorride. I suoi denti acuminati emergono come tante file di soldati pronti alla carica. Anche se mi fa paura è l’occasione per metterla in guardia.
«Certo, dovevo giusto comprarmi un paio di cose.»
«Fantastico! Ci ritroviamo alle cinque davanti al negozio di animali.»
«Devi prendere qualcosa lì?»
Mi fa l’occhiolino.
«Il mio ragazzo vorrebbe prendere un cagnolino, pensavo di fargli un regalo.»
«Non sapevo avessi il ragazzo.» È la prima volta che parlo di questo argomento con un’altra ragazza. «Che tipo è?»
«Oggi pomeriggio lo vedrai, viene anche lui.»
Claire arriva dal corridoio e si ferma davanti a noi. In mano ha il portacipria aperto a cui lancia occhiate di sfuggita.
«Vi spostate? Devo entrare.»
È uscita prima di me dal bagno, dov’è stata finora?
Mi faccio da parte e chino la testa. Venice le sbarra il passaggio.
«Ehi Claire, stavo giusto dicendo a Prisca che oggi andiamo al centro. Vieni?»
Claire mi guarda con gli occhi socchiusi, le sorrido. Tira un sospiro.
«Se proprio devo.»
«Grande, allora alle cinque.»
Venice si scansa e Claire entra in classe.

-

Il corridoio del centro commerciale è deserto. Venice è davanti al negozio, ha una busta di carta in mano. Indossa un top nero e un paio di jeans a vita alta strappati. Lancio un’occhiata all’orologio appeso alla vetrina: siamo in anticipo di un quarto d’ora.
«Ciao Prisca. Sei in anticipo.»
Mostra quel sorriso pieno di denti.
«Anche tu.» Indico la busta. «Hai già preso il regalo?»
Emette un mugolio di assenso ed estrae dalla borsa un grosso collare rosso.
«Ti piace? Ha pure il guinzaglio estensibile fino a cinque metri.»
L’odore del cuoio è contaminato da una traccia di plastica bruciata.
«È grande. Che cane vuole prendere il tuo ragazzo?»
«Ha detto che gli piacerebbe un Setter.»
«Carino.»
Non è ancora arrivato nessuno, è il momento perfetto per parlarle.
«Senti Venice, riguardo Michael, ecco—»
«Hai paura che te lo rubi?»
«Cosa?»
«Ho visto come lo guardi.» Mi fa l’occhiolino. «Non ti preoccupare, non è il mio tipo. E poi anche lui è preso da te.»
Il corridoio attorno a noi si fa sfocato. Cosa significa? Michael ha mentito anche a lei? E se Claire mi avesse mostrato un dischetto falso? Perché sto scodinzolando ora?
«Non è questo.» Scuoto la testa. «Il fatto è che ho paura che si prenda gioco di me perché sono una chimera, e non vorrei che…»
«Che lo facesse anche con me?»
Annuisco. Il sorriso di Venice si fa più ampio.
«Capisco. Non ti devi preoccupare, so badare a me stessa. Oh, ecco che arrivano.»
I nostri compagni di classe stanno risalendo il corridoio. Michael è in testa al gruppo e in disparte c’è anche Claire. Venice va verso di loro.
«Ehi Michael, guarda qua.»
Prende il collare e glielo agita davanti.
«Ooh.» Michael lo afferra e gioca con l’apertura. «È perfetto, grazie Venice!»
Cosa sta succedendo? Non era per il suo ragazzo?
Michael si gira verso di me. Oggi non si è messo nessun profumo.
«Ehi Prisca, perché non te lo provi?»
I nostri compagni di classe ridono. Il sangue mi si gela nelle vene.
«Eh?»
«Dai, provalo. Non è perfetto per un Setter?»
Setter. Un Setter. Per lui io sono un Setter.
La parola rimbomba nella mia testa.
Non ha neanche idea di chi io sia.
Claire mi osserva dietro al branco con uno sguardo triste e scuote la testa.
Faccio un passo indietro.
«Non sono un Setter.»
«Che?»
«Non sono un Setter!»
La mia voce esce fuori acuta come un latrato. La classe scoppia a ridere.
«Che carina la cagnolina quando si arrabbia.»
Per loro sono solo una cagna. Mi si bagnano gli occhi, i loro volti si fanno sfocati. Aveva ragione Claire, non avrei dovuto fidarmi di loro.
Qualcuno esce dal gruppo e si avvicina.
«Piantala Michael.»
«Che vuoi Chris? Stiamo solo giocando.»
Chris si pianta tra me e lui, l’odore acre della sua rabbia mi riempie le narici.
«Ti sembra che lei si stia divertendo?»
«Che ti frega? È solo una cagn—»
Chris lo colpisce al volto con un pugno. Michael vola a terra, il collare rotola via.
La classe si zittisce, Venice scoppia in una risata sguaiata.
Mi asciugo gli occhi con le maniche. È successo davvero? Claire si è avvicinata, mi poggia una mano sulla spalla e mi spinge via. Michael si tiene la mascella e si gira verso Venice.
«Fai qualcosa invece di ridere, stronza!»
«Scusa, tesorino.» Venice ha le lacrime agli occhi dal ridere. «È che sei così patetico in questo momento.»
Dal negozio escono due uomini della sicurezza.
«Cosa succede?»
Chris si gira, il suo sguardo è apatico come se non fosse successo nulla.
«Ho pestato quello stronzo.»

-

Chris è seduto al banco accanto al mio. Tiene i gomiti piantati sul banco e la testa poggiata sulle mani. Le nocche sono fasciate. Emette un tenue odore dolce.
Mi siedo al mio posto.
«Cosa ti hanno detto gli agenti?»
Scrolla le spalle.
«Gli ho spiegato la situazione e all’esterno del negozio c’erano le telecamere di sorveglianza. Mi hanno sgridato un po’, niente di che.»
«Non avresti dovuto.»
«Non l’ho mica fatto solo per te.»
«Che intendi?»
Con un cenno del capo mi indica l’altro lato della classe. Claire è seduta al suo posto, la sua pelle è verde e squamosa. Sta guardando un video sul monitor. Il portacipria è a terra aperto, il vetro è incrinato.
«È entrata stamani, ha sbattuto quel coso a terra e ha cambiato colore senza dire una parola.»
«Tu lo sapevi?»
«L’ho beccata l’anno scorso, quando eravamo compagni di banco. Ti ricordi quando il prof le sequestrò il portacipria? Tenere sotto controllo la pelle senza lo specchio per ore non dev’essere facile.»
Claire mi guarda e sorride, la sua pelle si tinge di giallo.
Chris ridacchia «Immagino che vedere Venice così spontanea, anche nel suo essere una stronza, le abbia fatto venire voglia di essere se stessa.»
In fondo alla classe Venice ride fissando il monitor. Mi saluta con un cenno della testa. Sembra che ieri non sia successo niente per lei.
Michael non è in classe.
Chris apre sul monitor la cartella con gli ebook e scorre col dito tra i vari titoli.
«È stata Claire a dirmi che ti stavi cacciando nei guai, ieri. A quanto pare ha passato un sacco di tempo a cercare di scollarti quegli stronzi di dosso. Anche a costo di fare la parte della cattiva.»
Mi fissa con un sorrisetto.
Abbasso lo sguardo. «Ti ha raccontato quello che le ho detto?»
«Già, era parecchio arrabbiata con te.»
E nonostante questo mi ha protetta.
Lo sguardo di Chris passa da me al monitor. Il suo odore si fa più intenso, sta provando un’emozione forte.
«Posso fidarmi di te?»
«Dovresti imparare da sola a decidere di chi fidarti, non credi?»
Ha ragione. Per la fiducia ci sarà tempo, questa volta.
Scodinzolo.

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Alessio
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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#3 » mercoledì 13 gennaio 2021, 21:24

Specchio Specchio
di Alessio Vallese

Strattono la porta sul retro. È chiusa. Sollevo appena il perno della maniglia e la serratura scatta. Nessun allarme.
Passano gli anni, ma le scuole sono sempre senza soldi. Senza soldi per aggiustare la porta sul retro, senza soldi per un antifurto. Anche dopo vent'anni.
Do un'occhiata intorno, le strade sono deserte. Nemmeno a Marzia piaceva passeggiare in queste giornate buie e nuvolose. Sospiro. Se vedesse cosa sto facendo mi prenderebbe a sberle.
Tiro su col naso ed entro, la porta si richiude con un click dietro di me. Silenzio, il cuore mi pulsa nelle orecchie. Nemmeno le scarpe sui gradini delle scale emettono alcun suono. Al secondo piano mi affaccio nel corridoio in penombra. A sinistra, in fondo, qualcuno deve aver dimenticato una luce accesa: i soliti sprechi.
Dall'altra parte, alla fine del corridoio un'altra rampa mi porta al piano superiore. Chissà se lo chiamano ancora torretta? Poco più in là, la porta chiusa della mia vecchia aula mi fa strizzare lo stomaco. Quante ne abbiamo combinate io e Max.
Coraggio, un altro piano e ci siamo. Mi frugo nelle tasche ed estraggo la chiave del magazzino. Funzionerà ancora?
Al terzo tentativo la mano si convince a smettere di tremare e la chiave si infila nella toppa. Gira!
La stanza è buia, senza finestre. L'odore di chiuso è stemperato dal profumo di qualche detergente al limone. Scorro una mano sul muro ruvido fino a trovare l'interruttore: strizzo gli occhi alla luce improvvisa. All'interno, scatoloni marroni impilati fino al basso soffitto, boccioni dell'acqua pieni e vuoti, un mocio rinsecchito appoggiato in un angolo. Confezioni variopinte di detersivi sono accatastate in ordine sul pavimento di linoleum pulito. Non c'è nessun vecchio televisore, proiettore o cassettiera, niente cocci per terra. Scuoto la testa. Cosa mi aspettavo di trovare dopo vent'anni? Ancora i resti dei danni che facevamo?
Lo specchio. Dov'è lo specchio? Dev'essere per forza ancora qui, non è una cosa che si può semplicemente buttare via.
Prendo uno dei cartoni dalla cima di una pila e lo appoggio a terra. In uno di questi? No, troppo piccoli. Ne sollevo un altro a stento. Qualcosa tintinna, chissà cosa c'è dentro? No, devo trovare lo specchio. Sbircio dietro la parete di scatoloni: niente.
Maledizione.
Il nastro adesivo che chiude il pacco che ho in mano si appiccica a quello di un altro e mi impedisce di appoggiarlo. Do uno strattone per liberarlo ma il ginocchio cede. Urto i boccioni dell'acqua che rovinano a terra assieme al mio culo. Sembra un concerto di percussionisti, che bordello.
Oltre alle chiappe mi fa male la caviglia, uno dei boccioni pieni deve avermi colpito.
Affondo la faccia tra le mani, singhiozzo. Porca puttana. Ma che ci sono venuto a fare qua? Ti pare che possa esserci ancora?
Una sensazione di freddo e umido mi si espande sul sedere e un odore di disinfettante sale a pizzicarmi il naso. Devo aver rotto qualcosa. Mi rialzo, il ginocchio tiene.
Dove potrebbe essere? Forse più in fondo, dietro le scatole.
Con un grugnito tiro l'ultima confezione della pila che stavo smontando e libero un passaggio.
Dietro di me la porta sbatte e la serratura si chiude. Merda!

***
La Brunelli chiude I Sepolcri. «Bene ragazzi, riprendiamo con Foscolo dopo la ricreazione.» Esce dall'aula, il tacchettio dei suoi passi si perde nell'esplosione di chiacchiericcio dei miei compagni.
Max mi si palesa davanti, ha delle briciole di crackers appiccicate attorno alle labbra e la bocca talmente piena che non riesce a masticare tenendola chiusa. «Ué Bert. Andiamo a spaccare qualcosa?» bofonchia.
Spazzo via dal quaderno alcuni frammenti umidicci di cracker masticato. «Dai, che fai schifo!»
Un profumo di lavanda mi passa accanto. Sposto Max con una mano: il culo della Donati esce ondeggiando dalla porta dell'aula. Oggi è strizzato in un paio di pantaloni di lino bianchi di una taglia più piccola del necessario. Non c'è il segno delle mutande, deve avere addosso un tanga. Oppure niente. Puttana ladra, meglio non pensarci. Max deglutisce i suoi crackers con gli occhi piantati sulla Donati. O per lo meno su una parte di lei.
Appoggio gli occhiali sul banco e mi stropiccio gli occhi. «Spaccherei lei, spaccherei. Qui, adesso, sulla cattedra.»
Max mima il gesto di un pugno che va su e giù. «E invece stasera seghe.»
«Stasera. Domani. Dopodomani.»
Mi sollevo di peso con le mani appoggiate sul banco e inforco di nuovo gli occhiali. In aula siamo rimasti solo io e lui. «Andiamo va'.»
Sulle scale mi frugo nelle tasche ed estraggo la chiave del magazzino. Max la guarda. «Senti, ma… sei sicuro che Celestino non si è accorto che gli abbiamo fregato la chiave?»
«Ancora con 'sta storia! Sì che sono sicuro!»
«Sì, ma guarda che anche se sta per andare in pensione non è mica rincoglionito, si accorgerà se gli manca una chiave.»
Giro la chiave nella toppa e gli sorrido. «Infatti ho fatto una copia e poi l'ho rimessa al suo posto.»
Mi guarda con gli occhi sbarrati, come se gli avessi detto che mi sono fatto la Donati. «Genio!» ridacchia.
La stanza odora ancora della birra che abbiamo rovesciato l'altra volta, oltre che del solito sentore di lampadina fulminata che viene dai televisori guasti. Le scope che usiamo come mazze sono in un angolo accanto alla porta, dove le avevamo lasciate.
Prendo in mano un vecchio videoregistratore abbandonato in cima a una pila di sedie. «Chissà perché tengono tutta questa roba inutile. Adesso ci sono i DVD, quando mai useremo ancora un videoregistratore?»
Max osserva un muro di scatoloni. Su di uno di quelli più a portata di mano qualcuno ha scritto VHS con un pennarello blu. Lo tira giù e lo spalanca.
«Qui ci sono anche le videocassette.» Me ne sventola una sotto il naso. «Ti ricordi che due coglioni il documentario su Giotto che ci aveva fatto vedere Favalli?»
«Boh, mi sa che io ho dormito.»
Scaraventa il documentario su Giotto sul pavimento e ci salta sopra. «Fanculo Favalli!» urla.
La cassetta esplode spargendo detriti di plastica su tutto il pavimento.
Con un altro salto, il mio compare arriva all'angolo delle scope, ne afferra una e la abbatte sul solito televisore a tubo catodico. «Brunelli troia!»
Un pezzo di plastica vola via dal suo bersaglio.
Lo voglio anch'io un bersaglio! Il monitor di un pc lì accanto fa al caso mio: col videoregistratore ne frantumo lo schermo. «Donati voglio scoparti!»
Una quantità di vetri mi finisce sulle maniche della camicia, scuoto le braccia per liberarmene.
«Ehi Bert, dammi una mano!»
Max sale su una sedia e prende uno dei pacchi dalla cima del mucchio. «Occhio che pesa.»
Me lo molla in mano, il peso mi toglie il fiato.
«Cazzo se pesa!»
Sbircia nello spazio lasciato vuoto. «Ehi, c'è qualcosa qui dietro. Spostiamo gli altri scatoloni.»
Sono ancora più pesanti del primo ed emettono un rumore di liquido che si muove. Saranno detersivi. Trasciniamo gli ultimi due sul pavimento e passiamo dietro la parete di scatole.
Il varco lascia filtrare uno spiraglio di luce che illumina la polvere nell'aria e qualche insetto morto per terra. Una coperta a quadri bucherellata dalle tarme rivela la sagoma di una specie di grande piatto ovale.

***
Picchio i pugni sulla porta. «C’è qualcuno? Fatemi uscire!»
«Chi è lei? Cosa ci fa qui?»
Celestino! La voce acuta e nasale è la stessa di quando bestemmiava per le nostre malefatte. L'età l'ha resa solo un po' più roca.
«Celestino! Sei tu?»
«Ora chiamo la polizia.»
«No, aspetta!» Appiccico la fronte alla porta. «Sono Alberto Zuavi, ho fatto il liceo qui vent'anni fa. Ti ricordi di me? Mi chiamavano tutti Bert.»
«Alberto… Bert… sì, sì, certo che mi ricordo di te! Eri sempre in giro a fare danni con quel tuo amico…»
«Max.»
«Sì, sì esatto. Max. Ma tu cosa ci fai qui?»
Mi lascio scivolare giù con la schiena appoggiata alla porta. «Per favore, fammi uscire! Sto solo cercando uno specchio, di quelli grandi a pavimento, ovale.»
«E lo cerchi qui?»
«Sì, lo avevamo trovato qui io e Max vent'anni fa. Aveva dei simboli disegnati sul bordo. Dimmi che c'è ancora.»
Il rumore della chiave che gira nella serratura mi fa rialzare di scatto. Per fortuna il ginocchio si è ripreso.
Sulla porta un signore che avrà più di ottant’anni mi guarda dal basso in alto e punta il manico di una scopa a un palmo dal mio naso. Se non avesse la schiena piegata dall'età mi potrebbe fissare dritto negli occhi.
«Vent’anni hai detto?»
«Sì, lo avevamo trovato durante l’ultimo anno, proprio vent’anni fa.» Mimo le dimensioni dell'oggetto. «Era alto più o meno come me, col supporto di legno.»
Celestino abbassa la sua arma.
«Sì, ho capito. Allora deve essere arrivato il momento.» mugugna più tra sé e sé che rivolto a me.
«Ti prego Celestino, è importante! C'è ancora? Dov'è?»
Il bidello sbuffa e mi fa cenno di uscire. «Esci da qui, guarda che casino che hai combinato.»
«Ma—»
«Fuori.»
Col capo chino esco dalla stanza. Celestino la richiude a chiave e mi guarda negli occhi. «Lo specchio non è qui. È nell'altra torretta.»
«Ah, quindi c'è ancora, meno male. Lo avete solo spostato.»
Mi guarda e alza un sopracciglio. «No, è sempre stato lì.»
È vecchio e la memoria deve fargli brutti scherzi. Lo specchio era qui, nel magazzino sopra la mia aula.
Congiungo le mani davanti al petto. «Per favore, posso vederlo?»
Il bidello sbuffa e annuisce. «Vieni con me.»
Scendiamo e imbocchiamo il corridoio al secondo piano.
«Celestino, ma tu non dovresti essere in pensione? Come mai sei qui?»
«Oh, ma io sono in pensione. Però non ho niente da fare e, siccome la scuola è sempre senza soldi, ho chiesto se potevo venire a fare un giro ogni tanto per controllare se è tutto a posto. E a quanto pare ho fatto bene. Vuoi dirmi perché vuoi tanto vedere quello specchio?»
Sospiro. «Come ti dicevo, io e Max lo abbiamo scoperto durante il quinto anno e da allora questa cosa mi ossessiona. Il fatto è che non mi ricordo assolutamente niente di quello specchio. Ricordo solo che lo abbiamo trovato e poi vuoto totale. Ma sono sicuro che è successo qualcosa.»
Celestino si ferma emettendo un gemito e chiude gli occhi. Si porta una mano sopra una chiappa, sospira. «La sciatica. Diventerai vecchio anche tu, prima o poi. Il tuo amico non si ricorda niente?»
«Max dice che si è rotto e lo abbiamo rimesso dov'era, ma io sono sicuro che c'è dell'altro. Ce la fai? Vuoi sederti un po'?»
Indica la luce accesa in fondo al corridoio e riprende a muoversi. Zoppica. «Quella è la saletta che uso come ufficio. Mi siedo lì. Devo anche prendere le chiavi dell'altro magazzino.»
Lo prendo sottobraccio e lo sostengo. «A proposito, ma se lo specchio è sempre stato nell'altra torretta, com'è possibile che io abbia la chiave del magazzino sbagliato? È la stessa che usavo da ragazzino.»
Celestino mi guarda e sorride con metà della bocca. «Piuttosto, perché vieni qui proprio adesso, dopo vent'anni, se eri così tanto ossessionato?»
Ecco, sapevo che saremmo arrivati a questo. Mi sale un nodo alla gola.
«Durante il primo anno di università ho conosciuto una ragazza. Stare con lei mi ha fatto bene. Non che non pensassi più allo specchio, però non gli davo importanza.»
Annuisce. «Vieni, mi riposo un attimo.»
Si infila nel suo stanzino: un ripostiglio con spazio appena sufficiente per una sedia e un tavolino. L'aria odora di agrumi. Sul tavolo una scorza di mandarino fa da segnalibro a un volume con gli angoli consumati e i bordi delle pagine punteggiati di muffa. Stephen Hawking. Curiosa lettura per un bidello ottantenne.
Lo aiuto a sedersi e lui indica sul muro un pannello forato a cui sono appese una ventina di chiavi. «Prendi quella chiave lì. No, quella più in basso. Sì, quella.»
«Ok, grazie Celestino. Allora vado—»
«No!» Mi afferra un braccio. «Vengo anch'io.»
«Ma hai mal di schiena.»
«Fra un attimo mi passa.»
«Ma io…»
«Hai fretta? Hai aspettato vent'anni, potrai aspettare un vecchio per cinque minuti.»
Maledizione. Dai Celestino, devo vedere quel dannato specchio.
Mollo la chiave sul tavolo e cammino avanti e indietro per la microscopica stanza.
Il bidello si sposta sulla sedia, non riesce a trovare una posizione comoda. «Intanto puoi finire di raccontarmi la tua storia. Hai trovato una donna, e quindi?»
Sospiro e mi appoggio col sedere al tavolo. «Sono stato bene con Marzia, non ho più dato peso allo specchio. Era come se lei mi tenesse coi piedi per terra. Poi però il mese scorso…»
Fa male. Deglutisco e prendo fiato. «Il mese scorso un tizio che guidava ubriaco me l'ha portata via.» Sospiro. «Ora non mi è rimasto più niente.»
«Immagino. Hai perso la tua àncora.»
«Sì, bravo. La sensazione è stata proprio quella. All'improvviso mi sono ritrovato di nuovo solo e sperduto. E ho ricominciato a pensare a quel diavolo di specchio. Non so, forse sono ancora sconvolto dalla sua morte, o forse sono solo pazzo, ma devo sapere.»
Celestino annuisce e si alza con un grugnito.
«Sì, è proprio ora.»
Estrae un bastone da passeggio da dietro la porta, prende la chiave sul tavolo e mi spinge per un braccio. «Andiamo.»
Arranca su per le scale e lo seguo al suo passo fino al secondo piano della torretta.
Spalanca la porta. «Eccoci qui. Questo è il tuo magazzino.»
Lo spingo di lato ed entro.

***
Max mi aiuta a togliere la coperta con uno strattone, una nuvola di polvere ci avvolge. Tossisco disperato fino a quando non mi si liberano i polmoni. Il sapore di terra sulla lingua però non va via.
«E che cazzo! Da quanto era qui 'sta cosa?»
La coperta nascondeva uno specchio a pavimento, ovale, alto più o meno come me, con la struttura di legno.
Mi ci piazzo davanti, la mia figura si riflette per intero. Il riflesso di Max dietro di me non è nitido, sembra come sfocato. Lungo tutto il bordo, dei graffi segnano la cornice di legno, sembrano lettere di qualche alfabeto.
Qualcosa mi sfiora un orecchio e va a schiantarsi contro lo specchio, infrangendone il vetro.
«Vaffanculo Brunelli!»
Mi giro di scatto a guardare Max. «Ma sei cretino? Che cazzo fai? Mi hai fatto il pelo, volevi spaccarmi la testa?»
Max tira a sé il cavo dell'alimentatore per pc che ha usato a mo' di frusta per spaccare lo specchio. Ridacchia.
Un pezzo di vetro grande come il palmo della mia mano è appoggiato sopra una scarpa. Scrollo il piede per liberarmene: non si muove, deve essersi impigliato nei lacci. Lo prendo ma mi scivola e mi taglia un polpastrello. «Ahia brutta merda!»
Una goccia di sangue cade su un frammento di specchio. «Max, sei una testa di cazzo! Adesso mi sono pure fatto male. Vaffanculo!»
«Eh, dai, scusa. Guarda che non ti ho mica tagliato io!»
Mi succhio il dito e prendo un fazzoletto dalla tasca. Lo avvolgo attorno al dito.
Per terra, il sangue è sparito ma il vetro ne conserva il riflesso.
«Ma cosa… Max, hai visto anche tu?»
«Cosa?»
«Qui, il sangue.»
Si avvicina, tiene ancora in mano il cavo dell'alimentatore che gli penzola all'altezza del ginocchio. «Quale sangue?»
Il pezzo di vetro ora è pulito, non ci sono né la macchia, né il suo riflesso. «Mi era caduta una goccia di sangue qui sul vetro e ora è sparita, sembra che se la sia bevuta.»
«Ma va', te lo sarai immaginato. Guardalo lì, il tuo sangue.»
Indica una macchia rossa sul pavimento.
«Sarà…»
Max torna alla sua posizione. Fa roteare l'alimentatore sopra la testa come un lazo. «Altro giro, altra frustata. Levati da lì!»
Stringe gli occhi e fissa lo specchio rotto. L'alimentatore rallenta attorno alla sua testa e scende fino a fermarsi. Il mio compare mi guarda con la bocca mezza aperta. «Ma di cosa è fatto il pannello?»
In effetti la superficie scura che prima era nascosta dal vetro sembra ricoperta da una patina lucida che però non riflette niente, di un colore che somiglia al marrone. Colpisco col palmo della mano l'esterno della cornice. Il pannello vibra e si formano delle increspature. È come aver scrollato una vasca di budino al cioccolato.
Allungo un dito e ne tocco la superficie.

***
Il magazzino odora di birra e lampadine fulminate. Premo l'interruttore della luce e un neon ronza e sfarfalla per qualche secondo. Un neon. Non sapevo che ce ne fossero ancora in circolazione.
Pile di scatoloni creano una parete in fondo alla stanza, alcuni sono spostati lasciando come un passaggio per il retro. Avanzo verso un televisore a tubo catodico ammaccato, deve avere almeno trent'anni.
Accanto, un oggetto nero e lucido è infilato nello schermo sfondato di un monitor da computer che avrà la stessa età del televisore. Lo tiro fuori in un tintinnare di vetro in frantumi. È un videoregistratore, lo rimetto nel monitor.
Qualcosa scricchiola e mi preme sotto i piedi. Una videocassetta sfasciata, impronte di scarpe sul nastro stropicciato e detriti di plastica ovunque. Poco più in là, nel passaggio fra gli scatoloni, frammenti di vetro riflettono la luce del neon che illumina la stanza.
Oltre i vetri troneggia quello che una volta era stato uno specchio a pavimento ovale, alto più o meno come me. Il vetro lo ha rotto Max quella volta e ora è sparso per terra. La cornice di legno intarsiata è ricoperta di graffi e sostiene ancora qualche brandello su cui si riflettono la mia immagine nitida e uno sfocato Celestino che è entrato nella stanza.
La superficie dietro il vetro è una specie di gelatina marrone scuro, in qualche modo lucida, ma che non riflette nessuna immagine. Sembra di specchiarsi in un budino.
Celestino si avvicina. «Ecco il tuo specchio.»
«Sembra di sì.»
Tocco la sostanza gelatinosa e la mano affonda all'interno. La ritraggo di scatto.
«E ora cos'hai intenzione di fare?» chiede il bidello alle mie spalle.
Prendo fiato. «Vedere cosa c'è dall'altra parte.»
Chiudo gli occhi e con un passo mi infilo dentro il budino.

***
Un frammento di vetro attaccato alla cornice dello specchio riflette un ragazzino sui diciott'anni, con gli occhiali e qualche pelo sparuto sul viso. Assomiglia un sacco a me quando avevo la sua età.
Qualcosa mi scuote la spalla. «Bert! Ehi Bert! Bert!»
Conosco questa voce. Mi giro, sgrano gli occhi. «Max? Max, sei davvero tu?»
«No, tua sorella! Che ti è preso? Ti sei rincoglionito?»
Mi fa male un dito, c'è legato attorno un fazzoletto. Ah già, mi ero tagliato col vetro.
«Ma stai bene?»
«Mi gira un po' la testa… cos'è successo?»
«Non lo so, dimmelo tu. Sei rimasto tipo dieci secondi immobile, incantato davanti a quello specchio rotto. Ti avevo detto che il pannello mi sembrava strano, tu l'hai toccato e bam!, ti sei bloccato.»
«Dieci secondi… ma… e Celestino?»
«Celestino? Dove?» Max si gira di scatto. «Non farmi scherzi del cazzo.»
«Non so Max, mi ricordo che non ero più al liceo. Avevo vissuto tipo altri vent'anni e poi ero tornato alla scuola a cercare lo specchio.»
«Vent'anni. E poi sei tornato a cercare lo specchio. E magari ti eri pure sposato con la Donati. Ti sei fatto robe strane prima di venire a scuola?»
Sposato… Mi giro verso lo specchio rotto e ne sfioro la superficie scura e lucida. Solida.
Affiora il ricordo di un volto abbronzato, sorridente, circondato da una nuvola di riccioli neri. Chissà chi è? Le associo il nome di Marzia, ma non conosco nessuna Marzia.
«Non so perché, ma ero tornato nella scuola e Celestino mi ha aiutato a tornare qua passando attraverso lo specchio.»
Max è sulla porta del magazzino. «Ué Alice, andiamo ché sta per suonare la campanella. Me lo racconti dopo, così mi dici anche di che cosa ti sei fatto, ché lo voglio anch'io.»
Lancio un'ultima occhiata allo specchio. Sul fondo scuro, l'immagine sbiadita di un vecchietto imbocca una porta e se ne va chiudendosela alle spalle.
Uno strattone mi costringe a fare un passo per non cadere.
«Cosa fai lì imbambolato?» Max mi tira per un braccio. «Muoviti, ché se arriviamo tardi la Brunelli ci incula!»
«Sì, andiamo.»

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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#4 » martedì 19 gennaio 2021, 23:27

L'odore delle bugie

Ciao, l’idea alla base del racconto è molto interessante anche se forse sarebbe più adatta a dei ragazzini delle medie più che delle superiori. La trama, per quanto non originale, è solida e lo svolgimento gradevole. Potrebbe essere tranquillamente un anime.
La mutazione fisica delle chimere potrebbe essere fonte di spunti infiniti per parlare delle turbe che viviamo in pubertà. Della difficoltà ad integrarci e così via.
L’idea ha potenziale infinito.
Veniamo alla parte tecnica.
Per quanto io apprezzi i periodi brevi, nel primo paragrafo avrei avuto bisogno di frasi più lunghe che si adattassero al narrato. Soprattutto perché la tua è una prima persona, di conseguenza mi aspetto più introspezione e quindi periodi articolati e contorti. Come la mente di qualsiasi adolescente.
Mi piace come introduci ogni elemento nel racconto. Non c’è nulla di raccontato, mostri tutto e mi dai i giusti elementi per contestualizzare la storia. Da questo punto di vista devo farti i complimenti.
Protagonisti ben caratterizzati, forse stereotipati ma chi non lo è oggi?
Non mi è per nulla piaciuto il flashback, che ho trovato sbagliato per via del pdv. Noi siamo Prisca, non ha alcun senso passare alla narrazione in prima persona su Claire o, se lo vuoi fare, trova un “disco” diverso che funzioni come il pensatoio di Silente. Messo così stacca troppo dal resto e può (come nel mio caso) infastidire il lettore.
Un appunto sulla coerenza del racconto. Claire racconta la sua brutta esperienza, ma fino a quel momento noi non abbiamo alcun elemento per intuire che nel tuo universo le chimere siano discriminate. Anzi, tu ci hai fatto vedere Prisca, che risulta una ragazza un po’ timida ma integrata e Venice che diventa addirittura l’attrazione della classe. Devi assolutamente darmi qualche elemento prima. Dei ricordi di Prisca che dica quanto sia stata fortunata a finire in quella classe, magari confrontandola con le elementari dove la prendevano in giro.
In una versione estesa, chiaramente Chris meriterebbe più spazio.
Occhio alle ripetizioni e ad alcuni refusi. Partire con una frase sbagliata è un errore madornale.
Nel complesso è un racconto gradevole, bravo.

Specchio Specchio

Ciao, storia decisamente affascinate. Buona l’atmosfera ma arrivato alla fine ho avuto la sensazione che mancasse qualcosa. Hai spiegato tanto, a dire la verità troppo. Tra il dialogo con Celestino e (decisamente poco spontaneo) e il finale (si capiva cosa stava succedendo, non serviva spiegarlo) hai trattato il lettore come un perfetto idiota. Ciò nonostante mi manca il tempo per metabolizzare la storia.
Forse facendomi vivere le sensazioni del protagonista cresciuto (e cambiato) avrei sentito più mia la storia. Per intenderci: il Bert ragazzo rispetto a quello adulto deve usare una mano diversa. Se era destrorso sarà diventato mancino o viceversa. Non basta invertire la torre, espediente comunque gradito.
Così forse avresti potuto evitare parte del dialogo con Celestino (personaggio poco riuscito) che oggettivamente toglie qualcosa al racconto piuttosto che aggiungerlo. È lì con un espediente che non regge (piuttosto fallo diventare il padre del nuovo custode e falli vivere lì. Le scuole con la portineria sono poche ma esistono.) e continua a far capire che lui sa. Cosa sappia e perché però non ce lo dici mai. Non lo so, Celestino mi sembra una promessa non mantenuta.
Occhio a quello che scrivi, perché i lettori come me sono sensibili e facili all’ira. Lui ha da poco perso la compagna e tu me lo fai capire solo a metà racconto? E no, non va bene. O meglio, ci sta che tu non me lo dica ma Bert deve trasmettermi le sue emozioni e in lui non ho letto dolore. Potevi sviarmi lasciandomi nel dubbio che fosse successo qualcosa a Max, non mi interessa, ma il sentimento dev’esserci.
Il punto di forza del racconto (a parte l’atmosfera che mi ha ricordato molto Locke & Key, scusa se è poco…) sono i paragrafi con Max e Bert ragazzi. Lì sei riuscito a trasmettere la freschezza dei ragazzi tramite una scrittura adeguata alla loro età, cosa non facile. Bravo.
Nel complesso il racconto mi è piaciuto, anche se con qualche modifica sarebbe stato qualcosa da ricordare.

Giudizio finale.

Ho apprezzato entrambi i racconti, ma è una gara e solo uno può passare il turno.
Promuovo in finale L'odore delle bugie perché trovo il racconto completo mentre il suo rivale avrebbe bisogno di una revisione.

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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#5 » giovedì 21 gennaio 2021, 9:53

Devo ammettere che per un po' ci avevo creduto di poter arrivare in finale! :-D
Devo altresì ammettere che il racconto di Stefano è molto valido e non posso che fargli i complimenti e augurargli in bocca al lupo per una finale difficilissima!


Grazie a Francesco per essersi messo a disposizione! Come accennavo nella prima fase, è il primo pezzo che scrivo e dopo tanti commenti fin troppo lusinghieri, il tuo è stato un po' una doccia fredda. Finalmente, direi! Un po' di realtà non guasta. :-)
Vorrei chiederti però alcuni chiarimenti.

Spartaco ha scritto:Ciao, storia decisamente affascinate. Buona l’atmosfera ma arrivato alla fine ho avuto la sensazione che mancasse qualcosa. Hai spiegato tanto, a dire la verità troppo. Tra il dialogo con Celestino e (decisamente poco spontaneo) e il finale (si capiva cosa stava succedendo, non serviva spiegarlo) hai trattato il lettore come un perfetto idiota. Ciò nonostante mi manca il tempo per metabolizzare la storia.

Non ho capito: in che senso "spiego troppo" e che cosa viene spiegato troppo?

Spartaco ha scritto:Forse facendomi vivere le sensazioni del protagonista cresciuto (e cambiato) avrei sentito più mia la storia. Per intenderci: il Bert ragazzo rispetto a quello adulto deve usare una mano diversa. Se era destrorso sarà diventato mancino o viceversa. Non basta invertire la torre, espediente comunque gradito.

L'ambizione del racconto era quella di far arrivare il lettore al finale col dubbio se Bert fosse tornato indietro nel tempo o se la realtà del Bert adulto fosse una illusione. Ho inserito diversi spunti (forse troppi?) per indirizzare il lettore verso la seconda interpretazione, ma penso che un elemento forte come la mano cambiata (a cui in effetti avevo anche pensato), o qualcosa di simile, sarebbe stato troppo palese e avrebbe completamente distrutto l'ambiguità che volevo creare.
In più, la tua interpretazione è andata ancora oltre, nel senso che hai dato al magazzino spostato (che è l'unico elemnto invertito dell'illusione) un significato che in realtà non ha. Molto più banalmente, il magazzino era da un'altra parte. Non siamo di fronte a un mondo specchiato (altrimenti anche la chiave sarebbe stata specchiata, quindi sarebbe stata giusta per il secondo magazzino e non avrebbe potuto aprire il primo). Il magazzino spostato, assieme ad altre cose, ha la funzione di creare una sensazione di stortura e di "qualcosa che non torna".
Che poi magari tutto ciò possa non emergere adeguatamente dal testo, è un altro paio di maniche! :-D

Spartaco ha scritto:Così forse avresti potuto evitare parte del dialogo con Celestino (personaggio poco riuscito) che oggettivamente toglie qualcosa al racconto piuttosto che aggiungerlo. È lì con un espediente che non regge (piuttosto fallo diventare il padre del nuovo custode e falli vivere lì. Le scuole con la portineria sono poche ma esistono.) e continua a far capire che lui sa. Cosa sappia e perché però non ce lo dici mai. Non lo so, Celestino mi sembra una promessa non mantenuta.

Perché dici che il motivo per cui è lì non regge? Al mio paese ci sono dei pensionati che fanno i volontari per la biblioteca, in modo da poter garantire il servizio dalle 8 alle 22, anche quando il personale non c'è. Non mi sembra così assurdo che possa succedere una cosa analoga in qualche scuola. Viceversa, l'esempio che proponi tu mi avrebbe messo in difficoltà nel rendere credibile che una persona normale possa pensare di intrufolarsi in una scuola che sa essere presidiata 24/7 perché c'è il portinaio che ci vive (oltre al fatto che una scuola che può permettersi una portineria probabilmente non lascerebbe una porta rotta per vent'anni, ma questo è il meno).
Sul fatto che dia la sensazione di una promessa non mantenuta, te ne do atto, però mi chiedo: ai fini della storia, è così importante sapere cosa Celestino sa e perché lo sa? Ho pensato che la cosa importante fosse il suo ruolo di guida verso la conclusione dell'illusione.
In generale, come mai pensi che Celestino non sia un personaggio riuscito? C'è altro oltre alla questione del motivo per cui è lì e del fatto che sa cose che non vengono dette?

Spartaco ha scritto:Occhio a quello che scrivi, perché i lettori come me sono sensibili e facili all’ira. Lui ha da poco perso la compagna e tu me lo fai capire solo a metà racconto? E no, non va bene. O meglio, ci sta che tu non me lo dica ma Bert deve trasmettermi le sue emozioni e in lui non ho letto dolore. Potevi sviarmi lasciandomi nel dubbio che fosse successo qualcosa a Max, non mi interessa, ma il sentimento dev’esserci.

Pensavo che l'accenno a Marzia all'inizio fosse sufficiente a far capire che c'era qualcuno che ora non c'è più, per poi rivelare la cosa in seguito. E' vero che non mostro il dolore di Bert, ma volevo focalizzare l'attenzione sulla sua ossessione per lo specchio. Non è il dolore per la sua perdita che lo ha portato alla scuola, ma piuttosto il desiderio di ritrovare lo specchio.
Anche qui, che poi potesse essere reso meglio, può essere. Anche altri mi hanno fatto notare che le motivazioni di Bert sono un po' deboli. Mi manca un po' d'esperienza per poter sistemare questo aspetto :-)


Mi rendo conto che ho scritto un sacco! Spero che troverai un po' di tempo per rispondere ai miei dubbi. Grazie ancora!

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Re: Semifinale Francesco Nucera

Messaggio#6 » domenica 24 gennaio 2021, 13:06

Assomiglia un sacco a me quando avevo la sua età.

Veramente devi dirmelo? Vuoi farmelo capire, okay ma non dirmelo. Dammi il suo stupore non un pensiero dedicato al lettore. Tu penseresti "Quello mi somiglia un sacco…" o imprecheresti dicendo un "ma che cazzo è questo?". Per spiegare rischi di perdere in spontaneità.
Alessio ha scritto:L'ambizione del racconto era quella di far arrivare il lettore al finale col dubbio se Bert fosse tornato indietro nel tempo o se la realtà del Bert adulto fosse una illusione. Ho inserito diversi spunti (forse troppi?) per indirizzare il lettore verso la seconda interpretazione, ma penso che un elemento forte come la mano cambiata (a cui in effetti avevo anche pensato), o qualcosa di simile, sarebbe stato troppo palese e avrebbe completamente distrutto l'ambiguità che volevo creare.
In più, la tua interpretazione è andata ancora oltre, nel senso che hai dato al magazzino spostato (che è l'unico elemnto invertito dell'illusione) un significato che in realtà non ha. Molto più banalmente, il magazzino era da un'altra parte. Non siamo di fronte a un mondo specchiato (altrimenti anche la chiave sarebbe stata specchiata, quindi sarebbe stata giusta per il secondo magazzino e non avrebbe potuto aprire il primo). Il magazzino spostato, assieme ad altre cose, ha la funzione di creare una sensazione di stortura e di "qualcosa che non torna".
Che poi magari tutto ciò possa non emergere adeguatamente dal testo, è un altro paio di maniche! :-D

Probabilmente sono andato oltre. Vero.

Alessio ha scritto:Al mio paese ci sono dei pensionati che fanno i volontari per la biblioteca, in modo da poter garantire il servizio dalle 8 alle 22
Le biblioteche sono a gestione comunale, le scuole superiori no. Detto ciò non sono certo che non si possa fare e il dubbio cresce perché l'espediente serve per inserire un personaggio fondamentale alla narrazione (non per la storia ma per la comprensione di essa).

Alessio ha scritto:In generale, come mai pensi che Celestino non sia un personaggio riuscito?

Perché è una guida da videogame. Serve al giocatore per andare avanti con la storia ma non aggiunge nulla alla stessa. Hai scritto un racconto con tre personaggi e uno di questi ti serve esclusivamente per parlare con il lettore. Manca di spessore, si intuisce che serve solo a te.

Alessio ha scritto:ai fini della storia, è così importante sapere cosa Celestino sa e perché lo sa?

Lo è. Hai fatto intendere più volte che lui stava attendendo l'arrivo del protagonista, a questo punto devi dirci il perché.
I personaggi devono essere vivi e non devo essere esclusivamente al tuo servizio. Tu hai usato Celestino ma non gli hai dato vita, questo personalmente è un grosso limite. Io curo in ogni dettaglio ogni personaggio dei miei romanzi/racconti e lo faccio perché ogni parola scritta è un debito nei confronti del lettore. Se un personaggio non ha una personalità e uno scopo è decisamente meglio non metterlo.

Alessio ha scritto:Pensavo che l'accenno a Marzia all'inizio fosse sufficiente a far capire che c'era qualcuno che ora non c'è più, per poi rivelare la cosa in seguito. E' vero che non mostro il dolore di Bert, ma volevo focalizzare l'attenzione sulla sua ossessione per lo specchio. Non è il dolore per la sua perdita che lo ha portato alla scuola, ma piuttosto il desiderio di ritrovare lo specchio.


L'amore della sua vita, questo è Marzia. Non mi basta un accenno, mi serve sentimento.
Quando scrivi non lo fai per te ma per i lettori e il tuo scopo dev'essere quello di fargli vivere gli avvenimenti fino all'immedesimazione. Se per il tuo protagonista lo specchio è più importante del lutto mi va bene (scelta tua) ma devi farmi capire perché. Sia chiaro, me lo devi far capire non devi dirmelo.

Scusa per la risposta frettolosa, ma spero di esserti stato utile.

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