Il cane del diavolo
Inviato: domenica 28 febbraio 2021, 15:15
Ada raccoglie lo zecchino d’argento, carezza il rilievo della croce sulla faccia e lo passa alla mamma. Le dita contornate di sporcizia afferrano il soldo e lo infilano in una tasca del vestito lacero. Un passante dal tabarro scuro lancia loro un’occhiata, ma prosegue dritto.
La pancia di Ada brontola: anche oggi avrebbero saltato il pranzo. Si trascina sul selciato e si avvicina alla mamma. «Mi racconti ancora la storia del ponte?»
Lei sospira. «Dopo però fai la brava e continua a lavorare.» Si lecca le labbra screpolate. «Quando hanno costruito questa città, ci voleva un ponte.» Indica la struttura oltre la piazza. «Un ponte molto lungo, perché il fiume è largo e tormentoso.»
Un uomo calvo dagli occhi verdi le getta uno sguardo obliquo, lei protende la mano aperta, ma nulla da fare.
Tira su col naso. «Costruire il ponte con solo le proprie forze era molto difficile, allora gli abitanti hanno fatto un patto col diavolo.»
Ada si stringe nelle spalle, quel pezzo le fa sempre paura. Spinge il nasino sul fianco della mamma, che la accarezza i folti capelli.
«Il diavolo avrebbe costruito il ponte in una notte, ma poi chiunque lo avesse attraversato per primo gli avrebbe dato l’anima.» Tossisce. «I cittadini hanno acconsentito, perché avevano escogitato un modo per ingannarlo.»
Ada alza lo sguardo a fissare la mamma. «Come?»
«Lo sai, come.»
«Dai dimmelo, lo voglio sentire.»
«Un cane.» Sorride. «Hanno fatto attraversare il ponte a un cane.»
«E il diavolo?»
«Ha dovuto accontentarsi, i patti sono patti, ma si è arrabbiato.» Fa un gesto in aria con le mani, come per fare una magia. «Ha trasformato il cane in pietra, e l’ha gettato sotto il ponte.»
«E il cane di pietra è ancora lì, vero?»
«Certo! E chiunque lo trovi avrà una fortuna immensa, perché con quel cane è stato ingannato il diavolo!»
Un ciuffo di capelli le scivola sul naso. La sua mano ravvia la ciocca e poi scatta in avanti al passaggio di un uomo col mantello rosso. Nulla.
Ada bisbiglia. «Lo troverò, quel cane.» La fissa negli occhi.
«So che ce la farai.» Sorride. «Ho fiducia in te.»
«Lo troverò per te, per noi due»
Il sorriso della mamma le scalda il cuore. Vederla felice è raro, ormai: da quando sono arrivate in quella città, è taciturna e sta sempre sulle sue.
Due stivali di cuoio lucido si fermano di fronte a loro, la sagoma di uno sconosciuto offusca il sole. Il ricamo d’oro di un cane decora la sua veste da una spalla all’altra. Ada cerca di guardarlo in faccia, ma il suo viso è nascosto dall’ombra di un tricorno col bordo d’argento. La sua mano si muove a estrarre un fazzoletto dalla tasca, che poi porta a coprire il naso.
«Lui ti vuole vedere.» La voce è soffocata dal tessuto.
La mamma si alza, ma lui la ferma. «Non tu. La bambina.» Punta il dito guantato su Ada. «Per pranzo. Mandagliela.»
Si volta, imbocca un vicolo e se ne va.
Ada alza le sopracciglia. «Hai visto il disegno sul suo petto?»
«Era un blasone, ogni nobile ne ha uno. Il cane è il simbolo dei signori d’Arcano.»
«Un nobile? Sono quelli col sangue blu?»
«Quelli col sangue blu.» Sospira. «Ricordati il suo nome per dopo: Ar-ca-no. Lui ti condurrà dal suo padrone.»
«Devo andarci da sola? Non voglio, ho paura!»
«Non ti accadrà niente di male, fidati di me.»
Una capretta bela in un recinto, degli uomini portano in spalla ceste di ortaggi e due cavalli sbuffano ruminando fieno. Ada attraversa il cortile del palazzo e raggiunge il portico. A un tavolo, quattro uomini giocano a carte e bevono vino. Uno di questi ha un tricorno argentato appeso allo schienale della sedia e una tunica decorata in filo d’oro. Il suo viso imberbe è quello di un ragazzo: un paio di brufoli gli costellano la guancia.
Ada si schiarisce la gola. «Signor Cano. Sono venuta qui come richiesto.»
Il giovane abbandona le carte sul tavolo, si gira verso di lei e la fissa da capo a piedi.
Scuote la testa. «Il mio nome è Ar-cano. Conte, d’Arcano.»
Lei si piega in una riverenza. «Signor conte Ar-cano.»
Uno dei giocatori sghignazza, le sue guance paffute sono cosparse di venuzze rossastre. D’Arcano si alza in piedi, il simbolo del cane dorato sul suo petto riverbera la luce di mezzogiorno.
«La vedi quell’entrata lì?» Indica un uscio in fondo al porticato. «Va’ dentro, cerca la governante e fai quello che ti dice.»
Ada si inchina ancora e lancia un ultimo sguardo alla compagnia di bevitori; uno di loro le strizza l’occhio. Il cuore le palpita in petto, non attende oltre e sgambetta verso il punto indicatole. La porta è aperta, entra e la richiude alle spalle. Si ritrova in una stanza affollata: diversi servi in grembiale affettano cipolle, condiscono carne e rimestano dentro a pignatte di rame.
Lo stomaco le gorgoglia. Si piega e guarda dentro a una bacinella: degli animali simili a grossi ragni brulicano sul fondo e si contorcono in una danza di centinaia di zampette.
Ada si ritira disgustata e sbatte la schiena su un morbido pancione.
«Ah! Sei arrivata!»
Il viso paffuto di una donna grassa le sorride, le sue manone le agguantano le spalle.
Ada trema. «Signora, siete voi la governante?»
«Su su, piccola. Non avere paura. Vieni con me.»
«Dove?»
La donna non le risponde e si avvia fuori dalla cucina. Attraversano un paio di stanze, fino a che non giungono in una saletta con al centro una grande tinozza. La luce del sole penetra da una finestrella coi vetri coperti di ragnatele.
«Sua Eccellenza arriva subito. Tu da brava spogliati che adesso ti porto l’acqua per il bagno.»
Ada apre la bocca per dire qualcosa, ma la governante se ne va senza dargliene il tempo. Indecisa sul da farsi, si siede sul pavimento e nasconde il viso tra le ginocchia.
La porta cigola, un paio di pantofole di velluto viola le si avvicinano.
«Benvenuta, cara.»
La voce è pastosa, rassicurante. Ada si raddrizza e fissa il volto dalla pelle raggrinzita come carta appallottolata stiracchiata alla bell'e meglio. I suoi occhi, due globi azzurri attraversati da striature grigiastre, la fissano dall’alto al basso. La bocca di Ada si spalanca senza emettere alcun suono.
Tre donne entrano trasportando secchi colmi d’acqua fumante, riempiono la tinozza, e se ne vanno.
Il vecchio annuisce e scopre una fila di denti bianchissimi. «Il tuo bagno è pronto. Coraggio!»
Lei balbetta. «Devo fare il bagno, adesso?»
«Certo. Vedrai, sarà molto piacevole, finché l’acqua è ancora calda.»
Ada si appoggia alla tinozza, ci mette dentro la mano. Il calore le accarezza la pelle.
In piedi vicino alla riva del fiume, il falegname armeggia coi pantaloni e si slaccia la patta. La sua barba mal rasata punge il viso di Mariella che, chiusi gli occhi, prova a deglutire. L’uomo le copre il viso con la mano callosa e le infila due dita tra le labbra. Lei apre la bocca, le dita penetrano e le premono la lingua fino a farle male. Un sapore amarognolo si diffonde sul palato, un granello di segatura si stacca dall’unghia e la punge.
«Eddai, vecchio arnese, fai il tuo lavoro.» L’alito del falegname puzza di vino e d’aglio. «Troia, aiutami tu.»
Mariella allunga il braccio e cerca a tastoni il membro floscio. Trovatolo, lo massaggia alla buona.
Il falegname le colpisce il polso. «Mannò, non così.» Sbuffa e la spinge per farla voltare.
Lei si gira con le dita ancora ficcate in gola e appoggia la fronte sui mattoni del ponte. L’uomo fa scivolare la mano sotto la sua gonna, alza un bordo, afferra il fianco e spalma la panzona sulla sua schiena.
Mariella apre le gambe, un salsicciotto caldo le si infila tra le cosce. Il falegname si dondola avanti e indietro, il suo peso la spiaccica contro il muro. L’arnese finalmente si indurisce.
«Allarga di più, stupida cagna.» Le tira i capelli e chiude le dita nella sua bocca a mo’ di artiglio.
Lei geme dal dolore e apre di poco le ginocchia, il pene scivola in alto, ma non la penetra. Il dondolare si fa più concitato e il falegname ansima a ogni botta. Molla la presa sul fianco, porta il polso sulla sua gola e la stringe a sé. Mariella fatica a respirare: le dita in bocca le provocano conati di vomito e l’altra mano la strozza. Lacrime le scendono sulle guance, il muro ruvido le scortica il viso.
«Ossì!»
Un fiotto caldo si diffonde tra le cosce, le dita si ritraggono e la liberano. Mariella poggia le mani a terra e prende un respiro profondo. Tossisce e sputa la saliva salata.
«Ecco a te.»
Tre monete le colpiscono la mano, rimbalzano e affondano nella terra morbida della sponda del fiume. Le raccoglie e se le infila in tasca. Alza lo sguardo: la figura del falegname si allontana nel sentiero che riporta in strada. Il cielo volge alla sera, il sole rosso la fissa come un occhio ferino.
Si lecca il palato, dove una piccola ferita diffonde un sapore ferroso. Sospira, e ascolta le acque del fiume scorrere ai suoi piedi. Raccoglie un po’ d’acqua gelata con le mani a coppa, si risciacqua la bocca e si lava via il seme appiccicoso dalle cosce. Brividi di freddo le corrono lungo l’inguine.
«Mamma!» La voce della bambina è vicina.
Mariella si volta di scatto e abbassa la gonna. La sagoma di Ada, illuminata dalla luce del tramonto, corre verso di lei.
«Eccomi, mamma.»
Le si avvicina e le porge un sacchetto. Lei sospira, si alza e stringe la bambina tra le braccia.
«Mamma, mi soffochi.»
La libera e si abbandona sul terreno umidiccio. Ada, a sua volta, le si mette accanto e agita il sacchetto di fronte ai suoi occhi.
«Prendi. Sono buone.»
Mariella afferra l’involto e lo apre. Un odore dolciastro le arriva alle narici, lo stomaco inizia a gorgogliare.
La bambina ride. «Sembrano ragni, ma bisogna aprirli e mangiare quello che hanno dentro. Si chiamano masa.. masanie—»
«Masanete.» Raccoglie un guscio di un granchio, lo schiaccia col pollice e succhia i granuli oleosi delle uova. «Te le ha date lui, per me? O gliele hai chieste tu?»
«Ho detto che volevo portartene un po’.» Sorride. «All’inizio mi facevano schifo, ma poi ne ho mangiate tantissime.»
«Brava, tesoro mio.» Lecca un carapace e ne raccoglie un altro. «Lui, è stato gentile con te, allora.»
«Certo, mi ha fatto il bagno. E mi ha strofinata per bene!»
«Come?»
«Con la spugna!»
Mariella getta a terra il guscio vuoto. «Ti ha lavata lui, non una serva?»
«L’ha fatto lui, è un vecchietto buono e affettuoso.»
Smette di respirare. «E ti ha pulita.. anche in mezzo alle gambe?»
«Certo, anche lì.»
Stringe i denti e rimane in silenzio. Le unghie le si conficcano nei palmi.
«E dopo? Cos’ha fatto?»
«Mi ha messo dei vestiti puliti e mi ha dato tante cose da mangiare.»
«Non ti ha..» tossisce e balbetta, «gli hai dato un bacetto per ringraziarlo?»
«Certo! Sono stata molto educata, come mi hai insegnato.» Annuisce. «E anche lui mi ha baciato tutte e due le guance, e mi ha detto di tornare quando voglio.»
«Solo le guance?»
Ada si volta e alza le sopracciglia. «Avrei dovuto baciarlo anche sulla fronte? Come fai tu con me?»
Scuote la testa. «No, no. Sei stata bravissima.» Stringe i pugni. «Bravissima.»
Le candele proiettano ombre serpentine sui muri della cattedrale. Da una cappella laterale provengono i brusii della celebrazione dei vespri. Mariella si avvicina a una colonna e si appoggia alla fredda pietra. Le figure dei santi, decorate sulle vetrate illuminate dal tramonto, la scrutano coi visi di vetro tinti di luce sanguigna.
Distoglie lo sguardo e fissa l’altare. Il vescovo pronuncia una cantilena in latino con gli occhi sbarrati: le iridi sono azzurre, striate da venature grigie. Il suo viso contratto è popolato di rughe. Mariella fissa quell’uomo. Si accarezza il ventre. Ricorda.
Suor Mariella posa la mano sotto l’ombelico e massaggia il pancione. Quando il bambino scalcia le infonde gioia e coraggio, ma stavolta non si muove.
La badessa non smette di fissarla coi suoi occhi marroni. «Non ti penti per i tuoi peccati?»
Suor Mariella rimane in silenzio. Il vescovo è un uomo importante, influente e lei si fida di lui. Verrà a prenderla e la porterà via dal convento: gliel’ha promesso, e lei non ha motivo di non credergli.
Una lacrima le riga la guancia.
«Non parli? Non rispondi?»
Suor Mariella si fissa la punta dei piedi.
Come può il frutto dell’amore essere un peccato? Così le dice sempre sua Eccellenza.
Lui arriverà, gliel’ha promesso. Lui ha Dio dalla sua parte. Lui la porterà via con sé, perché l’ama e ama il loro bambino.
Mariella percorre il corridoio che conduce alla sagrestia della cattedrale.
Un ragazzo le si para davanti e, sbarratale la strada, incrocia le braccia sul cane ricamato sul suo petto.
«Dove credi di andare?»
«Cercavo proprio te.»
Il giovane infila la mano in tasca, estrae il fazzoletto e l’appoggia sul viso a coprire il naso.
Lei ride. «Non è colpa mia se puzzo, abito sotto un ponte, che cosa pretendi?»
D’Arcano si allontana di un passo. «Perché sei venuta qui? Cosa speri di ottenere?»
Mariella gli si avvicina e lo fissa negli occhi. «Che per una volta ti ricordi di avere una sorella e una nipote.»
«Tu sei una peccatrice.» Sbuffa. «Non sei più mia sorella.»
«Non giocare a fare il duro, non ti si addice.»
«Dovevi restare in convento.» Scuote la testa. «E la bambina doveva andare a quella famiglia di contadini.»
«Ho fatto la scelta di credere in lui, speravo che mantenesse le sue promesse!»
«Sei solo una stupida.» Sbatte un piede. «Testarda come un mulo. Non mi hai mai dato ascolto.»
Lei allarga le labbra in un sorriso. «Non parlarmi in questo modo, fratellino, o dovrò sculacciarti.»
«Mi hai seccato, guarda che ti riempio di schiaffi!»
«Vediamo se arrivi a tanto. Coraggio!»
D’Arcano alza la mano aperta, poi l’abbassa. «Sarebbe questo il modo che hai di ringraziarmi per averlo convinto ad accoglierla in casa sua?» Sbuffa. «Non sei venuta in città per questo?»
«Certo, lo volevo. Ma adesso non più.»
«Perché? Lui è stato buono con lei: l’ha lavata e nutrita!»
«Lavata, certo, anche in mezzo alle gambe!»
La mano col fazzoletto ricade lungo il fianco. «A cosa alludi?» Il viso imberbe è contratto, le labbra tremano. «Sei pazza?»
Mariella scuote la testa. «Lo sai che le ha fatto il bagno personalmente?» Le lacrime le rigano le guance. «Se solo penso alle sue dita che la toccano..»
Il ragazzo digrigna i denti. «Ma è suo padre, le ha solo fatto il bagno!»
«Certo, ma è un maiale. Cosa credi che succederà appena le spunteranno le tette? Se solo ripenso al modo con cui mi guardava..»
D'Arcano si volta e fissa il vuoto. «Stai esagerando. Quello che ti è accaduto anni fa ti perseguita e ti offusca il cervello, vedi quello che vuoi vedere.»
Mariella appoggia le mani sulle guance del fratello e gli ruota il capo per costringerlo a guardarla. «Dillo ancora.» Le lacrime le offuscano la vista. «Dimmelo in faccia, che sono io che mi immagino tutto.»
«Ma.. lo sai che sono sempre stato dalla tua parte!» Gli trema la mascella. «So quanto hai sofferto, quando ti ha abbandonata.»
Alza le mani e le appoggia sulle sue. Le accarezza. I suoi occhi si inumidiscono.
Mariella gli circonda il collo con le braccia.
Lui la stringe forte.
«Sorella mia.» Sospira. «Va bene, dimmi come posso aiutarti.»
La bambina siede a cavalcioni su un grosso sasso che spunta dall’acqua. Le sue risate si mescolano al fragore del fiume.
«Mamma! Vieni!»
Mariella alza la gonna e mette i piedi nel fiume gelido. Il crepuscolo incorona le montagne con luce dorata. Le torce serali accese sul Ponte del Diavolo, sopra di lei, brillano e illuminano la riva. Raggiunge la figlia che, a cavalcioni su una grossa roccia, agita le braccine e la chiama a sé.
«L’ho trovato.»
Mariella si aggrappa al masso e ne accarezza i rilievi lisci, levigati dall’acqua. La sua forma non lascia adito a dubbi: un bozzo a un’estremità ricorda una testa, la protuberanza allungata dall’altra parte una coda.
«Sembra un cane!»
«Sì!» La bambina abbraccia la roccia. «Il cane del diavolo, l’ho trovato! E ora, esprimo un desiderio!»
Prende un respiro profondo. «Cosa desideri, tesoro?»
«Voglio tanti soldi! Per mangiare cose buone e comprare una casa!»
Mariella ricaccia indietro le lacrime. Alza il sacchetto e lo fa penzolare di fronte a sé. Un cane dorato, dipinto sul cuoio, scintilla alla luce delle torce.
«Guarda.» Sorride. «Ecco i desideri che si avverano!»
Ada scende dalla roccia, afferra la borsetta con le sue manine ed estrae una manciata di zecchini d’oro.
«Siamo ricche!»
«Non proprio.» Ride. «Ma tireremo avanti per un bel po’.»
L’abbraccia, la stringe forte, poi alza lo sguardo e fissa il ponte sopra di loro: sulla facciata della cattedrale gotica, poco distante, i grossi pinnacoli si innalzano al cielo. Là dentro, da qualche parte, suo fratello sta subendo le ire del suo padrone. Se lei e Ada possono andarsene, è solo grazie a lui.
«Questa è la città del demonio.» Stringe i denti. «Andiamocene via.»
La pancia di Ada brontola: anche oggi avrebbero saltato il pranzo. Si trascina sul selciato e si avvicina alla mamma. «Mi racconti ancora la storia del ponte?»
Lei sospira. «Dopo però fai la brava e continua a lavorare.» Si lecca le labbra screpolate. «Quando hanno costruito questa città, ci voleva un ponte.» Indica la struttura oltre la piazza. «Un ponte molto lungo, perché il fiume è largo e tormentoso.»
Un uomo calvo dagli occhi verdi le getta uno sguardo obliquo, lei protende la mano aperta, ma nulla da fare.
Tira su col naso. «Costruire il ponte con solo le proprie forze era molto difficile, allora gli abitanti hanno fatto un patto col diavolo.»
Ada si stringe nelle spalle, quel pezzo le fa sempre paura. Spinge il nasino sul fianco della mamma, che la accarezza i folti capelli.
«Il diavolo avrebbe costruito il ponte in una notte, ma poi chiunque lo avesse attraversato per primo gli avrebbe dato l’anima.» Tossisce. «I cittadini hanno acconsentito, perché avevano escogitato un modo per ingannarlo.»
Ada alza lo sguardo a fissare la mamma. «Come?»
«Lo sai, come.»
«Dai dimmelo, lo voglio sentire.»
«Un cane.» Sorride. «Hanno fatto attraversare il ponte a un cane.»
«E il diavolo?»
«Ha dovuto accontentarsi, i patti sono patti, ma si è arrabbiato.» Fa un gesto in aria con le mani, come per fare una magia. «Ha trasformato il cane in pietra, e l’ha gettato sotto il ponte.»
«E il cane di pietra è ancora lì, vero?»
«Certo! E chiunque lo trovi avrà una fortuna immensa, perché con quel cane è stato ingannato il diavolo!»
Un ciuffo di capelli le scivola sul naso. La sua mano ravvia la ciocca e poi scatta in avanti al passaggio di un uomo col mantello rosso. Nulla.
Ada bisbiglia. «Lo troverò, quel cane.» La fissa negli occhi.
«So che ce la farai.» Sorride. «Ho fiducia in te.»
«Lo troverò per te, per noi due»
Il sorriso della mamma le scalda il cuore. Vederla felice è raro, ormai: da quando sono arrivate in quella città, è taciturna e sta sempre sulle sue.
Due stivali di cuoio lucido si fermano di fronte a loro, la sagoma di uno sconosciuto offusca il sole. Il ricamo d’oro di un cane decora la sua veste da una spalla all’altra. Ada cerca di guardarlo in faccia, ma il suo viso è nascosto dall’ombra di un tricorno col bordo d’argento. La sua mano si muove a estrarre un fazzoletto dalla tasca, che poi porta a coprire il naso.
«Lui ti vuole vedere.» La voce è soffocata dal tessuto.
La mamma si alza, ma lui la ferma. «Non tu. La bambina.» Punta il dito guantato su Ada. «Per pranzo. Mandagliela.»
Si volta, imbocca un vicolo e se ne va.
Ada alza le sopracciglia. «Hai visto il disegno sul suo petto?»
«Era un blasone, ogni nobile ne ha uno. Il cane è il simbolo dei signori d’Arcano.»
«Un nobile? Sono quelli col sangue blu?»
«Quelli col sangue blu.» Sospira. «Ricordati il suo nome per dopo: Ar-ca-no. Lui ti condurrà dal suo padrone.»
«Devo andarci da sola? Non voglio, ho paura!»
«Non ti accadrà niente di male, fidati di me.»
Una capretta bela in un recinto, degli uomini portano in spalla ceste di ortaggi e due cavalli sbuffano ruminando fieno. Ada attraversa il cortile del palazzo e raggiunge il portico. A un tavolo, quattro uomini giocano a carte e bevono vino. Uno di questi ha un tricorno argentato appeso allo schienale della sedia e una tunica decorata in filo d’oro. Il suo viso imberbe è quello di un ragazzo: un paio di brufoli gli costellano la guancia.
Ada si schiarisce la gola. «Signor Cano. Sono venuta qui come richiesto.»
Il giovane abbandona le carte sul tavolo, si gira verso di lei e la fissa da capo a piedi.
Scuote la testa. «Il mio nome è Ar-cano. Conte, d’Arcano.»
Lei si piega in una riverenza. «Signor conte Ar-cano.»
Uno dei giocatori sghignazza, le sue guance paffute sono cosparse di venuzze rossastre. D’Arcano si alza in piedi, il simbolo del cane dorato sul suo petto riverbera la luce di mezzogiorno.
«La vedi quell’entrata lì?» Indica un uscio in fondo al porticato. «Va’ dentro, cerca la governante e fai quello che ti dice.»
Ada si inchina ancora e lancia un ultimo sguardo alla compagnia di bevitori; uno di loro le strizza l’occhio. Il cuore le palpita in petto, non attende oltre e sgambetta verso il punto indicatole. La porta è aperta, entra e la richiude alle spalle. Si ritrova in una stanza affollata: diversi servi in grembiale affettano cipolle, condiscono carne e rimestano dentro a pignatte di rame.
Lo stomaco le gorgoglia. Si piega e guarda dentro a una bacinella: degli animali simili a grossi ragni brulicano sul fondo e si contorcono in una danza di centinaia di zampette.
Ada si ritira disgustata e sbatte la schiena su un morbido pancione.
«Ah! Sei arrivata!»
Il viso paffuto di una donna grassa le sorride, le sue manone le agguantano le spalle.
Ada trema. «Signora, siete voi la governante?»
«Su su, piccola. Non avere paura. Vieni con me.»
«Dove?»
La donna non le risponde e si avvia fuori dalla cucina. Attraversano un paio di stanze, fino a che non giungono in una saletta con al centro una grande tinozza. La luce del sole penetra da una finestrella coi vetri coperti di ragnatele.
«Sua Eccellenza arriva subito. Tu da brava spogliati che adesso ti porto l’acqua per il bagno.»
Ada apre la bocca per dire qualcosa, ma la governante se ne va senza dargliene il tempo. Indecisa sul da farsi, si siede sul pavimento e nasconde il viso tra le ginocchia.
La porta cigola, un paio di pantofole di velluto viola le si avvicinano.
«Benvenuta, cara.»
La voce è pastosa, rassicurante. Ada si raddrizza e fissa il volto dalla pelle raggrinzita come carta appallottolata stiracchiata alla bell'e meglio. I suoi occhi, due globi azzurri attraversati da striature grigiastre, la fissano dall’alto al basso. La bocca di Ada si spalanca senza emettere alcun suono.
Tre donne entrano trasportando secchi colmi d’acqua fumante, riempiono la tinozza, e se ne vanno.
Il vecchio annuisce e scopre una fila di denti bianchissimi. «Il tuo bagno è pronto. Coraggio!»
Lei balbetta. «Devo fare il bagno, adesso?»
«Certo. Vedrai, sarà molto piacevole, finché l’acqua è ancora calda.»
Ada si appoggia alla tinozza, ci mette dentro la mano. Il calore le accarezza la pelle.
In piedi vicino alla riva del fiume, il falegname armeggia coi pantaloni e si slaccia la patta. La sua barba mal rasata punge il viso di Mariella che, chiusi gli occhi, prova a deglutire. L’uomo le copre il viso con la mano callosa e le infila due dita tra le labbra. Lei apre la bocca, le dita penetrano e le premono la lingua fino a farle male. Un sapore amarognolo si diffonde sul palato, un granello di segatura si stacca dall’unghia e la punge.
«Eddai, vecchio arnese, fai il tuo lavoro.» L’alito del falegname puzza di vino e d’aglio. «Troia, aiutami tu.»
Mariella allunga il braccio e cerca a tastoni il membro floscio. Trovatolo, lo massaggia alla buona.
Il falegname le colpisce il polso. «Mannò, non così.» Sbuffa e la spinge per farla voltare.
Lei si gira con le dita ancora ficcate in gola e appoggia la fronte sui mattoni del ponte. L’uomo fa scivolare la mano sotto la sua gonna, alza un bordo, afferra il fianco e spalma la panzona sulla sua schiena.
Mariella apre le gambe, un salsicciotto caldo le si infila tra le cosce. Il falegname si dondola avanti e indietro, il suo peso la spiaccica contro il muro. L’arnese finalmente si indurisce.
«Allarga di più, stupida cagna.» Le tira i capelli e chiude le dita nella sua bocca a mo’ di artiglio.
Lei geme dal dolore e apre di poco le ginocchia, il pene scivola in alto, ma non la penetra. Il dondolare si fa più concitato e il falegname ansima a ogni botta. Molla la presa sul fianco, porta il polso sulla sua gola e la stringe a sé. Mariella fatica a respirare: le dita in bocca le provocano conati di vomito e l’altra mano la strozza. Lacrime le scendono sulle guance, il muro ruvido le scortica il viso.
«Ossì!»
Un fiotto caldo si diffonde tra le cosce, le dita si ritraggono e la liberano. Mariella poggia le mani a terra e prende un respiro profondo. Tossisce e sputa la saliva salata.
«Ecco a te.»
Tre monete le colpiscono la mano, rimbalzano e affondano nella terra morbida della sponda del fiume. Le raccoglie e se le infila in tasca. Alza lo sguardo: la figura del falegname si allontana nel sentiero che riporta in strada. Il cielo volge alla sera, il sole rosso la fissa come un occhio ferino.
Si lecca il palato, dove una piccola ferita diffonde un sapore ferroso. Sospira, e ascolta le acque del fiume scorrere ai suoi piedi. Raccoglie un po’ d’acqua gelata con le mani a coppa, si risciacqua la bocca e si lava via il seme appiccicoso dalle cosce. Brividi di freddo le corrono lungo l’inguine.
«Mamma!» La voce della bambina è vicina.
Mariella si volta di scatto e abbassa la gonna. La sagoma di Ada, illuminata dalla luce del tramonto, corre verso di lei.
«Eccomi, mamma.»
Le si avvicina e le porge un sacchetto. Lei sospira, si alza e stringe la bambina tra le braccia.
«Mamma, mi soffochi.»
La libera e si abbandona sul terreno umidiccio. Ada, a sua volta, le si mette accanto e agita il sacchetto di fronte ai suoi occhi.
«Prendi. Sono buone.»
Mariella afferra l’involto e lo apre. Un odore dolciastro le arriva alle narici, lo stomaco inizia a gorgogliare.
La bambina ride. «Sembrano ragni, ma bisogna aprirli e mangiare quello che hanno dentro. Si chiamano masa.. masanie—»
«Masanete.» Raccoglie un guscio di un granchio, lo schiaccia col pollice e succhia i granuli oleosi delle uova. «Te le ha date lui, per me? O gliele hai chieste tu?»
«Ho detto che volevo portartene un po’.» Sorride. «All’inizio mi facevano schifo, ma poi ne ho mangiate tantissime.»
«Brava, tesoro mio.» Lecca un carapace e ne raccoglie un altro. «Lui, è stato gentile con te, allora.»
«Certo, mi ha fatto il bagno. E mi ha strofinata per bene!»
«Come?»
«Con la spugna!»
Mariella getta a terra il guscio vuoto. «Ti ha lavata lui, non una serva?»
«L’ha fatto lui, è un vecchietto buono e affettuoso.»
Smette di respirare. «E ti ha pulita.. anche in mezzo alle gambe?»
«Certo, anche lì.»
Stringe i denti e rimane in silenzio. Le unghie le si conficcano nei palmi.
«E dopo? Cos’ha fatto?»
«Mi ha messo dei vestiti puliti e mi ha dato tante cose da mangiare.»
«Non ti ha..» tossisce e balbetta, «gli hai dato un bacetto per ringraziarlo?»
«Certo! Sono stata molto educata, come mi hai insegnato.» Annuisce. «E anche lui mi ha baciato tutte e due le guance, e mi ha detto di tornare quando voglio.»
«Solo le guance?»
Ada si volta e alza le sopracciglia. «Avrei dovuto baciarlo anche sulla fronte? Come fai tu con me?»
Scuote la testa. «No, no. Sei stata bravissima.» Stringe i pugni. «Bravissima.»
Le candele proiettano ombre serpentine sui muri della cattedrale. Da una cappella laterale provengono i brusii della celebrazione dei vespri. Mariella si avvicina a una colonna e si appoggia alla fredda pietra. Le figure dei santi, decorate sulle vetrate illuminate dal tramonto, la scrutano coi visi di vetro tinti di luce sanguigna.
Distoglie lo sguardo e fissa l’altare. Il vescovo pronuncia una cantilena in latino con gli occhi sbarrati: le iridi sono azzurre, striate da venature grigie. Il suo viso contratto è popolato di rughe. Mariella fissa quell’uomo. Si accarezza il ventre. Ricorda.
Suor Mariella posa la mano sotto l’ombelico e massaggia il pancione. Quando il bambino scalcia le infonde gioia e coraggio, ma stavolta non si muove.
La badessa non smette di fissarla coi suoi occhi marroni. «Non ti penti per i tuoi peccati?»
Suor Mariella rimane in silenzio. Il vescovo è un uomo importante, influente e lei si fida di lui. Verrà a prenderla e la porterà via dal convento: gliel’ha promesso, e lei non ha motivo di non credergli.
Una lacrima le riga la guancia.
«Non parli? Non rispondi?»
Suor Mariella si fissa la punta dei piedi.
Come può il frutto dell’amore essere un peccato? Così le dice sempre sua Eccellenza.
Lui arriverà, gliel’ha promesso. Lui ha Dio dalla sua parte. Lui la porterà via con sé, perché l’ama e ama il loro bambino.
Mariella percorre il corridoio che conduce alla sagrestia della cattedrale.
Un ragazzo le si para davanti e, sbarratale la strada, incrocia le braccia sul cane ricamato sul suo petto.
«Dove credi di andare?»
«Cercavo proprio te.»
Il giovane infila la mano in tasca, estrae il fazzoletto e l’appoggia sul viso a coprire il naso.
Lei ride. «Non è colpa mia se puzzo, abito sotto un ponte, che cosa pretendi?»
D’Arcano si allontana di un passo. «Perché sei venuta qui? Cosa speri di ottenere?»
Mariella gli si avvicina e lo fissa negli occhi. «Che per una volta ti ricordi di avere una sorella e una nipote.»
«Tu sei una peccatrice.» Sbuffa. «Non sei più mia sorella.»
«Non giocare a fare il duro, non ti si addice.»
«Dovevi restare in convento.» Scuote la testa. «E la bambina doveva andare a quella famiglia di contadini.»
«Ho fatto la scelta di credere in lui, speravo che mantenesse le sue promesse!»
«Sei solo una stupida.» Sbatte un piede. «Testarda come un mulo. Non mi hai mai dato ascolto.»
Lei allarga le labbra in un sorriso. «Non parlarmi in questo modo, fratellino, o dovrò sculacciarti.»
«Mi hai seccato, guarda che ti riempio di schiaffi!»
«Vediamo se arrivi a tanto. Coraggio!»
D’Arcano alza la mano aperta, poi l’abbassa. «Sarebbe questo il modo che hai di ringraziarmi per averlo convinto ad accoglierla in casa sua?» Sbuffa. «Non sei venuta in città per questo?»
«Certo, lo volevo. Ma adesso non più.»
«Perché? Lui è stato buono con lei: l’ha lavata e nutrita!»
«Lavata, certo, anche in mezzo alle gambe!»
La mano col fazzoletto ricade lungo il fianco. «A cosa alludi?» Il viso imberbe è contratto, le labbra tremano. «Sei pazza?»
Mariella scuote la testa. «Lo sai che le ha fatto il bagno personalmente?» Le lacrime le rigano le guance. «Se solo penso alle sue dita che la toccano..»
Il ragazzo digrigna i denti. «Ma è suo padre, le ha solo fatto il bagno!»
«Certo, ma è un maiale. Cosa credi che succederà appena le spunteranno le tette? Se solo ripenso al modo con cui mi guardava..»
D'Arcano si volta e fissa il vuoto. «Stai esagerando. Quello che ti è accaduto anni fa ti perseguita e ti offusca il cervello, vedi quello che vuoi vedere.»
Mariella appoggia le mani sulle guance del fratello e gli ruota il capo per costringerlo a guardarla. «Dillo ancora.» Le lacrime le offuscano la vista. «Dimmelo in faccia, che sono io che mi immagino tutto.»
«Ma.. lo sai che sono sempre stato dalla tua parte!» Gli trema la mascella. «So quanto hai sofferto, quando ti ha abbandonata.»
Alza le mani e le appoggia sulle sue. Le accarezza. I suoi occhi si inumidiscono.
Mariella gli circonda il collo con le braccia.
Lui la stringe forte.
«Sorella mia.» Sospira. «Va bene, dimmi come posso aiutarti.»
La bambina siede a cavalcioni su un grosso sasso che spunta dall’acqua. Le sue risate si mescolano al fragore del fiume.
«Mamma! Vieni!»
Mariella alza la gonna e mette i piedi nel fiume gelido. Il crepuscolo incorona le montagne con luce dorata. Le torce serali accese sul Ponte del Diavolo, sopra di lei, brillano e illuminano la riva. Raggiunge la figlia che, a cavalcioni su una grossa roccia, agita le braccine e la chiama a sé.
«L’ho trovato.»
Mariella si aggrappa al masso e ne accarezza i rilievi lisci, levigati dall’acqua. La sua forma non lascia adito a dubbi: un bozzo a un’estremità ricorda una testa, la protuberanza allungata dall’altra parte una coda.
«Sembra un cane!»
«Sì!» La bambina abbraccia la roccia. «Il cane del diavolo, l’ho trovato! E ora, esprimo un desiderio!»
Prende un respiro profondo. «Cosa desideri, tesoro?»
«Voglio tanti soldi! Per mangiare cose buone e comprare una casa!»
Mariella ricaccia indietro le lacrime. Alza il sacchetto e lo fa penzolare di fronte a sé. Un cane dorato, dipinto sul cuoio, scintilla alla luce delle torce.
«Guarda.» Sorride. «Ecco i desideri che si avverano!»
Ada scende dalla roccia, afferra la borsetta con le sue manine ed estrae una manciata di zecchini d’oro.
«Siamo ricche!»
«Non proprio.» Ride. «Ma tireremo avanti per un bel po’.»
L’abbraccia, la stringe forte, poi alza lo sguardo e fissa il ponte sopra di loro: sulla facciata della cattedrale gotica, poco distante, i grossi pinnacoli si innalzano al cielo. Là dentro, da qualche parte, suo fratello sta subendo le ire del suo padrone. Se lei e Ada possono andarsene, è solo grazie a lui.
«Questa è la città del demonio.» Stringe i denti. «Andiamocene via.»