Al numero 3 di Straight street

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il 17 febbraio sveleremo il tema deciso da ALBERTO BÜCHI. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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el_tom
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Al numero 3 di Straight street

Messaggio#1 » lunedì 1 marzo 2021, 15:17

Al numero 3 di Straight street.

Doug era soddisfatto, la giornata era stata perfetta, concluso l’affare aveva festeggiato con sua moglie concedendosi una superba bistecca in uno dei ristoranti più esclusivi della città.
Ora voleva solo godersi una meritata notte di riposo in vista del giorno seguente, il giorno in cui avrebbe firmato per quella villa negli Hamptons che gli sarebbe costata nove milioni di dollari e diciotto anni di battaglie nel sordido mondo delle speculazioni finanziarie.
Guardò fuori dalla finestra della camera, il cielo era terso e gli sembrava che le stelle brillassero più intensamente quella notte.
Stesosi sul suo giaciglio, il sonno lo colse pressoché immediatamente e lo trascinò nel regno di Morfeo.
Doug si ritrovò a camminare nella via in cui abitava da ragazzo, Straight street, ma c’era qualcosa di strano.
Il cielo era nero, ma non era notte, in lontananza poteva intravedere un riverbero rossastro, come se appena oltre il limite dello sguardo ci fosse un incendio, l'atmosfera era surreale.
Tutto era abbandonato.
La strada era sudicia e ingombra di fogliame, cocci e rottami. Qui e là auto rugginose o bruciate giacevano come carcasse spolpate dagli sciacalli.
Le siepi e i giardini, solitamente curati alla perfezione, erano ora abbandonati all’incuria: contenevano piante sformate e insozzate da rifiuti indefinibili, i laghetti artificiali, una volta impeccabili, erano ora come bocche che rigurgitavano alghe marcescenti e scheletri di pesci morti su cui nugoli di insetti rivoltanti volteggiavano in un'infinita danza macabra. Le case erano in rovina, i tetti sfondati, alcune pareti erano crollate, le altre mostravano vaste chiazze di muffe dai colori malsani o erano invase da rampicanti deformi, le cui foglie, parevano mani scheletriche.
Doug vagò con lo sguardo in cerca della sua vecchia casa, al numero 3, ma non la trovò. Al suo posto, avvolta da una vegetazione disordinata, nodosa e ritorta, c’era una villa padronale nello stile delle piantagioni, come se ne vedono ancora in Kentucky o in Louisiana.
Anche questa magione era fatiscente ma, rispetto alle altre, vi poteva scorgere tracce di attività. Alle finestre, che Doug non riusciva a contare e che pareva fossero adornate da pesanti tendaggi scuri e in continuo movimento, apparivano luci, come lampi nella tempesta, a volte fioche, a volte molto intense, sembrava che all’interno delle stanze fossero accesi dei fuochi o delle braci.
Udiva suoni indecifrabili, una cacofonia di urla e gemiti, strilli, risate isteriche, voci gutturali, colpi sordi, motivetti stonati e versi di animali.
Davanti alla casa, al centro del vialetto, Doug scorse un uomo che stava facendo dei gesti per attirare la sua attenzione e, quando la ottenne, gli indicò di raggiungerlo.
Lasciò la via, si inoltrò in quella selva andando verso quel curioso personaggio.
Quando fu a pochi passi da lui, lo riconobbe, era il preside del suo vecchio liceo, Erving Saturday, pareva non essere invecchiato di un giorno dall’ultima volta che lo aveva visto, quasi vent’anni prima, quando diventò il suo primo cliente affidandogli i risparmi di una vita. Era vestito in modo bizzarro, portava un frac di velluto nero con dei bottoni d’argento, un cilindro e un bastone color avorio e degli occhiali, tondi e scuri, nonostante l'assenza di luce.
“Ah, Douglas Albert Geere! Quale sorpresa vederti qui!”
“Signor Saturday, è proprio lei? Può aiutarmi per favore, credo di essermi perso”
“Certo mio caro, sono qui per questo, non sei certo il solo ne il primo che si è perso lungo Straight street, ti condurrò nel luogo a cui sei destinato”.
Doug notò che Saturday aveva dei batuffoli di cotone che gli uscivano dal naso. Ignorò anche quel bizzarro particolare.
“Grazie signor Saturday”.
“Aspetta a ringraziarmi, figliolo. Ma non restiamo qui fuori, vieni dentro con me, forza, seguimi, ti farò strada”.
Doug seguì il suo mentore.
Il portico della casa ora gli pareva l’antro di una grotta, una voragine oscura che si apriva verso l’ignoto che veniva celato solo da una porta, questa si aprì con un cigolio sinistro e i due furono investiti da un ragtime suonato su un piano scordato e da l’odore della carne di maiale alla griglia.
La musica proveniva da dietro un bancone di legno, come quelli presenti nella reception dei motel o dei vecchi bordelli del sud, un anziano uomo di colore, calvo e in tuta da lavoro beige, suonava un pianoforte verticale malconcio, dondolandosi alla Ray Charles
Saturday pretese la sua attenzione: “Homer, il nostro ospite è giunto”.
Il musicista si girò di scatto abbandonando la sua performance, Doug notò che era cieco, le iridi erano nivee e le pupille assenti.
“Douglas Albert Geere”, cadenzò con lentezza, “Benvenuto. Non l’aspettavamo così presto. Mi dispiace ma non posso farla andare oltre, la sua stanza non è ancora pronta, lei deve andarsene”.
Saturday intervenne in modo fermo: “Homer, registra Doug come ospite temporaneo, così è stato deciso dal direttore e a noi non è data facoltà né di capire né di protestare”.
Homer, contrariato, fece una smorfia e prese un registro enorme, rilegato in pelle di un intenso rosso cupo, lo aprì e scrisse qualcosa con una piuma di corvo ed uno svolazzo della mano.
“Ecco fatto signor Geere, le formalità sono sbrigate, può entrare ora. Le raccomando, lei è un visitatore, non si soffermi troppo, il suo tempo è limitato”.
Accompagnato da Saturday, Doug si avviò verso uno stretto corridoi dove erano presenti molte porte. Il soffitto era notevolmente più basso rispetto all'atrio rendendo l’ambiente claustrofobico. Anche la moquette e la carta da parati sembravano concorrere a rendere lo spazio più soffocante, erano adornate con un motivo indefinibile ed irregolare il cui colore passava dal viola al marrone scuro poi al verde ed al rosso.
“Andiamo Doug, abbiamo un lungo sentiero da percorrere per arrivare nel posto in cui devi recarti”, proferì giocosamente Saturday.
Arrivati di fronte alla prima stanza, udirono provenire dall’interno un rumore che sembrava la pancetta che sfrigola e colpi sordi seguiti da esplosioni liquide, come se qualcuno lanciasse frutti marci contro il muro.
La porta si aprì violentemente, all’interno Doug vide sua moglie Trisha avvinghiata a John, il suo migliore amico dai tempi del liceo. Erano travolti da una passione irrefrenabile e si rotolavano a terra in un liquido nerastro, come se stessero facendo lotta nel fango. Doug guardò meglio, non era fango ma scarafaggi di diverse dimensioni. Trisha e John si schiaffeggiavano a vicenda violentemente, sbattevano contro le pareti e il pavimento per liberarsi dagli insetti che, ostinatamente, cercavano di partecipare alla copula. Gli scarafaggi venivano fracassati, schiacciati, esplodevano schizzando i loro fluidi e pezzi di carapace chitinoso. Le interiora degli artropodi li ricoprivano e colavano in ogni dove ma la coppia non riusciva a fermare il congiungimento carnale anzi, si baciavano, si leccavano e si mordevano nonostante la lordura in cui erano immersi.
Doug distolse lo sguardo ed ebbe un fremito, stordito dallo schifo di quello spettacolo e dai suoi protagonisti.
Saturday chiuse la porta e gli si rivolse dolcemente “Andiamo Doug, questo non è posto per te, c’è molto altro da vedere”.
Doug fece un respiro profondo e si rimise eretto, fece un cenno d’assenso alla sua guida e ripresero a camminare.
Gli era sembrato che le varie porte fossero vicine tra loro ma, ora che procedeva lungo il corridoio, si accorse che invece erano molto distanti l’una dall’altra.
Giunsero alla seconda porta e notò che era socchiusa.
“Sei sempre stato curioso Doug, è una qualità che ho sempre apprezzato in te, coraggio, dai un’occhiata”, incoraggiato dal precettore Doug aprì la porta.
Urla umane e suine lo investirono violentemente.
L’odore arrivò un attimo dopo.
La stanza era molto più ampia della precedente, non se ne vedevano i limiti.
Lunghe e innumerevoli schiere di gogne costringevano altrettanti umani, obesi e nudi, ad affondare le loro fauci in trogoli di pietra straripanti deiezioni, insetti, frutta e verdura marce, carcasse putride dove miriadi di bianchi vermi si agitavano.
Quelli sventurati non erano semplicemente obesi, avevano abbandonato la forma umana, erano più simili a dei barili di carne i cui rotoli e cuscinetti sembravano colare simili a liquidi viscosi come il petrolio o il vetro fuso.
Dietro di loro, c’erano figure che sfuggivano alla vista di Doug, non riusciva a inquadrarli, a metterli a fuoco, erano come le ombre che si vedono con la coda dell’occhio ma, quando ci si gira a guardarle, rivelano non esserci.
Queste figure, queste ombre, armate di lame arrugginite e spuntate e delle fogge più varie e improbabili, massacravano i quarti posteriori dei lardosi ricavandone libre su libre di carne senza che questi si esaurissero mai, le cucinavano direttamente su carboni o con spiedi e successivamente le gettavano in pasto a degli esseri secchi e miseri, sulle cui ossa, stava solo un sottile strato di pelle grinzosa e grigiastra. Questi sventurati, dalle forme rachitiche, senza quasi più denti, erano incatenati al muro e, ogni volta che qualcuno gli lanciava un boccone,vi si lanciavano contro come bestie fameliche ma, una volta afferrata la carne, questa si tramutava in polvere e li lasciava con la fame e la disperazione, ma sempre privi di speranza.
In mezzo a questo grottesco allevamento passeggiava un gigante, era alto il doppio di un uomo e con il ventre prominente e rotondo, era bendato e portava con se una cornucopia colma di mele rosse che mordeva e poi lanciava a caso tra gli ospiti della stanza.
Saturday chiuse la porta “Non è questo il luogo che devi visitare, ma non ti dovrebbe essere nemmeno del tutto estraneo”, gli riferì sorridendo.
Proseguirono il viaggio, il corridoio procedeva planare curvando leggermente a sinistra ma, a Doug, sembrò di scendere, di sprofondare sempre più verso un baratro oscuro e senza fondo.
La coppia passò davanti ad un’altra porta, era antica e consunta, graffi e solchi la percorrevano come cicatrici, sembrava riuscire a reggersi a malapena sui cardini arrugginiti. Dall'altro lato provenivano grida e pianti, urli e strepiti, invocazioni blasfeme e risate malvagie.
Saturday poggiò una mano sulla spalla di Doug e lo incitò a proseguire: “Qui non c’è niente per te, figliolo”.
Ripresero il cammino in silenzio, Saturday procedeva quasi danzando, come un istrione che conduce una parata. Doug aveva lo sguardo rivolto a terra e strascinava i piedi come fossero macigni.
Udirono un gallo cantare, tre volte.
“Il tempo sta terminando Doug, dobbiamo sbrigarci”, disse dolcemente Saturday.
Poco dopo incontrarono un’altra porta, nera ed intarsiata con simboli arcani, talmente contorti e incomprensibili, che la mente umana farebbe fatica anche solo a immaginarli e la mano della progenie di Adamo non ha la capacità di inciderli.
Sopra la porta, inchiavardata al muro con un chiodo di ferro lungo quanto un braccio, una testa di mucca in decomposizione, le orbite vuote sembravano fissare l’ospite, pelle e carne erano a brandelli e penzolavano da quel macabro trofeo, sangue e liquami erano colati incorniciando la porta come stipiti organici. Dall’interno di quella stanza proveniva quello che sembrava un canto in una lingua impossibile, Doug aveva frequentato poco la chiesa ma gli era capitato di ascoltare inni sacri e canzoni religiose, quel canto gli ricordava quel genere, solo che c’era qualcosa di profondamente sbagliato, innaturale, le voci erano gorgoglianti come se i cantori fossero sott’acqua, l’armonia dei cori era spaventosa e terrificante, il tempo inquietante sconvolgeva l’animo e le grida inumane turbavano la mente.
Anche questa volta Saturday incitò Doug a proseguire, quando i due si avviarono, la testa di mucca si mosse per seguire il loro movimento, Doug se ne accorse e si girò a guardarla, il bovino fece per muggire ma, come aprì la bocca, la lingua marcia cadde a terra e continuò a contorcersi mentre bava verdastra e sangue colarono formando una pozza.
Il preside prese per mano l’allievo e lo distolse da quello spettacolo costringendolo a proseguire.
Passarono altre porte, Saturday forzò Doug alla marcia imputando quella fretta alla tirannia del tempo.
Arrivarono ad una scala che si inabissava nel buio, da quella voragine tetra scaturivano incostanti refoli di aria gelida.
Saturday sorrise a Doug, “Io non posso accompagnarti oltre, mio caro, segui questo sentiero, è questa la tua strada ora e ti consiglio di non perdere tempo, non ne rimane molto”.
Doug si volse verso l’ingresso nella tenebra e piagnucolante implorò: “La scongiuro, mi accompagni ancora per un po’ almeno, è molto buio e non so nemmeno dove siamo!”, quando si girò a cercare nuovamente il suo interlocutore non lo trovò, ora era solo in quel corridoio e, dalla direzione da cui era arrivato, provenivano voci, grida e quello che sembrava il fragore di un branco di cavalli al galoppo che si avvicinava.
Rassegnato,si mosse verso il buio.
Gli scalini erano lapidi conficcate nella parete rocciosa, la scala si svolgeva a spirale, ad ogni gradino a Doug sembrava che il freddo si facesse più intenso.
Non c’era nessuna fonte di luce, malgrado ciò, Doug vedeva fino ad un paio di gradini sotto di lui.
Sulle lapidi che calpestava, i nomi cesellati erano illeggibili a causa dell’usura e della lingua in cui erano scritti o, semplicemente, erano nomi che per Doug non avevano senso.
Continuò a scendere e il tempo si dilatò nel ripetersi dei suoi movimenti.
Su un gradino trovò un foglio, lo raccolse e lo lesse.
Era il contratto che aveva fatto firmare al signor Saturday, il suo primo contratto, gli tornarono in mente gli inizi della sua carriera, quando era un giovane stolto colmo di sogni, speranze e fiducia. Scoprì ben presto che per poter farsi strada in quel mondo bisognava avere ben pochi scrupoli.
Un altro gradino, un altro contratto,un altro ricordo.
La signora Kalys, una dolce vecchietta che viveva in un piccolo appartamento dai toni pastello. A Doug serviva la sua firma su una polizza per impressionare il suo superiore, la signora si fidava di lui, Doug le propose un fondo ad alto rischio. La signora Kalys perse l’appartamento, la pensione e i suoi pochi risparmi.
La trovarono pacificamente addormentata nel suo letto, accanto a lei, due confezioni vuote di barbiturici.
Doug fu promosso e incassò la provvigione che gli spettava.
Accartocciò quel foglio e se lo gettò alle spalle.
“Giuda!”
La voce della signora Kalys, dal nulla, colpì Doug di sorpresa e si perpetrò con un eco nel vuoto dell’oscurità che lo circondava.
Proseguì la discesa.
Gradino, contratto, ricordo.
Il signor Thompkins, aveva gestito la drogheria che era stata della sua famiglia per quattro generazioni, lui fu l’ultimo dei Thompkins ad esserne proprietario grazie a un piccolo ma devastante errore, l'aver creduto in Doug. Il signor Tompkins fu rinvenuto nel retrobottega della drogheria, impiccato ad una trave. Ma Doug aveva bisogno di quella firma, aveva bisogno di soldi per un loft in centro e voleva una Mercedes.
“Giuda!”
Alla signora Kalys si era aggiunto il signor Thompkins.
Gradino dopo gradino, lapide dopo lapide, molte voci si aggiunsero al coro, una per ogni tradimento.
“Giuda! Giuda! Giuda!”
Doug, travolto dai ricordi e dai suoi fantasmi, si mise a correre lungo la scala cercando di sfuggire alle voci che lo seguivano, implacabili, ricordandogli le sue colpe.
“Giuda! Giuda! Giuda!”
La sua fuga fu interrotta bruscamente, non riusciva più a muovere le gambe, si erano come incollate ad un gradino, Doug riuscì a leggere il nome che vi era inciso:
“Douglas Albert Geere”.
Uno strato di ghiaccio cominciò ad avvolgerlo salendo dal basso e rendendogli sempre più difficile ogni movimento.
Dalle profondità della tenebra giunse un verso mostruoso, inarticolato e fortissimo, innaturale e raggelante, era un latrato, un ruggito, un grido che squassava le radici del mondo e la mente del peccatore, cresceva di intensità e la fonte da cui sgorgava sembrava farsi sempre più vicina.
Il viaggiatore venne colto dal panico, provò a muoversi, a liberarsi da quella morsa ghiacciata ma era tutto inutile.
Si mise a gridare in preda al terrore.
Doug si svegliò di soprassalto, ritrovandosi seduto sul letto.
Si guardò attorno, era nella sua stanza, accanto a lui sua moglie dormiva, pacifica. Alzò lo sguardo e rivide le stelle la cui luce gli diede conforto.
Sorrise e diede un’occhiata alla sveglia, erano le sei del mattino.
Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra, entrava uno spiffero d’aria fredda, non era stata chiusa bene.
Decise di tornare a letto ma, come si voltò verso il talamo, un latrato lo sorprese alle spalle lacerando il silenzio della notte. Doug si rivolse verso la fonte del suono, proveniva dalla strada su cui dava la sua finestra, era ancora buio e non riuscì a vedere quale era stata l'origine di quel frastuono. Passò un auto illuminando la via. Doug indietreggiò fino a sedersi sul letto, si portò una mano alla bocca per trattenere l’urlo che gli stava nascendo in gola.
Scosse il capo negando a se stesso quella visione, si disse che il poco sonno l’aveva confuso, che si era appena svegliato e non era completamente lucido, che il sogno che aveva appena fatto lo aveva sgomentato e impressionato. Non lo avrebbe mai raccontato a nessuno ma gli era parso che, sotto la sua finestra, sulla strada, ci fosse un uomo che lo salutava con la mano mentre con l'altra teneva al guinzaglio un cane.
Quell'uomo era il signor Saturday e con lui c'era un cane a tre teste.


Tom
Ultima modifica di el_tom il martedì 2 marzo 2021, 15:32, modificato 1 volta in totale.


La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#2 » lunedì 1 marzo 2021, 15:21

Tema: meglio non credere in Doug.

Ambisco a tutti i bonus.

Scena di sesso violento nella camera dal rumor di pancetta.

Flashback ad ogni scalino.

Il cane al guinzaglio.
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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MatteoMantoani
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#3 » domenica 7 marzo 2021, 15:45

Prime impressioni: Ciao Tom, è la prima volta che ti leggo: quindi piacere di leggerti. Le descrizioni orrorifiche del tuo racconto mi hanno divertito, anche se poi ti darò qualche consiglio su come limarle un po’. Purtroppo il tuo racconto non mi ha convinto: appena finito di leggerlo ho sentito che mancava qualcosa, e rileggendolo ho provato a dare una forma a quel qualcosa. Tutto spiegato dopo :)

Aderenza al tema: La fiducia dei clienti in uno yuppie in carriera. Quanto ai bonus: i flashback non ci sono, quelli che hai messo tu sono “ricordi”, non cambi di scena al passato (qui si potrebbe discutere sulla definizione di “flashback”, lascio l’ultima parola ai giudici). La scena di sesso ci sarà anche, ma la violenza non c’entra niente con l’atto in sé. Il cane l’hai messo, anche se ha un’importanza del tutto marginale.

Punti di Miglioramento: La tua scelta di un narratore onnisciente a focalizzazione zero non mi sembra la migliore, per questo racconto. Con un narratore ben focalizzato le immagini orrende che hai descritto avrebbero fatto presa sul pdv, e quindi sul lettore. Così è come guardare un quadro di Bosch, o una litografia di Dorè: è divertente, curioso, ma tutto troppo distante.
La trama è nulla, c’è solo un’immensa visione onirica fine a sé stessa: si potrebbe obiettare che è funzionale a un cambiamento interiore del protagonista ma, purtroppo, il problema è che al lettore non arriva la necessità di un pentimento: cosa lo provoca? Perché il protagonista vive quest’esperienza così lucida e raccapricciante? Ne “Il Canto Di Natale” erano gli spiriti a mostrare il tutto. Qui manca qualcosa che spieghi il perché di questa lunga visione (si potrebbe pensare che sia il fantasma del preside a fare tutto, ma avresti dovuto spiegarlo di più). Ecco il “qualcosa” che manca al tuo racconto: conoscere e capire il protagonista, che rimane anonimo, slegato alla narrazione e vittima di un incubo dalla natura un po’ vaga. La storia di Scrooge è avvincente perché vediamo molto bene il prima e il dopo, cioè l’arco, il cambiamento, cose invece assenti nel tuo racconto. Scrooge è avaro, quindi è solo e ha il cuore di pietra. Doug invece ha tutto: una moglie, ricchezza, fama… chi/cosa lo spinge alla sua analisi di coscienza? Non basta un sogno a caso, devi portare delle motivazioni, un fatal flaw che si contrapponga al raggiungimento dei desideri del personaggio.
Arrivando ai consigli sullo stile: alcune volte calchi un po’ troppo la mano, usi una valangata di aggettivi e rimescoli descrizioni degli stessi dettagli uno dopo l’altro: attento, questo può allentare l’attenzione del lettore (verso la fine, all’ennesimo dettaglio grandguignolesco, ho sorriso e detto: “Eddai basta!”, e sono sicuro che questo non era l’effetto che volevi ottenere). Il mio consiglio è di dosare questi dettagli e comunque inserirli solo se effettivamente utili alla trama.

Punti di Forza: Per quanto ridondanti, i dettagli sono comunque resi bene e denotano una certa fantasia e padronanza linguistica. Questo passaggio attraverso l’Inferno mi ha ovviamente rimandato a Dante, ma anche alla scena delle visioni di Daenerys nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Dai pure libero sfogo alla tua fantasia, visto che è il tuo punto forte, ma metti giù meglio le idee che ti vengono e cerca di investire più nella trama, piuttosto che nelle descrizioni.

Conclusioni: Mi dispiace ma, a causa delle cose che ti ho segnalato, il tuo racconto non raggiungerà la vetta della mia classifica. Questo non significa che il racconto non sia buono, ma piuttosto che offra più spunti di revisione che passaggi ben riusciti. Il mio invito è quello di partecipare attivamente alle gare di MC e di riprovarci presto. Alla prossima!


Analisi riga per riga
Provo a darti qualche suggerimento su alcune cose che per me funzionano poco. Sono sempre i suggerimenti di un collega alle prime armi, quindi leggili come tali.

Doug era soddisfatto, la giornata era stata perfetta, concluso l’affare aveva festeggiato con sua moglie concedendosi una superba bistecca in uno dei ristoranti più esclusivi della città.
Frase lunghetta e che offre la possibilità di essere spezzata. “La giornata era stata perfetta. Doug aveva festeggiato assieme alla moglie per l’affare appena concluso, concedendosi una serata in uno dei ristoranti più esclusivi della città.” Anche in altre occasioni metti delle virgole “un po’ deboli” che trasformerei in punti. Non ti li segnalerò, basta questo esempio per farti capire. Poi decidi tu.

nel regno di Morfeo
Banalotto, evita le frasi fatte come questa.

come se appena oltre il limite dello sguardo ci fosse un incendio, l'atmosfera era surreale.
Quella virgola penso che sia proprio un errore. La frase “l’atmosfera era surreale” è totalmente slegata al resto, metterei un punto o un due punti.

infinita danza macabra
Altro cliché linguistico. “Danza macabra” non si può proprio sentire.

avvolta da una vegetazione disordinata, nodosa e ritorta
Te lo segnalo qui, una volta per tutte, citandoti una frase tratta dal manuale di scrittura How fiction Works di Hall:
“Un sostantivo richiede solo un aggettivo, il meglio scelto. Solo un genio può permettersi due aggettivi per un solo sostantivo.”
Tu ne usi addirittura tre alla volta. Occhio, rischi di spegnere l’attenzione del lettore.

Udiva suoni indecifrabili, una cacofonia di urla e gemiti, strilli, risate isteriche, voci gutturali, colpi sordi, motivetti stonati e versi di animali.
Mamma mia, che casino che c’è in ‘sta casa! ;) Qui in particolare, ma anche in altri punti, secondo me esageri un po’ e calchi un po’ troppo la mano. Te lo segnalo qui, poi se vuoi potrai individuare tu stesso gli altri punti.

si inoltrò in quella selva
Quale? A già.. quella di fronte alla casa.. vedi? Hai infilato così tanti dettagli che il lettore perde il filo. Comunque, trovo un pochino forzato anche questo passaggio attraverso la selva, ovvio richiamo a Dante.

Doug seguì il suo mentore.
Perché “mentore”? Era il preside della sua scuola, ma non hai detto che era per lui una figura importante, a parte per il fatto che gli ha ciullato i risparmi di una vita.

da l’odore della carne
Refuso

Il musicista si girò di scatto abbandonando la sua performance, Doug notò che era cieco, le iridi erano nivee e le pupille assenti.
Se è cieco perché si gira a guardarlo? Tra parentesi, altra frase con “virgole troppo deboli”

così è stato deciso dal direttore
Andando avanti mi sarei aspettato che tu rivelassi qualcosa in più su questo “direttore” luciferino, giusto per capirci qualcosa in più.

Trisha e John si schiaffeggiavano a vicenda violentemente, sbattevano contro le pareti e il pavimento per liberarsi dagli insetti che, ostinatamente, cercavano di partecipare alla copula. Gli scarafaggi venivano fracassati, schiacciati, esplodevano schizzando i loro fluidi e pezzi di carapace chitinoso. Le interiora degli artropodi li ricoprivano e colavano in ogni dove ma la coppia non riusciva a fermare il congiungimento carnale anzi, si baciavano, si leccavano e si mordevano nonostante la lordura in cui erano immersi.
A inizio paragrafo dici che questi due tizi stanno lottando per liberarsi dagli insetti, poi dici che copulano. Scusa ma non riesco a figurarmi la scena: o si fa una cosa o l’altra…

“Non è questo il luogo che devi visitare, ma non ti dovrebbe essere nemmeno del tutto estraneo”
A sì? Perché? Al lettore la scena raccapricciante che hai appena descritto dovrebbe dire qualcosa? Sinceramente ho percepito un certo simbolismo, magari legato al lavoro di Doug di macellare i porcelli (i clienti danarosi), però non me la spieghi abbastanza e sono certo di essermi perso qualcosa.

Udirono un gallo cantare, tre volte.
Il gallo evangelico non canta tre volte insieme, ma canta la prima volta, poi succede qualcosa, poi canta la seconda volta, poi succede qualcosa e così via. Il tuo gallo fa tre versi uno dietro l’altro… avrei preferito cadenzare più questi suoni lungo il cammino, per dare l’impressione dello scorrere del tempo.

talmente contorti e incomprensibili, che la mente umana farebbe fatica anche solo a immaginarli e la mano della progenie di Adamo non ha la capacità di inciderli.
Siamo o non siamo in un sogno? Quindi è riuscito a immaginarli… allora non siamo in un sogno?

il bovino fece per muggire ma, come aprì la bocca, la lingua marcia cadde a terra e continuò a contorcersi mentre bava verdastra e sangue colarono formando una pozza.
Siamo ormai dentro uno dei film della serie di “Scary Movie”. Il problema è che siamo a fine racconto, e il lettore si è imbattuto in talmente tanti dettagli di questo tipo che ormai ne è saturo, e inizia a riderci sopra.

riuscì a leggere il nome che vi era inciso: “Douglas Albert Geere”
Troppo simile a “Il Canto di Natale”. Ormai una cosa del genere è un cliché.

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Polly Russell
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#4 » lunedì 8 marzo 2021, 10:37

Ben trovato Tom.
Il racconto è buono, e mi ha interessata abbastanza. Buone le descrizioni e gradevole la discesa negli inferi della propria coscienza. Purtroppo la scelta di un narratore distante non giustifica l’assoluta assenza di emozioni del protagonista. Mi spiego, se non vuoi utilizzare il filtro del personaggio puoi tranquillamente mostrarmi il suo viso di cera, il sudore che gli macchia la camicia nonostante faccia freddo. Un tremore delle mani, labbra secche... insomma ce n’era da mostrare. A meno che tu non avessi intenzione di dirmi subito che si trattava di un sogno. In quel caso, la sua assoluta tranquillità calza a pennello. Perché che si tratta di un sogno lo si capisce dalle prime battute, da quando arriva nella via di casa e se la ritrova come lo scenario di Ken il guerriero.
Purtroppo però, non hai più approfondito la parte onirica, a meno che non sia sfuggito a me (e può essere) non vedo i cambi di scenario repentini e “normali” tipici dei sogni, o magari il vedere un personaggio famoso sapendo che invece è qualcun altro. I cambi di scena si susseguono con logica.
Altro punto no: i bonus. I ricordi non sono flashback, non come li hai narrati tu. Il flashback prevede di trovarsi in un’altra scena, in un altro tempo e vederlo come se stesse accadendo.
Anche il sesso violento è lì perché ce lo dovevi mettere. Non ha alcun legame con la trama, non incide sulle azioni del personaggio e se non ci fosse stato non sarebbe cambiato nulla nella storia. Se avessero mangiato gli scarafaggi invece di fare sesso o se il protagonista avesse guardato un porno in tv, sarebbe stato lo stesso.
Il cane invece è perfetto. Il suo essere lì ed essere simile a Cerbero, da al protagonista la certezza che si trattava di una reale discesa negli inferi.
Anche se si possono asciugare un po’, le descrizioni degli abissi della sua memoria sono molto buone.
Tema centrato.
Polly

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Giovanni Attanasio
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#5 » lunedì 8 marzo 2021, 12:08

Ciao, ti lascio questo commento a caldo, dopo aver letto la storia solo una volta e forzandomi a non rileggerla se non prima di votare tra qualche giorno. Nel commento della votazione ti dirò di più, se ci sarà da dire altro.

Non sono riuscito a calarmi nella storia. Penso che il problema, per me, sia legato al fatto che sono stato preso per mano sin dall’inizio e non mi è stata data possibilità di girar la testa dove volessi io: molte descrizioni, un lento incedere tra un dettaglio e poi un altro in modo troppo ritmico, anche a livello di stile.

Oltre alla “passeggiata” in questa casa o lungo la via, non si percepisce un vero proseguimento. Il testo è molto statico, secondo me, ed è molto faticoso entrare in contatto con un protagonista che parla poco, non reagisce. Posso capire che si tratta di visioni oniriche, e penso che per rendere meglio l’effetto basterebbe una buona rivisitazione delle scene per aggiungere dinamismo, per creare empatia col lettore, per dargli quel senso di “e ora cosa succede?”.

Non posso dire di essere rimasto intrigato, il racconto è semplicemente “passato e andato via”. La trama, il “contrappasso” alla Dante e tutti gli elementi del suo avanzare nel sogno e nei ricordo sarebbero stati più funzionali se al lettore fosse stata comunicata un’urgenza, una paura del protagonista, una qualsiasi emozione con cui empatizzare.

Fammi sapere quali erano le tue intenzioni con la storia e io le confronterò con ciò che ho recepito per farmi un’idea precisa.
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el_tom
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#6 » martedì 9 marzo 2021, 15:18

Ciao a tutti e grazie per l' attenzione che mi che avete dedicato al mio scritto, mi pare che, a parte Polly, sia la prima volta che incrociamo le penne qui su M.C. quindi metto le mani avanti e giustifico il mio commento ai commenti :-): non intendo sindacarli, anzi, li accolgo volentieri reputando che "il vero esperto in un campo è quello che in quel campo ha fatto tutti gli errori possibili" e quindi se nessuno gli dice cosa o dove sbaglia non diventerà mai un esperto, però, mie cari giurati, mi sia dato il beneficio della spiegazione :-).

Quello che a posteriori mi sento di rivalutare del mio scritto è il fatto che probabilmente ho sbagliato il format per il contest, nel senso, non è un vero e proprio racconto, non racconta, non c'è una trama che si risolve, è più un quadro che mostra una situazione, è uno spaccato temporale che mostra la "vita onirica" (?) di quel simpaticone di Doug in un determinato frangente.
Non mi sono posto l'obbiettivo di sottolineare, condannare o voler giungere a qualche epifania morale.
L'impianto del racconto ricalca la Divina Commedia quasi in toto. Ora, penso che su questi tre punti concorderemo tutti: 20K caratteri per la Divina Commedia sono pochini, il mio racconto non può essere sicuramente messo a confronto con tale capolavoro e sicuramente io non ho l'abilità del nasone fiorentino :-).
Il mio intento era una sorta di trasposizione del'opera in una chiave più Horror ma mantenendo dei punti di contatto e dandogli un sapore più esotico dove per esotico intendo non italico.
Ho cercato di utilizzare quanti più riferimenti, richiami e simbologia possibili, per esempio nei nomi: Doug Albert Geere, all'amerigana il secondo nome verrebbe abbreviato, Doug Al. Geere, che si legge Dag Al Ghiir, un richiamo, poco efficace a Dante.
Erving Saturday, Erving ha una sonorità molto lontana con Virgilio, Saturday dal Baron Samedì del culto Haitiano dei morti, presente anche nel sud degli stati uniti nella zona del Mississipi, New Orleans, tradizionalmente accompagna i morti nel loro viaggio, una figura a metà tra Caronte e Virgilio, guida e passeur, l'abbigliamento descritto è quello tipico del barone.
Straight street, letteralmente la via diretta o diretta via, "molti si smarriscono su Straight street"
Homer alla reception, Omero nel limbo, aedo cieco in contatto con gli dei, si gira a "guardare" Doug e lo riconosce pur non potendo vedere, mi sembrava potesse essere inquietante come azione.
Il dialogo sul registro e sul direttore: "Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare", presa a mani piene.
Le porte affrontate, la prima rappresenta il girone dei lussuriosi e ci ho piazzato la scena di sesso, mi si fa notare che per la trama è ininfluente, ammetto senza remore che è vero, nella mia concezione ha la funzione di dare coerenza interna al racconto, i due amanti intrappolati nella passione carnale e nella lordura (mmm, mi sà che qua il moralismo l'ho piazzato, ma il contrappasso dovevo mettercelo in qualche modo), perlomeno non è una scena fine a se stessa ma ha un perchè, poi che non ci azzecchi niente col bonus lo decidete voi e io accetterò il verdetto siore e siori giudici.
La seconda porta ha un significato "compressor" ci sono i golosi, gli avari, i tirchi, Pluto (il gagante spara melinda), dovevo far star tante cose in pochi caratteri.
La porta della mucca... effettivamente allunga il brodo ma quando mi è venuta in mente era un'immagine che aveva una sua bellezza e poi ad una strizzatina d'occhio a Lovecraft e Gaiman resisto difficilmente così ci ho piazzato la porta dei blasfemi.
Il gallo canta tre volte come richiamo al numero tre dantesco.
Doug sulle scale di lapidi, sinceramente non ho pensato al "Canto di Natale" ma ammetto che l'ho riletto qualche mese fa quindi lo imputo a qualche riafioramento del mio subconscio. In realtà anche qui prendo a piene mani dalla divina commedia, le malebolgie inferiori dove sono puniti i traditori, sono ghiacciate a causa del movimento d'ali di Lucifero. Il bonus flashback, mia ignoranza, grazie per avermi farmi fatto notare la cosa, se poi sia o non sia valido per il bonus passa in secondo piano a questo punto.
Il finale, e qui qualcosa ci ho beccato però, mi viene posta la domanda "era un sogno, non era un sogno?" io non ve lo dico e se il dubbio vi ha pervaso almeno in questa mia intenzione ci ho beccato, vi do tre opzioni: 1) Era un sogno, Doug si è svegliato rincoglionito e ha avuto un'allucinazione. 2) Non era un sogno, Doug, nonostante tutto, è un uomo molto fortunato e qualcuno gli ha fatto vedere dove conduce la strada che ha intrapreso. 3) Doug ha fatto indigestione, la superba bistecca gli è rimasta sullo stomaco e la finestra aperta gli spifferava sulla panza che ha generato una censura onirica freudiana.

La scelta del narratore, e qui mi sa che mi gioco la mia poca credibilità :-) L'intenzione era quella di generare un narratore "fluttuante" cioè che passa da un pov di Doug ad uno esterno a Doug, non ho spinto tantissimo susta cosa perchè mi vien difficile anche spiegarla, ho preso spunto dai miei sogni, io non so come sogniate voi, a me capita a volte di vedermi al di fuori "del mio corpo" nei sogni, come uno spettatore o un narratore esterno appunto, ma il pov lo reputo ancora il mio, per onor di cronaca mi capita anche di sognare in bianco e nero, a cartoni animati, di fare sogni lucidi e di dormire con gli occhi aperti (che a detta di mia moglie è inquietante) e spero che non siano sintomi di schizofrenia o sociopatia visto anche che trovo belle le immagini di teste di mucche putrefatte inchiodate sopra le porte :-) O forse dovrei imparare da Doug e dovrei cenare più leggero :-).

Ecco, dovrebbe essere tutto, che fortunelli che siete, dopo l'incubo di Doug pure sto pippone vi beccate!
Ancora grazie per i vostri commenti, i complimenti fan sempre piacere ma le critiche sono più utili.
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Giovanni Attanasio
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#7 » martedì 9 marzo 2021, 15:26

Io ti giuro che quel pizzico di Baron Samedì l'avevo percepito. Forse anche l'idea di narratore fluttuante, sai? A mio parere non sarebbe stata una brutta idea osare di più, incentrare la voce narrante su quello. Non ti dico proprio di passare da prima a terza persona e scambiarle (valida opzione ugualmente, secondo me), ma magari di buttarti di discorso libero indiretto con prepotenza, fare in modo che Doug fosse osservato da fuori, ma che il narratore poi raccontasse i suoi pensieri in modo molto "calato". Mi pare che già qualcosa c'è, ma dovrei rileggere il testo per controllare.
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el_tom
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#8 » martedì 9 marzo 2021, 15:37

Grazie, questo mi rincuora un pochino. Sul narratore avevo paura di diventare troppo incoerente, sta famigerata scena della mucca è quella che mi ha messo più il dubbio, la testa si muove alle spalle di Doug quini il pov è completamente esterno, poi lui se ne accorge e, da come l'avevo concepito, il pov rientra solo che non ho viene mai espresso in prima persona per non generare troppa confusione, e anche perchè no avevo quella di usare la prima persona. Ho sopperito con alcune descrizioni "da sogno" ma è difficile descrivere la vaghezza di un sogno.
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Damjen
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#9 » mercoledì 10 marzo 2021, 11:35

Ciao, è un piacere conoscerti :)
Come ho già detto altrove, cercherò di scrivere tutto ciò che sono in grado di capire. Spero soprattutto di dire solo le cose utili (e non una di più).
È stato piacevole e stimolante leggere il tuo racconto, soprattutto per l’atmosfera che hai saputo creare. Mi piace molto l’aspetto visivo del tuo scritto, che grazie alla sua potenza si trasforma in una sensazione plurisensoriale disturbante.
A mio parere hai rispettato il tema, beccando anche tutti i bonus.


Ciò che mi piace
– Nelle poche frasi iniziali già mostri un bel pezzo della situazione di partenza, con quelle che tipicamente si definiscono “poche pennellate ben piazzate”.
– Mi è piaciuta l’intera atmosfera del sogno, così intensa, e in particolare (di seguito)
– “…in lontananza poteva intravedere un riverbero rossastro, come se appena oltre il limite dello sguardo ci fosse un incendio”, è sia visivo che emotivo. Anche la sola idea di un incendio incombente, che opprima i bordi della visuale, è di per sé minaccioso.
– Macchine come carcasse spolpate da sciacalli, molto suggestivo.
– Piante ritorte, laghetti come bocche, foglie come mani scheletriche. Molto vivido e angosciante.
– Risa, urla, colpi, versi, musiche distorte. Efficace, straniante.
– La moglie e il migliore amico di Doug che… Ecco, al solo pensiero già mi viene male! XD Ottima “dominio” sul lettore che qui, che lo voglia o no, è costretto dal tuo coraggio e dalla tua bravura a infilarsi in testa una scena raccapricciante.
– Le pareti delle stanze nel corridoio che sembrano essersi allontanate. Una stanza senza limiti. La porta coperta di graffi come cicatrici. Straniante.
– Adorabili le torture e gli esseri torturati. Tutto molto vivido e potente.
– Stipiti organici *____*
– Una scala fatta di lapidi orizzontali conficcate nel muro. Figo.


Ciò che, mentre leggo, mi fa interrompere il film mentale poiché mi richiede un piccolo ragionamento
– “Stesosi sul suo giaciglio” è molto stringato, e giaciglio (nell’accezione di misero lettuccio come da definizione) cozza col ristorante esclusivo, la villa, i milioni di dollari.
– “Alle finestre, che Doug non riusciva a contare…” In una situazione così sfavorevole, chi si preoccuperebbe del numero di finestre?
– “Andiamo Doug… proferì giocosamente Saturday”. Il verbo proferire a qualcosa di solenne, per cui mi ha fatto riflettere per via dell’accostamento a giocosamente, ma forse era una contrapposizione voluta.
– “…corridoio planare” mi ha bloccata. Poiché significa piatto, lì per lì mi è suonato come acqua bagnata o fuoco caldo. Poi però parli della sensazione di discendere, e lì il concetto di planare (verbo) sarebbe stato interessante.
– “la scala si svolgeva a spirale”, dove svolgere vuol dire distendere ciò che era avvolto, mentre una spirale al contrario si “attorciglia”.

Ciò che non ho capito
– “Lunghe e innumerevoli schiere di gogne…” La parola schiera mi ha fatto inizialmente dubitare di conoscere il significato della parola gogna, poiché schiera mi sembra più riferibile a qualcosa di vivo, come umani o animali, mentre la gogna è un collare di ferro, giusto? Nella stessa frase però parli delle “loro” fauci, e dunque non ho capito di chi fossero queste fauci che gli umani venivano costretti da affrontare. L’intera frase mi è così scappata nel tentativo di capirla…
– “…c’erano figure che sfuggivano alla vista di Doug, non riusciva a inquadrarli, a metterli a fuoco, erano come le ombre che si vedono con la coda dell’occhio ma, quando ci si gira a guardarle, rivelano non esserci.” Ma intanto descrive molto bene cosa fanno, e infatti le vede massacrare, cucinare con carbone e spiedi, etc.


Ciò che secondo me potrebbe essere potenziato
– L’utilizzo del termine “bizzarro”, già di per sé vago, che compare un paio di volte in poco spazio, e di altri termini poco precisi, che stonano un po’ con la forza delle descrizioni.
– I dialoghi diretti sono statici per via della mancanza di beat come movimenti, precisazioni, assestamenti (visivi o emotivi o altro).
– Quando Doug entra nella casa, ci sono due frasi che, a gusto personale, avrei interrotto col punto prima del cambio di soggetto. La stessa cosa succede in altre frasi, più avanti.
– Dopo aver visto la moglie e il miglior amico che (!!! XD), Doug ha… un fremito. Ok, è stordito, ed è un sogno, ma forse si poteva calcare di più la sua reazione. Io al suo posto prima tiravo giù la carta da parati a mozzichi e poi ritinteggiavo le pareti del colore della superba bistecca della sera prima…
– “…coraggio, dai un’occhiata”, incoraggiato dal precettore Doug aprì la porta.”
– “…li lasciava con la fame e la disperazione, ma sempre privi di speranza.” Al netto della ridondanza, secondo me è proprio la speranza la peggior tortura cui sono sottoposti.
– Davanti alla terza porta, i rumori che si sentono cominciano forse a essere un po’ ripetitivi.
– “per poter farsi strada”, forse meglio per potersi fare strada…?
– “…una voragine oscura”, e non vedo altro che uno spazio limitato e buio, mentre il concetto di caverna era potenzialmente molto forte e significativo.


Tirando le mie personalissime somme, mi è piaciuto molto tutto l’aspetto macabro del racconto, e anche la morale. La storia di per sé è semplice, ma è ricca di immagini (che ricalcano i miei gusti). Spero davvero di essere stata meticolosa solo fino al punto di utilità. Mi scuso di cuore per tutto il resto. A rileggerci.
Ciao :)

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Fagiolo17
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#10 » mercoledì 10 marzo 2021, 19:26

Ciao e piacere di averti letto.
Una storia con immagini molto interessanti e ben descritte, anche se in alcuni punti ho notato una certa sovrabbondanza di aggettivi che mi hanno fatto storcere il naso.
Il tuo racconto è un affresco dell'incubo del nostro protagonista, una rivisitazione in chiave horror della divina commedia e del canto di natale.
Ho letto il tuo commento e gli easter egg nascosti dietro ai nomi sono davvero molto interessanti, ma non ne ho colto neanche uno. L'unica citazione che non potevo sbagliare era cerbero sul finale.

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Alessandro -JohnDoe- Canella
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#11 » giovedì 11 marzo 2021, 16:42

Ciao Tom.
Essendo la prima volta che ci incrociamo, parto con un “disclaimer”. Il qui presente appartiene (purtroppo? per fortuna?) a quella categoria di commentatori un po’ – come dire – diretta quando si tratta di commentare un racconto. Questo perché sono dell’idea che una critica costruttiva debba innanzitutto essere una critica sincera, a patto, inutile dirlo, che sia motivata.
Dico questo perché, in tutta onestà, questo brano è a mio avviso un mezzo disastro. So che non fa mai piacere sentirselo dire, ma prima o poi tutti rompiamo qualche uovo e in quei casi è fondamentale capire cosa abbiamo sbagliato. Ora, cos’è che non funziona nel tuo brano? Due cose a mio avviso.
La prima è l’aver voluto ricostruire la struttura di un classico della letteratura mondiale in un racconto da nemmeno 20k battute. Il problema non è tanto il citazionismo di cui è farcito il brano, quanto il fatto che esso è composto quasi esclusivamente da citazionismo! Di materiale originale c’è ben poco e limitato comunque a una revisione in chiave weird (ma nemmeno troppo) di elementi comunque appartenenti a un altro autore.
Il secondo elemento, quello più importante, è tuttavia la pressoché totale assenza del cardine stesso della narrativa: il conflitto. Quali sono le motivazioni del tuo personaggio? Come è diventato quello che è? Cosa lo tormenta? Queste, purtroppo, sono domande che necessitano una risposta, perché, al di là del citazionismo alla base del racconto, tu stai scrivendo un racconto in prosa, non un poema. Allo stato attuale il tuo personaggio è soltanto una marionetta nelle mani dell’autore (nemmeno del narratore) che si muove di scena in scena non per sua volontà o degli altri personaggi, ma perché così vuole la penna che l’ha creato, e questa è una cosa che il lettore percepisce e che non dovrebbe mai accadere in narrativa. Il fatto poi che tu abbia scelto uno stile raccontato anziché mostrato, purtroppo non aiuta per nulla.

Questi i principali difetti a livello di costruzione del racconto. Purtroppo, a essi si aggiungono anche un bel po’ di criticità stilistiche. Molte ti sono già state fatte notare da chi mi ha preceduto. Mi soffermo tuttavia sul discorso delle frasi troppo lunghe. Il problema, nel tuo caso, non è tanto legato alla loro dimensione, quanto alla presenza di più soggetto slegati tra loro. Prendiamo il seguente passaggio:
Il cielo era nero, ma non era notte, in lontananza [DOUG] poteva intravedere un riverbero rossastro, come se appena oltre il limite dello sguardo ci fosse
un incendio
, l'atmosfera era surreale.

In questa frase abbiamo addirittura quattro soggetti diversi, di cui soltanto “incendio” è stato introdotto correttamente, mentre tutti gli altri (fatta eccezione per “il cielo”, in quanto soggetto del primo verbo) vengono introdotti in maniera del tutto slegata. Fosse una frase singola con tale struttura si potrebbe chiudere un occhio e pensare a una svista, ma purtroppo l’intero brano è scritto in questa maniera e qui non è questione di scelte stilistiche: qui è proprio sbagliata la costruzione sintattica delle frasi.
Davanti alla casa, al centro del vialetto, Doug scorse un uomo che stava facendo dei gesti per attirare la sua attenzione e, quando la ottenne, gli indicò di raggiungerlo.

Altro esempio di frase contenente più soggetti in conflitto fra loro. Chi è il soggetto di “gli indicò”. L’uomo, dirai tu. E invece no. Dal punto di vista sintattico è ancora Doug, in quanto “che stava facendo dei gesti per attirare la sua attenzione” è una subordinata.
Lasciò la via, si inoltrò in quella selva andando verso quel curioso personaggio.

Perché curioso? Non l’hai descritto come tale. O meglio, lo farai, ma soltanto qualche riga più sotto. Peccato che il lettore “vede” attraverso le percezioni del portatore di PDV. Ergo, prima vengono le informazioni visive che esplicitano l’aspetto del personaggio e solo dopo possono esserci le considerazioni del protagonista, non il contrario.
“Certo mio caro, sono qui per questo, non sei certo il solo ne il primo che si è perso lungo Straight street, ti condurrò nel luogo a cui sei destinato”.

Segnalo quel “ne” al posto di “né”.
Doug notò che Saturday aveva dei batuffoli di cotone che gli uscivano dal naso. Ignorò anche quel bizzarro particolare.

Se lo sta notando non lo sta affatto ignorando. Delle due l’una. Che poi, “bizzarro” è una considerazione di chi? Del personaggio o del narratore?
Il musicista si girò di scatto abbandonando la sua performance, Doug notò che era cieco, le iridi erano nivee e le pupille assenti.

Altro esempio di frase con più soggetti. Anche questa è però significativa per via dell’effetto “lista della spesa”. Ti propongo stavolta un’alternativa (tra le infinite possibili) e prova a vedere se scorre meglio:
Il musicista interruppe la sua performance e si girò, mostrando due iridi nivee dalle pupille assenti.

Anche così non mi fa impazzire (non sono un amante del gerundio), ma ho cercato di mantenere una sorta di continuità stilistica col tuo modo di scrivere. Eppure, guarda come senza cambiare mai soggetto ora tutto risulta già più fluido rispetto a prima.
Accompagnato da Saturday, Doug si avviò verso uno stretto corridoi dove erano presenti molte porte.

*corridoio
Il soffitto era notevolmente più basso rispetto all'atrio rendendo l’ambiente claustrofobico.

Dimentica l’esistenza degli avverbi se vuoi padroneggiare la buona scrittura. Cosa significa “notevolmente”? Di quanti metri stiamo parlando? Dai al lettore un metro di paragone tangibile, aggiungi concretezza. Così è vago, informe. È, perdona la schiettezza, fuffa. Scrivi qualcosa tipo che il soffitto era così basso da sfiorare le vetrinette, poco più alte di Doug, o che se Doug avesse alzato un braccio sarebbe riuscito a toccarlo o che sempre Doug deve girare attorno a un lampadario per non rischiare di colpirlo con la testa. Anche qui le possibilità sono infinite, quindi sfruttiamole. L'importante è creare un legame tra ciò che vuoi descrivere e l'ambiente circostante, così da creare un affresco più vivido.

Per concludere, non prendere queste mie parole come un affronto verso la tua persona, ma uno sprono a migliorare e crescere come autore. Sbattere la testa contro la dura realtà fa parte del percorso di tutti. Tutto sta nel modo in cui decidiamo di reagire. In bocca al lupo e alla prossima.
lupus in fabula

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el_tom
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Re: Al numero 3 di Straight street

Messaggio#12 » venerdì 12 marzo 2021, 1:01

Eccoci!
Grazie per i vostri commenti e per l'attenzione che ci avete messo. Ribadisco come sopra: i complimenti fan piacere ma le critiche servono di più!
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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