Una discesa verso l'ignoto

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Signor_Darcy
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Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#1 » martedì 16 marzo 2021, 0:14

Una discesa verso l’ignoto
di Stefano Floccari

La sveglia era regolata per le sei e trenta, ma quando aprì gli occhi erano appena le cinque. Aveva dormito in diagonale – o almeno così si era ritrovata al termine di una lunga, sfiancante battaglia contro l’insonnia, le emozioni e i due stinchi di maiale. La gamba destra sbucava dal piumone e mostrava fiera le sue cicatrici; il braccio muscoloso a penzoloni oltre il bordo del materasso aveva fatto da metronomo al suo russare.
Sbadigliò rumorosamente, come se cercasse di assorbire con disperazione tutte le energie che le sarebbero servite per reinventarsi un’esistenza. Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra per guardare di nuovo le montagne innevate, teatro di vent’anni di lacrime e gioie e trionfi e piatti tibiali ritrovati solo dopo il disgelo.
La nostalgia di quella vita sarebbe stata tremenda, si disse per la centesima volta mentre entrava nel bagno dell’hotel. Quasi quanto il suo alito quella mattina.

I ricordi avevano cominciato ad annebbiarsi pochi istanti dopo che ebbe passato la linea del traguardo per l’ultima volta. Effimeri come le scorte di scarpe di ginnastica del Lidl, nella testa che le doleva terribilmente si susseguivano brevi frammenti di quegli istanti agrodolci: le compagne che le corrono incontro per festeggiarla; lo speaker austriaco che pronuncia correttamente il suo cognome; lo spumante versato sulla tuta e nella gola; le lacrime celate dalla maschera; la neve ormai distrutta dell’arrivo, bianca e flaccida come l’addome di un impiegato, che abbacinante le riflette sul viso negli occhi e nella testa quel sole pazzesco, un disco giallo e assurdamente caldo in anticipo di almeno due mesi, come se volesse essere sicuro di riuscire a trovarsi lì quel giorno, in quel momento.
«A che pensi?», le chiese uno degli allenatori. Lei stava guardando fuori dal finestrino, il guard-rail color ruggine dell’A22 che scorreva come il nastro di una musicassetta che deve essere riavvolto perché si possa sovraincidere.
«A tante cose», rispose.
«Ti va di parlarne?», chiese lui, cercando di non sembrare insistente.
«Boh, sì… No… Non lo so. Hai mica un Okitask?»
«Aspetta», rispose lui afferrando un borsone. «Ecco qua.»
«Grazie. Adesso posso prendere tutte le medicine che voglio, eh mister?»
Lei sorrise di sfuggita; lui ridacchiò un istante, poi tornò a rabbuiarsi, come se avvertisse che in quel paradossale lunedì di fine marzo dall’umore della donna dipendeva anche il suo. «Non sono più il tuo mister, ormai.»
«Già, è vero... Sai, molti atleti sanno cosa vogliono fare quando smettono, la loro carriera è come… boh, l’antipasto della loro vita. Mentre io ho vissuto solo per lo sci, per me è stato tutto: primo, secondo, contorno. Pure la grappa.»
«Ancora pensi al cibo? Non ti è bastato ieri sera?»
«Non mi ci far pensare… Esempio del cazzo, eh?»
«Un po’ sì, in effetti.»
Risero entrambi, stavolta un po’ più convinti.

Le ombre della sera stavano già risalendo le pendici della valle verso le vette immacolate delle montagne – le sue montagne.
Il furgone era ripartito. Lei era in piedi nel cortile, intorno sci e borsoni e valigie sparsi come enormi ciottoli di un vialetto che conduceva a quella costruzione in pietra a vista che era stato il suo rifugio nei pochi momenti liberi da gare, ritiri in Argentina o atroci eventi mondani di fine stagione e che ora, improvvisamente, era diventata casa sua.
Fece un respiro profondo. Poi infilò la chiave nella toppa.

Aprì gli occhi alle cinque, segno che l’abitudine ci avrebbe messo molto più tempo di lei per appendere gli sci al chiodo. Si sforzò di restare a letto – il suo letto – ancora un paio d’ore. Ascoltò i tordi e i fringuelli che annunciavano quello che, a dirla tutta, per loro era un giorno come tutti gli altri. Le venne in mente Biancaneve e, come lei, si stiracchiò platealmente.
Si alzò e, con tutta la calma che non si era mai concessa, fece la doccia, raccolse i capelli neri in una treccia, si vestì con cura e uscì per andare a fare colazione.
Mentre passeggiava lentamente salutando l’edicolante, la fioraia, un amico d’infanzia, anche un tizio che non ricordava bene chi fosse, pensava che la vita sa essere talmente sorprendente da farti ritrovare a dover mettere le radici nel tuo stesso paese.
Sorrise.
Non aveva più paura del futuro.



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antico
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#2 » martedì 16 marzo 2021, 0:18

Ciao Stefano e benvenuto nell'Arena! Ho visto che sei già dentro al gruppo fb, molto bene! Parametri rispettati, non mi resta che augurarti una buona SARA SIMONI EDITION!

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Antonio Pilato
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#3 » mercoledì 17 marzo 2021, 12:33

Ciao Stefano, è stato un piacere leggerti.

Un insieme di crescenti descrizioni che portano il lettore a provare un graduale entusiasmo durante la lettura. La scrittura è buona, anche se ogni tanto compare qualche aggettivo un po’ ‘orpelloso’ che personalmente avrei evitato.
La concitazione narrativa viene tuttavia interrotta sul finale, che ho percepito completamente tronco; probabilmente, non sono riuscito ad afferrare il senso o l’allegoria che hai voluto trasmettere sul traguardo della storia e di ciò mi dispiaccio molto. In tal senso, non riuscirei neanche a dirti se il tema risulta rispettato e mi piacerebbe avere un tuo riscontro sul senso della vicenda.

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Signor_Darcy
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#4 » mercoledì 17 marzo 2021, 13:03

Antonio Pilato ha scritto:
► Mostra testo

Ciao Antonio, grazie del commento.
Sì', mi ritrovo parecchio con quello che dici. Mi sono trovato a corto di caratteri un po' troppo presto e forse avrei dovuto espandere l'ultima parte a costo di tagliare qualcosa sul paragrafo delle immagini; però mi spiaceva, perché mi pareva fosse venuto relativamente bene – aggettivi orpellosi a parte, sia chiaro: "abbacinante" mi ha messo più di un dubbio.
L'idea era quella di raccontare come chi da un giorno all'altro si trova a dover lasciare quella che è stata tutta la sua vita fino a quel momento debba costringersi a mettere davvero le radici in un posto, che può essere casa sua, paradossalmente; e di come a volte basti riconoscere qualche voto conosciuto, che magari fino a quel momento è stato comparsa nella sua vita e che capisce che ora possa avere un ruolo anche molto importante nell'aiutarla a ripartire, o quantomeno a vivere il breve periodo in attesa di ricostruirsi una vita e una carriera – o, chissà?, ripartire dopo pochi mesi come allenatrice, o tecnica, o che so io: non mi è dato saperlo.
Dunque sì, la prima cosa è migliorare la gestione dello spazio disponibile, adattando la struttura del racconto a esso e non viceversa.

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Antonio Pilato
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#5 » mercoledì 17 marzo 2021, 13:06

Signor_Darcy ha scritto:
Antonio Pilato ha scritto:
► Mostra testo

Ciao Antonio, grazie del commento.
Sì', mi ritrovo parecchio con quello che dici. Mi sono trovato a corto di caratteri un po' troppo presto e forse avrei dovuto espandere l'ultima parte a costo di tagliare qualcosa sul paragrafo delle immagini; però mi spiaceva, perché mi pareva fosse venuto relativamente bene – aggettivi orpellosi a parte, sia chiaro: "abbacinante" mi ha messo più di un dubbio.
L'idea era quella di raccontare come chi da un giorno all'altro si trova a dover lasciare quella che è stata tutta la sua vita fino a quel momento debba costringersi a mettere davvero le radici in un posto, che può essere casa sua, paradossalmente; e di come a volte basti riconoscere qualche voto conosciuto, che magari fino a quel momento è stato comparsa nella sua vita e che capisce che ora possa avere un ruolo anche molto importante nell'aiutarla a ripartire, o quantomeno a vivere il breve periodo in attesa di ricostruirsi una vita e una carriera – o, chissà?, ripartire dopo pochi mesi come allenatrice, o tecnica, o che so io: non mi è dato saperlo.
Dunque sì, la prima cosa è migliorare la gestione dello spazio disponibile, adattando la struttura del racconto a esso e non viceversa.


Grazie per il chiarimento Stefano, a presto!

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Debora D
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#6 » giovedì 18 marzo 2021, 19:52

Ciao Stefano e bentrovato nell’Arena.
Il tuo racconto è molto riflessivo, sembra parte di un romanzo di formazione. La vicenda è chiara e senza eccessi: una sequenza iniziale in cui si sveglia, i ricordi, il viaggio con il mister, l'arrivo a casa e l'inizio della nuova vita.
C’è un po’ di confusione per quanto riguarda la parte dei ricordi. Quando comincia la sequenza, ci vuole un po’ per capire cosa sta accadendo.
Il flashback finisce e comincia il dialogo, anche qui lo stacco è brusco.
Tenero il momento finale, la sequenza che ho preferito dove lei comincia la nuova vita. Avrei voluto molti più caratteri in questa scena però o nella parte dedicata al mister e meno in quella iniziale.
Dal punto di vista della struttura insomma il racconto è sbilanciato in favore dell'introduzione. Qual è il vero e proprio svolgimento?

Mi soffermo sulla persona narrativa.
Hai scelto la terza persona al passato, scelta molto classica e classico è anche l’impianto della tua prosa, parecchio ricca e tendente a lasciar trapelare spesso la voce dell’autore.
Sono scelte fattibili, ma rischiano di portare il lettore fuori dalla storia e di fargli sentire troppo una voce esterna.
In un racconto intimo come questo è molto importante rimanere focalizzati per empatizzare con la protagonista e in terza persona al passato bisogna essere davvero attenti e abili per non rompere di continuo l’immedesimazione.

Prendo in esame un solo periodo per farmi capire.

Effimeri come le scorte di scarpe di ginnastica del Lidl, nella testa che le doleva terribilmente si susseguivano brevi frammenti di quegli istanti agrodolci: le compagne che le corrono incontro per festeggiarla; lo speaker austriaco che pronuncia correttamente il suo cognome; lo spumante versato sulla tuta e nella gola; le lacrime celate dalla maschera; la neve ormai distrutta dell’arrivo, bianca e flaccida come l’addome di un impiegato, che abbacinante le riflette sul viso negli occhi e nella testa quel sole pazzesco, un disco giallo e assurdamente caldo in anticipo di almeno due mesi, come se volesse essere sicuro di riuscire a trovarsi lì quel giorno, in quel momento.

Abbiamo un periodo di 108 parole con tre periodi con punto e virgola e uno con due punti. Si tratta di una struttura molto corposa, adatta a un testo argomentativo più che alla narrativa e quindi difficile da digerire in un racconto. Una prosa con molta subordinazione e lunghi periodi non favorisce la visualizzazione della scena e rende tutto lento.
Qui c’è anche un passaggio temporale nello stesso periodo dal passato al presente; al di là della scorrettezza grammaticale che potrebbe essere giustificata da una ragione artistica, le immagini sono ammassate e schiacciate dagli aggettivi. Sono troppe. Questo fa sì che i dettagli migliori siano soffocati dagli altri.

Abbiamo nello stesso periodo ben tre avverbi in -mente che sono generici e sopravvalutati, almeno due si potrebbero togliere per dare spazio a correttamente che è il più utile.
terribilmente → la testa duole come? Martella, pulsa, ha una cefalea che fa corona intorno agli occhi? Terribilmente lascia a noi di doverci inventare un modo. Si può descrivere un mal di testa?
Assurdamente → il disco giallo è caldo in anticipo di due mesi, come se volesse… ecc. il senso resta e l’assurdo è contenuto già nel concetto dell’anticipo di due mesi.

Ironia dell’autore. Mi ha messo in difficoltà entrare nello stato d’animo della protagonista. Alcune espressioni sono stridenti, si capisce che sono la voce autoriale
Effimeri come le scorte di scarpe di ginnastica del Lidl→ intanto le scarpe da ginnastica del LIDL mi hanno confuso, è ironico, lei ha una scorta di queste scarpe? Se è ironico, qui è proprio l’autore che parla perché lei non mi sembra in uno stato ironico almeno per come è arrivata a me.
bianca e flaccida come l’addome di un impiegato → di nuovo la nota ironica. Stona con il momento, con il personaggio e con il risultato.

Aggettivi tanti. Ce ne sono 17 solo in questo periodo quindi un po’ più del 15 % del totale. Non tutti gli aggettivi sono utili a visualizzare, alcuni appesantiscono. Ci sono poi tre subordinate relative implicite con il participio passato che in fila così rendono la lettura schematica e monotona.

Infine la gestione del dialogo.
«A che pensi?», le chiese uno degli allenatori.
«A tante cose», rispose.
«Ti va di parlarne?», chiese lui, cercando di non sembrare insistente.
«Boh, sì… No… Non lo so. Hai mica un Okitask?»
«Aspetta», rispose lui afferrando un borsone. «Ecco qua.»

Usare troppi dialogue tag in fila rende la lettura cantilenante per quelli come me che hanno un approccio sonoro al testo. Per ovviare alla cosa si possono inserire azioni come introduzione alla battuta. Il lettore riesce a intuire chi sta parlando. Vedrai in molti altri racconti sul forum una gestione di questo tipo. C'è chi li toglie del tutto perché è purista e chi invece li usa ma attento ad alternare i sistemi.

Conclusione: Quando sono arrivata qui su MC nessuno ha avuto paura di dirmi tutto e io ho imparato tanto (non si fanno scrupoli tuttora e ne sono contenta), mi hanno fatto sentire nel posto giusto. Spero che sia così anche per te.
I punti di forza del racconto stanno nell'intimità e nella forza personale dell'esperienza della protagonista, però avrei dato davvero più spazio all'ultima sequenza e meno a quel citato paragrafo incriminato.
La tua scrittura è ricca, hai idee e con un po’ di pulizia, uno stile più ragionato, una focalizzazione più attenta potresti farci vedere grandi cose!

Alla prossima, mi aspetto lo stesso trattamento quando toccherà a te leggermi.
Ultima modifica di Debora D il domenica 21 marzo 2021, 15:44, modificato 1 volta in totale.

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Signor_Darcy
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#7 » venerdì 19 marzo 2021, 9:17

Debora D ha scritto:
► Mostra testo


Debora, che dire? Intanto grazie: è uno di quei commenti che uno si aspetta di trovare qua dentro, immagino.
Mi ritrovo molto in quello che dici; alcune cose mi erano forse palesi già in fase di scrittura, o comunque subito dopo: la struttura del testo sbilanciata, l'uso allegro degli aggettivi, i rischi insiti in paragrafi così lunghi e complessi.
Altre cose, invece, sono ottimi spunti di miglioramento, a cominciare dagli avverbi in -mente, dei quali faccio... sciaguratamente un largo uso.

Molto interessante quello che dici anche riguardo ai dialoghi. Confesso che – limite mio sicuramente – spesso in romanzi, scritti e in qualche caso anche negli articoli che sto commentando qua dentro mi perdo nei dialoghi, tanto da non ricordarmi più chi sta dicendo una specifica linea di dialogo. Forse per questo tendo sempre evidenziare il personaggio parlante in ogni scambio, invece di lasciarlo intuire dal contesto, o comunque – come giustamente dici tu – sostituire il banale chiese/rispose con istantanee sensoriali, brevi descrizioni di gesto, qualsivoglia arricchimento effettivo di quanto scritto.

Mi soffermo infine sulla questione del punto di vista. In effetti sì, mi rendo conto che la mia – narratore esterno non necessariamente omnisciente, ma che sicuramente ci mette del suo – sia una scelta a un tempo classica e rischiosa. Ripensandoci forse sì, avrei potuto osare la prima persona singolare, in una qualche sua forma (non ho ancora dimestichezza con le varie nomenclature: toccherà studiare, immagino), possibilmente al presente, soffermandosi di più sulle sensazioni e magari meno su certe descrizioni esterne che, mi rendo conto, possono distrarre un po' il lettore.

(Ah, quanto al cambio di tempo verbale, semplicemente sono passato al presente per la "sfilata" di immagini, come se anche ora la protagonista, che pure ha vissuto gli eventi tempo fa, le ricordasse mentre il lettore le scopre per la prima volta.)

Non nego che il paragrafo da cento-e-passa parole, proprio quello più – giustamente – criticato sia quello che preferisco dell'intero racconto; al punto che, come spiegavo nel commento precedente, ho preferito non sacrificarlo per avere qualche carattere in più da spendere per il finale. Che pure era quello che aveva il non facile compito di rispondere al tema: scelta rischiosa anche questa

(Per inciso, sono contento che il finale, in qualche modo, ti sia piaciuto: cominciavo a dubitare che potesse arrivare.)

Questione ironia, in fondo: volente o nolente, è un tratto piuttosto distintivo del mio modo di scrivere; ma mi interessa molto capire se e fino a che punto può essere parte di un racconto di questo tipo. Diciamo che me la sono concessa anche per la scelta stessa del narratore, che può – come hai fatto notare – prendersi libertà espressive che della storia sono solo un contorno superfluo ma che, immagino, se ben dosate possano paradossalmente arricchirla. Forse. Spero.

Detto questo, ti ringrazio ancora e aspetto di poter ricambiare cotanta pignoleria.

Appena avrò ripassato cos'è una subordinata relativa implicita, quantomeno.

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Fagiolo17
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#8 » venerdì 19 marzo 2021, 19:40

Ciao Stefano e benvenuto.
Debora che mi ha battuto sul tempo ti ha già dato la maggior parte (per non dire tutti) i migliori consigli.
Mi è piaciuta la gestione del tema e anche come hai sviluppato l'idea. Trama lineare ma ben aderente a quello che è stato richiesto.
Mi permetto di dire che hai uno stile un po' acerbo, ma siamo partiti tutti da lì, le possibilità di migliorare studiando e partecipando a Minuti Contati sono tantissime.
Inizia col togliere gli avverbi in -mente, ricercandoli tutti a fine racconto. Io inizialmente mi sono vietato di utilizzarli per alcuni mesi in modo di togliermi di torno il vizio, poi mi sono permesso di rimetterne qualcuno ma solo all'interno dei dialoghi e se non potevo farne a meno.
Un altro consiglio che mi sento di darti è di asciugare le frasi e accorciarle. In base a quello che stai raccontando cerca di dare il ritmo al lettore. In una scena più riflessiva puoi permetterti periodi più lunghi, in una concitata colpisci con poche parole, taglienti e che trasmettano l'urgenza del PDV.
Ultimissimo consiglio, giuro, proprio sul punto di vista. Nessuno ti vieta di usare un onnisciente esterno, ma il lettore guarderà le tue scene da fuori, quasi che fosse un film. Ma la narrativa è un media molto differente dalla televisione e oltre a mostrare le scene ha la facoltà di mostrarci l'interiorità del protagonista, i suoi pensieri, desideri e obbiettivi.
è questo il grandissimo potenziale nascosto dietro a un testo scritto e ti consiglio di sfruttarlo al massimo. Non per forza con una prima persona, una terza va benissimo, purché il PdV sia molto "stretto" (che significa ben inserito nel personaggio).

Spero di rivederti anche nei prossimi mesi, non lasciarti abbattere se riceverai qualche commento negativo!

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Signor_Darcy
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#9 » venerdì 19 marzo 2021, 20:41

Fagiolo17 ha scritto:Ciao Stefano e benvenuto.
Debora che mi ha battuto sul tempo ti ha già dato la maggior parte (per non dire tutti) i migliori consigli.
Mi è piaciuta la gestione del tema e anche come hai sviluppato l'idea. Trama lineare ma ben aderente a quello che è stato richiesto.
Mi permetto di dire che hai uno stile un po' acerbo, ma siamo partiti tutti da lì, le possibilità di migliorare studiando e partecipando a Minuti Contati sono tantissime.
Inizia col togliere gli avverbi in -mente, ricercandoli tutti a fine racconto. Io inizialmente mi sono vietato di utilizzarli per alcuni mesi in modo di togliermi di torno il vizio, poi mi sono permesso di rimetterne qualcuno ma solo all'interno dei dialoghi e se non potevo farne a meno.
Un altro consiglio che mi sento di darti è di asciugare le frasi e accorciarle. In base a quello che stai raccontando cerca di dare il ritmo al lettore. In una scena più riflessiva puoi permetterti periodi più lunghi, in una concitata colpisci con poche parole, taglienti e che trasmettano l'urgenza del PDV.
Ultimissimo consiglio, giuro, proprio sul punto di vista. Nessuno ti vieta di usare un onnisciente esterno, ma il lettore guarderà le tue scene da fuori, quasi che fosse un film. Ma la narrativa è un media molto differente dalla televisione e oltre a mostrare le scene ha la facoltà di mostrarci l'interiorità del protagonista, i suoi pensieri, desideri e obbiettivi.
è questo il grandissimo potenziale nascosto dietro a un testo scritto e ti consiglio di sfruttarlo al massimo. Non per forza con una prima persona, una terza va benissimo, purché il PdV sia molto "stretto" (che significa ben inserito nel personaggio).

Spero di rivederti anche nei prossimi mesi, non lasciarti abbattere se riceverai qualche commento negativo!

Grazie mille davvero, il tuo è un commento molto utile.
Molto vero quello che dici sull'interiorità, è effettivamente qualcosa su cui riflettere.

Nessun rischio abbattimento: sono qui per questo.

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Hayà
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#10 » sabato 20 marzo 2021, 14:58

Ciao Stefano, è un piacere leggerti.

Un testo che mi ha colpito in tutta la sua semplicità. Lo stile l’ho trovato molto pulito, anche se alcuni degli avverbi in -mente li avrei rimossi perché ridondanti.
Però voglio commentare sullo stacco iniziale, da quando entra nel bagno dell’hotel fino al suo “risveglio” dal flashback sull’...autobus, suppongo? Si parla di un guardrail. Il “trasferimento” da una scena all’altra è stato piuttosto brusco.

Altra parte che mi ha fatto storcere un po’ il naso:
Lei era in piedi nel cortile, intorno sci e borsoni e valigie sparsi come enormi ciottoli di un vialetto che conduceva a quella costruzione in pietra a vista che era stato il suo rifugio nei pochi momenti liberi da gare, ritiri in Argentina o atroci eventi mondani di fine stagione e che ora, improvvisamente, era diventata casa sua.

Periodo veramente troppo lungo, che penso avrebbe giovato nell’essere separato dalla punteggiatura.

Per tutto il resto, il testo mi ha convinto e il tema è rispettato.

Dario17
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#11 » domenica 21 marzo 2021, 18:28

Una terza persona onnisciente troppo, troppo, troppo innamorata di descrizione pompose e fuorvianti che a ogni riga ti impedisce di farti una chiara idea di chi sia chi e cosa faccia.
Apprezzo la sagacia, seppur gratuita, di certi umorismi come le scarpe della LIdl, ma per la parte centrale del racconto tra la sveglia e il dialogo andrebbe fatto un pesante lavoro di limatura. La neve bianca e flaccida come la panza dell'impiegato trascende il comico, anche perchè è una metafora riferita non a una collinetta nevosa ma ad un punto d'arrivo di una gara di sci.
Il dialogo tra protagonista e allenatrice è carino.
Epilogo raccontato e un po' troppo sbrigativo, la protagonista risolve i dubbi di vita seminati in precedenza facendo quattro passi nel paesello.
Tema rispettato anche se non mi piace quando viene messo per iscritto parola per parola nel pezzo.

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SilviaCasabianca
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#12 » lunedì 22 marzo 2021, 23:13

Ciao Stefano piacere di leggerti e benvenuto.
Beh arrivo un po' in ritardo e vedo che ti hanno già detto tutto. Sono infatti d'accordo sul fatto che per quanto sia evidente che ti piaccia scrivere e indugiare in descrizioni (come ti capisco) ti converrebbe iniziare piano piano ad asciugare. Ci siamo passati tutti (io ci sto ancora passando) mi pare di capire, quindi tranquillo che sei in ottima compagnia.
Sono d'accordo con Dario sul prendere ad esempio la descrizione della collina innevata come una panza flaccida: il problema è che è un po' fuori contesto, un po' esagerata. Sembra quasi essere ben poco verosimile che ci possa fare un pensiero simile: che poi chi lo sta facendo? Chi sia il narratore è un po' incerto. Non sono sicura che il narratore onnisciente sia sempre e comunque sbagliato, credo però che si debba usare avendo sempre nella testa chi parla, a chi e perché.
Detto questo la storia è carina e ad esempio all'inizio quando dici che il braccio della protagonista oscilla andando a tempo con il russare è stato molto carino: asciugata e divisa per concetti sarebbe stata perfetta:
il braccio ondeggiava a penzoloni oltre il bordo del materasso, come un metronomo accompagnava il suo russare: un fascio di muscoli davvero insolito per una ragazza della sua età --> così, per darti un esempio veloce di come separando tutto sarebbe stata un'immagine d'impatto.
Complimenti comunque!

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Roberto Bartoletti
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#13 » martedì 23 marzo 2021, 12:31

Ciao Stefano, piacere di conoscerti e leggerti.
Del racconto mi piace come tratta in modo coinvolgente l’addio all’agonismo e a quella parte di vita ricca di sacrifici e soddisfazioni. Il "mettere radici" rispettato come tema e interpretato come una condizione necessaria, tornando nel proprio paese e ritrovando i personaggi che ne fanno parte. Mi è spiaciuto affrontare questi ultimi elementi solo nel finale; avrei preferito avessero trovato più spazio, ma con uno spazio così esiguo uno è costretto a effettuare delle scelte. Ho trovato poi qualche similitudine di troppo e alcune frasi un po' lunghe, ma questo è solo gusto personale. Spero di rileggerti presto, buona gara!

Red Robin
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#14 » mercoledì 24 marzo 2021, 13:19

Ciao Stefano,
Il tema è rispettato, anche se un po' di striscio, le battute finali che lo esplicitano sono proprio necessarie per capire il riferimento, altrimenti non è possibile (almeno per la mia esperienza di lettore rispetto a questo testo), a differenza di altri racconti del tuo gruppo che ho già letto. Questo non gioca a tuo favore. L'idea è abbastanza classica, ma paradossalmente non ho ancora visto nessuno trattarla, quindi sei avvantaggiato dal punto di vista dell'originalità. Mi è piaciuta molto la focalizzazione, invece. Ho apprezzato moltissimo le espressioni sarcastiche e ironiche del pdv, che stemperano bene il tutto e richiamano l'attenzione del lettore. La narrazione è ben gestita, ma non ho trovato particolari scintile in termini di eventi, gestione delle sequenze, eccetera. Tutto rimane abbastanza lineare, e se questo è un bene per lo stile (è buono, ma ogni tanto lo alleggerirei), non lo è per la trama, che può risultare troppo piatta. Su questo influisce anche il mio gusto personale, certo, ma pensaci su, e vedi se in qualche modo si poteva rendere più attiva la narrazione, senza rovinare il ritmo.
Alla prossima!

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Andrea76
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#15 » mercoledì 24 marzo 2021, 14:14

Ciao Stefano,
il tuo è un racconto introspettivo che si lascia leggere. Lo arricchisci di similitudini che a mio avviso funzionano e a volte fanno anche sorridere. La scelta del narratore onnisciente in questo caso non disturba, anzi secondo me ben si adatta alla psicologia riflessiva del personaggio. Posso dire di aver letto questo racconto tutto d’un fiato perché ero curioso della svolta che gli avresti dato. Svolta però non c’è stata, semplicemente l’ex sciatrice accetta la sua nuova vita trovando conforto nel paese di montagna in cui ormai ha piantato radici. Per quello che è il mio gusto personale, ho trovato questo finale un po’ piatto.
A rileggerti.

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antico
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Re: Una discesa verso l'ignoto

Messaggio#16 » giovedì 8 aprile 2021, 13:29

Anche qui, come nel racconto di Lauriola, l'errore sta nella gestione degli spazi che ti ha portato verso un finale cui non hai potuto dare il giusto respiro. Se ci fai caso, hai raccontato il fulcro del tuo racconto nella risposta ad Antonio e gran parte di quel fulcro risiede proprio in quella parte finale che non hai potuto gestire come quella iniziale e centrale: il problema sta tutto lì. Inoltre, ho notato che hai cercato di dare un carattere bello specifico alla tua protagonista e che molte descrizioni sono incentrate proprio su quelle sfumature: sia chiaro che passa, però rischi che non arrivi a tutti e questo a causa, ancora, della brevità dello spazio a disposizione. Hai detto bene: si deve capire come manipolare il proprio racconto adattandolo ai caratteri disponibili, il segreto sta tutto lì ed è un esercizio solo apparentemente funzionale ai 4000 perché una volta capito lo possiamo applicare un po' a tutte le distanze migliorando di gran lunga il nostro controllo. Non ho altro da dire se non che mi sembri un'altra grandissima penna e che sono estremamente curioso di leggerti. In generale, la mia valutazione per questo testo è un pollice tendente verso l'alto in modo solido, ma non brillante che si piazza davanti al parivotato racconto di Mammoli per una costruzione più equilibrata pur in presenza di un finale meno esplosivo (in termini di resa).

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