La moglie perfetta
Inviato: mercoledì 14 aprile 2021, 13:13
La moglie perfetta
di Giovanni Attanasio
Giada chiuse la tenda. Prima di abbassare pure la tapparella, sbirciò fuori piegandosi in avanti. «Pare che oggi la vecchia non ci sia.»
«E allora torna qua, dai.»
«Hai fretta?»
«Ancora non ho fatto niente, non puoi essere già incazzata,» Rocco distese le gambe e sgranchì la schiena. «Vieni, coccoliamoci un po’.»
«E poi?» lo fissò: aveva le mani protese e le dita impegnate a suonare un pianoforte invisibile. «Mi rispondi, anziché fare l’imbecille?»
«Che devo dire?» la seguì avanti e indietro con gli occhi. «Giada?»
«Non ne voglio coccole.»
«Possiamo provare, almeno? Che ti costa?» batté il palmo sul posto libero del divano, «dimmi che cazzo ti costa!»
«Non urlare.»
«Hai detto che la vecchia non c’è, mi sento—»
«Vaffanculo!» Giada puntò a testa bassa verso il corridoio.
«Ma che ho fatto?» Rocco si precipitò dal divano, tentò di acciuffarla per il braccio, ma non fece in tempo. «Dai, Giada! Oh!?» corse verso l’altra stanza, «non ti chiudere in quella merda di camera! Giada! Sfondo la porta, stavolta! Porca di quella puttana, non mi fare incazzare!»
«Voglio stare sola!»
«Rompo una delle tue tazze, ok? La schiaccio sotto i—»
«Non minacciarmi, pezzo di merda!»
Rocco picchiò il pugno contro lo stipite. Nessuna reazione. Poggiò l’orecchio alla porta, trattenne il respiro. «Che prendi nel cassetto?»
«Lasciami sola, Rocco.»
«Giada, non mi fare bestemmiare. Giada, apri.»
I passi risuonarono nella camera oltre la porta, piedi scalzi e tallonate sul parquet. «Cosa ti dà più fastidio? Dimmi la verità.»
«In che senso?» Rocco deglutì, colpendosi il petto. «Non mi dà fastidio niente...»
«Non sei più incazzato, allora?»
«Giada, amore mio, io vorrei solo che le cose andassero bene, lo capisci? Mettiti nei miei panni. È facile secondo te per un uomo vivere così? Cosa racconto in ufficio, che mia moglie preferisce un vibratore al proprio uomo? Da che mondo e mondo una—»
«Ah, ecco che l’hai ammesso. Stronzo! E per me è facile? Ti pare che io non le ho le amiche che rompono i coglioni? Tu almeno puoi risolvere col viagra, io che cazzo faccio?»
«Ci sono—»
«Lo sai che mi irritano la pelle! Lo sai, Rocco!»
Silenzio. Lui sfiorò la maniglia, tenne la mano ferma proprio sull’estremità. «Giada, la tua è una fissazione. Lascia perdere quell’affare. Stai con me, tuo marito.»
«Mio marito? E dov’è questo marito? Dove sei, Rocco?» i passi ripresero distanti. Le doghe del letto scricchiolarono. «Voglio solo un po’ di tempo con me stessa.»
Rocco lasciò la maniglia.
Rumore di vetri rotti. Giada balzò via dal wc e sbirciò il corridoio. «Che hai sfasciato? Sei già sveglio?»
«Mi è caduta una cosa.»
Lei tornò al gabinetto per buttare la carta igienica e tirare lo sciacquone. Allacciò la tuta e corse in cucina. Rocco era fermo, le mani sui fianchi: sparsi tra i piedi scalzi, tanti cocci variopinti.
«No!» Giada si tuffò in ginocchio, «la tazza di Supercar!»
«Vabbè, la puoi ordinare da—»
«L’ho comprata in America, cosa cazzo ordino? Mica è la stessa cosa! Secondo te io—» si morse il pugno, «lascia stare, Rocco. Lascia stare.»
«Non l’ho fatto apposta.»
Giada raccolse nel palmo aperto i resti, uno ad uno. «Invece sì.»
«Che ragione avrei avuto di farlo?»
«Perché sei un rancoroso bastardo!» lo spinse contro il mobile.
Il gomito di Rocco urtò la friggitrice ad aria. I suoi occhi saettarono per la stanza, cercarono di seguire le mani rapide di Giada: in un attimo si trovò un coltello sul naso.
«Giada. Giada, ehi. Patatina...»
«Io ti sbudello!»
«Giada, porca puttana! È una tazza, ti—» portò le mani in alto, «Giada, Cristo...»
«Ok, scusa.»
Rocco abbozzò un sorriso, poi si fece serio: «Continua.»
«Cosa?»
«Minacciami. Continua.»
Lei strinse l’impugnatura del coltello, lo agitò. Gli contornò con cura il naso e scivolò sino al collo.
«Funziona, Giada.»
Questa seguì il cenno del capo verso il basso. Un netto rigonfiamento del pigiama puntava proprio verso di lei. Carezzò il petto del marito col metallo, mentre l’altra mano ispezionava i suoi pantaloni: «Non ci credo. È duro? Non hai preso qualche pillola, vero?»
«No. Sto guarendo.»
Giada rimise il coltello nel lavabo e si sedette sul tavolo. Sfilò il pigiama e le mutande, le scagliò alle proprie spalle e aprì le cosce. Rocco scosse il capo, si spettinò i capelli, si pinzò le guance e infine avanzò. Prese un bel respiro e ficcò la faccia tra le gambe della moglie.
«Mio Dio!» guaì lei, ghermendolo per i capelli.
Smanioso, rapito dalla frenesia, Rocco l’afferrò e l’abbracciò. Con una mano guidò la propria gioia verso il sorriso roseo e umido di Giada. E spinse. Spinse. Lei non lo mollò, lo prese per la schiena e lo graffiò; poi ai glutei, lo artigliò e lo costrinse a insistere.
«Dai!» ansimò, mordendogli le labbra secche. «Che fai? Tienilo dentro!»
«Un attimo...»
Giada sbuffò e prese il fallo tra le dita. «Passami il coltello, Rocco. Passamelo, magari se ti minaccio ancora—»
«Va bene così,» si allontanò e rimise a posto i pantaloni. «Lasciamo perdere.»
«Fammi almeno venire, non pensare sempre a te! Usa le mani, la lingua, pure i piedi se vuoi! Rocco!»
«Hai il vibratore.»
«Rocco, io voglio te!»
Il portone di casa batté, il boato risuonò per tutta la casa.
Giada strappò dal calendario il mese di marzo. Appallottolò la carta e fissò il cestino. Le lacrime piovevano dritte nella pattumiera.
Aprì lo sportellino e controllò le sue tazze, tutte messe in ordine, divise per colore e forma. Si alzò in punta di piedi e contò sottovoce quelle sul fondo.
«Tesoro, andiamo a fare la spesa?»
«Sono impegnata, non vedi?» girò di poco il capo dall’altro lato.
Rocco si spostò ed entrò di nuovo nel suo campo visivo. «Giada, ma che hai?»
«Ci abbiamo provato da soli e non ha funzionato.»
«Vuoi passare in farmacia? Hanno il lubrificante naturale, quello andrà bene.»
«Ma non capisci?»
«Io capisco, però—»
«A te importa solo poter dire agli amici che scopi con tua moglie. E allora scopami, prendi il viagra e scopami. Che ti frega se poi mi fa male, se mi si irrita la fica, se mi sembra di star venendo stuprata!»
«Ora esageri, non ti pare?» le prese le mani, «ho deciso di non incazzarmi più, però devi aiutarmi. Voglio stare calmo. Non dirmi merdate sullo stupro, Cristo! Ma ti rendi conto di cosa significa?»
«E se provassimo di nuovo il gioco del coltello? Stava andando bene.»
«Non lo so, amore...»
«Magari fare un po’ di roleplay ci aiuta a connetterci.»
«Roleplay? Cos’è?»
Giada ridacchiò. Si sporse e lo baciò. «Significa che facciamo finta di essere qualcos’altro. Qualcosa di eccitante.»
«Tipo?»
«Facciamo che siamo due spie, no? Una americana e una sovietica. E ci vogliamo ammazzare, però poi la cosa prende una piega romantica e scopiamo come se dovessimo ripopolare la terra!»
«E quella sovietica chi la fa?»
«Tu.»
Lui si grattò la testa, «mi sembra complicato, forse è meglio qualcosa di più facile. La cosa di ripopolare però non era male. Senti, facciamo che ci vogliamo uccidere e basta, come la storia del coltello.»
«Sei noioso.» Ammiccò verso i suoi pantaloni: «Però vedo che la cosa ti piace...»
Rocco, nudo ma con un cappellino in testa, marchiò con una X rossa sul calendario il diciotto di aprile. Divaricò le gambe e si osservò la pancia, poi più in giù. Iniziò a ridere, a saltellare per la cucina.
«Hai messo un’altra crocetta? Le conti pure?»
«Giada, amore mio!» si bloccò a metà strada, mise le mani dietro la schiena, «anzi: Giada, mia acerrima nemica. Oggi è il giorno in cui ti ammazzo sul serio.»
«Ma smettila, che sono stanca.»
Lui le girò attorno e le puntò un dito alla schiena, come fosse una pistola. «Mani in alto.»
«Com’è quella battuta orribile che dici ogni tanto?»
«Ah, quella! No, questa non è una pistola, ma sono molto contento di vederti!»
«Lasciami riposare due orette, poi giochiamo ancora.»
«Ma io non posso resistere, c’ho voglia. Sei bella, Giada, le tue tette, il culo. Sto guarendo, amore, io ti guardo e sono già tutto pronto,» mormorò, percorrendo i suoi fianchi con le dita. Le massaggiò le spalle e unì le mani intorno al collo della moglie. «Sei cazzo perfetta, Giada. Sei già bagnata?»
«Una cascata, come no.»
«Giù a quattro zampe! Devi obbedirmi, donna. O ti ammazzo.»
Giada colse il riflesso di Rocco sul vetro della credenza. «Non ho voglia. Lasciami.»
«Anche io scherzavo. È un gioco, amore mio.»
«E allora lasciami! Rocco, mi stai facendo male.» Tossì. «Voglio riposarmi, mi gira la testa.»
«Ok, come vuoi. Ma non abbassare mai la guardia, donna: non puoi mai sapere cosa potrebbe accaderti.»
Le risate di Rocco rimbombarono nel corridoio sino a estinguersi nella camera da letto. Lei non si mosse, rimase a fremere in mezzo alla cucina. Poggiò la mano sul tavolo e si sostenne, tirò a sé la sedia e sospirò. Massaggiò il collo arrossato e fissò il telefono di casa, a portata di mano. Incrociò le braccia al petto.
Girata la chiave nella toppa, Giada proseguì con passo felpato. Pigiò l’interruttore, ma la luce non si accese.
«Rocco, la lampadina è saltata di nuovo!» lasciò l’ombrello vicino la scarpiera, «alla fine le ha fatte due gocce d’acqua, sai? A maggio! Rocco? Ma sei a casa?»
Bussò al bagno e si avvicinò al wc. Un’ombra la sormontò.
«Sorpresa!»
«Rocco! Cazzo!» Giada scivolò e batté la testa contro il lavabo. «Ma sei scemo? Ahio, ci potevo crepare!»
«Però è eccitante, no?»
«No, coglione!» si tastò la nuca, «esci, per favore, devo lavarmi.»
«Ti sei pisciata addosso? O sei solo felice di vedermi?»
«Vaffanculo, me la stavo tenendo da Piazza Magna, che posso saperne che tu avevi voglia di far l’imbecille e terrorizzarmi?»
«Ha funzionato.»
«Certo!» si sfilò la maglia e spalancò il box doccia, «ora che ne dici di smetterla con questa cretinata? Tutto è tornato alla normalità.»
«Ieri sera però non eri molto in forma.»
«Cosa volevi? Che ti facessi il bagnetto tipo fontanella?»
«Ti stavo strozzando, volevo ucciderti. L’altra volta sei venuta così.»
«Embè? Ieri no.» Lanciò il reggiseno nel cesto dei vestiti sporchi. «Pensa a quanto siamo felici, amore mio. Il sesso è secondario, o sbaglio?»
«Voglio restare qui a guardarti.»
Giada strinse il rubinetto della doccia, si fermò con un piede dentro e uno fuori. «Ho bisogno di tempo da sola.»
«Capisco.»
«Rocco?»
«Dimmi.»
Si morse il labbro inferiore. «Metti su l’acqua per la pasta?»
«Volentieri. Giuro che non ti avveleno!» e uscì ridendo.
Giada scattò fuori dalla doccia e chiuse la porta a chiave.
Il sole irradiava il salotto, la sottile brezza scuoteva le spesse tende invernali che Giada, in equilibrio sulla scala, cercava di tirar giù. Dal divano alle sue spalle, Rocco la osservava.
«Vuoi una tisana?»
«C’è caldo. E poi voglio finire qui.»
«Un bicchiere d’acqua?»
«Non dal frigo, apri la confezione vicino al portafrutta.»
Rocco si assentò un minuto e poi le porse il bicchiere: «Che c’è? Fa puzza?»
Lei increspò le labbra. «Lo potevi prendere un bicchiere nuovo, che ti costava? Sa di limone.» Giada lo sogguardò, «che ti ridi?»
Lui fece spallucce. «Nulla. Attenta a non cadere dalla scala.»
«Mi prendi al volo tu, giusto, maritino?»
«Certo.»
Giada si svegliò di soprassalto. Corrugò le sopracciglia e contemplò il soffitto. Chiuse le palpebre e le riaprì.
«Rocco? Puoi venire?»
Lui emerse dall’ombra. «Sono già qui.»
«Mi fa malissimo la testa.»
«E il resto?»
«Ma che ne so! Ho i muscoli mezzi intorpiditi...»
Rocco salì in piedi sul letto. «Ho visto che hai comprato delle nuove pile l’altra volta; è un caso che siano della stessa misura del vibratore?»
«Rocco, ma che stai—» strabuzzò gli occhi, «mi hai drogata!?»
«Un poco.»
«Sei impazzito!?» portò una mano alla fronte, poi tastò il polso. «Voglio andare in ospedale. Dio, Rocco, sei fuori di testa.»
«Io? Tu sei fuori! Mi prendi per il culo, mi dici che tutto si è risolto tra noi. Se sì è risolto allora perché mi rifiuti!?» saltò giù dal letto. «Hai chiamato la polizia?»
«Non ho chiamato nessuno!»
«Balle!» rovistò nel cassetto, disperdendo per la camera mutande e calzini. «E ora? Prendimi per il culo adesso!»
«È finta, vero?»
«No.»
«Rocco, posala. Amore mio, non c’è—»
«Zitta.» Lui armò il cane della pistola. «Era tutto un tuo piano, pensi che sia scemo? Ti volevi liberare di me perché sono guasto, vero? Così dici alle tue amiche. Ai tuoi amanti.»
«Non ho mai—»
«Allora perché torni tardi, il giovedì? Quanti sono, tre assieme? Te lo fai mettere in tutti i buchi, schifosa vacca!»
«Rocco, ma che stai dicendo? Ti prego, amore mio, posa la pistola. Il giovedì vado dalla dottoressa Bruno, lo sto facendo per noi...»
«No. No!» La bocca della pistola le baciò le labbra. «Succhia, puttana. Succhia e ingoia.»
«Mettila via, ti supplico.»
Le asciugò le lacrime. Spostò la mano tremante di nuovo sulla pistola e la tenne fitta. «Addio.»
«Rocco, no!» lei si divincolò e riuscì a calciarlo via. Caddero entrambi dal letto.
La pistola sul tappeto, tra i due. Si lanciarono in avanti, le teste una contro l’altra: Rocco la colpì con un pugno, poi la prese per un braccio e la spinse sul letto. Reggeva l’arma proprio contro il petto di Giada, che gli sferrò un colpo tra le gambe: Rocco strizzò gli occhi e il respiro gli morì in gola.
«Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»
Uno sparo. Lei incespicò e lanciò le mani in avanti, cercò di agguantare il cassettone. Un altro sparo.
«Rocco,» tossì sangue, «pietà...»
«Sei bellissima quando supplichi.» Si slacciò i pantaloni. «La moglie perfetta.»
di Giovanni Attanasio
Giada chiuse la tenda. Prima di abbassare pure la tapparella, sbirciò fuori piegandosi in avanti. «Pare che oggi la vecchia non ci sia.»
«E allora torna qua, dai.»
«Hai fretta?»
«Ancora non ho fatto niente, non puoi essere già incazzata,» Rocco distese le gambe e sgranchì la schiena. «Vieni, coccoliamoci un po’.»
«E poi?» lo fissò: aveva le mani protese e le dita impegnate a suonare un pianoforte invisibile. «Mi rispondi, anziché fare l’imbecille?»
«Che devo dire?» la seguì avanti e indietro con gli occhi. «Giada?»
«Non ne voglio coccole.»
«Possiamo provare, almeno? Che ti costa?» batté il palmo sul posto libero del divano, «dimmi che cazzo ti costa!»
«Non urlare.»
«Hai detto che la vecchia non c’è, mi sento—»
«Vaffanculo!» Giada puntò a testa bassa verso il corridoio.
«Ma che ho fatto?» Rocco si precipitò dal divano, tentò di acciuffarla per il braccio, ma non fece in tempo. «Dai, Giada! Oh!?» corse verso l’altra stanza, «non ti chiudere in quella merda di camera! Giada! Sfondo la porta, stavolta! Porca di quella puttana, non mi fare incazzare!»
«Voglio stare sola!»
«Rompo una delle tue tazze, ok? La schiaccio sotto i—»
«Non minacciarmi, pezzo di merda!»
Rocco picchiò il pugno contro lo stipite. Nessuna reazione. Poggiò l’orecchio alla porta, trattenne il respiro. «Che prendi nel cassetto?»
«Lasciami sola, Rocco.»
«Giada, non mi fare bestemmiare. Giada, apri.»
I passi risuonarono nella camera oltre la porta, piedi scalzi e tallonate sul parquet. «Cosa ti dà più fastidio? Dimmi la verità.»
«In che senso?» Rocco deglutì, colpendosi il petto. «Non mi dà fastidio niente...»
«Non sei più incazzato, allora?»
«Giada, amore mio, io vorrei solo che le cose andassero bene, lo capisci? Mettiti nei miei panni. È facile secondo te per un uomo vivere così? Cosa racconto in ufficio, che mia moglie preferisce un vibratore al proprio uomo? Da che mondo e mondo una—»
«Ah, ecco che l’hai ammesso. Stronzo! E per me è facile? Ti pare che io non le ho le amiche che rompono i coglioni? Tu almeno puoi risolvere col viagra, io che cazzo faccio?»
«Ci sono—»
«Lo sai che mi irritano la pelle! Lo sai, Rocco!»
Silenzio. Lui sfiorò la maniglia, tenne la mano ferma proprio sull’estremità. «Giada, la tua è una fissazione. Lascia perdere quell’affare. Stai con me, tuo marito.»
«Mio marito? E dov’è questo marito? Dove sei, Rocco?» i passi ripresero distanti. Le doghe del letto scricchiolarono. «Voglio solo un po’ di tempo con me stessa.»
Rocco lasciò la maniglia.
Rumore di vetri rotti. Giada balzò via dal wc e sbirciò il corridoio. «Che hai sfasciato? Sei già sveglio?»
«Mi è caduta una cosa.»
Lei tornò al gabinetto per buttare la carta igienica e tirare lo sciacquone. Allacciò la tuta e corse in cucina. Rocco era fermo, le mani sui fianchi: sparsi tra i piedi scalzi, tanti cocci variopinti.
«No!» Giada si tuffò in ginocchio, «la tazza di Supercar!»
«Vabbè, la puoi ordinare da—»
«L’ho comprata in America, cosa cazzo ordino? Mica è la stessa cosa! Secondo te io—» si morse il pugno, «lascia stare, Rocco. Lascia stare.»
«Non l’ho fatto apposta.»
Giada raccolse nel palmo aperto i resti, uno ad uno. «Invece sì.»
«Che ragione avrei avuto di farlo?»
«Perché sei un rancoroso bastardo!» lo spinse contro il mobile.
Il gomito di Rocco urtò la friggitrice ad aria. I suoi occhi saettarono per la stanza, cercarono di seguire le mani rapide di Giada: in un attimo si trovò un coltello sul naso.
«Giada. Giada, ehi. Patatina...»
«Io ti sbudello!»
«Giada, porca puttana! È una tazza, ti—» portò le mani in alto, «Giada, Cristo...»
«Ok, scusa.»
Rocco abbozzò un sorriso, poi si fece serio: «Continua.»
«Cosa?»
«Minacciami. Continua.»
Lei strinse l’impugnatura del coltello, lo agitò. Gli contornò con cura il naso e scivolò sino al collo.
«Funziona, Giada.»
Questa seguì il cenno del capo verso il basso. Un netto rigonfiamento del pigiama puntava proprio verso di lei. Carezzò il petto del marito col metallo, mentre l’altra mano ispezionava i suoi pantaloni: «Non ci credo. È duro? Non hai preso qualche pillola, vero?»
«No. Sto guarendo.»
Giada rimise il coltello nel lavabo e si sedette sul tavolo. Sfilò il pigiama e le mutande, le scagliò alle proprie spalle e aprì le cosce. Rocco scosse il capo, si spettinò i capelli, si pinzò le guance e infine avanzò. Prese un bel respiro e ficcò la faccia tra le gambe della moglie.
«Mio Dio!» guaì lei, ghermendolo per i capelli.
Smanioso, rapito dalla frenesia, Rocco l’afferrò e l’abbracciò. Con una mano guidò la propria gioia verso il sorriso roseo e umido di Giada. E spinse. Spinse. Lei non lo mollò, lo prese per la schiena e lo graffiò; poi ai glutei, lo artigliò e lo costrinse a insistere.
«Dai!» ansimò, mordendogli le labbra secche. «Che fai? Tienilo dentro!»
«Un attimo...»
Giada sbuffò e prese il fallo tra le dita. «Passami il coltello, Rocco. Passamelo, magari se ti minaccio ancora—»
«Va bene così,» si allontanò e rimise a posto i pantaloni. «Lasciamo perdere.»
«Fammi almeno venire, non pensare sempre a te! Usa le mani, la lingua, pure i piedi se vuoi! Rocco!»
«Hai il vibratore.»
«Rocco, io voglio te!»
Il portone di casa batté, il boato risuonò per tutta la casa.
Giada strappò dal calendario il mese di marzo. Appallottolò la carta e fissò il cestino. Le lacrime piovevano dritte nella pattumiera.
Aprì lo sportellino e controllò le sue tazze, tutte messe in ordine, divise per colore e forma. Si alzò in punta di piedi e contò sottovoce quelle sul fondo.
«Tesoro, andiamo a fare la spesa?»
«Sono impegnata, non vedi?» girò di poco il capo dall’altro lato.
Rocco si spostò ed entrò di nuovo nel suo campo visivo. «Giada, ma che hai?»
«Ci abbiamo provato da soli e non ha funzionato.»
«Vuoi passare in farmacia? Hanno il lubrificante naturale, quello andrà bene.»
«Ma non capisci?»
«Io capisco, però—»
«A te importa solo poter dire agli amici che scopi con tua moglie. E allora scopami, prendi il viagra e scopami. Che ti frega se poi mi fa male, se mi si irrita la fica, se mi sembra di star venendo stuprata!»
«Ora esageri, non ti pare?» le prese le mani, «ho deciso di non incazzarmi più, però devi aiutarmi. Voglio stare calmo. Non dirmi merdate sullo stupro, Cristo! Ma ti rendi conto di cosa significa?»
«E se provassimo di nuovo il gioco del coltello? Stava andando bene.»
«Non lo so, amore...»
«Magari fare un po’ di roleplay ci aiuta a connetterci.»
«Roleplay? Cos’è?»
Giada ridacchiò. Si sporse e lo baciò. «Significa che facciamo finta di essere qualcos’altro. Qualcosa di eccitante.»
«Tipo?»
«Facciamo che siamo due spie, no? Una americana e una sovietica. E ci vogliamo ammazzare, però poi la cosa prende una piega romantica e scopiamo come se dovessimo ripopolare la terra!»
«E quella sovietica chi la fa?»
«Tu.»
Lui si grattò la testa, «mi sembra complicato, forse è meglio qualcosa di più facile. La cosa di ripopolare però non era male. Senti, facciamo che ci vogliamo uccidere e basta, come la storia del coltello.»
«Sei noioso.» Ammiccò verso i suoi pantaloni: «Però vedo che la cosa ti piace...»
Rocco, nudo ma con un cappellino in testa, marchiò con una X rossa sul calendario il diciotto di aprile. Divaricò le gambe e si osservò la pancia, poi più in giù. Iniziò a ridere, a saltellare per la cucina.
«Hai messo un’altra crocetta? Le conti pure?»
«Giada, amore mio!» si bloccò a metà strada, mise le mani dietro la schiena, «anzi: Giada, mia acerrima nemica. Oggi è il giorno in cui ti ammazzo sul serio.»
«Ma smettila, che sono stanca.»
Lui le girò attorno e le puntò un dito alla schiena, come fosse una pistola. «Mani in alto.»
«Com’è quella battuta orribile che dici ogni tanto?»
«Ah, quella! No, questa non è una pistola, ma sono molto contento di vederti!»
«Lasciami riposare due orette, poi giochiamo ancora.»
«Ma io non posso resistere, c’ho voglia. Sei bella, Giada, le tue tette, il culo. Sto guarendo, amore, io ti guardo e sono già tutto pronto,» mormorò, percorrendo i suoi fianchi con le dita. Le massaggiò le spalle e unì le mani intorno al collo della moglie. «Sei cazzo perfetta, Giada. Sei già bagnata?»
«Una cascata, come no.»
«Giù a quattro zampe! Devi obbedirmi, donna. O ti ammazzo.»
Giada colse il riflesso di Rocco sul vetro della credenza. «Non ho voglia. Lasciami.»
«Anche io scherzavo. È un gioco, amore mio.»
«E allora lasciami! Rocco, mi stai facendo male.» Tossì. «Voglio riposarmi, mi gira la testa.»
«Ok, come vuoi. Ma non abbassare mai la guardia, donna: non puoi mai sapere cosa potrebbe accaderti.»
Le risate di Rocco rimbombarono nel corridoio sino a estinguersi nella camera da letto. Lei non si mosse, rimase a fremere in mezzo alla cucina. Poggiò la mano sul tavolo e si sostenne, tirò a sé la sedia e sospirò. Massaggiò il collo arrossato e fissò il telefono di casa, a portata di mano. Incrociò le braccia al petto.
Girata la chiave nella toppa, Giada proseguì con passo felpato. Pigiò l’interruttore, ma la luce non si accese.
«Rocco, la lampadina è saltata di nuovo!» lasciò l’ombrello vicino la scarpiera, «alla fine le ha fatte due gocce d’acqua, sai? A maggio! Rocco? Ma sei a casa?»
Bussò al bagno e si avvicinò al wc. Un’ombra la sormontò.
«Sorpresa!»
«Rocco! Cazzo!» Giada scivolò e batté la testa contro il lavabo. «Ma sei scemo? Ahio, ci potevo crepare!»
«Però è eccitante, no?»
«No, coglione!» si tastò la nuca, «esci, per favore, devo lavarmi.»
«Ti sei pisciata addosso? O sei solo felice di vedermi?»
«Vaffanculo, me la stavo tenendo da Piazza Magna, che posso saperne che tu avevi voglia di far l’imbecille e terrorizzarmi?»
«Ha funzionato.»
«Certo!» si sfilò la maglia e spalancò il box doccia, «ora che ne dici di smetterla con questa cretinata? Tutto è tornato alla normalità.»
«Ieri sera però non eri molto in forma.»
«Cosa volevi? Che ti facessi il bagnetto tipo fontanella?»
«Ti stavo strozzando, volevo ucciderti. L’altra volta sei venuta così.»
«Embè? Ieri no.» Lanciò il reggiseno nel cesto dei vestiti sporchi. «Pensa a quanto siamo felici, amore mio. Il sesso è secondario, o sbaglio?»
«Voglio restare qui a guardarti.»
Giada strinse il rubinetto della doccia, si fermò con un piede dentro e uno fuori. «Ho bisogno di tempo da sola.»
«Capisco.»
«Rocco?»
«Dimmi.»
Si morse il labbro inferiore. «Metti su l’acqua per la pasta?»
«Volentieri. Giuro che non ti avveleno!» e uscì ridendo.
Giada scattò fuori dalla doccia e chiuse la porta a chiave.
Il sole irradiava il salotto, la sottile brezza scuoteva le spesse tende invernali che Giada, in equilibrio sulla scala, cercava di tirar giù. Dal divano alle sue spalle, Rocco la osservava.
«Vuoi una tisana?»
«C’è caldo. E poi voglio finire qui.»
«Un bicchiere d’acqua?»
«Non dal frigo, apri la confezione vicino al portafrutta.»
Rocco si assentò un minuto e poi le porse il bicchiere: «Che c’è? Fa puzza?»
Lei increspò le labbra. «Lo potevi prendere un bicchiere nuovo, che ti costava? Sa di limone.» Giada lo sogguardò, «che ti ridi?»
Lui fece spallucce. «Nulla. Attenta a non cadere dalla scala.»
«Mi prendi al volo tu, giusto, maritino?»
«Certo.»
Giada si svegliò di soprassalto. Corrugò le sopracciglia e contemplò il soffitto. Chiuse le palpebre e le riaprì.
«Rocco? Puoi venire?»
Lui emerse dall’ombra. «Sono già qui.»
«Mi fa malissimo la testa.»
«E il resto?»
«Ma che ne so! Ho i muscoli mezzi intorpiditi...»
Rocco salì in piedi sul letto. «Ho visto che hai comprato delle nuove pile l’altra volta; è un caso che siano della stessa misura del vibratore?»
«Rocco, ma che stai—» strabuzzò gli occhi, «mi hai drogata!?»
«Un poco.»
«Sei impazzito!?» portò una mano alla fronte, poi tastò il polso. «Voglio andare in ospedale. Dio, Rocco, sei fuori di testa.»
«Io? Tu sei fuori! Mi prendi per il culo, mi dici che tutto si è risolto tra noi. Se sì è risolto allora perché mi rifiuti!?» saltò giù dal letto. «Hai chiamato la polizia?»
«Non ho chiamato nessuno!»
«Balle!» rovistò nel cassetto, disperdendo per la camera mutande e calzini. «E ora? Prendimi per il culo adesso!»
«È finta, vero?»
«No.»
«Rocco, posala. Amore mio, non c’è—»
«Zitta.» Lui armò il cane della pistola. «Era tutto un tuo piano, pensi che sia scemo? Ti volevi liberare di me perché sono guasto, vero? Così dici alle tue amiche. Ai tuoi amanti.»
«Non ho mai—»
«Allora perché torni tardi, il giovedì? Quanti sono, tre assieme? Te lo fai mettere in tutti i buchi, schifosa vacca!»
«Rocco, ma che stai dicendo? Ti prego, amore mio, posa la pistola. Il giovedì vado dalla dottoressa Bruno, lo sto facendo per noi...»
«No. No!» La bocca della pistola le baciò le labbra. «Succhia, puttana. Succhia e ingoia.»
«Mettila via, ti supplico.»
Le asciugò le lacrime. Spostò la mano tremante di nuovo sulla pistola e la tenne fitta. «Addio.»
«Rocco, no!» lei si divincolò e riuscì a calciarlo via. Caddero entrambi dal letto.
La pistola sul tappeto, tra i due. Si lanciarono in avanti, le teste una contro l’altra: Rocco la colpì con un pugno, poi la prese per un braccio e la spinse sul letto. Reggeva l’arma proprio contro il petto di Giada, che gli sferrò un colpo tra le gambe: Rocco strizzò gli occhi e il respiro gli morì in gola.
«Aiuto! Qualcuno mi aiuti!»
Uno sparo. Lei incespicò e lanciò le mani in avanti, cercò di agguantare il cassettone. Un altro sparo.
«Rocco,» tossì sangue, «pietà...»
«Sei bellissima quando supplichi.» Si slacciò i pantaloni. «La moglie perfetta.»