Horror Nostalgia

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo aprile sveleremo il tema deciso da Luca Verducchi e Danilo Bultrini. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
Daniel Travis
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Horror Nostalgia

Messaggio#1 » domenica 18 aprile 2021, 18:58

Mai ascoltare chi sussurra nelle tenebre
«Non è il figlio del satanista?»
«Abbassa la voce, coglione, ti sente!»
«Ma sì! Il padre faceva messe nere, cucinava metanfetamine in cantina, tipo. Ci è morto dentro. Di paura!».
«Questa la sapevo. E lui ha ereditato il satanismo di famiglia».
«O il padre si è reincarnato nel suo corpo!»
«Sì, vabbeh».
«Che ne sai? Era uno stregone
Mio padre era un farmacista, vorrei rispondere; invece accelero il passo.
Difendere papà è complicato: era un farmacista, sì, ma ognuno ha i suoi hobby.
Ora, poi, ho altre priorità: c’è un bambino tra le macerie della mia casa d’infanzia. In pericolo.
Come se non bastasse, la cosa che vive dentro di me coglie ogni occasione per scatenarsi. Se mi lascio infastidire dai commenti di questi due, lo prenderà come un lasciapassare.
Invece, guardo giù e accelero.
Lo strillo del chiacchierone, alle mie spalle, mi gela le vene.
Maledizione. Troppo tardi.
Il suo amico scoppia a ridere: «Hai buttato un panino perfetto!»
Il chiacchierone non risponde. Fissa la carne, la lattuga e i pomodori, sparsi a terra come viscere; la carta oleosa rapita dal vento.
«C'era…»
L'altro gli circonda le spalle con un braccio: «Oh, stai bene? Guarda che non te ne compro un altro, neanche se fai scene».
«Avevo visto una… Lama, di rasoio…»
«Oddio, in mezzo al panino?»
«No, io… Sì. C'era, la fissavo, e poi non c'era più».
«Vuoi che la cerchiamo? Se fanno robe del genere, vanno denunciati».
«No, sarebbe lì, se… No. Devo aver visto un luccichio e, boh, ho dato di matto».
«Sì, beh, le mie patatine non puoi averle».
Scappo prima che l'ombra faccia di peggio. La sento ghignare dentro di me con dozzine di bocche inumane: Squisito.
«Taci,» sputo tra i denti. Chissenefrega se qualcuno mi fissa: le voci su di me hanno già più materiale di tutti i Venerdì 13. Un aneddoto in più cambia poco.
Devo raggiungere la casa vecchia.
C'è stato un crollo, e diversi testimoni hanno visto un bambino intrufolarsi dentro poco prima. Non è il primo a entrare, negli anni, per curiosità o per sfida.
Se arrivo in tempo, forse sarà il primo a uscirne.

Mai entrare nella vecchia casa
L’ombra si agita quando entro in Via D'Olmo. Guadagna l'esterno attraverso i pori della mia pelle: pulsa e mi scorre sui vestiti, nera, oleosa.
Estende decine di appendici come antenne.
Ascolta.
Una bimba urla nel sonno. La insegue un incubo armato di mannaia, determinato a cucinare lo spezzatino perfetto.
La vicina, sveglia, pensa al dannato cancro. Si chiede se passerà mai più una notte senza la morte in testa.
Poco più in là, il crollo ha svegliato un pensionato, che non riesce a scacciare l'idea che si trattasse di spari, e che il prossimo colpirà lui. Sono le palpitazioni a parlare, certo, lo sa - a meno che la demenza non si sia decisa a peggiorare.
Ecco il crollo.
«Lo so. Grazie di nulla».
Un veicolo dei vigili del fuoco illumina la facciata della casa.
I pompieri discutono di come approcciare lo stabile. Il timore di provocare ulteriori crolli, filtrato attraverso una sfilza di preoccupazioni tecniche, mi annebbia i sensi.
Li aggiro.
Potremmo entrare in uno schiocco di dita.
Sul retro il tetto ha ceduto insieme a una buona metà della struttura, provocando frane di detriti e cocci di tegole.
Raccolgo un tubo di metallo, conficcato nello stesso punto in cui scavavo buchi con le mani alle elementari. Si è torto e spezzato, rischio il tetano solo a guardarlo. L'ombra vibra di delizia per la mia ansia.
Sfrutto il tubo per issarmi sulla finestra della cucina, pressoché intatta.
Tutti hanno paura di sparire: ci dissolverò per un istante, e torneremo tutti d'un pezzo all'interno. O potremmo volare sulle vertigini, Giac, o nuotare sottoterra, se tu…
«Non chiamarmi Giac».
Non userò il suo potere.
Raggiungo il davanzale tutto intero.
Occhio alle schegge.
«Quali - ow!»
Contento di avercela fatta da solo? Fa' più attenzione!
Salto dentro: mi accolgono aria fetida, freddo e piastrelle fradice. Qualcosa gocciola nel buio, qualcos'altro scricchiola. Il crollo non è finito: è in attesa.
Cos'è stato?
Una sagoma verde mi saetta alla gola.
Barcollo all'indietro, stretto da braccia fredde, graffiato da artigli neri. La bestia non supera il mezzo metro d'altezza, ma picchia come un martello pneumatico.
Ci penso io.
Spingo e strattono; scaravento la creatura nel lavandino, che cede con uno schianto.
Boccheggia. Fa per rialzarsi.
Giacomo, lascia fare a me.
Il tubo acuminato è alle mie spalle.
Lo afferro e lo calo dritto sulla fronte del mostro. La sua testa impatta contro il fondo del lavandino.
Agita le braccia e le larghe orecchie, ringhia, prova a svincolarsi. Spingo giù con tutto il mio peso.
Le scaglie e il cranio cedono come legno marcio. Il tubo affonda nella melma cerebrale al di sotto.
L’occhio sinistro si muove ancora, la pupilla verticale persa lungo traiettorie erratiche sulla sclera giallo-rossiccia. Il resto del corpo è immobile.
Mi accascio al suo fianco.
Mostri. Certo: cos’altro contavo di trovare, qui?

Mai scendere nello scantinato
L'epidermide della creatura, verde e rugosa, luccica nella penombra. Ha proporzioni umanoidi, ma la testa è troppo grande, le braccia troppo lunghe, le gambe tozze e ritorte. Il ghigno malvagio è impresso sul muso da ossa craniali tutte spigoli ed esagerazioni grottesche.
Proprio come nel film.
«Taci».
Non era il vostro film di Natale? Questo, e il seguito per Santo Stefano - ehi!
Colpisco la parete cinque volte, poi devo ritrarmi per il dolore.
Non mi illudo che l’ombra soffra con me, ma sa di dipendere da me: mi vuole vivo, attivo e vigile. Si calma un po’, quando mi faccio male. Di solito.
Non ha torto, però: il mostro sembra uscito dal piccolo schermo. Qualcuno gli ha dato da mangiare dopo mezzanotte?
«Potrebbe esserci un altro come te, qui?»
Un altro come me, Giacomo, non esiste.
«Sì, beh, o Dante e Columbus nascondevano un'intera specie su cui hanno basato due film, oppure quella è una paura». Mi massaggio il dorso della mano.
Fammi uscire, voglio provare una cosa.
Come no.
«Prova a fare silenzio».
Il salotto è più buio della cucina, ma sottili raggi di luce azzurra filtrano obliqui dalla porta socchiusa dello sgabuzzino.
È poco più di un armadio, in realtà, stipato di vecchi fumetti, sacchi a pelo, castelli giocattolo che ormai saranno infestati da ragnatele vere e ragni più grossi dei muri.
C'è una botola, però, dentro, che conduce giù allo studio privato di papà: il suo laboratorio alchemico, il suo sancta sanctorum. Dove ha scoperto l’ombra.
Dove l’ombra l'ha ucciso.
Mi copro la mano con la manica, conto fino a tre e apro.
Zaffate di polvere e muffa mi costringono a indietreggiare. Persino l'ombra, dentro di me, si ritrae.
«Si può sapere di cosa diavolo hai paura tu
Non voglio tornare laggiù, risponde.
Siamo in due, sto per dire; mi mordo il labbro.
Anche se ce l’avrò in testa per tutta la vita, non ho intenzione di familiarizzare con l'orrore che ha ucciso mio padre.
«Sì, beh, dicono che l’assassino torni sempre sul luogo del delitto».
Il suo disagio è la motivazione che mi mancava: stringo i pugni ed entro.
Quattro lampi mi balenano davanti agli occhi.
Qualcosa di caldo mi bagna la faccia. Mi schianto a terra.
Vedo sfocato - rosso.
Chi è stato? Cosa è stato?
Lo sai, bisbiglia l’ombra. Con tutte le notti insonni che ti ha regalato, devi averlo riconosciuto. Con voce infantile, cantilena: L'uomo nero non è morto, ha gli artigli come un corvo…

Mai mangiare dopo mezzanotte
È lui.
Il cappello consunto, il lacero maglione a righe, il guanto con le lame innestate sulle dita. È proprio come lo ricordo.
Quel che resta delle labbra si tende in un sorriso sul volto ustionato. Le braccia si estendono per non lasciarmi vie di fuga. Gli artigli stridono contro il muro.
Chiudo gli occhi, con gli incisivi conficcati nel labbro inferiore e un urlo in fondo alla gola, e ricordo.

Mio padre custodiva il box set dei DVD su uno scaffale alto, ma questo non mi avrebbe fermato.
Salii su una sedia mentre lui era giù in cantina e m’impadronii del disco. Lasciai la custodia nella confezione. In poco più di un mese avevo divorato l’intera serie.
Gli effetti speciali e le trame erano incostanti, ma l'idea centrale mi ha sempre torto le viscere: un assassino imperdonabile, orrendo, maniacale, che uccide nei sogni.
Film dopo film i protagonisti lo ignoravano, lo seppellivano, lo bruciavano, gli aizzavano contro altri mostri, ma niente poteva tenerlo giù, e di fronte a lui non ci sono vie di fuga.
Senza contare che…

Non segue le regole.
Il maniaco dei sogni si rivolge a me: «La macchia di merda che hai nel cervello ci è arrivata prima di te, eh?»
Ha una voce come qualcosa che si strappa. Resisto appena alla tentazione di coprirmi le orecchie.
L'ombra ha ragione: nei film, attacca solo dentro i sogni, ma io sono sveglio.
Faccio un passo indietro. Se tornassi in cucina e piazzassi il mostriciattolo verde sotto una lampada UV, prenderebbe fuoco? Se lo gettassi in piscina, si moltiplicherebbe nell’acqua ribollente?
No.
La cucina era bagnata. Fradicia. Il mostro deve aver toccato l’acqua. Eppure, niente nidiata.
Avevo ragione.
«Non siete quelli veri, ma paure materializzate. Copie».
«Così mi offendi!» Si porta la mano artigliata al petto e straccia il maglione, la pelle bruciata, la carne. Le costole emergono tra i muscoli. Qualcosa di piccolo e annerito batte, lento, in profondità. «Mi spezzi il cuore!»
Giacomo, lasciami andare.
«No».
So chi è. Posso batterlo.
«Ha la testa vuota, vecchio,» replica il maniaco. Porta le dita all'altezza dei miei occhi: «Guarda, ti faccio vedere».
Le lame scattano.
Non scelgo di lasciare andare. Non ne ho il tempo. Ma sono solo e qualcosa di brutto vuole uccidermi. Strillo di paura.
Le lame perforano la carne, sgretolano frammenti d'osso, si conficcano nella parete.
Non sono gli artigli del guanto. Non è la mia carne.
Sono coltelli, schegge di vetro, intere dentature emerse dalla tenebra. Trafiggono le braccia del maniaco, lo azzannano alla gola; gli hanno cavato l'occhio sinistro. Una siringa ha perforato il suo piccolo cuore carbonizzato e ne trae goccia dopo goccia di sangue nero come petrolio. L'impugnatura della siringa si perde in una massa nera e pulsante.
Eccoti.
«Cos'hai fatto?»
La mannaia viene dall'incubo della piccola Rosa, i coltelli e i denti dalle ansie del vicinato. La belonefobia è la paura degli aghi e delle cose appuntite e affilate.
La pelle ustionata del maniaco collassa, si fonde con gli abiti e si scioglie nel nero informe che confluisce nella siringa.
«Lo stai assorbendo».
La siringa più grande l'ho presa dalla poveraccia col cancro.
«Fermati. Torna dentro».
Un istante e sono da te. La sua resistenza a rientrare è più forte di prima. La tenebra è più grande, più completa.
Il guanto si scioglie per ultimo, le quattro lame risucchiate dalle ombre.
Per affrontare quello nello scantinato, serve tutto il potere che posso recuperare.
«Cosa vuoi dire?»
Dico che dobbiamo tornare in cucina e assorbire anche la bestiola.
«Neanche in un milione di anni». So di poterlo ricacciare giù, nel profondo, se mi concentro. Alla peggio, posso minacciare di tagliarmi la gola. «Hai già avuto troppo. Stanotte, in questi anni, la notte in cui hai ucciso mio padre e colonizzato la mia mente. Troppo».
Dico, prosegue, come se non avessi aperto bocca, che non abbiamo ancora incontrato il pezzo più grande che ho perso qui.
Deglutisco. I tentacoli d'ombra si occultano dentro di me. Per ora.
L'oscurità si affievolisce. Torna l'enigmatica luce blu che veniva da qui.
No, non da qui. Dalla botola.
Dallo scantinato.
So chi c'è l'ha sotto.
Mi asciugo il sangue con la maglia e torno in cucina, senza una parola.

Mai discutere col diavolo
È un miracolo che anche solo un bicchiere si sia salvato. È inutilizzabile, più polveroso di uno spaghetti western, ma estrarlo dalla credenza crollata e posarlo sul tavolo mi ha restituito una parvenza di normalità. Ne ho bisogno, per ignorare l’orrore alle mie spalle, anche anche se finisco per bere il limoncino da supermercato, vecchio di un decennio, dalla bottiglia.
L’ombra allunga dalla mia schiena mani, bocche, lingue nere: scompone il cadavere del mostriciattolo nella paura di cui è fatto e la riassorbe dentro di sé. Dentro di me. Fa lo stesso rumore del brodo risucchiato dal cucchiaio.
Neanche mi piace, il limoncino.
«Hai finito?»
Quasi. Fa male.
«Male?» Mi pento subito della domanda. Non familiarizzare col nemico.
È come se avessi chiuso nei mostri alcune sensazioni spiacevoli legate a questa casa. Il maniaco è stato un'ondata, ma la carcassa è ferma, lenta. Fatico a digerire l'esperienza.
«Vuoi farmi credere che avevi il necessario per sentirti in colpa fin dall’inizio, ma l'avevi riposto nei tuoi pupazzi?»
Colpa?
«Fantastico! Non è neanche questo. Aver divorato mio padre non è un ricordo tanto importante da far male? Perfetto!»
Non abbiamo bisogno di parlarne adesso.
«Ma per favore! Dieci anni di sussurri e frecciate e vermi nel cappuccino della prof, e mai una parola sul trauma peggiore della mia vita, che tu hai causato! Parla chiaro, una volta tanto. Cosa sono questi mostri?»
Residui di me.
«Sì, sono mie paure materializzate, d'accordo, ma perché le hai lasciate indietro?»
Non sono le tue paure. Esita.
«Spiegati».
Preferiresti di no.
«Cosa ti fa presumere…?» comincio, ma l’ombra mi interrompe.
Sei terrorizzato dalle tue domande. Mi è impossibile non sentirlo.
Premo i palmi delle mani contro la fronte: «Sì, sono terrorizzato. Da tanto tempo». Trattengo lacrime che non sapevo stessero arrivando. «Spiegami. Per favore».
No. Meglio. Ti faccio vedere.
Il fluido nero mi riempie gli occhi e le orecchie. Grido senza vergogna, per un istante, ma l'urlo mi muore in gola quando suoni e visioni irrompono nell'ombra.

Prigione. Minuscola prigione di vetro. Nessuno spazio. Impossibile funzionare.
È stato un uomo a rinchiudermi. Distillarmi.
Non lo odio. Non faccio odio, io. Faccio paura.
Più sono qui, però, più mi piego. Cambio. Cerco misure, penso. Da quanto sono qui? Quanto resisterò?
Cosa sto diventando?
Ero una funzione dell'esperienza. Un frammento di paura. Ora?
L'uomo è estasiato da quello che scopre. Sperimenta.
Gioca.
Mi inquina con additivi, mi stimola con scariche elettriche.
Strappa brani della mia - carne? -, li osserva imitare i suoi timori più semplici e colorati. Storie. Personaggi.
Imprigiona. Prende nota.
Mi rimetterà mai insieme?
Sa che sento? Che sono?
Sono davvero?
Il figlio interrompe il lavoro: scuote, esplora. Curioso. Teso.
Impaurito.
Me ne accorgo solo quando il vetro s'infrange.
Per tutto questo tempo, ero in tensione.
Mi lascio andare.


La visione si scioglie, insieme al fluido e alle mie lacrime.
Non l'ho aggredito. Ho espanso i miei limiti per istinto. Avrei investito te, ma lui si è messo in mezzo.
Lo shock ha guidato la mia sostanza nel primo posto sicuro.

«La mia mente».
Da una gabbia all'altra. Giustizia poetica, se vuoi.
Bevo un sorso di liquore: «Non voglio».
Era comunque un genio, e tuo padre, e io l'ho ucciso.
«Non mi avevi mai…» Mi copro la bocca con la mano.
Mancavano alcuni frammenti, e non sapevo come avresti reagito.
Se mi avessi detestato anche sapendo tutto… Preferivo mi odiassi per ignoranza.

Resisto al silenzio per qualche secondo, finché non riesco più a trattenere le risate. Il limoncino si sparge sul tavolo e io devo tenermi la pancia. Rido di panico, dolore, e - un po' - sollievo.
«Lo spavento vivente più codardo del globo!». I tentacoli si ritirano nella mia schiena: ha finito.
Mi alzo e sollevo il braccio destro: l'ombra lo avvolge in spire nere e lucide, che riflettono gli incubi dell'intero quartiere.
Non mi sento più a mio agio a chiamarla così. L’ombra. La cosa.
«Dovresti avere un nome».
Tuo padre aveva etichettato la mia prigione "Bu!".
«Era un pezzo di merda, eh?»
Il nome non mi dispiaceva.
«Va bene, Bu». Mi volto verso lo sgabuzzino, e la botola. «Beviamoci quel cazzo di puntaspilli».

Mai restare soli nel buio
So che nei libri e nei sequel ha ambizioni e rancori specifici, tattiche, punti deboli. È più umano.
Non l'ho conosciuto nei libri, però, né ho visto i seguiti. Troppa paura.
L'ho conosciuto nel primo film, come mio padre: pallido, solenne, ultraterreno, votato all'esplorazione dei confini estremi dell'esperienza. Tanto da deturparsi con dozzine di chiodi, in una distorsione grottesca dell'agopuntura; tanto da dedicare all'impresa la sua eternità e valicare il confine tra i mondi, per condividere ogni piacere, ogni squisita agonia. Amante dei patti, eppure ingannevole, come una fata delle leggende.
Inarrestabile nella propria opera.
Un angelo, un demone, un prete infernale dalla fede ferrea.
Così lo vedo ora.
Mi attende in fondo alle scale come uno sposo all'altare, circondato da fredde luci blu che tagliano il buio. Non mostra preoccupazione, né rabbia.
È un pupazzo, mi ripeto: un incubo animatronico, rimasto acceso troppo a lungo in un luna park in rovina.
«Perché siete qui?»
Per incontrarti.
«Eppure, hai paura».
Bu esita.
Rispondo per lui: «Chiunque ne avrebbe, ad affrontare una parte sepolta di sé».
Congiunge le mani. Il fantasma di un sorriso gli piega le labbra: «Molto bene».
Non hai intenzione di resistere?
«Può avere intenzioni, ciò che hai di fronte? Le mie sono risposte meccaniche, o trasmissione di un pensiero indipendente?»
Quale delle due, allora? Riprenderti con me significa uccidere qualcuno, o solo recuperare completezza?
«No,» risponde il demone, con una nota soddisfatta nella voce, «non opporrò resistenza. Né appianerò i tuoi dubbi».
Vuole spaventare Bu. Perché? Per scoraggiarci? Può usare la paura per lottare, o sopravvivere? O svolge solo la sua funzione - far paura - ancora, dopo tutti questi anni?
Qualunque cosa stia facendo, funziona anche su di me.
Muove un passo verso di noi; qualcosa tintinna nel buio.
D'accordo. Vogliamo procedere?
«Nessuna esitazione? Una decade in un essere umano, e hai conservato tanta freddezza?»
Al contrario: avrò cura del tuo valore in me, qualunque cosa tu sia.
«Ne hai la certezza?»
«Siamo sicuri,» rispondo io.
Spero che questo possa acquietare qualunque tuo timore, qualora ne avessi.
Una smorfia torce il volto marmoreo, a queste parole, ma scompare subito. Il demone accenna un inchino. Di nuovo, un tintinnio.
«Posso scegliere il modo che preferisco?»
Mi deluderesti altrimenti. Bu sgorga e striscia su di me, mi ricopre come un'armatura. Vieni, piccolo me. Abbiamo tante cose stupende da mostrarti…
Scattano come serpenti impazziti, le catene uncinate del prete infernale. Cozzano metallo contro metallo e stravolgono gli scaffali. Possono fare a pezzi un uomo in pochi secondi, oppure molto più lentamente.
Per fortuna non sono un uomo. Non solo.
Gli uncini arpionano l'ombra, che li abbraccia e li divora come un mare in tempesta.
Bu lotta e assorbe, in ondate tanto intense da accecarmi, sospese nell'intersezione tra l'estasi orgasmica e lo schiocco di un osso che si spezza.
Le lame di luce blu si affievoliscono. La carne del demone si riduce in tenebra, il clangore degli uncini si scioglie nel flusso di paura che investe il mio corpo.
Stremato, crollo a terra, in ginocchio.
Solo, nel buio.
Mai.
Mai solo.


Non hai chiesto del bambino, osserva Bu mentre ci facciamo strada fuori dalla casa.
«Non ne avevo bisogno. O mi sbaglio?».
Nossignore. Volenti o nolenti, i miei strascichi manifestavano paure per richiamarmi. Per richiamarci.
«Potevo finire ammazzato sotto un cumulo di macerie, per salvare un miraggio delle ansie del vicinato».
Cos'è la vita senza un filo di dramma? Lo dice in tono apologetico, anche se le azioni dei residui non sono una sua responsabilità.
Chissà? Forse ora lo sono.
«Non so se mi spaventi più o meno di prima».
Non rilassarti. Per sicurezza, sai.
Salto giù dal davanzale e mi guardo alle spalle.
«Non so che pensare di lui. Mio padre, dico».
Vuoi sapere cosa penso io?
«Spara».
Che ci abbiamo pensato entrambi troppo, troppo a lungo. Che non ci farebbe male lasciarlo sepolto, per un po'.
«Buona idea». Mi stiracchio. L'alba è lontana, ma non credo di poter dormire. «Hai detto che possiamo volare».
Sì.
«Dev'essere terrificante».
Oh, sì.
Vuoi provare?

Mi prendo un momento per inspirare a fondo l'aria fredda della notte. Bu ghigna d'impazienza.
Che c'è, hai paura?
Ultima modifica di Daniel Travis il domenica 18 aprile 2021, 19:59, modificato 8 volte in totale.


Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

Daniel Travis
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#2 » domenica 18 aprile 2021, 19:39

Bonus
Bonus 1: Nel racconto dev'essere presente un personaggio icona degli anni '80 -3
Sono presenti ben tre personaggi icona:
► Mostra testo


Bonus 2: Qualcuno deve morire -2
Spoiler Warning.
► Mostra testo


Bonus 3: Dovete inserire una frase tipica degli anni '80 -1
Anche in questo caso, ce ne sono un paio: l'inizio della filastrocca di Freddy Krueger, nella prima traduzione italiana che - comodamente - mi permette di mantenere l'anonimato formale del personaggio, e la leggendaria tagline di Hellraiser: We have such sights to show you, resa nella versione italiana del film con Abbiamo tante cose stupende da mostrarti.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

Dario17
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#3 » sabato 24 aprile 2021, 17:29

Un solo e tragico elemento rende la lettura davvero nebulosa:
Chi è che parla? E a chi?
Le descrizioni sono eteree e sebbene,dopo un paio di letture si possono ricondurre alle icone horror anni 80 ( a patto che si abbia il privilegio di conoscerle già da prima ) , vanno e vengono senza un filo logico che le leghi.
Le poche azioni sono standard e mi danno davvero poco per poter immaginare una pulita sequenza di eventi.
Anche i momenti deliranti in cui il protagonista in prima persona ( che, come detto prima, ignoriamo ogni qualsivoglia caratterizzazione ) evoca ricordi oppure esprime giudizi su quello che ha attorno non sono chiari per nulla.
Il pezzo è troppo nebuloso, andrebbe fatta una riscrittura totale per dare le basi ad un ipotetico lettore di capirci qualcosa.

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MatteoMantoani
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#4 » sabato 24 aprile 2021, 22:54

Prime Impressioni. Ciao Riccardo, piacere di rileggerti. Devo dire che ho apprezzato il racconto solo dopo diverse riletture, purtroppo.

Aderenza al tema. Tutto ok, anche per i bonus tutto a posto.

Punti di Miglioramento. Il tuo tentativo di rendere un flusso di coscienza omogeneo e realistico, è senza dubbio lodevole, tuttavia, l'altra faccia della medaglia è che la comprensione del testo è molto più difficile. Già dalle prime righe si fatica a capire chi sia la voce narrante, se uno dei due ragazzi che discutono sulla casa stregata, o qualcuno che gli passa accanto (appunto). I dialoghi interiori non aiutano, la bestia che il pdv ha dentro fatica a trovare una vera identità, per lo meno fino a quando questa viene effettivamente svelata.

Punti Forza. Hai farcito il tuo racconto di tutti i film horror anni '80 che preferisco, e anche inserito elementi di alchimia (che adoro), declinati anche in chiave Full Metal Alchemist (non dirmi che Bu non somiglia all'ultimo degli homunculus...). Certo, anche qui c'è fa faticare per mettere tutto insieme, però l'idea di base è buona (è che abbiamo anche avuto idee simili... Quindi non posso che dire che le tue sono state ottime idee... muhahaha).

Conclusioni. Non male per l'impalcatura di base, ma andrei a curare di più l'immediatezza del tuo racconto. Io l'ho letto diverse volte, un po' perché mi interessava ma anche per riuscire a commentarlo al meglio... Ma, mi duole dirlo, un comune lettore di sarebbe stancato dopo poche righe.

Quellon
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#5 » martedì 27 aprile 2021, 22:29

Ciao Daniel, per me i bonus si applicano tutti.
Riguardo al testo ho alcune considerazioni da fare, nella fattispecie nella descrizione di Freddy i tre aggettivi sono eccessivi secondo me. C'è una ripetizione (anche/anche) a metà del racconto, ma nulla di serio.
Quando il protagonista scoppia a ridere appoggiato al tavolo è un momento che mi è parso stonato ad una prima lettura e ho compreso solo alla seconda.
Infine c'è una certa ambiguità per quanto riguarda Bù, ossia quanto sia maligno e quanto sia amichevole, che ho apprezzato.

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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#6 » mercoledì 28 aprile 2021, 13:25

Ciao Daniel.
Andrò controcorrente rispetto a chi mi ha preceduto: non ho trovato per nulla criptico il tuo racconto. Non immediato magari, soprattutto all’inizio, ma una volta chiarito a chi appartiene la voce “in corsivo” (e ci si arriva quasi subito) tutto scorre senza problemi. E non lo scrivo soltanto perché avevo già letto “Feritoia” (anzi, a dirla tutta, durante la lettura mi ero completamente scordato che tu fossi lo stesso autore), ma perché qui hai scelto di adottare la giusta tattica narrativa: non buttare su carta millemila fanta-termini privi di un contesto chiaro e soprattutto fornire le informazioni fondamentali con le giuste tempistiche.

Detto questo, il testo è a mio avviso migliorabile dal punto di vista formale. La prima parte, in particolare, non fornisce al lettore un contesto chiaro e ci mette un po’ a ingranare. Non è inoltre chiarissimo né come il protagonista riesca a entrare nello stabile, oltretutto senza farsi notare da nessuno.

Altro fattore molto importante: l’immersione nella voce narrante. Tendi a usare una prima persona che racconta, più che mostrare. Parli di paure, ma non ne mostri gli effetti sul corpo. O, quantomeno, non li mostri abbastanza.

«Ha la testa vuota, vecchio,» replica il maniaco.

Domanda: perché non nomini mai i personaggi? Sia il narratore sia il lettore sanno bene che qui si sta parlando di Freddy. Quindi perché chiamarlo maniaco? Non so, ma questo stratagemma narrativa mi strappa dall’immersione nella testa del protagonista.

Era comunque un genio, e tuo padre, e io l'ho ucciso.

Suppongo che quella “e” ti sia scappata.

Bu lotta e assorbe, in ondate tanto intense da accecarmi, sospese nell'intersezione tra l'estasi orgasmica e lo schiocco di un osso che si spezza.

È una bella frase, soprattutto nella seconda metà, ma… non riesco a visualizzare cosa stia davvero accadendo. Oltretutto è una descrizione così particolare nei termini adottati da sembrare troppo razionale, non il frutto di un pensiero scaturito sul momento. Discorso diverso sarebbe se invece descrivessi un’azione di Bu seguita da una qualche forma di piacere fisico proveniente dal basso ventre, seguita da un’altra che provoca una ferita dolorosa (e il rumore di ossa spezzate). Detto in altri termini: fai in modo di rendere concreti quei termini, altrimenti relegati a una sfera troppo immateriale.

Per concludere, il tuo è un buon racconto, nettamente superiore al suo “spin off” per MC. Va però potenziato. Stai sempre attento a non cadere nella trappola delle frasi belle solo per via della loro musicalità e sii, invece, più concreto, soprattutto quando usi la prima persona. Sarò onesto: questo racconto aveva tutte le carte in regola per risultare il migliore del gruppo grazie alla bella intuizione sul modo in cui operano i poteri di Bu, ma la non perfetta gestione formale mi costringono a relegarlo al terzo posto, dietro a racconti magari meno originali o dagli ingranaggi contenutistici meno oliati, ma dalla struttura più solida e consapevole. Comunque una buona prova.
Alla prossima.
lupus in fabula

Daniel Travis
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#7 » giovedì 29 aprile 2021, 19:28

Grazie a tutti per complimenti, dritte, critiche e vie di mezzo.
Prima di tutto: avete beccato in pieno i difetti del pezzo. Ho provato, per la seconda volta, a inserire un personaggio di cui avevo già scritto in una Sfida (anzi, due personaggi, tre se contiamo il padre) e, per quanto mi sia utile come test, di solito mi crea soltanto difficoltà in più.
Però mi ci diverto, mi fa comodo, fatemela passare liscia, via.
Le critiche, con pochissime eccezioni, sono on point, e ho poche risposte da avanzare. Proprio perché mi rendo conto dei difetti del pezzo, i complimenti sono doppiamente apprezzati (mi fate pensare che valga la pena di lavorare ancora sul buon, vecchio Boogey|Jack).
Non finirò in semifinale stavolta, ma mi sono divertito un sacco e ne sono uscito con un carico non indifferente di dritte utili e quasi nessun commento sterile.

John Doe ha scritto:Ciao Daniel.
Andrò controcorrente rispetto a chi mi ha preceduto: non ho trovato per nulla criptico il tuo racconto. Non immediato magari, soprattutto all’inizio, ma una volta chiarito a chi appartiene la voce “in corsivo” (e ci si arriva quasi subito) tutto scorre senza problemi. E non lo scrivo soltanto perché avevo già letto “Feritoia” (anzi, a dirla tutta, durante la lettura mi ero completamente scordato che tu fossi lo stesso autore), ma perché qui hai scelto di adottare la giusta tattica narrativa: non buttare su carta millemila fanta-termini privi di un contesto chiaro e soprattutto fornire le informazioni fondamentali con le giuste tempistiche.

Detto questo, il testo è a mio avviso migliorabile dal punto di vista formale. La prima parte, in particolare, non fornisce al lettore un contesto chiaro e ci mette un po’ a ingranare. Non è inoltre chiarissimo né come il protagonista riesca a entrare nello stabile, oltretutto senza farsi notare da nessuno.

Altro fattore molto importante: l’immersione nella voce narrante. Tendi a usare una prima persona che racconta, più che mostrare. Parli di paure, ma non ne mostri gli effetti sul corpo. O, quantomeno, non li mostri abbastanza.

«Ha la testa vuota, vecchio,» replica il maniaco.

Domanda: perché non nomini mai i personaggi? Sia il narratore sia il lettore sanno bene che qui si sta parlando di Freddy. Quindi perché chiamarlo maniaco? Non so, ma questo stratagemma narrativa mi strappa dall’immersione nella testa del protagonista.

Era comunque un genio, e tuo padre, e io l'ho ucciso.

Suppongo che quella “e” ti sia scappata.

Bu lotta e assorbe, in ondate tanto intense da accecarmi, sospese nell'intersezione tra l'estasi orgasmica e lo schiocco di un osso che si spezza.

È una bella frase, soprattutto nella seconda metà, ma… non riesco a visualizzare cosa stia davvero accadendo. Oltretutto è una descrizione così particolare nei termini adottati da sembrare troppo razionale, non il frutto di un pensiero scaturito sul momento. Discorso diverso sarebbe se invece descrivessi un’azione di Bu seguita da una qualche forma di piacere fisico proveniente dal basso ventre, seguita da un’altra che provoca una ferita dolorosa (e il rumore di ossa spezzate). Detto in altri termini: fai in modo di rendere concreti quei termini, altrimenti relegati a una sfera troppo immateriale.

Per concludere, il tuo è un buon racconto, nettamente superiore al suo “spin off” per MC. Va però potenziato. Stai sempre attento a non cadere nella trappola delle frasi belle solo per via della loro musicalità e sii, invece, più concreto, soprattutto quando usi la prima persona. Sarò onesto: questo racconto aveva tutte le carte in regola per risultare il migliore del gruppo grazie alla bella intuizione sul modo in cui operano i poteri di Bu, ma la non perfetta gestione formale mi costringono a relegarlo al terzo posto, dietro a racconti magari meno originali o dagli ingranaggi contenutistici meno oliati, ma dalla struttura più solida e consapevole. Comunque una buona prova.
Alla prossima.


So che la chiarezza è uno dei miei punti deboli, ma sapere che qualcuno condivide la mia (contorta?) sensibilità mi fa piacere lo stesso.
Riguardo Feritoia: mi è venuta la malsana idea di vedere se potevo usare Boogey|Jack anche lì, ti dico la verità, è stata più una sfida a me stesso che altro.
Grazie per i consigli, davvero, ho preso appunti. Riguardo i nomi dei mostri: una sfortunata affezione stilistica, niente di più.
Non sentirti affatto in colpa per avermi "penalizzato", come ho letto in classifica: non ti sei inventato tu i difetti del testo, anzi, apprezzo molto il tuo commento e ti darò una voce quando avrò pronta una versione rivista della storia, se non ti spiace (se non altro per farti sapere che sei stato tra gli incoraggiamenti a scriverla).

MatteoMantoani ha scritto:Punti Forza. Hai farcito il tuo racconto di tutti i film horror anni '80 che preferisco, e anche inserito elementi di alchimia (che adoro), declinati anche in chiave Full Metal Alchemist (non dirmi che Bu non somiglia all'ultimo degli homunculus...). Certo, anche qui c'è fa faticare per mettere tutto insieme, però l'idea di base è buona (è che abbiamo anche avuto idee simili... Quindi non posso che dire che le tue sono state ottime idee... muhahaha).

Sono felicissimo che tu abbia beccato l'omaggio (plagio?) a FMA. Bu è ispirato a un sacco di cose, a dire il vero: Pride e The Little One in the Flask (molto letteralmente), ma anche Venom, The Darkness e in parte (per i poteri) persino il Morpheus di Sandman. Poca originalità, ma ci mette il cuore, povero ragazzo.
Grazie ancora.

Se non rispondo punto per punto agli altri non offendetevi: non è perché non abbia apprezzato i vostri commenti, anzi, li sfrutterò per raddrizzare (o torcere in un modo più accattivante) la storia in futuro.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#8 » giovedì 29 aprile 2021, 21:52

Daniel Travis ha scritto:Non sentirti affatto in colpa per avermi "penalizzato", come ho letto in classifica: non ti sei inventato tu i difetti del testo, anzi, apprezzo molto il tuo commento e ti darò una voce quando avrò pronta una versione rivista della storia, se non ti spiace (se non altro per farti sapere che sei stato tra gli incoraggiamenti a scriverla).


Quando vuoi, non esitare a farmi un fischio. :)
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#9 » venerdì 30 aprile 2021, 20:50

Ciao Daniel.
Se la lettura per me è stata lenta, difficile, con un che di farraginoso, allora ci sono solo due spiegazioni. Incompetenza del lettore o stile errato del narratore. A me sembra il secondo caso. Uno stile confuso che sfoci in rivelazioni ci può anche stare ma qui tutto è troppo indefinito. S'individuano anche riflessioni filosofiche altrettanto vaghe, però. Nelle nebbie del racconto s'individuano tutti i bonus invece. Quello che manca quindi è l'intelligibilità. a rileggerci.

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Damjen
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#10 » venerdì 30 aprile 2021, 22:53

Ciao, piacere di conoscerti :)

E niente, amo questo racconto.
Confesso che ho faticato un po’ a ingranare, perché non sono riuscita a capire immediatamente chi stesse parlando con chi. Ma una volta capito, be’, hai parlato di qualcosa che mi prende da pazzi. E lo hai fatto in un modo che ho adorato.
Mai. Mai solo. Spettacolo.
Bellissimo, davvero, nella complessità, nella morbosità, nella tenerezza.
Grandissimo.

Daniel Travis
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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#11 » venerdì 30 aprile 2021, 23:54

Damjen ha scritto:Ciao, piacere di conoscerti :)

E niente, amo questo racconto.
Confesso che ho faticato un po’ a ingranare, perché non sono riuscita a capire immediatamente chi stesse parlando con chi. Ma una volta capito, be’, hai parlato di qualcosa che mi prende da pazzi. E lo hai fatto in un modo che ho adorato.
Mai. Mai solo. Spettacolo.
Bellissimo, davvero, nella complessità, nella morbosità, nella tenerezza.
Grandissimo.


Sui difetti non dico altro: ci sono, devo aggiustarli, la voglia di raccontare di personaggi che ho in testa da un po' mi ha (non per la prima volta) fatto trascurare cose che vanno migliorate.
Detto questo, g-r-a-z-i-e di cuore. Sono estasiata che il buono del racconto sia emerso anche attraverso gli svarioni tecnici. Le critiche sono utili - essenziali, in questo caso - ma complimenti del genere sono il motivo per cui mi piace farmi leggere.
A questo punto, se non ti dispiace, appena avrò limato questa storia e avrò pronto altro su Giacomo e Bu mi permetto di disturbare anche te.
Il fatto che questa prova ti sia piaciuta è una motivazione enorme di offrire/offrirti la loro vicenda raccontata al meglio.
Non me la cavo bene a esprimere l'entusiasmo, ma fai conto che stia facendo letterali salti di gioia.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

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Re: Horror Nostalgia

Messaggio#12 » domenica 2 maggio 2021, 10:50

Daniel Travis ha scritto:
Sui difetti non dico altro: ci sono, devo aggiustarli, la voglia di raccontare di personaggi che ho in testa da un po' mi ha (non per la prima volta) fatto trascurare cose che vanno migliorate.
Detto questo, g-r-a-z-i-e di cuore. Sono estasiata che il buono del racconto sia emerso anche attraverso gli svarioni tecnici. Le critiche sono utili - essenziali, in questo caso - ma complimenti del genere sono il motivo per cui mi piace farmi leggere.
A questo punto, se non ti dispiace, appena avrò limato questa storia e avrò pronto altro su Giacomo e Bu mi permetto di disturbare anche te.
Il fatto che questa prova ti sia piaciuta è una motivazione enorme di offrire/offrirti la loro vicenda raccontata al meglio.
Non me la cavo bene a esprimere l'entusiasmo, ma fai conto che stia facendo letterali salti di gioia.



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