Disantropia n.4
Inviato: domenica 18 aprile 2021, 19:36
Disantropia n.4
(di Sara Rosini)
diṡantropìa (letterària) s. f., parola not found, inventata [se esistesse, dal gr. δισανϑρωπία; comp. di dis-2 e uomo]. – Vocabolo di fantasia nato dall’unione tra il termine misantropia [s. f. – avversione verso la società, disprezzo verso l’umanità nel suo complesso], e il termine distopìa [s. f. –rappresentazione di uno stato di cose futuro altamente negativo (utopia negativa)], nel frivolo intento intellettualoide di dare un nome all’attitudine a creare uno o più personaggi al solo scopo di collocarli, e infine abbandonarli, in uno scenario feroce.
«Ma si sono fermati proprio qui davanti?» Anja si solleva a sedere, il lenzuolo stretto al petto come se qualcuno potesse, da un momento all’altro, guardar dentro da una finestra del quarto piano.
«Sì» mi scosto un po’ dal vetro «stanno parcheggiando dai Ramirez».
La camionetta col lampeggiante acceso si è fermata dall’altra parte della strada, di fronte alla villetta della famiglia Ramirez, proprio sotto a uno dei pochi lampioni ancora funzionanti di tutta la via.
«Dio no, non di notte…» si agita. «Chi cavolo li ha chiamati?»
«Lo sapevano tutti che il vecchio sta male» le ricordo, «e poi nessuno lì dentro spegne le luci da giorni, col buio si vede il sangue secco sui vetri». A dimostrazione, le finestre della villetta continuano a proiettare getti di luce sbieca che imbrattano di geometrie rossastre l’erba rinsecchita intorno alla villetta, sfarfallando dietro il capriccio di moti interni. Qualcuno là dentro dev’essere ancora vivo.
«Però», sussurra, «ecco», nella voce un’impazienza che fino a qualche tempo fa non le conoscevo, «io ne ho voglia lo stesso».
Nel poco silenzio che ancora rimane, mi sembra di percepire il fruscio del lenzuolo che scivola via dalla pelle di Anja, ma nemmeno questo mi strappa alla finestra. «Io…», inutile mentire. Guardo giù, con tutta la fatica che c’era voluta a farlo rizzare. «Io non ce la faccio più, lo sai.» Anja è tutto ciò che ho sempre voluto in una donna, ma è sempre più difficile, più schifoso. Le ho detto che questa era l’ultima volta.
Intanto dalla camionetta sono scesi due uomini, e ora stanno strattonando giù l’esca. Va così ogni dannata volta, ormai l’ho sentito raccontare troppe volte per rischiare di rimanerci male: gli uomini sono sempre due, sempre in divisa antivirus, sempre pesantemente armati. Uno rimane con l’esca, ammanettata e incappucciata, l’altro ispeziona il perimetro dell’abitazione di turno. Di solito finisce tutto in meno di un’ora. A volte devono rimanere appostati ad aspettare l’esito per giorni.
L’esca ha sempre meno di dieci anni d’età. Di solito urla, a volte per ore. Qualche volta continua finché non muore.
Anja si alza, accende la tv, aumenta il volume. Viene alla finestra ma rimane dietro di me, poggia il corpo morbido contro la mia schiena, mi stringe, mi afferra il sesso svuotato senza troppa delicatezza. Deve essere frustrante per lei. Dalla tv il jingle di una pubblicità ha lo stesso ritmo della sua mano, ma anche la stessa incapacità di persuadermi. L’uomo del monte ha detto no.
«Ok ok, ho capito», sbuffa, «ma sai come funziona.» Mi piazza la mano aperta davanti alla bocca.
Io la osservo per un lungo istante, senza capire.
Poi capisco.
Le sputo sul palmo. Lei controlla, forse valuta l’idea di chiedermene dell’altro. Rinuncia, se ne torna a letto.
Mi giro, la guardo sistemarsi carponi e mettersi a dondolare lentamente in sella alla mano bagnata della mia saliva. Perché non si accontenta sempre di quella?
Nel frattempo in tv attacca la sigla di SuperQuark e mi sembra di essere finito in un documentario che svela le meraviglie del corpo di Anja, le sue sommità candide di latte, i suoi anfratti appiccicosi di miele. E della mia saliva, sì, così, brava.
No, non posso continuare così. E tuttavia non riesco a distogliere lo sguardo.
Lei cambia posizione, prende qualcosa dal cassetto del comodino e se lo infila dentro, forse dietro. Non voglio sapere. I suoi movimenti diventano più precisi, più rapidi. Ho l’istinto di gettarmi su di lei e farla godere per ore, e implorare il suo perdono per averla respinta tante volte.
Chiudo gli occhi, ricordo lo schifo che mi rimane addosso dopo ogni volta. Basta. Questa era davvero l’ultima volta. Anja abita il mio letto da mesi e ancora non mi sono abituato a scoparmi mia... No, non da mesi: un anno esatto oggi, dichiara allegramente Piero Angela dal suo studio televisivo. Magnifico, una fottuta puntata speciale per festeggiare il primo anniversario di questa merda.
Meglio guardare la villetta dei Ramirez. Il secondo uomo si è accostato a una delle finestre e si sporge per guardare dentro. I fasci di luce sul prato baluginano, s’increspano tra i brandelli di qualcosa che si appiccica ai vetri. L’uomo si piega in avanti e la luce dell’elmetto inquadra il getto di vomito. Forse là dentro è rimasto vivo solo il vecchio.
…ma prima ripercorriamo insieme la breve storia di questo eccezionale anno occorso a normalizzare le conseguenze del virus, dal collasso del sistema sanitario all’istituzione del ProSMO, il Protocollo Semplificato di Medicalizzazione Ordinaria…
L’esca intanto è caduta sulla ghiaia che va dalla strada alla porta d’ingresso della villetta. Si ritira su in ginocchio, ciondola la testa, cerca di liberare le mani. L’uomo che è rimasto con lei le assesta un calcio alla pancia, lasciandola svenuta a terra. Che coglione. Anche se non peserà nemmeno trenta chili, ora dovranno portarla dentro di peso.
Mi giro a guardare Anja giusto in tempo per vederla inarcare la schiena in preda all’orgasmo. Dio, abbi pietà di me.
In tv nel frattempo è partita la solita animazione di Bruno Bozzetto. Un omino e una donnina, la stilizzazione dei DNA diversi, una X rossa che lampeggia a tutto schermo; allora daccapo un omino e una donnina, i DNA uguali, il benestare di una simpatica spunta verde e la voce garbata di Piero Angela.
…solo così, nell’incontro tra umori organici acclarati come geneticamente vincenti…
L’animazione così colorata, la voce così familiare.
…ma, soprattutto, nel rimescolarsi di liquidi corporei il più possibile ricalcanti…
La musica perfettamente sincronizzata, il gergo né del tutto tecnico né del tutto semplice.
…solo in questo scambio si rinforza il ceppo congenito, o sistema genetico immunitario, comune solo tra consanguinei sani, e la conseguente resistenza – grazie a siffatto scambio rafforzativo – al virus…
Che sfoggio di creatività per una presa per il culo. Bastavo io, gratis, nudo e stupido come sono, per dire che l’unica soluzione che hanno trovato per rallentare questo virus del cazzo è di indurci a stare lontani da chiunque non sia un parente stretto. E per tenerci buoni mentre moriamo, per rifilarci uno zuccherino mentre cadiamo come mosche, no anzi, per renderci complici di questa farsa tramite la gratificazione, ci hanno raccontato che scopare molto, ovviamente unicamente tra consanguinei, ci rafforza.
Anja si alza e viene da me. Ha la mano ancora bagnata, me la porge, pensierosa. «Speriamo che basti così per una volta.»
Lecco le sue dita, mando giù la medicina salata, distolgo lo sguardo. «Perché non possiamo limitarci sempre a questo?»
Dall’altra parte della strada l’esca si è ripresa talmente che ora si dimena mentre uno dei due uomini la trascina verso la villetta. L’altro sta armeggiando con la serratura della porta d’ingresso.
«Perché siete la mia famiglia» risponde seria «e non voglio correre il rischio che nessuno di noi finisca così», e indica col mento la scena dall’altra parte della strada. Mi abbraccia, sento i suoi seni contro il petto e un fiotto di sangue riprende la strada per un’erezione. Certo, ovvio, ora che Anja non ne vuole più. Lei se ne accorge, sorride, «e comunque lo sapevo che non sarebbe stata l’ultima volta». Mi bacia su una guancia come quando eravamo ancora solo due normali fratelli. «Mi faccio una doccia e vado da papà. Ti mando già la mamma?» È alla porta quando si gira a guardarmi. «Oh, e non dir niente», mi dice sottovoce, «che quei due sono così ansiosi che è capace che si mettono a controllarci.» Mi fa l’occhiolino e se ne va, chiudendosi dietro la porta.
Se la uccidessi, se li uccidessi tutti invece di ascoltarli gemere nel mio letto e nelle stanze intorno, forse avrei finalmente un po’ di pace.
…quando abbiamo scoperto che l’infrazione congiunta di un altro tabù, la pedofilia, fornisce nuove armi, e più forti, al contrasto anche tardivo, perfino nelle terribili fasi finali, al virus…
O forse potrei scappare. Ecco, sì, certo. La villetta dei Ramirez sarà presto disabitata. Bene.
L’esca intanto prende un pugno in faccia, giusto quello che serve a stordirla e spingerla dentro la villetta attraverso la porta che nel frattempo è stata scassinata e spalancata. Nel trambusto, le si è strappato il vestitino.
Meglio così, il vecchio Ramirez farà prima. Sì. Tutto finirà in fretta. Ottimo.
Qualcuno bussa alla porta. È mia madre, tocca a lei.
Con un balzo sono alla porta, chiudo a chiave con tutte le mandate disponibili. Lei protesta, bussa più forte. Agguanto il telecomando e alzo al massimo il volume della tv. Già che ci sono, accendo anche il subwoofer. Ah, questi sono bassi! Che figata, di bene in meglio. Posso passare il resto della vita ad alzare il volume della tv con dei bassi così.
…che presto pubblicheranno i risultati della sperimentazione sui benefici del cannibalismo parentale in vece dell’atto sessuale omogenetico, in caso di resistenze o refrattarietà, finanche all’autofagia in assenza di consanguinei in vita. Al vaglio, in tali casi estremi, la necrofilia…
Dopo una breve tregua, ora alla mia porta bussano in due. Apro la finestra, ho bisogno di aria. La fottuta bambina dentro la villetta non smette di urlare. Ma che magnifica serata, ci sono perfino le stelle.
Col favore della sigla finale di SuperQuark, prendo la sedia dalla scrivania e mi siedo, nudo come un verme, sul davanzale. Senti che cazzo di bassi quello stronzo di Bach! E questa deliziosa arietta fresca che sembra di volare.
Chiudo gli occhi e divento l’omino di un’animazione di Bozzetto. Mi placo nello stupore di essere diventato materia degna di essere ritratta, e perciò meritevole di contorni tracciati col solo fine della bellezza, e in nome di quella inviolabili.
Immagino una mano che mi disegna, la sento tracciare con cura i miei contorni, ricalcare con pazienza i miei chiari e i miei scuri, riempirmi di colore.
Mentre precipito, sento perfino la rassicurante voce di Piero Angela che mi ripaga del sarcasmo.
…che sfoggio di creatività per un finale scontato…
Già, caro Piero. Che spreco di bellezza per uno stronzo che cad–
(di Sara Rosini)
diṡantropìa (letterària) s. f., parola not found, inventata [se esistesse, dal gr. δισανϑρωπία; comp. di dis-2 e uomo]. – Vocabolo di fantasia nato dall’unione tra il termine misantropia [s. f. – avversione verso la società, disprezzo verso l’umanità nel suo complesso], e il termine distopìa [s. f. –rappresentazione di uno stato di cose futuro altamente negativo (utopia negativa)], nel frivolo intento intellettualoide di dare un nome all’attitudine a creare uno o più personaggi al solo scopo di collocarli, e infine abbandonarli, in uno scenario feroce.
«Ma si sono fermati proprio qui davanti?» Anja si solleva a sedere, il lenzuolo stretto al petto come se qualcuno potesse, da un momento all’altro, guardar dentro da una finestra del quarto piano.
«Sì» mi scosto un po’ dal vetro «stanno parcheggiando dai Ramirez».
La camionetta col lampeggiante acceso si è fermata dall’altra parte della strada, di fronte alla villetta della famiglia Ramirez, proprio sotto a uno dei pochi lampioni ancora funzionanti di tutta la via.
«Dio no, non di notte…» si agita. «Chi cavolo li ha chiamati?»
«Lo sapevano tutti che il vecchio sta male» le ricordo, «e poi nessuno lì dentro spegne le luci da giorni, col buio si vede il sangue secco sui vetri». A dimostrazione, le finestre della villetta continuano a proiettare getti di luce sbieca che imbrattano di geometrie rossastre l’erba rinsecchita intorno alla villetta, sfarfallando dietro il capriccio di moti interni. Qualcuno là dentro dev’essere ancora vivo.
«Però», sussurra, «ecco», nella voce un’impazienza che fino a qualche tempo fa non le conoscevo, «io ne ho voglia lo stesso».
Nel poco silenzio che ancora rimane, mi sembra di percepire il fruscio del lenzuolo che scivola via dalla pelle di Anja, ma nemmeno questo mi strappa alla finestra. «Io…», inutile mentire. Guardo giù, con tutta la fatica che c’era voluta a farlo rizzare. «Io non ce la faccio più, lo sai.» Anja è tutto ciò che ho sempre voluto in una donna, ma è sempre più difficile, più schifoso. Le ho detto che questa era l’ultima volta.
Intanto dalla camionetta sono scesi due uomini, e ora stanno strattonando giù l’esca. Va così ogni dannata volta, ormai l’ho sentito raccontare troppe volte per rischiare di rimanerci male: gli uomini sono sempre due, sempre in divisa antivirus, sempre pesantemente armati. Uno rimane con l’esca, ammanettata e incappucciata, l’altro ispeziona il perimetro dell’abitazione di turno. Di solito finisce tutto in meno di un’ora. A volte devono rimanere appostati ad aspettare l’esito per giorni.
L’esca ha sempre meno di dieci anni d’età. Di solito urla, a volte per ore. Qualche volta continua finché non muore.
Anja si alza, accende la tv, aumenta il volume. Viene alla finestra ma rimane dietro di me, poggia il corpo morbido contro la mia schiena, mi stringe, mi afferra il sesso svuotato senza troppa delicatezza. Deve essere frustrante per lei. Dalla tv il jingle di una pubblicità ha lo stesso ritmo della sua mano, ma anche la stessa incapacità di persuadermi. L’uomo del monte ha detto no.
«Ok ok, ho capito», sbuffa, «ma sai come funziona.» Mi piazza la mano aperta davanti alla bocca.
Io la osservo per un lungo istante, senza capire.
Poi capisco.
Le sputo sul palmo. Lei controlla, forse valuta l’idea di chiedermene dell’altro. Rinuncia, se ne torna a letto.
Mi giro, la guardo sistemarsi carponi e mettersi a dondolare lentamente in sella alla mano bagnata della mia saliva. Perché non si accontenta sempre di quella?
Nel frattempo in tv attacca la sigla di SuperQuark e mi sembra di essere finito in un documentario che svela le meraviglie del corpo di Anja, le sue sommità candide di latte, i suoi anfratti appiccicosi di miele. E della mia saliva, sì, così, brava.
No, non posso continuare così. E tuttavia non riesco a distogliere lo sguardo.
Lei cambia posizione, prende qualcosa dal cassetto del comodino e se lo infila dentro, forse dietro. Non voglio sapere. I suoi movimenti diventano più precisi, più rapidi. Ho l’istinto di gettarmi su di lei e farla godere per ore, e implorare il suo perdono per averla respinta tante volte.
Chiudo gli occhi, ricordo lo schifo che mi rimane addosso dopo ogni volta. Basta. Questa era davvero l’ultima volta. Anja abita il mio letto da mesi e ancora non mi sono abituato a scoparmi mia... No, non da mesi: un anno esatto oggi, dichiara allegramente Piero Angela dal suo studio televisivo. Magnifico, una fottuta puntata speciale per festeggiare il primo anniversario di questa merda.
Meglio guardare la villetta dei Ramirez. Il secondo uomo si è accostato a una delle finestre e si sporge per guardare dentro. I fasci di luce sul prato baluginano, s’increspano tra i brandelli di qualcosa che si appiccica ai vetri. L’uomo si piega in avanti e la luce dell’elmetto inquadra il getto di vomito. Forse là dentro è rimasto vivo solo il vecchio.
…ma prima ripercorriamo insieme la breve storia di questo eccezionale anno occorso a normalizzare le conseguenze del virus, dal collasso del sistema sanitario all’istituzione del ProSMO, il Protocollo Semplificato di Medicalizzazione Ordinaria…
L’esca intanto è caduta sulla ghiaia che va dalla strada alla porta d’ingresso della villetta. Si ritira su in ginocchio, ciondola la testa, cerca di liberare le mani. L’uomo che è rimasto con lei le assesta un calcio alla pancia, lasciandola svenuta a terra. Che coglione. Anche se non peserà nemmeno trenta chili, ora dovranno portarla dentro di peso.
Mi giro a guardare Anja giusto in tempo per vederla inarcare la schiena in preda all’orgasmo. Dio, abbi pietà di me.
In tv nel frattempo è partita la solita animazione di Bruno Bozzetto. Un omino e una donnina, la stilizzazione dei DNA diversi, una X rossa che lampeggia a tutto schermo; allora daccapo un omino e una donnina, i DNA uguali, il benestare di una simpatica spunta verde e la voce garbata di Piero Angela.
…solo così, nell’incontro tra umori organici acclarati come geneticamente vincenti…
L’animazione così colorata, la voce così familiare.
…ma, soprattutto, nel rimescolarsi di liquidi corporei il più possibile ricalcanti…
La musica perfettamente sincronizzata, il gergo né del tutto tecnico né del tutto semplice.
…solo in questo scambio si rinforza il ceppo congenito, o sistema genetico immunitario, comune solo tra consanguinei sani, e la conseguente resistenza – grazie a siffatto scambio rafforzativo – al virus…
Che sfoggio di creatività per una presa per il culo. Bastavo io, gratis, nudo e stupido come sono, per dire che l’unica soluzione che hanno trovato per rallentare questo virus del cazzo è di indurci a stare lontani da chiunque non sia un parente stretto. E per tenerci buoni mentre moriamo, per rifilarci uno zuccherino mentre cadiamo come mosche, no anzi, per renderci complici di questa farsa tramite la gratificazione, ci hanno raccontato che scopare molto, ovviamente unicamente tra consanguinei, ci rafforza.
Anja si alza e viene da me. Ha la mano ancora bagnata, me la porge, pensierosa. «Speriamo che basti così per una volta.»
Lecco le sue dita, mando giù la medicina salata, distolgo lo sguardo. «Perché non possiamo limitarci sempre a questo?»
Dall’altra parte della strada l’esca si è ripresa talmente che ora si dimena mentre uno dei due uomini la trascina verso la villetta. L’altro sta armeggiando con la serratura della porta d’ingresso.
«Perché siete la mia famiglia» risponde seria «e non voglio correre il rischio che nessuno di noi finisca così», e indica col mento la scena dall’altra parte della strada. Mi abbraccia, sento i suoi seni contro il petto e un fiotto di sangue riprende la strada per un’erezione. Certo, ovvio, ora che Anja non ne vuole più. Lei se ne accorge, sorride, «e comunque lo sapevo che non sarebbe stata l’ultima volta». Mi bacia su una guancia come quando eravamo ancora solo due normali fratelli. «Mi faccio una doccia e vado da papà. Ti mando già la mamma?» È alla porta quando si gira a guardarmi. «Oh, e non dir niente», mi dice sottovoce, «che quei due sono così ansiosi che è capace che si mettono a controllarci.» Mi fa l’occhiolino e se ne va, chiudendosi dietro la porta.
Se la uccidessi, se li uccidessi tutti invece di ascoltarli gemere nel mio letto e nelle stanze intorno, forse avrei finalmente un po’ di pace.
…quando abbiamo scoperto che l’infrazione congiunta di un altro tabù, la pedofilia, fornisce nuove armi, e più forti, al contrasto anche tardivo, perfino nelle terribili fasi finali, al virus…
O forse potrei scappare. Ecco, sì, certo. La villetta dei Ramirez sarà presto disabitata. Bene.
L’esca intanto prende un pugno in faccia, giusto quello che serve a stordirla e spingerla dentro la villetta attraverso la porta che nel frattempo è stata scassinata e spalancata. Nel trambusto, le si è strappato il vestitino.
Meglio così, il vecchio Ramirez farà prima. Sì. Tutto finirà in fretta. Ottimo.
Qualcuno bussa alla porta. È mia madre, tocca a lei.
Con un balzo sono alla porta, chiudo a chiave con tutte le mandate disponibili. Lei protesta, bussa più forte. Agguanto il telecomando e alzo al massimo il volume della tv. Già che ci sono, accendo anche il subwoofer. Ah, questi sono bassi! Che figata, di bene in meglio. Posso passare il resto della vita ad alzare il volume della tv con dei bassi così.
…che presto pubblicheranno i risultati della sperimentazione sui benefici del cannibalismo parentale in vece dell’atto sessuale omogenetico, in caso di resistenze o refrattarietà, finanche all’autofagia in assenza di consanguinei in vita. Al vaglio, in tali casi estremi, la necrofilia…
Dopo una breve tregua, ora alla mia porta bussano in due. Apro la finestra, ho bisogno di aria. La fottuta bambina dentro la villetta non smette di urlare. Ma che magnifica serata, ci sono perfino le stelle.
Col favore della sigla finale di SuperQuark, prendo la sedia dalla scrivania e mi siedo, nudo come un verme, sul davanzale. Senti che cazzo di bassi quello stronzo di Bach! E questa deliziosa arietta fresca che sembra di volare.
Chiudo gli occhi e divento l’omino di un’animazione di Bozzetto. Mi placo nello stupore di essere diventato materia degna di essere ritratta, e perciò meritevole di contorni tracciati col solo fine della bellezza, e in nome di quella inviolabili.
Immagino una mano che mi disegna, la sento tracciare con cura i miei contorni, ricalcare con pazienza i miei chiari e i miei scuri, riempirmi di colore.
Mentre precipito, sento perfino la rassicurante voce di Piero Angela che mi ripaga del sarcasmo.
…che sfoggio di creatività per un finale scontato…
Già, caro Piero. Che spreco di bellezza per uno stronzo che cad–