Cattiva
Inviato: martedì 20 aprile 2021, 0:01
Non è lui che scrive. Non può essere lui.
Ho bisogno dei miei spazi. Scusa se te lo dico ma sei pesante, egoista. Sei fredda e non comunichi emozioni. Cresci, Giulia! Cresci! Ti auguro di ricostruire un buon rapporto con tuo marito.
Basta. Lapidario, il bastardo!
Alzo gli occhi sul parabrezza. Uomini, donne e bambini marciano come formiche verso la scuola.
Metto una mano sul volante.
Ho bisogno dei miei spazi.
Mi ha mollata. Non riesco a crederci, si è stufato di me.
“Andiamo, mamma?” Andrea si è slacciato la cintura e fa per aprire la portiera. “Sono le 8 e 30.”
“Aspetta un attimo.”
Scusa se te lo dico ma sei pesante.
“Mamma!”
“Dammi un secondo.”
Do un’altra occhiata alla strada. La scuola è cinta da un muro alto come quello dei conventi di clausura. Dà un’idea di angoscia, di panico.
I genitori fanno capannello davanti a quel muro. Aspettano che qualcuno faccia loro segno di entrare da un piccolo cancello di ferro.
Cristo, come si sono già amalgamati! Parlottano e ridono tra loro come amici di vecchia data. Il primo giorno di scuola li diverte come fossero loro i ragazzini.
Sei fredda.
“Dai mamma, andiamo!” mio figlio mi prende per un braccio. “Se no facciamo tardi.”
“Ma perché,” mi volto verso di lui, “dobbiamo entrare tutti lì dentro?”
“È la tradizione, mamma.”
“Che tradizione?”
“La Tradizione del Benvenuto. La maestra vuole dare un dolcetto ad ogni genitore.”
“Che cosa stupida.”
“Lei ci tiene tanto.”
“Io no, però.”
Cresci, Giulia!
“Mamma, che cos’hai?”
Sospiro. Qualcuno ha aperto il cancello e i genitori si sono accodati. Entrano una coppia alla volta (madre o padre più il rispettivo figlio).
“Ecco, mamma! Stanno passando il muro!”.
Il muro. L’ho mai oltrepassato io un muro? No, l’unico muro che ho osservato da vicino è quello dove qualcuno ha scritto: SBAGLIA ANCORA, SBAGLIA MEGLIO.
Ma ho mai sbagliato io nella vita?
Cresci!
“Mamma, dobbiamo andare, se no i pasticcini finiscono.”
Scuoto la testa. “Vai tu, ormai sei grande.”
“Come?”
“TI ho detto che ce la puoi fare da solo.”
Andrea scoppia a piangere. Intanto la gente è quasi tutta entrata. Immagino madri e padri scambiarsi sorrisi luccicanti al di là di quel muro. Non ce la faccio, non ce la posso fare. Io sono una che quando squilla il telefono la prima cosa che pensa è: forse è qualcuno che ha sbagliato numero.
Non comunichi emozioni.
“Ti prego, mamma… Vieni anche tu.”
“Smettila di piangere, Andrea.”
“Ma io ho paura.”
“Vai!”
Mio figlio apre la portiera e scende. Si carica lo zaino sulle spalle e va a mettersi dietro all’ultima coppia padre-figlio in coda alla fila. Si gira a guardarmi e io gli faccio segno di asciugarsi gli occhi.
Egoista.
Bussano al vetro del mio sportello. È una tipa, forse una delle mamme. Sicuramente è una che non si fa i cazzi suoi.
Abbasso il finestrino. “Mi dica.”
Lei mi fissa con i suoi occhi azzurrissimi. Begli occhi sì, peccato che ha la pelle rugosa di una sessantenne. “Signora, suo figlio è disperato. Dovrebbe andare da lui.”
“Non c’è problema, glielo assicuro.”
“Signora, davvero. Il bambino è sconvolto.”
“Conosco mio figlio meglio di lei. Ce la farà”.
Rialzo il vetro, la donna toglie le dita in tempo per non farsele tranciare.
Pesante! Egoista! Cresci, Giulia! Cresci!
Come può avermi scritto tutto questo? Dev’essergli accaduto qualcosa. Qualcosa che ora gli fa paura. Non può che essere così.
“Mamma!” hanno chiamato mio figlio per entrare. Lui non vuole muoversi, è lì che mi fissa con i suoi occhietti, bagnati quanto la stringa di un Mocho Vileda. È solo, come me.
Ti auguro di ricostruire un buon rapporto con tuo marito.
Non può finire così. Gli scrivo un messaggio: Non posso vivere senza di te. Ripensaci!
Accendo la macchina e faccio inversione.
“Mamma!”
Controllo lo specchietto retrovisore. Mio figlio sta puntando i piedi, altri due padri cercano di trascinarlo al di là di quel muro.
Il muro. Non c’è niente che cambia oltre il muro. Da questa parte come da quella, è pieno di gente di cui non ci si può fidare.
Riparto. Ho il cellulare tra le gambe e ha appena fatto un trillo. Aspetto un secondo per leggere.
“MAMMA!” mio figlio grida ma ormai è entrato. Adesso starà meglio.
Apro il messaggio. È lui che mi scrive, forse ci ha ripensato. Ricontrollo lo specchietto interno per spiare il mio sorriso.
Ho bisogno dei miei spazi. Scusa se te lo dico ma sei pesante, egoista. Sei fredda e non comunichi emozioni. Cresci, Giulia! Cresci! Ti auguro di ricostruire un buon rapporto con tuo marito.
Basta. Lapidario, il bastardo!
Alzo gli occhi sul parabrezza. Uomini, donne e bambini marciano come formiche verso la scuola.
Metto una mano sul volante.
Ho bisogno dei miei spazi.
Mi ha mollata. Non riesco a crederci, si è stufato di me.
“Andiamo, mamma?” Andrea si è slacciato la cintura e fa per aprire la portiera. “Sono le 8 e 30.”
“Aspetta un attimo.”
Scusa se te lo dico ma sei pesante.
“Mamma!”
“Dammi un secondo.”
Do un’altra occhiata alla strada. La scuola è cinta da un muro alto come quello dei conventi di clausura. Dà un’idea di angoscia, di panico.
I genitori fanno capannello davanti a quel muro. Aspettano che qualcuno faccia loro segno di entrare da un piccolo cancello di ferro.
Cristo, come si sono già amalgamati! Parlottano e ridono tra loro come amici di vecchia data. Il primo giorno di scuola li diverte come fossero loro i ragazzini.
Sei fredda.
“Dai mamma, andiamo!” mio figlio mi prende per un braccio. “Se no facciamo tardi.”
“Ma perché,” mi volto verso di lui, “dobbiamo entrare tutti lì dentro?”
“È la tradizione, mamma.”
“Che tradizione?”
“La Tradizione del Benvenuto. La maestra vuole dare un dolcetto ad ogni genitore.”
“Che cosa stupida.”
“Lei ci tiene tanto.”
“Io no, però.”
Cresci, Giulia!
“Mamma, che cos’hai?”
Sospiro. Qualcuno ha aperto il cancello e i genitori si sono accodati. Entrano una coppia alla volta (madre o padre più il rispettivo figlio).
“Ecco, mamma! Stanno passando il muro!”.
Il muro. L’ho mai oltrepassato io un muro? No, l’unico muro che ho osservato da vicino è quello dove qualcuno ha scritto: SBAGLIA ANCORA, SBAGLIA MEGLIO.
Ma ho mai sbagliato io nella vita?
Cresci!
“Mamma, dobbiamo andare, se no i pasticcini finiscono.”
Scuoto la testa. “Vai tu, ormai sei grande.”
“Come?”
“TI ho detto che ce la puoi fare da solo.”
Andrea scoppia a piangere. Intanto la gente è quasi tutta entrata. Immagino madri e padri scambiarsi sorrisi luccicanti al di là di quel muro. Non ce la faccio, non ce la posso fare. Io sono una che quando squilla il telefono la prima cosa che pensa è: forse è qualcuno che ha sbagliato numero.
Non comunichi emozioni.
“Ti prego, mamma… Vieni anche tu.”
“Smettila di piangere, Andrea.”
“Ma io ho paura.”
“Vai!”
Mio figlio apre la portiera e scende. Si carica lo zaino sulle spalle e va a mettersi dietro all’ultima coppia padre-figlio in coda alla fila. Si gira a guardarmi e io gli faccio segno di asciugarsi gli occhi.
Egoista.
Bussano al vetro del mio sportello. È una tipa, forse una delle mamme. Sicuramente è una che non si fa i cazzi suoi.
Abbasso il finestrino. “Mi dica.”
Lei mi fissa con i suoi occhi azzurrissimi. Begli occhi sì, peccato che ha la pelle rugosa di una sessantenne. “Signora, suo figlio è disperato. Dovrebbe andare da lui.”
“Non c’è problema, glielo assicuro.”
“Signora, davvero. Il bambino è sconvolto.”
“Conosco mio figlio meglio di lei. Ce la farà”.
Rialzo il vetro, la donna toglie le dita in tempo per non farsele tranciare.
Pesante! Egoista! Cresci, Giulia! Cresci!
Come può avermi scritto tutto questo? Dev’essergli accaduto qualcosa. Qualcosa che ora gli fa paura. Non può che essere così.
“Mamma!” hanno chiamato mio figlio per entrare. Lui non vuole muoversi, è lì che mi fissa con i suoi occhietti, bagnati quanto la stringa di un Mocho Vileda. È solo, come me.
Ti auguro di ricostruire un buon rapporto con tuo marito.
Non può finire così. Gli scrivo un messaggio: Non posso vivere senza di te. Ripensaci!
Accendo la macchina e faccio inversione.
“Mamma!”
Controllo lo specchietto retrovisore. Mio figlio sta puntando i piedi, altri due padri cercano di trascinarlo al di là di quel muro.
Il muro. Non c’è niente che cambia oltre il muro. Da questa parte come da quella, è pieno di gente di cui non ci si può fidare.
Riparto. Ho il cellulare tra le gambe e ha appena fatto un trillo. Aspetto un secondo per leggere.
“MAMMA!” mio figlio grida ma ormai è entrato. Adesso starà meglio.
Apro il messaggio. È lui che mi scrive, forse ci ha ripensato. Ricontrollo lo specchietto interno per spiare il mio sorriso.