Olocausto
Inviato: domenica 13 giugno 2021, 23:57
Olocausto
Mettiamo che vi siete messi in testa di fare il minatore. Picconare per un Pence l'ora, dodici ore al giorno, vi suona meglio che continuare a fare la carità a Leeds o York. Scoprite in quale pub vanno a bere i minatori e una sera ci andate. Questi tizi barbuti, voi volete proprio averceli come colleghi, gli dite. E quelli sono felicissimi, ubriachi marci. Non credono alla fortuna di avere tra le mani uno sprovveduto come voi.
Bisogna passare una prova di coraggio che tutti hanno dovuto superare, dicono. A mezzanotte si va al pozzo d'ingresso della miniera per farsi calare giù, portando una fiaccola accesa. Quindi si devono fare trentatré passi nella miniera, cantando la canzone preferita di quando eri bambino. Se hai il fegato di farlo, la mattina dopo puoi andare con loro.
Solo che non è vero, non c'è nessuna prova.
A questi bastardi interessa solo che tu faccia l'uomo di fuoco, a tua insaputa. Così, se durante la passeggiatina notturna becchi una sacca di gas, finisci arrosto. Tu crepi ma intanto per un po’ la miniera è sicura e loro vanno a lavorare tranquilli.
Uomo di fuoco lo si diventa così, oppure per evitare il cappio.
Io appartengo alla seconda categoria. Perciò mi svegliano a manganellate e mi trascinano per i corridoi della prigione, che fuori è ancora buio. Mi buttano in un'altra gabbia, di quelle attaccate a una carrozza. Mi siedo su un asse di legno con le caviglie strette nelle catene. Niente cibo o acqua. Però ti lasciano la bibbia di Re Giacomo. Con la luce e l'aria gelata che entrano dalle feritoie, con la parola di Dio che ballonzola sulle gambe, il viaggio inizia con Dio che fabbrica cielo e Terra. Trottiamo per la campagna tutte pianure verde brillante e colline dolci come cucchiai rovesciati e ci fermiamo solo quando in Egitto piangono il primogenito.
La gabbia si apre cigolando e due poliziotti mi scaraventano giù, nel fango gelido, insieme alla bibbia di Re Giacomo. Mi tiro su e pulisco la faccia.
La carrozza è ferma su un sentiero di ciottoli, pozze di fango lo circondano e sui due lati si impennano versanti di erba scura e rocce.
Un gentiluomo viene da noi evitando le pozze. Si aggiusta ciuffi di capelli rossi sollevati dal vento. Lo fisso e fisso le guardie, un irlandese che puzza ancora di tetta e un vecchio baffone tutto rughe e borse viola sotto gli occhi. Nessuno dei tre abbassa lo sguardo, non battono ciglio.
Continuo a fissarli finché il baffone mi tira una manganellata sul fianco che mi svuota i polmoni e mi piega in due. «In piedi principino,» mi liscia la testa con il manganello, «non è una scampagnata.»
Mi tiro su, col fiatone e il fianco dolorante. L'irlandese sfila una lettera dalla tasca della divisa. Il gentiluomo la prende, strappa la busta, apre la lettera. Legge in silenzio, gli occhietti schizzano avanti e indietro e la testa si piega un po' di più a ogni riga letta. Quando ha finito la ridà all'irlandese.
«Mister Kemper, rieccola da queste parti.» Sistema il farfallino, «mi presento, Sono Raymond Hutton-Smith.»
«Piacere.»
«Il tempo è denaro, quindi ecco i fatti. La Babbington Coal Company mi ha assunto per cercare, e trovare, nuove vene di carbone. Ho concluso che nei loro possedimenti non ci siano nuovi filoni da sfruttare. Tuttavia, se le ultime scoperte in fatto di teoria delle faglie sono vere, allora la vecchia miniera Hucknail-1 o H-1 non è esaurita. Il filone è solo in una posizione diversa da quella dove vi hanno detto di cercarlo.»
«Buon per voi.»
«E per lei, caro mio. Se non fosse per la sua esperienza nella H-1, a quest'ora penzolerebbe, come si addice a ogni assassino di innocenti.»
«Be' Mister...»
«Hutton-Smith, Raymond Hutton-Smith.»
«Ecco, vede, non erano innocenti. Fingevano di essere bambini, e non vi aiuto certo a farne uscire altri da lì.»
Il baffone sbuffa, si avvicina roteando il bastone. Il gentiluomo lo ferma con un cenno della mano, senza guardarlo. «Per carità! Deve poter camminare.» Mi lancia uno sguardo intenso. «Mister Kemper, ma lo sa che per graziarla abbiamo dovuto scomodare la regina Vittoria? Mi vuole spiegare di cosa blatera?»
Gli spiego quello che ho detto pure al giudice, non erano bambini, ma Knocker che li avevano sostituiti. È un pezzo che lo fanno, solo che nessuno li riconosce. Sono i piccoli dettagli a tradirli, per esempio se li fissi abbassano lo sguardo, per non farsi scoprire.
Mister gentiluomo resta un pezzo a fissare l'erba sul versante, alla fine batte le mani. «Ho una proposta!»
Si schiarisce la gola. Indica le colline, «solo in questa zona, il campo carbonifero della Babbington, ci sono nove miniere e millequattrocento minatori. Riaprire una miniera in più farebbe tanta differenza per questi…Knockers?»
«No, in effetti.»
«Ed è facile riconoscerli, tali Knockers?»
«Ah! È difficile. Persino quando li ho strozzati hanno fatto una faccetta impaurita e scalciavano persino. Parevano bambini veri.»
Mister gentiluomo si copre la bocca. Riabbassa la mano. «Se la impiccano perché rifiuta di aiutarmi…» Sospira. «Ecco, allora perdiamo l’unico capace di trovarli. Lei.»
Questo damerino sembra scemo, ma le rotelle che ha in testa sono di prima qualità.
Annuisco. «Lo faccio.»
«Saggia scelta.»
Tirando un laccio che porta attorno al collo, sfila dal panciotto un tubicino argentato e ci soffia dentro. Un fischio stride nella vallata. «Se non vi dispiace,» si rivolge alle guardie, «levategli le catene e seguitemi.»
Con una guardia alle spalle e una al fianco, seguo mister gentiluomo. Sul versante più dolce si accatastano baracche da minatore, dove ho vissuto anche io. L'altro versante è ripido, costellato di speroni rocciosi. Superata una brusca curva attorno a uno spuntone si riesce a vedere l'ingresso dell'H-1, un frastagliato buco di culo nel suolo.
Il ripiano con cui si scendeva, stretti in quattro, non c'è più. La fune di un argano penzola, e a quanto pare oggi è destino che mi appendano.
Dalla direzione opposta del sentiero arrivano due tizi, ondeggiano come oche portando una carriola un manico a testa. Sul pianale barcolla una botte all’impiedi, di quelle da birra scura, grandi da poterci farci il bagno. I due, un guercio pelato e uno zoppo con i trucioli di tabacco incastrati nella barba fanno i servetti di mister gentiluomo. Ex minatori, inabili ai tunnel.
Fermano la carriola, tirano su le maniche e affondano le braccia nell'acqua marrone dentro barile. Tirano fuori un paio di grossi stracci zuppi e li lanciano a terra, il rumore è lo stesso di O ‘Riley dopo che toglie una trave di sostegno di troppo.
Mi aiutano a infilare la roba, una calzamaglia e un tabarro con cappuccio, di iuta spessa. Odorano e pesano come una scrofa annegata in una palude. Quando trovo il buco per la testa e la tiro fuori, il guercio mi dà una scatola di fiammiferi Bryan & May e un'asta, cava, di ferro. L'asta è alta quanto me con una candela di sego innestata sulla punta. Un gancio sbuca un palmo più in giù e lo zoppo ci appende una gabbietta con due canarini spelacchiati.
Mister gentiluomo in persona mi lega la fune in vita. «Meglio che al collo, eh!»
Faccio un passo verso pozzo, resto penzoloni sul nero. Il guercio sfila il piolo che blocca l'argano, lo zoppo gira la manovella. A ogni giro scendo un po'. Se la corda si spezza o lo zoppo perde la presa, divento la supposta più veloce mai vista.
L'aria luminosa si appanna e si scalda. Strati di roccia mi scorrono davanti, sempre più scuri finché è così buio che si distinguono solo dall’odore. Muffa umida, crosta di pipa, ratto bagnato.
Senti odore di uova marce? Morto. Se non senti nessun odore, morto lo stesso. Ogni gas sottoterra è diverso ma all'uomo di fuoco ne interessa solo uno. Chiamatelo grisù, grisou, damp, firedamp, gas di miniera, è lì pronto ad arrostirti. Senza odore, senza colore, l'unica cosa che fa è dare un gran fiatone ai canarini. Se lo respiri troppo sei morto. Se scoppia invece di bruciare, tutti questi stracci bagnati diventano utili come la birra per curare lo scolo.
Tocco terra, la corda si affloscia. Allargo il nodo ed esco. Non esistono occhi capaci di adattarsi a questo buio.
Coi piedi trovo i binari, mi metto carponi. Stringo l'asta in una mano, l'altra la uso per seguire i binari. Se non hai cinque anni o sei un nano, l'unico modo per avanzare qui sotto è gattonare. Allungo l'asta in avanti, inclinata quel poco che basta per avvicinare la gabbietta alla volta. Con questo buio è tutta questione di immaginazione. Coi canarini a mezz'aria recito un padre nostro. Se i canarini non reagiscono, poggio l’asta a terra. Avanzo fino alla gabbia, riprendo l'asta e faccio tutto d'accapo. Avanti così fino a fondo miniera, coi ciottoli che bucano le ginocchia e le scaglie di ruggine che si staccano dal binario e si ficcano sotto le unghie. Strisciare come i vermi che risalgono il culo, di quelli che fanno prudere l’ano. Lungo il tunnel risuona il cip cip dei canarini e lo sguazzare dei miei stracci.
A ogni avanzamento cerco le buche che nessuno ha ricoperto. Se ti mandano in miniera da piccolo, inizi come trappatore. La miniera è divisa in segmenti da porte e ogni porta ha la sua buca con un piccolo trappatore infilato dentro. Appena senti il vagone che arriva, tiri la corda. La porta si apre, il vagone passa. Allenti la presa, la porta si chiude. È l'unico modo per far girare l'aria. Ti addormenti e rischi una carneficina. Tutti hanno paura che i bambini dormano, così ognuno che passa ti dà una sberla, tanto per non rischiare.
Bambini che vedono il sole solo di domenica, infilati nelle buche con l'acqua stagnante e i topi che corrono sotto i vestiti e un gran mal di testa.
Le porte della H-1 le hanno tirate via per usarle in altre miniere, come pure la maggior parte dei sostegni. Resta solo da contare i buchi per sapere a che punto sono.
Allungare l'asta, pregare, avanzare.
Ho superato la quarta buca che al “sia fatta la tua volontà” i canarini fanno un cip strano. Ritiro l'asta, appoggio la testa alla gabbia. Ansimano, io continuo la preghiera e al “liberaci dal male” non sono più in affanno.
Gattono all'indietro fino all'ultima buca e ci infilo la gabbia. Sfrego un fiammifero, lo avvicino allo stoppino della candela. Abituato al buio, la luce tremolante fa male agli occhi. Spingo l'asta in avanti, quanto più lontano possibile. Mi allungo e avanzo strisciando lungo i binari rossi di ruggine, con le pietre che tagliano la faccia e la bocca che si riempie di detrito. La fiamma ballonzola a un palmo della volta irregolare e di colpo c'è una rientranza verso l'alto, un bubbone scavato in cui faccio salire la fiamma.
Una fiammata blu, sfrangiata di viola, esplode in ogni direzione. Mollo tutto e mi appiattisco a terra, con le mani sotto la pancia. Caldo rovente sulla schiena e sulla testa e sul culo.
L'eco della deflagrazione scappa lungo il tunnel, il grido di un dannato trascinato all'inferno per i piedi.
Trattengo il fiato, i resti del damp bruciato sono fetidi. Con la schiena che scotta riprendo l'asta e striscio all'indietro, fino ai canarini che cinguettano isterici. Giro su me stesso e ripercorro in fretta i binari per il pozzo d'ingresso.
A fondo pozzo, mi rinfilo nella corda e la strattono.
La corda si tende e inizio a salire. In alto appare un puntino luminoso di cielo che si allarga. L’aria si fa più fresca.
L'ultimo pezzo di salita devo farlo a occhi chiusi per quanto è forte la luce. Mi aiutano a uscire dal pozzo e a togliere la corda. Mi tirano un paio di secchiate d'acqua per ribagnare i vestiti.
Una moltitudine di voci canta in lontananza.
Sono un piccolo minatore, lavoro giù nel sottosuol
La corda non si spezzerà, se vado su e giù
Apro gli occhi. Mister gentiluomo ha una faccia soddisfatta, le guardie non ci sono.
Per quando ho fame è pane
Per quando ho sete birra.
È una vecchia canzone da minatori. Della candela resta un mozzicone, i canarini sono neri come cornacchie e io come un merlo di ottanta chili.
Il letto per quando sono stanco
Il canto si avvicina. L'acqua che mi hanno lanciato è diventata una pozza nera ai miei piedi.
e paradiso quando morirò
Con la mano a coppa prendo un po’ di acqua. Fredda da gelare i denti, la sputo torbida e grigia.
Dalla strada nascosta dallo sperone non arriva più il canto, solo un passo trascinato.
Con la lingua tolgo la fanghiglia ruvida che ho tra i denti, sciacquo di nuovo.
Bevo un sorso, saporito. Rimpolpa la lingua e la gola come la pioggia il terreno spaccato.
I primi minatori uscivano dalla miniera smaniosi di bere qualsiasi cosa. E finivano col bersi tutto il carbone che avevano in bocca, così tanto che dopo un po' ne erano avvelenati. Per dire in quanti modi ti può uccidere questo lavoro.
Lo zoppo infila una candela nuova sull'asta annerita.
Dalla strada spunta una fiumana minatori. Neri di carbone, tutti vicini, come sciami di occhi che fluttuano nella notte. Occhi piccoli da bambini e dolci da ragazza. Occhi tristi da uomini. E i miei canarini anneriti, cazzo se impazziscono. Saltellano e gridano. La massa umana ci passa davanti e i canarini si pietrificano, fermi come per non farsi vedere dal gatto. Solo il gargarozzo spiumato si muove, sale e scende in una deglutizione nervosa, mentre fissano quelle persone. E anche io li fisso. Negli occhi.
Uno dopo l'altro quegli occhi si abbassano o si girano, ogni volta che li incrocio. E allora capisco. I miei canarini hanno sentito il sapore della miniera, del damp, del carbone e li hanno riconosciuti subito. Knockers, tutti.
"Ehi Mister Kemper! È con noi?"
Mister gentiluomo ferma una pacca a mezz'aria, incrociando il mio sguardo.
Gli indico il pozzo. «Devo tornare giù.»
«Bene.»
Sei lì che porti un vagone, o spali o tiri la tua corda e di colpo – Thump! Thump – senti picconare da qualche parte dentro la roccia. Sono Knocker che battono per far collassare il tunnel e ucciderti.
Oppure hai perso la pala, e la cerchi e ti allontani, o hai finito le candele e devi stare al buio a scavare. È allora che i Knocker ti trascinano in qualche buco e uno di loro prende il tuo aspetto ed esce dalla miniera.
Ritrovo il terzo buco da trappatore. All'idea di tutti quei Knockers lì su, con mister gentiluomo che ce li ha sotto il naso e non lo sa, con tutto il gas che mi aspetta, faccio quello che facevo per scacciare la paura quanto stavo nel buco. Recito la sacra parola. Una mano spinge l'asta, l'altra segue la ruggine dei binari. Conto le buche e finisce la genesi. Finisce l'esodo e il levitico. Alla ventiquattresima buca Dio istruisce sul sacrifico. Esemplari maschi in salute, da scannare davanti all'eterno. Il sangue da schizzare sull'altare e l'animale fatto a pezzi e bruciato così che quel fumo salga in cielo a deliziare l'altissimo.
Il suono dei ciottoli che ho spostato col ginocchio è diverso, echeggiante. Do un colpetto al binario con l'asta e il colpo risuona lungo come l'amen nella cupola della cattedrale di York. Tossisco, ed è come se ci fosse una folla a tossire dopo di me, nel buio.
Con la mano seguo i binari. Spariscono sotto il detrito che fa una specie di salitella. L'asta, la inclino in su e quando dovrebbe colpire la volta non succede. Persino in verticale non colpisco niente. La tengo dritta infilandone il fondo nel detrito e trattengo il fiato per sentire meglio i canarini. Nessun ansimare. Il cuore mi pesta nelle tempie. Mi inginocchio e i canarini cinguettano. Ma è un cinguettio come un altro. Mi metto in piedi e avvicino l'orecchio alla gabbia, la scuoto un po'. I canarini svolazzano e cinguettano.
Espiro.
Dove diavolo è finito il tunnel?
Sfrego un fiammifero, il chiarore si diffonde traballante. Il tunnel è lì, qualche passo indietro, solo che… finisce. Finisce dentro una grotta, grande che la luce non illumina i confini. Avanzo nel buio, seguendo idealmente i binari. Un fiammifero dopo l'altro e me ne restano due oltre quello che sto usando quando la parete opposta si manifesta. Sale in alto senza fine. Alla luce della fiamma la parete brilla. Lucente antracite, il più prezioso dei carboni. La grotta ne è gravida.
Non sento più i canarini.
Preso dal panico mi lancio all'indietro, i miei passi riverberano da tutte le direzioni. Due fiammiferi. Ne accendo uno. Dove mi trovo, da qualche parte nel centro della grotta, sono troppo lontano per vedere le pareti o l'asta.
La fiamma mangia lo stecchino, mi brucia la mano, il fiammifero cade. Buio assoluto.
Rumore di detrito smosso. Un colpo metallico riecheggia, seguito dal frullo d'ali e dal cinguettio dei canarini in volo. L'eco ne fa il volo di uno stormo furioso.
Quel suono... l'asta che cadeva, e quindi l'uscita. Cammino in quella direzione.
I canarini, ciechi, schizzano per aria in ogni direzione. Più fanno rumore, più si impauriscono e volano ancora più forte in un ciclo folle.
Inciampo nell'asta.
La nota sonora dominante, il suono originale che dà vita a tutti gli altri, sparisce. Spariscono a cascata, uno dopo l'altro tutti i riverberi.
Due tonfi.
Con l'ultimo fiammifero accendo la candela, rasoterra. La luce più forte illumina i corpicini tremanti sul suolo.
Vado a prenderli. Nel palmo della mano boccheggiano. Hanno respirato damp. Troppo. Volando nel buio troppo impauriti per capire subito che non era aria quella inspirata.
Da qualche parte su di me galleggia un oceano di damp.
I canarini sono scossi da spasmi. Tenuti nel palmo, stringo una testolina tra due dita dell'altra mano e ruoto di scatto.
Anche l'altro.
Li poggio a terra e li copro con un qualche ciottolo.
Montagne di antracite protette da una sacca di damp mille volte più grande della più grande mai vista. Senza un uomo di fuoco questa sarebbe la trappola perfetta per uccidere un sacco di minatori. Senza qualcuno che bruci questo gas, sarebbe una trappola perfetta. Perfetta.
Spengo la candela, svesto gli stracci bagnati. Risalgo lungo i binari screpolati come le mie labbra assetate, la bocca impastata da far fatica ad aprirla. La schiena e le braccia distrutte a furia di gattonare, le ginocchia martoriate dagli spigoli delle pietre.
Riemergo nella luce arancione, diventa rossa con le palpebre chiuse.
«È tutto fatto?» La voce di mister gentiluomo.
Faccio sì con la testa. «Al fronte, dove c'era il filone.» Riprendo fiato. «Una grotta che non finisce mai, zeppa di antracite.»
«Mm, un cedimento forse. Sarebbe compatibile con la teoria. Ma... è sicuro di aver pulito tutto? La sua strumentazione dov'è?»
«Distrutta. Una fiammata tremenda… è un miracolo che sono tornato.»
Riapro gli occhi, sorride soddisfatto.
«Ha fornito un grande servigio al suo paese.»
Non sai quanto è vero. «Il nostro patto?»
Si gira verso i due attendenti e fa spallucce, si rigira verso me. «Garantisco che se dovessimo scoprire qualche persona sospetta, sarà il primo a saperlo.»
Il guercio e lo zoppo annuiscono.
Certo.
Tira fuori il fischietto, soffia tre fischi corti.
Lo zoppo porta un secchio pieno d'acqua e una spugna. Mi bagno le labbra.
Di nuovo suono di passi trascinati e stanchi. Nella luce arancione riappaiono i Knockers che stamattina cantavano. Fingono la stanchezza, le ferite incrostate, zoppicano persino.
Ci circondano, una mezzaluna nera.
Mister gentiluomo batte le mani per richiamare l'attenzione. «Gente, tutti alle baracche. Mangiate e riposate un po', avete tre ore, poi dovete essere qui. Paga doppia per chi vuole lavorare stanotte, se arrivate tardi non vedrete un Pence.»
La mezzaluna si scioglie, riprende la via per le baracche.
«La miniera a cui lavoravano è praticamente esaurita.» Mister gentiluomo indica la massa che si allontana. «Pensi che pur di avere altro lavoro hanno accettato tutti di fare uno straordinario. Stanotte scenderanno nella H-1 a puntellare e piazzare le porte per la circolazione aria. Le sono grati. Lo siamo tutti.»
La massa nera sparisce, inghiottita dalla strada oltre lo sperone di roccia. Arriva la loro voce.
Sono un piccolo minatore, lavoro giù nel sottosuol
La corda non si spezzerà, se vado su e giù
Che il fumo del mio olocausto salga in cielo, a deliziare l’altissimo.
Per quando ho fame è pane
Per quando ho sete birra.
Sarà una notte brillante.
Il letto per quando sono stanco
e paradiso quando morirò
L'ultima notte per tutti.
–Giacomo Puca–
Mettiamo che vi siete messi in testa di fare il minatore. Picconare per un Pence l'ora, dodici ore al giorno, vi suona meglio che continuare a fare la carità a Leeds o York. Scoprite in quale pub vanno a bere i minatori e una sera ci andate. Questi tizi barbuti, voi volete proprio averceli come colleghi, gli dite. E quelli sono felicissimi, ubriachi marci. Non credono alla fortuna di avere tra le mani uno sprovveduto come voi.
Bisogna passare una prova di coraggio che tutti hanno dovuto superare, dicono. A mezzanotte si va al pozzo d'ingresso della miniera per farsi calare giù, portando una fiaccola accesa. Quindi si devono fare trentatré passi nella miniera, cantando la canzone preferita di quando eri bambino. Se hai il fegato di farlo, la mattina dopo puoi andare con loro.
Solo che non è vero, non c'è nessuna prova.
A questi bastardi interessa solo che tu faccia l'uomo di fuoco, a tua insaputa. Così, se durante la passeggiatina notturna becchi una sacca di gas, finisci arrosto. Tu crepi ma intanto per un po’ la miniera è sicura e loro vanno a lavorare tranquilli.
Uomo di fuoco lo si diventa così, oppure per evitare il cappio.
Io appartengo alla seconda categoria. Perciò mi svegliano a manganellate e mi trascinano per i corridoi della prigione, che fuori è ancora buio. Mi buttano in un'altra gabbia, di quelle attaccate a una carrozza. Mi siedo su un asse di legno con le caviglie strette nelle catene. Niente cibo o acqua. Però ti lasciano la bibbia di Re Giacomo. Con la luce e l'aria gelata che entrano dalle feritoie, con la parola di Dio che ballonzola sulle gambe, il viaggio inizia con Dio che fabbrica cielo e Terra. Trottiamo per la campagna tutte pianure verde brillante e colline dolci come cucchiai rovesciati e ci fermiamo solo quando in Egitto piangono il primogenito.
La gabbia si apre cigolando e due poliziotti mi scaraventano giù, nel fango gelido, insieme alla bibbia di Re Giacomo. Mi tiro su e pulisco la faccia.
La carrozza è ferma su un sentiero di ciottoli, pozze di fango lo circondano e sui due lati si impennano versanti di erba scura e rocce.
Un gentiluomo viene da noi evitando le pozze. Si aggiusta ciuffi di capelli rossi sollevati dal vento. Lo fisso e fisso le guardie, un irlandese che puzza ancora di tetta e un vecchio baffone tutto rughe e borse viola sotto gli occhi. Nessuno dei tre abbassa lo sguardo, non battono ciglio.
Continuo a fissarli finché il baffone mi tira una manganellata sul fianco che mi svuota i polmoni e mi piega in due. «In piedi principino,» mi liscia la testa con il manganello, «non è una scampagnata.»
Mi tiro su, col fiatone e il fianco dolorante. L'irlandese sfila una lettera dalla tasca della divisa. Il gentiluomo la prende, strappa la busta, apre la lettera. Legge in silenzio, gli occhietti schizzano avanti e indietro e la testa si piega un po' di più a ogni riga letta. Quando ha finito la ridà all'irlandese.
«Mister Kemper, rieccola da queste parti.» Sistema il farfallino, «mi presento, Sono Raymond Hutton-Smith.»
«Piacere.»
«Il tempo è denaro, quindi ecco i fatti. La Babbington Coal Company mi ha assunto per cercare, e trovare, nuove vene di carbone. Ho concluso che nei loro possedimenti non ci siano nuovi filoni da sfruttare. Tuttavia, se le ultime scoperte in fatto di teoria delle faglie sono vere, allora la vecchia miniera Hucknail-1 o H-1 non è esaurita. Il filone è solo in una posizione diversa da quella dove vi hanno detto di cercarlo.»
«Buon per voi.»
«E per lei, caro mio. Se non fosse per la sua esperienza nella H-1, a quest'ora penzolerebbe, come si addice a ogni assassino di innocenti.»
«Be' Mister...»
«Hutton-Smith, Raymond Hutton-Smith.»
«Ecco, vede, non erano innocenti. Fingevano di essere bambini, e non vi aiuto certo a farne uscire altri da lì.»
Il baffone sbuffa, si avvicina roteando il bastone. Il gentiluomo lo ferma con un cenno della mano, senza guardarlo. «Per carità! Deve poter camminare.» Mi lancia uno sguardo intenso. «Mister Kemper, ma lo sa che per graziarla abbiamo dovuto scomodare la regina Vittoria? Mi vuole spiegare di cosa blatera?»
Gli spiego quello che ho detto pure al giudice, non erano bambini, ma Knocker che li avevano sostituiti. È un pezzo che lo fanno, solo che nessuno li riconosce. Sono i piccoli dettagli a tradirli, per esempio se li fissi abbassano lo sguardo, per non farsi scoprire.
Mister gentiluomo resta un pezzo a fissare l'erba sul versante, alla fine batte le mani. «Ho una proposta!»
Si schiarisce la gola. Indica le colline, «solo in questa zona, il campo carbonifero della Babbington, ci sono nove miniere e millequattrocento minatori. Riaprire una miniera in più farebbe tanta differenza per questi…Knockers?»
«No, in effetti.»
«Ed è facile riconoscerli, tali Knockers?»
«Ah! È difficile. Persino quando li ho strozzati hanno fatto una faccetta impaurita e scalciavano persino. Parevano bambini veri.»
Mister gentiluomo si copre la bocca. Riabbassa la mano. «Se la impiccano perché rifiuta di aiutarmi…» Sospira. «Ecco, allora perdiamo l’unico capace di trovarli. Lei.»
Questo damerino sembra scemo, ma le rotelle che ha in testa sono di prima qualità.
Annuisco. «Lo faccio.»
«Saggia scelta.»
Tirando un laccio che porta attorno al collo, sfila dal panciotto un tubicino argentato e ci soffia dentro. Un fischio stride nella vallata. «Se non vi dispiace,» si rivolge alle guardie, «levategli le catene e seguitemi.»
Con una guardia alle spalle e una al fianco, seguo mister gentiluomo. Sul versante più dolce si accatastano baracche da minatore, dove ho vissuto anche io. L'altro versante è ripido, costellato di speroni rocciosi. Superata una brusca curva attorno a uno spuntone si riesce a vedere l'ingresso dell'H-1, un frastagliato buco di culo nel suolo.
Il ripiano con cui si scendeva, stretti in quattro, non c'è più. La fune di un argano penzola, e a quanto pare oggi è destino che mi appendano.
Dalla direzione opposta del sentiero arrivano due tizi, ondeggiano come oche portando una carriola un manico a testa. Sul pianale barcolla una botte all’impiedi, di quelle da birra scura, grandi da poterci farci il bagno. I due, un guercio pelato e uno zoppo con i trucioli di tabacco incastrati nella barba fanno i servetti di mister gentiluomo. Ex minatori, inabili ai tunnel.
Fermano la carriola, tirano su le maniche e affondano le braccia nell'acqua marrone dentro barile. Tirano fuori un paio di grossi stracci zuppi e li lanciano a terra, il rumore è lo stesso di O ‘Riley dopo che toglie una trave di sostegno di troppo.
Mi aiutano a infilare la roba, una calzamaglia e un tabarro con cappuccio, di iuta spessa. Odorano e pesano come una scrofa annegata in una palude. Quando trovo il buco per la testa e la tiro fuori, il guercio mi dà una scatola di fiammiferi Bryan & May e un'asta, cava, di ferro. L'asta è alta quanto me con una candela di sego innestata sulla punta. Un gancio sbuca un palmo più in giù e lo zoppo ci appende una gabbietta con due canarini spelacchiati.
Mister gentiluomo in persona mi lega la fune in vita. «Meglio che al collo, eh!»
Faccio un passo verso pozzo, resto penzoloni sul nero. Il guercio sfila il piolo che blocca l'argano, lo zoppo gira la manovella. A ogni giro scendo un po'. Se la corda si spezza o lo zoppo perde la presa, divento la supposta più veloce mai vista.
L'aria luminosa si appanna e si scalda. Strati di roccia mi scorrono davanti, sempre più scuri finché è così buio che si distinguono solo dall’odore. Muffa umida, crosta di pipa, ratto bagnato.
Senti odore di uova marce? Morto. Se non senti nessun odore, morto lo stesso. Ogni gas sottoterra è diverso ma all'uomo di fuoco ne interessa solo uno. Chiamatelo grisù, grisou, damp, firedamp, gas di miniera, è lì pronto ad arrostirti. Senza odore, senza colore, l'unica cosa che fa è dare un gran fiatone ai canarini. Se lo respiri troppo sei morto. Se scoppia invece di bruciare, tutti questi stracci bagnati diventano utili come la birra per curare lo scolo.
Tocco terra, la corda si affloscia. Allargo il nodo ed esco. Non esistono occhi capaci di adattarsi a questo buio.
Coi piedi trovo i binari, mi metto carponi. Stringo l'asta in una mano, l'altra la uso per seguire i binari. Se non hai cinque anni o sei un nano, l'unico modo per avanzare qui sotto è gattonare. Allungo l'asta in avanti, inclinata quel poco che basta per avvicinare la gabbietta alla volta. Con questo buio è tutta questione di immaginazione. Coi canarini a mezz'aria recito un padre nostro. Se i canarini non reagiscono, poggio l’asta a terra. Avanzo fino alla gabbia, riprendo l'asta e faccio tutto d'accapo. Avanti così fino a fondo miniera, coi ciottoli che bucano le ginocchia e le scaglie di ruggine che si staccano dal binario e si ficcano sotto le unghie. Strisciare come i vermi che risalgono il culo, di quelli che fanno prudere l’ano. Lungo il tunnel risuona il cip cip dei canarini e lo sguazzare dei miei stracci.
A ogni avanzamento cerco le buche che nessuno ha ricoperto. Se ti mandano in miniera da piccolo, inizi come trappatore. La miniera è divisa in segmenti da porte e ogni porta ha la sua buca con un piccolo trappatore infilato dentro. Appena senti il vagone che arriva, tiri la corda. La porta si apre, il vagone passa. Allenti la presa, la porta si chiude. È l'unico modo per far girare l'aria. Ti addormenti e rischi una carneficina. Tutti hanno paura che i bambini dormano, così ognuno che passa ti dà una sberla, tanto per non rischiare.
Bambini che vedono il sole solo di domenica, infilati nelle buche con l'acqua stagnante e i topi che corrono sotto i vestiti e un gran mal di testa.
Le porte della H-1 le hanno tirate via per usarle in altre miniere, come pure la maggior parte dei sostegni. Resta solo da contare i buchi per sapere a che punto sono.
Allungare l'asta, pregare, avanzare.
Ho superato la quarta buca che al “sia fatta la tua volontà” i canarini fanno un cip strano. Ritiro l'asta, appoggio la testa alla gabbia. Ansimano, io continuo la preghiera e al “liberaci dal male” non sono più in affanno.
Gattono all'indietro fino all'ultima buca e ci infilo la gabbia. Sfrego un fiammifero, lo avvicino allo stoppino della candela. Abituato al buio, la luce tremolante fa male agli occhi. Spingo l'asta in avanti, quanto più lontano possibile. Mi allungo e avanzo strisciando lungo i binari rossi di ruggine, con le pietre che tagliano la faccia e la bocca che si riempie di detrito. La fiamma ballonzola a un palmo della volta irregolare e di colpo c'è una rientranza verso l'alto, un bubbone scavato in cui faccio salire la fiamma.
Una fiammata blu, sfrangiata di viola, esplode in ogni direzione. Mollo tutto e mi appiattisco a terra, con le mani sotto la pancia. Caldo rovente sulla schiena e sulla testa e sul culo.
L'eco della deflagrazione scappa lungo il tunnel, il grido di un dannato trascinato all'inferno per i piedi.
Trattengo il fiato, i resti del damp bruciato sono fetidi. Con la schiena che scotta riprendo l'asta e striscio all'indietro, fino ai canarini che cinguettano isterici. Giro su me stesso e ripercorro in fretta i binari per il pozzo d'ingresso.
A fondo pozzo, mi rinfilo nella corda e la strattono.
La corda si tende e inizio a salire. In alto appare un puntino luminoso di cielo che si allarga. L’aria si fa più fresca.
L'ultimo pezzo di salita devo farlo a occhi chiusi per quanto è forte la luce. Mi aiutano a uscire dal pozzo e a togliere la corda. Mi tirano un paio di secchiate d'acqua per ribagnare i vestiti.
Una moltitudine di voci canta in lontananza.
Sono un piccolo minatore, lavoro giù nel sottosuol
La corda non si spezzerà, se vado su e giù
Apro gli occhi. Mister gentiluomo ha una faccia soddisfatta, le guardie non ci sono.
Per quando ho fame è pane
Per quando ho sete birra.
È una vecchia canzone da minatori. Della candela resta un mozzicone, i canarini sono neri come cornacchie e io come un merlo di ottanta chili.
Il letto per quando sono stanco
Il canto si avvicina. L'acqua che mi hanno lanciato è diventata una pozza nera ai miei piedi.
e paradiso quando morirò
Con la mano a coppa prendo un po’ di acqua. Fredda da gelare i denti, la sputo torbida e grigia.
Dalla strada nascosta dallo sperone non arriva più il canto, solo un passo trascinato.
Con la lingua tolgo la fanghiglia ruvida che ho tra i denti, sciacquo di nuovo.
Bevo un sorso, saporito. Rimpolpa la lingua e la gola come la pioggia il terreno spaccato.
I primi minatori uscivano dalla miniera smaniosi di bere qualsiasi cosa. E finivano col bersi tutto il carbone che avevano in bocca, così tanto che dopo un po' ne erano avvelenati. Per dire in quanti modi ti può uccidere questo lavoro.
Lo zoppo infila una candela nuova sull'asta annerita.
Dalla strada spunta una fiumana minatori. Neri di carbone, tutti vicini, come sciami di occhi che fluttuano nella notte. Occhi piccoli da bambini e dolci da ragazza. Occhi tristi da uomini. E i miei canarini anneriti, cazzo se impazziscono. Saltellano e gridano. La massa umana ci passa davanti e i canarini si pietrificano, fermi come per non farsi vedere dal gatto. Solo il gargarozzo spiumato si muove, sale e scende in una deglutizione nervosa, mentre fissano quelle persone. E anche io li fisso. Negli occhi.
Uno dopo l'altro quegli occhi si abbassano o si girano, ogni volta che li incrocio. E allora capisco. I miei canarini hanno sentito il sapore della miniera, del damp, del carbone e li hanno riconosciuti subito. Knockers, tutti.
"Ehi Mister Kemper! È con noi?"
Mister gentiluomo ferma una pacca a mezz'aria, incrociando il mio sguardo.
Gli indico il pozzo. «Devo tornare giù.»
«Bene.»
Sei lì che porti un vagone, o spali o tiri la tua corda e di colpo – Thump! Thump – senti picconare da qualche parte dentro la roccia. Sono Knocker che battono per far collassare il tunnel e ucciderti.
Oppure hai perso la pala, e la cerchi e ti allontani, o hai finito le candele e devi stare al buio a scavare. È allora che i Knocker ti trascinano in qualche buco e uno di loro prende il tuo aspetto ed esce dalla miniera.
Ritrovo il terzo buco da trappatore. All'idea di tutti quei Knockers lì su, con mister gentiluomo che ce li ha sotto il naso e non lo sa, con tutto il gas che mi aspetta, faccio quello che facevo per scacciare la paura quanto stavo nel buco. Recito la sacra parola. Una mano spinge l'asta, l'altra segue la ruggine dei binari. Conto le buche e finisce la genesi. Finisce l'esodo e il levitico. Alla ventiquattresima buca Dio istruisce sul sacrifico. Esemplari maschi in salute, da scannare davanti all'eterno. Il sangue da schizzare sull'altare e l'animale fatto a pezzi e bruciato così che quel fumo salga in cielo a deliziare l'altissimo.
Il suono dei ciottoli che ho spostato col ginocchio è diverso, echeggiante. Do un colpetto al binario con l'asta e il colpo risuona lungo come l'amen nella cupola della cattedrale di York. Tossisco, ed è come se ci fosse una folla a tossire dopo di me, nel buio.
Con la mano seguo i binari. Spariscono sotto il detrito che fa una specie di salitella. L'asta, la inclino in su e quando dovrebbe colpire la volta non succede. Persino in verticale non colpisco niente. La tengo dritta infilandone il fondo nel detrito e trattengo il fiato per sentire meglio i canarini. Nessun ansimare. Il cuore mi pesta nelle tempie. Mi inginocchio e i canarini cinguettano. Ma è un cinguettio come un altro. Mi metto in piedi e avvicino l'orecchio alla gabbia, la scuoto un po'. I canarini svolazzano e cinguettano.
Espiro.
Dove diavolo è finito il tunnel?
Sfrego un fiammifero, il chiarore si diffonde traballante. Il tunnel è lì, qualche passo indietro, solo che… finisce. Finisce dentro una grotta, grande che la luce non illumina i confini. Avanzo nel buio, seguendo idealmente i binari. Un fiammifero dopo l'altro e me ne restano due oltre quello che sto usando quando la parete opposta si manifesta. Sale in alto senza fine. Alla luce della fiamma la parete brilla. Lucente antracite, il più prezioso dei carboni. La grotta ne è gravida.
Non sento più i canarini.
Preso dal panico mi lancio all'indietro, i miei passi riverberano da tutte le direzioni. Due fiammiferi. Ne accendo uno. Dove mi trovo, da qualche parte nel centro della grotta, sono troppo lontano per vedere le pareti o l'asta.
La fiamma mangia lo stecchino, mi brucia la mano, il fiammifero cade. Buio assoluto.
Rumore di detrito smosso. Un colpo metallico riecheggia, seguito dal frullo d'ali e dal cinguettio dei canarini in volo. L'eco ne fa il volo di uno stormo furioso.
Quel suono... l'asta che cadeva, e quindi l'uscita. Cammino in quella direzione.
I canarini, ciechi, schizzano per aria in ogni direzione. Più fanno rumore, più si impauriscono e volano ancora più forte in un ciclo folle.
Inciampo nell'asta.
La nota sonora dominante, il suono originale che dà vita a tutti gli altri, sparisce. Spariscono a cascata, uno dopo l'altro tutti i riverberi.
Due tonfi.
Con l'ultimo fiammifero accendo la candela, rasoterra. La luce più forte illumina i corpicini tremanti sul suolo.
Vado a prenderli. Nel palmo della mano boccheggiano. Hanno respirato damp. Troppo. Volando nel buio troppo impauriti per capire subito che non era aria quella inspirata.
Da qualche parte su di me galleggia un oceano di damp.
I canarini sono scossi da spasmi. Tenuti nel palmo, stringo una testolina tra due dita dell'altra mano e ruoto di scatto.
Anche l'altro.
Li poggio a terra e li copro con un qualche ciottolo.
Montagne di antracite protette da una sacca di damp mille volte più grande della più grande mai vista. Senza un uomo di fuoco questa sarebbe la trappola perfetta per uccidere un sacco di minatori. Senza qualcuno che bruci questo gas, sarebbe una trappola perfetta. Perfetta.
Spengo la candela, svesto gli stracci bagnati. Risalgo lungo i binari screpolati come le mie labbra assetate, la bocca impastata da far fatica ad aprirla. La schiena e le braccia distrutte a furia di gattonare, le ginocchia martoriate dagli spigoli delle pietre.
Riemergo nella luce arancione, diventa rossa con le palpebre chiuse.
«È tutto fatto?» La voce di mister gentiluomo.
Faccio sì con la testa. «Al fronte, dove c'era il filone.» Riprendo fiato. «Una grotta che non finisce mai, zeppa di antracite.»
«Mm, un cedimento forse. Sarebbe compatibile con la teoria. Ma... è sicuro di aver pulito tutto? La sua strumentazione dov'è?»
«Distrutta. Una fiammata tremenda… è un miracolo che sono tornato.»
Riapro gli occhi, sorride soddisfatto.
«Ha fornito un grande servigio al suo paese.»
Non sai quanto è vero. «Il nostro patto?»
Si gira verso i due attendenti e fa spallucce, si rigira verso me. «Garantisco che se dovessimo scoprire qualche persona sospetta, sarà il primo a saperlo.»
Il guercio e lo zoppo annuiscono.
Certo.
Tira fuori il fischietto, soffia tre fischi corti.
Lo zoppo porta un secchio pieno d'acqua e una spugna. Mi bagno le labbra.
Di nuovo suono di passi trascinati e stanchi. Nella luce arancione riappaiono i Knockers che stamattina cantavano. Fingono la stanchezza, le ferite incrostate, zoppicano persino.
Ci circondano, una mezzaluna nera.
Mister gentiluomo batte le mani per richiamare l'attenzione. «Gente, tutti alle baracche. Mangiate e riposate un po', avete tre ore, poi dovete essere qui. Paga doppia per chi vuole lavorare stanotte, se arrivate tardi non vedrete un Pence.»
La mezzaluna si scioglie, riprende la via per le baracche.
«La miniera a cui lavoravano è praticamente esaurita.» Mister gentiluomo indica la massa che si allontana. «Pensi che pur di avere altro lavoro hanno accettato tutti di fare uno straordinario. Stanotte scenderanno nella H-1 a puntellare e piazzare le porte per la circolazione aria. Le sono grati. Lo siamo tutti.»
La massa nera sparisce, inghiottita dalla strada oltre lo sperone di roccia. Arriva la loro voce.
Sono un piccolo minatore, lavoro giù nel sottosuol
La corda non si spezzerà, se vado su e giù
Che il fumo del mio olocausto salga in cielo, a deliziare l’altissimo.
Per quando ho fame è pane
Per quando ho sete birra.
Sarà una notte brillante.
Il letto per quando sono stanco
e paradiso quando morirò
L'ultima notte per tutti.
–Giacomo Puca–