Semifinale Polly Russell

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo giugno sveleremo il tema deciso da Wladimiro Borchi. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
Avatar utente
Spartaco
Messaggi: 997

Semifinale Polly Russell

Messaggio#1 » martedì 29 giugno 2021, 0:19

Immagine

Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Vivo nel Buio
Combattono in questa semifinale:

Olocausto, di Giacomo Puca
Voglio solo tornare a casa, di Cristina

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: mercoledì 30 giugno alle 23:59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 30 giugno. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



Cristina
Messaggi: 29

Re: Semifinale Polly Russell

Messaggio#2 » mercoledì 30 giugno 2021, 21:12

Voglio solo tornare a casa
di Cristina Di Rosa
(testo revisionato)

È notte fonda e non ci sono umani in giro.
Fluttuo leggero ad un palmo dall'asfalto, sotto i lampioni che illuminano a tratti i giardini freschi di taglio di una serie di villette in mattoni. Sono seguito a breve distanza dall'essenza di Lucia Remassi, anni ottantre, vedova.
La strada è deserta, gli umani dormono, non tutti forse, ma non è richiesta la mia presenza qui stanotte. Nessuno desidera vendicarsi con il vicino o mettere fine alla propria sofferenza, lo saprei.
Se mi avvicinassi alle abitazioni potrei intuire se dovrò tornare presto da queste parti, ma per stanotte ho già da fare.
Do un'occhiata alle mie spalle. Lucia avanza a piccoli passi, il capo chino a fissarsi i piedi. La sua essenza fumosa, che lascia intravedere l'auto nera parcheggiata dietro di lei, non nasconde il suo sguardo spento. Odiava tutti, si augurava di morire da anni, ed ora non era felice di essere giunta al termine di questo suo ciclo vitale.
Gli umani non smettono di incuriosirmi.
Avanziamo in silenzio.
La casa di Lucia si trova appena oltre la zona residenziale, dove inizia il bosco. È una vecchia villetta a due piani, l'intonaco grigio in più punti si è staccato e le persiane di legno cadono a pezzi. La luce di una lanterna ne illumina l'ingresso, tre scalini di legno malandati sono coperti da una tettoia in plastica.
Siamo arrivati. Mi avvicino all'entrata e mi volto allungando un braccio verso Lucia. La tunica che mi copre ondeggia, scoprendomi la mano che di umano non ha quasi più nulla. Le dita rinsecchite somigliano a quelle delle mummie. Meglio tenere coperto il resto del mio aspetto, non voglio dover recuperare un'essenza impazzita dallo spavento.
Lucia solleva la testa, le labbra sottili semiaperte, mi fissa con sguardo vaquo.
Sposto la mano verso la casa, indicandogliela. «Siamo giunti alla tua dimora.»
Lei avanza a piccoli passi, verso l'ingresso.
«È dunque questa la tua scelta?» le domando, abbassando il braccio.
Lei si ferma, il piede sul primo gradino, mi da le spalle. «Voglio solo tornare a casa.»
Le stesse parole che mi aveva detto in ospedale, quando ho accolto la sua essenza. Non aveva detto altro, ma a me bastava. Non doveva darmi motivazioni.
«D'accordo.»
Lucia indugia qualche secondo davanti alla soglia e attraversa la porta, scomparendo attraverso il legno scrostato.
Un miagolio mi fa voltare.
Un gatto nero con un collarino rosa sbuca da dietro la casa, sembra guardarmi. Si siede davanti alla porta, sotto la lanterna. La luce si spegne, immergendo l'abitazione e l'animale nell'oscurità.
Lascio quel luogo solitario, infilandomi tra le ombre del bosco. C'è qualcun altro che mi attende.

Affondo la pala nella terra, spingo con il piede per dare più forza. Ho il fiatone, il cuore mi batte a mille e mi tremano le gambe.
Mi piacerebbe sentire la voce della mia sorellina felice, d'ora in avanti potrà tornare ad esserlo.
Grazie Giorgio. Si mi ringrazierebbe per quel che ho fatto. O forse no.
La torcia che ho appoggiato a terra illumina i miei piedi. Ruoto le braccia, sollevando la zolla di terra e la rovescio di lato, sopra la fossa.
Mi appoggio di peso sulla pala. Non respiro. Non è solo per la fatica.
Calmati ora, il grosso è fatto, va tutto bene.
Il silenzio del bosco sembra volermi ammonire.
Non dovevo... ho ucciso, ho ucciso una persona. Sono un assassino.
La vista mi si appanna, cerco di stare dritto, stringo la mano sul legno del manico.
Lacrime calde mi scaldano le guance. Scivolo in ginocchio, la pala mi sfugge e cade a terra con un tonfo.
Ormai è fatta. Non posso tornare indietro.
Lo stomaco mi si contrae e vomito bile sulla terra smossa. Boccheggio, ho la mente annebbiata.
Sara, l'ho fatto per te. Il mostro non c'è più.

«È la mia parola contro la sua Giorgio, hanno detto così.» Sara, coricata sul divano, si tira la copertina di cotone sopra la testa e mi mostra la schiena. «Basta, ti prego, non voglio più parlarne.»
Stringo i pugni, in piedi davanti a lei. Cosa posso fare?
Roberto Calessi.Vorrei ammazzarlo, quel pezzo di merda. Ha negato tutto. Con mia sorella in ospedale, piena di lividi. La mia sorellina. Ha solo quindici anni e... Gli occhi mi si riempiono di lacrime e mi volto. Vado in cucina.
Mi siedo su uno sgabello e appoggio la fronte sul marmo della penisola.
Al momento le indagini sono in corso, faremo tutto il possibile. La legge sapeva solo dire questo? Possibile che a quel bastardo sia bastato usare un contraccettivo per passarla liscia?
Non sono state trovate tracce di... picchio la testa sul marmo, ma la voce piatta del polizziotto che parlava con i miei genitori, mi continua a martellare nel cervello.
L'ho cercato su Facebook, Roberto. So chi è. Ho la sua faccia stampata in mente.
Deve pagarla per quello che ha fatto, non può passarla liscia. L'ho cercato, ho chiesto in giro, ho scoperto dove lavora, ma lui non si fa trovare. Non ci sta neanche andando, a lavoro.
Ha paura e fa bene. Se mi capita tra le mani...
Ci ha rovinato la vita. Mamma e Sara continuano a piangere e papà sembra uno spiritato.
Non fanno nulla.
Mi hanno detto di smetterla, che per il bene di Sara dobbiamo dimenticare ed andare avanti, ma non ce la faccio.
Mi alzo, vado all'ingresso, lancio via le laciabatte e mi infilo le scarpe da ginnastica. Prendo il marsupio, le chiavi dell'auto, ed esco.
È quasi sera, i miei arriveranno tra poco, non ho voglia di un'altra cena depressiva in famiglia, di fingere che vada tutto bene e sorridere. Mi viene la nausea solo a pensarci.
Salgo sulla mia vecchia Ford ed accendo il motore. Che puzza di sigaretta, dovrei lavarla. Fa un caldo boia oggi, e l'aria condizionata non va. Pigio sui tasti dei vetri automatici e li abbasso tutti.
Devo distrarmi un pò. Andrò a bere una birra, magari Riccardo è in giro. Frugo nel marsupio, tiro fuori il telefono e gli mando un messaggio. Speriamo non sia con la donna anche stasera.
Intanto andrò a mangiare un panino al mcdonald, è da un sacco che non ci vado ed è fuori città, guidare un pò mi rilasserà. Parto.
Alzo il volume della radio, Virgin Radio picchia con il suo rock e copre la voce piatta del polizziotto che mi legge per l'ennesima volta le dichiarazioni di Sara. Sta zitto, tu.
Accelero. Imbocco la statale, do un'occhiata al telefono, non ci sono notifiche. Lo ributto sul sedile. Gli Aerosmith suonano "living on the edge".
L'anno scorso ero al loro concerto a Firenze in quello stesso periodo. Il loro ultimo concerto. Mi sembra passato un secolo. Canticchio la canzone e accelero di più.
Ecco il mcdonald. Intanto me la berrò da solo una birra. Mi infilo nel mcdrive ed ordino due hamburger ed una becks.
Ci sarà un posto all'ombra? In fondo al parcheggio, vicino al boschetto, mi metto lì.
Appoggio il sacchetto di carta marrone sulle gambe e lo apro. Il profumo di patatine fritte e di carne cotta mi avvolge. Il nodo allo stomaco si scioglie un pò. Prendo una patatina e l'addento, cerco la birra. La stappo con il portachiavi e ne bevo un sorso. È bella fresca e mi rigenera.
Ho fatto bene a farmi un giro. Devo uscire un pò di più di casa, sto impazzendo.
Prendo un hamburger, lo scarto per metà e lo addento. Fantastico. Come può essere così buona una fettina di carne surgelata buttata dentro due fette di pane precotto?
Fuori il tramonto sembra volermi dare una mano stasera, rasserenandomi con i suoi colori caldi.
Una ragazza apre la porticina del mcdrive e, con una breve corsa, consegna un sacchetto ad una macchina parcheggiata poco più avanti. Mastico il panino e la osservo rientrare velocemente dentro il locale. L'auto si sposta in un angolo isolato.
Appallottolo la carta dell'hamburger e prendo l'altro. Riccardo avrà risposto? Controllo il cellulare. Nada. Che palle.
Forse rifaccio il giro del mcdrive e prendo qualcosa anche per Sara.
Dall'auto di prima, scende un tizio con un cappellino bianco, camicia slacciata e jeans. Lo guardo avvicinarsi ad un bidone e poi tentare un tiro, con il sacchetto del cibo avvolto a palla. Manca il centro. Si avvicina al bidone e si china a raccogliere la spazzatura. Gli cade il cappello e un ciuffo di capelli biondi mi fa saltare qualche battito.
È lui. Come ho fatto a non riconoscerlo subito?
Roberto si guarda attorno, prende il cappello, se lo rimette in testa e va veloce verso la sua auto.
Ti ho beccato, stronzo.

Il respiro pian piano torna normale. Cerco la torcia e la afferro. Illumino davanti a me. C'è terra smossa tutt'attorno, ma sono lontano dal sentiero, nessuno passa mai da lì. Pareggio il terreno scavato. Sono andato abbastanza in profondità, il cadavere non dovrebbe riaffiorare con la pioggia, spero solo che qualche animale selvatico non venga a scavare proprio qui.
Un brivido di freddo mi corre lungo la schiena.
Sono completamente sudato, eppure mi sembra che l'aria si stia facendo più fresca.
Saranno gli alberi, sono in mezzo ad un bosco, farà sempre fresco lì, anche d'estate.
Mi rialzo aiutandomi con una mano appoggiata sul ginocchio. Mi spazzolo i vestiti. Macchie scure rimangono sulla t-shirt marrone e sui jeans. Non è terra. Dovrò far sparire quegli abiti, li brucerò. Voglio andare a casa, farmi una doccia calda e dimenticarmi di questa notte.
La macchina è parcheggiata in una careggia fuori dal bosco, è nascosta ma meglio andarsene prima possibile. Dovrò controllare anche lei, potrebbero essere rimaste macchie di sangue nel cofano o sul sedile e se la polizia dovesse...
Un fruscio tra le piante.
Mi irrigidisco. Punto la torcia tra i cespugli, il fascio di luce tremola come la mia mano.
Due occhi gialli mi fissano. Tremo, il cuore in gola, metto a fuoco l'animale.
Un gatto nero con un collarino rosa è fermo con una zampa alzata, abbagliato.
Faccio un sospiro di sollievo. Cosa ci fa un gatto domestico nel bosco? Non mi sembra ci siano case nei paraggi, ma probabilmente si allontanano parecchio di notte. Sono animali notturni i gatti, giusto?
Raccolgo la pala, ma con la coda dell'occhio sbircio il gatto, che ora si è seduto e si lecca il pelo tranquillamente. Che spavento mi ha fatto prendere. C'era così silenzio prima, che quel fruscio mi ha fatto perdere qualche anno di vita. Ne ho già persi abbastanza questa sera.
In effetti, c'è fin troppo silenzio. Le cicale? Non c'erano animali in quel bosco? Forse li avevo spaventati quando ero arrivato trascinando il corpo.
Faccio un lungo sospiro. Me ne devo andare. E quel gatto un pò mi inquieta, mi sento osservato.
Voglio tornare a casa. Farmi una doccia e dormire.
Ma resto fermo.
Perchè non riesco ad andar via? Un brivido mi corre di nuovo lungo la schiena. Sono solo, nel bosco, di notte, non è normale starsene li impalati senza un motivo, sopra una fossa con l'unica compagnia di un morto. E di un gatto.
Sbircio ancora verso il felino. Non sta più guardando me. Fissa un punto alle mie spalle, con gli occhi sgranati, immobile. Seguo il suo sguardo; non c'è nulla.
Il gatto rizza il pelo e comincia a ringhiare. Soffia minaccioso e scappa via.
Mi volto ed illumino in giro con la torcia. Cespugli immobili, alti fusti ricoperti di muschio. Buio.
Non c'è niente di strano, ma la paura mi stringe lo stomaco. Potrebbe sbucare qualunque cosa da lì in mezzo. Devo andarmene.
Sollevo la pala, la stringo in una mano, non si sa mai che mi serva usarla, e comincio a camminare a passo svelto verso l' auto. Con la torcia mi illumino attorno, mi fermo e do ancora un occhiata dietro di me, per sicurezza. Il gatto è sparito e non c'è nient'altro in giro. Meglio così.
Cammino, la mente sgombra. Un ramo, non inciampare. Mi abbasso per evitare un rampicante, controllo a terra dove metto i piedi con la torcia.
Il tempo sembra volare ed in pochi istanti sono all'auto.Mi sembrava di averci messo molto di più prima, all' arrivo.
Prendo la torcia tra i denti e frugo in tasca cercando le chiavi. Trovate. Apro la portiera e la luce all'interno dell'abitacolo si accende. Butto torcia e chiavi sul sedile e vado ad aprire il baule per metterci dentro la pala.
Lo richiudo un pò troppo forte e il rumore mi rimbomba nelle orecchie lasciandomi inebetito.
Mi guardo attorno, silenzio.
Salgo sull'auto e infilo la chiave nell'accensione.
Appoggio la testa contro il volante. Forza Giorgio.
Andiamo.
Giro la chiave, il motore si avvia silenzioso, metto la prima, accellero piano. La strada battuta davanti a me scorre come se stessi navigando su un fiume circondato dall'erba alta. Vado avanti, come un'automa. Metti la seconda, accellera. La radio tace.

Seguo l'auto grigia. Le luci rosse posteriori illuminano la strada di campagna come un tunnel per l'inferno. Un pensiero molto umano, non è da me.
Giorgio Pasotti, anni 23, ha percorso il suo solitario sentiero di sangue. La sua vittima, Roberto Calessi, anni 24, aveva concluso il suo ciclo vitale due ore prima ed il suo corpo mortale riposava tra gli alberi del bosco. La sua essenza non era rimasta bloccata, non c'era sulla sua fossa.
L'auto procede spedita. Vuole tornare a casa Giorgio. Lo seguo.
Il sentiero termina sulla statale e l'auto grigia la imbocca svoltando verso destra.
Uno schianto terribile illumina la notte di scintille.
Pezzi di vetri e lamiera schizzano via in tutte le direzioni.
L'auto grigia, infossata su tutto il lato sinistro, in una scia di fuoco, striscia diversi metri in avanti e si cappotta, rotola tre volte su sè stessa.
Si ferma sottosopra, fumante, una luce posteriore accesa, le altre tutte scoppiate. Un grosso camion con tutto il frontale schiacciato in basso, è fermo di traverso lungo la corsia. Un faro bianco è rimasto acceso.
Silenzio. Lungo la strada buia non passa nessuno.
Giorgio striscia fuori dal finestrino in frantumi, gattona, si allontana.
Si alza in piedi appoggiando le mani sulle ginocchia, e rimane piegato così, la testa sollevata verso l'auto. È incredulo.
Mi avvicino. Sono alle sue spalle. Giorgio rabbrividisce, si spinge con le mani sulle ginocchia e si raddrizza. Si volta e guarda verso il camion, il suo sguardo mi incrocia e i suoi occhi si sgranano.
Grida e indietreggia, cade all'indietro.
«Dio Santo! Mi hai fatto prendere un colpo! Ma chi... sei l'autista? Io non, non ti ho visto, credo che...»
L'umano sembra confuso, meglio aspettare. Si rialza e il suo sguardo scende lungo il mio corpo. Ora fissa i miei piedi, che levitano a qualche centimentro da terra, con la bocca aperta.
«Ma cosa...» L'umano fa un passo indietro, si volta verso la sua auto. Delle fiamme sbucano dal motore. La sua testa si gira da me al suo mezzo più volte.
Allungo una mano verso di lui, la tunica non la scopre. «Sono qui per te.»
Vedo attraverso la sua essenza il rosso delle fiamme che si fa più intenso e scivola dentro l'abitacolo dell'auto grigia, avvolgendo il corpo umano che giace ricoperto di sangue, schiacciato tra i resti dei sedili e del cruscotto.
Giorgio ha paura. Mi ha dato un nome. La morte. Molti mi chiamano così. Sta guardando l'auto e ha visto il suo corpo. È sconvolto, il suo spirito freme, non accetta quello che vede.
Capita spesso nelle morti violente che le essenze credano ancora di essere nel loro corpo.
Silenzio. L'auto viene completamente avvolta dalle fiamme.
Dal camion scende un uomo corpulento, con una ferita alla testa; si tiene le mani sul capo guarda ad occhi sgranati davanti a sè, oltre di noi, poi si volta, risale sul suo mezzo.
Sta chiamando i soccorsi. Ma sa che è successo qualcosa di irreparabile. Scende dal camion con il telefono in mano e corre verso l'auto, ci passa di fianco, cerca di guardare dentro, ma le fiamme sono alte.
Giorgio ha gli occhi spenti. Si volta verso i me, mi fissa i piedi.
Tengo il braccio teso verso di lui. «Il tuo ciclo vitale è concluso. Vai oltre.»
Non mi risponde.
La sua mente si è già persa, è tutto buio. Ha paura, non vuole restare da solo.
«Cosa vuoi fare?» gli chiedo. Ma so già la risposta.
«Voglio solo tornare a casa.»
Cristina Di Rosa

Avatar utente
Giacomo Puca
Messaggi: 257

Re: Semifinale Polly Russell

Messaggio#3 » mercoledì 30 giugno 2021, 22:56

Ecco il mio racconto modificato. Buona sfida e vinca il migliore!


Olocausto
Mettiamo che vi siete messi in testa di fare il minatore. Picconare per un Pence l'ora, dodici ore al giorno, vi suona meglio che continuare a fare la carità a Leeds o York.
Perciò scoprite in quale pub vanno a bere i minatori e una sera ci andate. Questi tizi barbuti, voi volete proprio averceli come colleghi, gli dite. E quelli sono felicissimi, ubriachi marci. Non credono alla fortuna di avere tra le mani uno sprovveduto come voi.
Bisogna passare una prova di coraggio che tutti hanno dovuto superare, dicono. A mezzanotte fatevi trovare al pozzo d'ingresso della miniera, con una fiaccola accesa. Loro vi caleranno e, quando sarete in fondo, dovrete fare trentatré passi nella miniera, cantando la canzone che usava la mamma per farvi dormire. Se avete il coraggio di farlo la mattina dopo siete dei loro.
Solo che non è vero, non c'è nessuna prova.
A questi bastardi interessa solo che tu faccia l'uomo di fuoco, a tua insaputa. Così, se durante la passeggiatina notturna becchi una sacca di gas, finisci arrosto. Tu crepi ma intanto per un po’ la miniera è sicura e loro vanno a lavorare tranquilli.
Uomo di fuoco lo si diventa così, oppure per evitare il cappio.
Io appartengo alla seconda categoria. Perciò mi svegliano a manganellate e mi trascinano per i corridoi della prigione, che fuori è ancora buio. Mi buttano in un'altra gabbia, di quelle attaccate a una carrozza. Mi siedo su un asse di legno con le caviglie strette nei ceppi. Niente cibo o acqua, però ti lasciano la bibbia di Re Giacomo.
Con la luce e l'aria gelata che entrano dalle feritoie, con la parola sacra che ballonzola sulle gambe, il viaggio inizia con Dio che fabbrica cielo e Terra. Trottiamo per la campagna tutta verde brillante di colline dolci come cucchiai rovesciati, e ci fermiamo solo quando in Egitto piangono il primogenito.
La gabbia si apre cigolando e due poliziotti mi scaraventano giù, nel fango gelido, insieme alla bibbia di Re Giacomo. Mi tiro su e pulisco la faccia.
Pozze di fango circondano il sentiero incastrato nel fondovalle, e più in là, oltre le pozzanghere, si impennano i versanti di erba scura e rocce.
Un gentiluomo saltella verso di noi evitando le pozze e ci è davanti. Si aggiusta ciuffi di capelli rossi sollevati dal vento. Lo fisso e fisso le guardie, un irlandese che puzza ancora di tetta e un vecchio baffone tutto rughe e borse viola sotto gli occhi. Nessuno dei tre abbassa lo sguardo, non battono ciglio.
Continuo a fissarli finché il baffone mi tira una manganellata sul fianco che mi svuota i polmoni, mi piega in due. «In piedi principino,» mi liscia la testa con il manganello, «non è una scampagnata.»
Mi tiro su in affanno, il fianco che pulsa.
L'irlandese sfila una lettera dalla tasca della divisa. Il gentiluomo la prende, strappa la busta, apre la lettera. Legge in silenzio, gli occhietti schizzano avanti e indietro e la testa si piega un po' di più a ogni riga letta. Quando ha finito la ridà all'irlandese.
«Mister Kemper, rieccola da queste parti.» Sistema il farfallino, «mi presento, Sono Raymond Hutton-Smith.»
«Piacere.»
«Il mio tempo è denaro, perciò i fatti. La Babbington Coal Company mi ha assunto per cercare, e trovare, nuove opportunità di sfruttamento. Purtroppo nei loro attuali possedimenti non ci sono nuova vie estrattive.»
«Eh, capita. Vorrà dir—»
«Tuttavia, con le ultime scoperte sulla teoria delle faglie, posso ragionevolmente affermare che nella vecchia miniera Hucknail-1, o H-1, il filone non sia affatto esaurito, ma sia solo in posizione leggermente diversa da quella dove l’avete cercato.»
«Saranno felici ai piani alti.»
«E anche lei, caro mio, dovrebbe. Se non fosse per la sua esperienza nella H-1, a quest'ora penzolerebbe, come si addice a… Sant’Iddio quegli innocenti.»
«Be' Mister...»
«Hutton-Smith. Raymond.»
«Ecco Ray, quelli non erano mica innocenti, fingevano solo di essere bambini. E ve lo scordate che vi aiuto a farne uscire altri da lì sotto.»
Il baffone si avvicina roteando il manganello. Il gentiluomo lo ferma con un cenno della mano, senza guardarlo. «Per carità, ci serve sano.» Mi osserva, strizza gli occhi. «Mister Kemper, ma lo sa che per graziarla abbiamo dovuto scomodare la regina Vittoria? Si degna di spiegarmi?»
Gli spiego quello che ho detto pure al giudice, che non erano bambini, ma Knocker che li avevano sostituiti. È un pezzo che lo fanno, solo che nessuno li riconosce. Nessuno tranne me, ovvio. Sono piccoli dettagli a tradirli, per esempio se li fissi abbassano lo sguardo, per non farsi scoprire.
Mister gentiluomo resta un pezzo a fissare il fango di una pozza, alla fine batte le mani. «Ho una proposta!»
Schiarisce la gola. Indica le colline, «solo in questa zona, il campo carbonifero della Babbington, ci sono nove miniere e millequattrocento minatori. Riaprire una miniera in più farebbe tanta differenza per questi…Knocker
Faccio di no con la testa.
«Ed è facile riconoscerli, tali Knocker?»
«Ah! È difficile. Persino quando li ho strozzati hanno fatto una faccetta impaurita, scalciavano pure. Parevano bambini veri.»
A mister gentiluomo la mano scatta a coprire un gemito della bocca, distoglie lo sguardo e si rimette a fissare il fango. «Se la impiccano perché rifiuta di aiutarmi,» torna a guardarmi, «allora abbiamo perso l’unico capace di trovarli. Lei.»
Questo damerino sembra scemo, ma le rotelle che ha in testa sono di prima qualità.
Annuisco. «Lo faccio.»
«Saggia scelta.»
Tirando un laccio che porta al collo, sfila dal panciotto un tubicino argentato e ci soffia dentro. Un fischio stride nella vallata. «Se non vi dispiace,» si rivolge alle guardie, «levategli le catene e seguitemi.»

Con una guardia alle spalle e una al fianco, seguo mister gentiluomo. Decine di baracche da minatore accatastate sul versante più dolce. L'altro fianco della valle è scosceso, costellato di speroni rocciosi. Superata una brusca curva attorno a uno spuntone si riesce a vedere l'ingresso dell'H-1, un frastagliato buco di culo nel suolo.
Il ripiano con cui si scendeva, stretti in quattro, non c'è più. La fune di un argano penzola, e a quanto pare oggi è destino che mi appendano.
Dalla direzione opposta del sentiero arrivano due tizi, ondeggiano come oche portando una carriola, un manico a testa. Sul pianale barcolla una botte all’impiedi, di quelle da birra scura, grande da poterci farci il bagno. I due, un guercio pelato e uno zoppo con i trucioli di tabacco tra la barba, fermano la carriola vicino al pozzo. Ex minatori inabili ai tunnel, riciclati come servetti per mister gentiluomo.
I servetti si tirano su le maniche e affondano le braccia nel barile, dentro un'acquaccia marrone. Tirano fuori un paio di grossi stracci zuppi e li lanciano, colpiscono terra con lo stesso rumore che ha fatto O ‘Riley dopo che ha tolto una trave di troppo dai sostegni.
Mi aiutano a infilare la roba, una calzamaglia e un tabarro con cappuccio. Sono cuciti con la iuta, ma per la puzza e il peso potrebbero essere fatti di scrofa annegata. Quando trovo il buco per la testa e la tiro fuori, il guercio mi dà una scatola di fiammiferi Bryan & May e un'asta di ferro, cava, con una candela di sego innestata in punta. Se pianto a terra l'asta, è alta da doversi mettere sulle punte per accendere lo stoppino.
Un gancio sbuca un palmo più in giù della candela e lo zoppo ci appende una gabbietta con due canarini spelacchiati.
Mister gentiluomo in persona mi lega la fune in vita. «Meglio che al collo, Mister Kemper, non crede?»
Sputo nel pozzo.
Faccio un passo verso il baratro, stacco anche l'altro piede da terra, penzolo sul nero.
Il guercio sfila il piolo che blocca l'argano, lo zoppo gira la manovella. A ogni giro scendo un po'. Se la corda si spezza o lo zoppo perde la presa, divento la supposta più veloce mai vista.
L'aria luminosa si appanna e si scalda. Strati di roccia mi scorrono davanti, sempre più scuri finché è così buio che si distinguono solo dall’odore. Muffa umida, crosta di pipa, morchia.
Senti odore di uova marce? Morto. Di colpo non senti più nessun odore? Morto lo stesso. Di vapori che ti ammazzano qui sotto c'è n'è quanti ne volete ma all'uomo di fuoco ne interessa uno soltanto. Senza odore, colore o sapore, il grisù se ne sta’ in agguato nelle sacche, pronto ad arrostirti. Ne respiri troppo e sei morto. Se scoppia invece di bruciare, tutti questi stracci bagnati sono utili quanto la birra per curare lo scolo.
Per dire, in quanti modi ti può uccidere questo lavoro.
Tocco terra, la corda si affloscia. Allargo il nodo ed esco. Non esistono occhi capaci di adattarsi a questo buio.
Coi piedi trovo i binari, mi metto carponi. Stringo l'asta in una mano, l'altra la uso per seguire i binari. Se non hai cinque anni o sei un nano, l'unico modo per avanzare qui sotto è gattonare. Allungo l'asta in avanti, inclinata quel poco che basta per avvicinare la gabbietta alla volta. Con questo buio è tutta questione di immaginazione. Coi canarini a mezz'aria recito un padre nostro. Se i canarini non reagiscono, poggio l’asta a terra. Avanzo fino alla gabbia, riprendo l'asta e faccio tutto d'accapo. Avanti così fino a fondo miniera, coi ciottoli che bucano le ginocchia e le scaglie di ruggine che si staccano dai binari e si piantano sotto le unghie. Strisciare stretti, come vermi che risalgono dal culo e danno un gran prurito. Lungo il tunnel risuona il cip cip dei canarini e lo sguazzare dei miei stracci.
A ogni avanzamento cerco le buche che nessuno ha ricoperto. Se ti mandano in miniera da piccolo, inizi come trappatore. La miniera è divisa in segmenti da porte e ogni porta ha la sua buca con un piccolo trappatore infilato dentro. Appena senti il vagone che arriva, tiri la corda. La porta si apre, il vagone passa. Allenti la presa, la porta si chiude. È l'unico modo per far girare l'aria. Ti addormenti e rischi una carneficina, così ognuno che passa ti dà una sberla, tanto per non rischiare.
Bambini che vedono il Sole soltanto di domenica, infilati nelle buche con l'acqua stagnante e i topi che corrono sotto i vestiti. E sempre con un gran mal di testa.
Le porte della H-1 le hanno tirate via per usarle in altre miniere, come pure la maggior parte dei sostegni. Resta solo da contare i buchi per sapere a che punto sono.
Allungare l'asta, pregare, strisciare.
Ho superato la quarta buca che al “sia fatta la tua volontà” i canarini fanno un cip più acuto e frullano le ali più del solito. Ritiro l'asta, appoggio la testa alla gabbia. Ansimano. Continuo la preghiera e al “liberaci dal male” non sono più in affanno.
Gattono all'indietro fino all'ultima buca e ci infilo la gabbia. Sfrego un fiammifero, lo avvicino allo stoppino della candela. La luce tremolante fa male agli occhi. Spingo l'asta in avanti, quanto più lontano possibile. Mi allungo e avanzo strisciando lungo i binari rossi di ruggine, con le pietre che tagliano la faccia e la bocca che si riempie di detrito. La fiamma ballonzola a un palmo della volta irregolare e di colpo c'è una rientranza verso l'alto, un bubbone scavato in cui faccio salire la fiamma.
Boato. Una fiammata blu, sfrangiata di viola, allaga lo spazio in ogni direzione. Mollo tutto e mi appiattisco a terra, con le mani sotto la pancia. Caldo rovente sulla schiena e sulla testa e sul culo.
L'eco della deflagrazione corre lungo il tunnel, il grido di un dannato trascinato all'inferno per i piedi.
Trattengo il fiato, i resti del gas bruciato sono fetidi. E, tanto per cambiare, respirarli ti uccide.
Con la schiena che scotta, riprendo l'asta e striscio all'indietro, fino ai canarini che cinguettano isterici. Giro su me stesso e ripercorro in fretta i binari per il pozzo d'ingresso.

A fondo pozzo mi infilo nel cappio e strattono la corda.
La fune si tende e inizio a salire. In alto appare un puntino luminoso di cielo che si allarga. L’aria si fa più fresca.
L'ultimo pezzo di salita devo farlo a occhi chiusi per quanto è forte la luce. Mi aiutano a uscire, allargano il nodo, lanciano un paio di secchiate d'acqua per ribagnare i vestiti.
Una moltitudine di voci canta in lontananza.

Sono un piccolo minatore, lavoro giù nel sottosuol
La corda non si spezzerà, se vado su e giù

Apro gli occhi. Mister gentiluomo ha una faccia soddisfatta, le guardie non ci sono.

Per quando ho fame è pane
Per quando ho sete birra.

È una vecchia canzone da minatori. Della candela resta un mozzicone storpio, i canarini zampettano neri come cornacchie. Io, un merlo di ottanta chili.

Il letto per quando sono stanco
Il canto si avvicina. L'acqua che mi hanno lanciato è diventata una pozza nera ai miei piedi.

e paradiso quando morirò
Con la mano a coppa prendo dell'acqua. Fredda da spaccare i denti, la risputo torbida e grigia.
Dalla strada nascosta dallo sperone non arriva più il canto, solo un passo trascinato.
Con la lingua tolgo la fanghiglia ruvida che ho tra i denti, sciacquo di nuovo. Bevo un sorso saporito che rimpolpa lingua e gola.
I primi minatori riuscivano da sotto terra smaniosi di bere qualsiasi cosa, e finivano per bersi pure tutto il carbone che avevano in bocca. Così tanto da finire avvelenati.
Per dire in quanti modi ti può uccidere questo lavoro.
Lo zoppo infila una candela nuova sull'asta annerita.
Dalla strada sbuca una fiumana di minatori. Neri di carbone e tutti vicini da sembrare sciami di occhi che fluttuano nel buio. Occhi piccoli da bambini e dolci da ragazza. Occhi tristi da uomini. E i miei canarini, cazzo se impazziscono. Saltellano e gridano. La massa umana ci passa davanti e i canarini si pietrificano, fermi nemmeno se avessero visto una volpe. Solo il gargarozzo annerito si muove, sale e scende in una deglutizione nervosa, mentre fissano quelle persone. E anche io li fisso. Negli occhi.
Uno dopo l'altro quegli occhi si abbassano o si girano, ogni volta che li incrocio. E allora capisco. I miei canarini hanno sentito il sapore della miniera, del grisù, del carbone, e li hanno riconosciuti subito. Knocker, tutti.
«Ehi Mister Kemper! È con noi?»
Mister gentiluomo ferma una pacca a mezz'aria, incrociando il mio sguardo.
Gli indico il pozzo. «Devo tornare giù.»
«Bene.»

Per dire quanto è facile morire in miniera, pensa che sei lì che spingi un vagone, o spali o tiri la tua corda e di colpo – Thump! Thump! –. Da qualche parte dentro la roccia senti colpi di piccone. Sono Knocker che cercano di far collassare il tunnel. Oppure hai perso la pala, e la cerchi e ti allontani, o hai finito le candele e devi stare al buio a scavare. È allora che i Knocker ti trascinano in qualche buco, ti fanno a pezzi e uno di loro prende la tua pelle e la indossa. Sembrerà te, quando esce dalla miniera.

Ritrovo il terzo buco da trappatore. All'idea di tutti quei Knocker lì su, con mister gentiluomo che ce li ha sotto il naso e non lo sa, con tutto il gas che mi aspetta, faccio quello che facevo per scacciare la paura quanto stavo nel buco. Recito la sacra parola.
Una mano spinge l'asta, l'altra segue la ruggine dei binari. Conto le buche e finisce la genesi. Finisce l'esodo e il levitico. Alla ventiquattresima buca Dio istruisce sul sacrifico. Esemplari maschi in salute, da scannare davanti all'eterno. Il sangue da schizzare sull'altare e l'animale da fare a pezzi e bruciare così che quel fumo salga a deliziare l'altissimo.
Il suono dei ciottoli che ho spostato col ginocchio è… diverso, riverbera. Do un colpetto al binario con l'asta e un Deng! risuona copioso come l'amen nella cupola della cattedrale di York. Tossisco, e una folla nel buio tossisce una copia identica della mia tosse.
Con la mano seguo i binari. Spariscono sotto il detrito che prende a salire. L'asta, la inclino in su e quando dovrebbe colpire la volta non succede. Persino in verticale non colpisco niente. La tengo dritta e incastro la base nel detrito. Trattengo il fiato. Nessun ansimare. Il cuore mi pesta nelle tempie. Mi inginocchio e i canarini non si sentono. Mi metto in piedi, avvicino l'orecchio alla gabbia e la scuoto un po'. I canarini svolazzano e cinguettano.
Espiro.
Dove diavolo è finito il tunnel?
Sfrego un fiammifero, il chiarore si diffonde traballante. Il tunnel è lì, qualche passo indietro, solo che… finisce. Finisce dentro una grotta, grande che la luce non illumina i confini. Avanzando idealmente lungo il binario, brucio un fiammifero dietro l'altro. Ne restano un paio, oltre quello acceso, quando la parete brilla davanti a me. Il luccichio sale in alto senza fine. Un muro di brillante antracite, il carbone più prezioso.
I canarini non si sentono più.
Panico, mi lancio all'indietro, i passi riverberano da ogni punto. Due fiammiferi. Ne accendo uno. Sto da qualche parte nel centro della grotta, troppo lontano per vedere le pareti o l'asta.
La fiamma si mangia lo stecchino, mi brucia la mano, il fiammifero cade. Oscurità.
Rumore di detrito smosso. Un colpo metallico riecheggia, seguito dal frullo d'ali e dal cinguettio dei canarini in aria. Gli echi trasformano i due uccellini in uno stormo furioso.
Quel suono... era l'asta che cadeva. L'uscita. Cammino in quella direzione.
I canarini, terrorizzati dal rumore, schizzano in ogni direzione, facendo ancora più rumore, in un ciclo folle.
Inciampo nell'asta.
La nota sonora dominante, il suono che origina tutti gli altri, sparisce. Spariscono a cascata, uno dopo l'altro, tutti i riverberi.
Due tonfi.
Con l'ultimo fiammifero accendo la candela, rasoterra. La luce più forte arriva a illuminare i corpicini.
Vado a prenderli. Nel palmo della mano boccheggiano, sintomi inconfondibili. Hanno volato troppo impauriti per capire che non era aria, quella che respiravano.
Da qualche parte su di me galleggia un oceano di grisù.
I canarini sono scossi da spasmi. Tenuti nel palmo, stringo una delle testoline tra due dita dell'altra mano e ruoto di scatto.
Faccio lo stesso all'altro canarino.
Li poggio a terra, copro i corpicini con un qualche ciottolo.
Montagne di antracite protette da una sacca di gas mille volte più grande della più grande sacca mai vista. Senza l'uomo di fuoco a disinnescarla, sarebbe la trappola perfetta. Perfetta per uccidere un sacco di minatori. Perfetta, per uccidere chiunque. Perfetta.
Spengo la candela, svesto gli stracci.
Risalgo lungo i binari. La bocca impastata di saliva e polvere di carbone, le labbra spaccate che toccandole non le distinguo dai binari. La schiena e le braccia distrutte, bruciano a furia di gattonare, le ginocchia martoriate dagli spigoli delle pietre.

Riemergo nella luce arancione, diventa rossa con le palpebre chiuse.
«È tutto fatto?» La voce di mister gentiluomo.
Annuisco. «Al fronte, dove c'era il filone.» Prendo fiato. «Una grotta, zeppa di antracite.»
«Mm.» «Forse un cedimento, sarebbe compatibile con la teoria, ma— È certo del suo lavoro? Non le vedo indosso la strumentazione.»
«Una fiammata paurosa.» Sbuffo. «È un miracolo che qualcosa torni da là sotto.» Apro le palpebre, Mister gentiluomo mi guarda a occhi sgranati. Sorrido.
Sorride di rimando. «Ha fornito un grande servigio al suo paese.»
Non sai quant'è vero. «E il patto?»
«Sul mio onore, al primo sospetto la convocherò immantinente.» Si gira verso i due attendenti, fa spallucce.
Il guercio e lo zoppo, li fisso. Mi fissano annuendo.
Certo.
Tre fischi corti e secchi rompono il silenzio, mi giro e Mister Gentiluomo si sta rinfilando il fischietto nel panciotto.
«Voglio subito farle capire quanto è importante ciò che ha fatto, mister Kemper, e... ehi mister Kane, per carità porti qualcosa al nostro uomo di fuoco!»
Il guercio scatta sull'attenti e mi porta un secchio d'acqua e una spugna; la inzuppo e mi bagno le labbra.
Dal sentiero arriva di nuovo il suono di passi trascinati.
Dalla strada riappare la massa dei Knocker di stamattina. Bocche mezze aperte, passi ciondolanti. Tanto sono capaci di fingere la stanchezza. Teste, mani, e gambe avvolte in bende sanguinanti. Tanto sono capaci di fingere le ferite.
Ci circondano, una mezzaluna nera.
Mister gentiluomo batte le mani per richiamare l'attenzione. «Signori lo so bene che avete lavorato tutto il giorno, ma per chi di voi stanotte vorrà lavorare garantisco paga doppia. Tre ore per mangiare e riposarvi, poi qui. Se arrivate tardi non vedrete un Pence.»
La mezzaluna si scioglie, riprende la via per le baracche.
«Volevo che la vedessero e che lei li vedesse.» Mister gentiluomo indica la massa che si allontana. «L' H-3 è quasi esaurita, e lei gli ha appena dato un nuovo lavoro. Pensi che, pur di lavorare, stanotte scenderanno nell' H-1 a puntellare e rimettere le porte di aerazione. Le sono grati.»
La massa nera è ormai sparita, inghiottita dalla strada oltre lo sperone. Arriva però la loro voce:

Sono un piccolo minatore, lavoro giù nel sottosuol
La corda non si spezzerà, se vado su e giù

Che il fumo del mio olocausto salga in cielo allora, a deliziare l’altissimo.

Per quando ho fame è pane
Per quando ho sete birra.

Sarà una notte brillante.

Il letto per quando sono stanco
e paradiso quando morirò

L'ultima per tutti.
–Giacomo Puca–
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

Avatar utente
Polly Russell
Messaggi: 812

Re: Semifinale Polly Russell

Messaggio#4 » sabato 3 luglio 2021, 14:46


Devo dire che ho passato un’oretta piacevole leggendo i vostri racconti, me li sono goduti nonostante una colonia di zanzare tigre stesse banchettando con le mie caviglie, in riva al Tevere.
Entrambi con pregi e difetti, ma entrambi piacevoli. Il migliore, dal mio modesto punto di vista è OLOCAUSTO di Giacomo Puca. Grazie ad entrambi per avermi intrattenuto.


VOGLIO SOLO TORNARE A CASA di Cristina Di Rosa
Ciao Cristina, piacere di leggerti.
Mi piacciono i punti di vista separati e i salti temporali ma su così poche battute si rischia di andare in confusione. Avresti potuto mettere uno dei due pdv in corsivo, per esempio.
Apprezzo la ricerca dello show don’t tell, ma in alcuni punti è eccessivo e crei un effetto telecronaca poco piacevole. Un esempio, l’ingresso in macchina di Giorgio. In quelle condizioni non avrei notato la puzza di sigaretta e comunque non lo avrei fatto in quel modo, sei in prima, sfogati! Magari un “cazzo, che puzza! Devo smettere di fumare in macchina.” Tra l’altro, visto che in alcuni punti sei molto precisa, dove non lo sei, si nota. Al Mc per esempio (tra l’altro non credo che servano birre in bottiglia) lui ordina due hamburger poi si ritrova con delle patatine di cui descrivi odore e sapore.
C’è qualche dialogue tag di troppo, per esempio qui
«È dunque questa la tua scelta?» le domando, abbassando il braccio.
stai narrando in prima e fai una domanda, il dirlo non serve a nessuno. Per il resto la narrazione è fluida e piacevole.
Non capisco a cosa ti serva il pdv della morte, in realtà non capisco proprio a cosa ti serve quel personaggio, la storia si regge da sola, la morte non ci fa nemmeno da narratore perché ci descrive solo l’incidente, ma la storia ce la racconta tutta Giorgio dal suo pdv. Introduci la signora Remassi e la lasci lì. A cosa ci serve? Non ci spiega nemmeno che tipo di morte sia il pdv, perché da quello che dice sembra si occupi solo di morti violente, invece la signora Remassi muore in ospedale a seguito di una qualche lunga malattia. Non ci dice nemmeno cosa fa con queste essenze o dove le accompagna. A casa propria? E perché?
Oltretutto usi l’archetipo per eccellenza: tunica nera, mani scheletriche e fluttua, le manca la falce, ma non è la morte. Se scegli un archetipo usalo fino in fondo, almeno il lettore sa già con chi ha a che fare e tu hai la strada spianata.
Mi sarebbe piaciuta un po’ di azione, spendi caratteri su caratteri per descriverci cosa mangia da Mc e non ci descrivi l’omicidio?
L’aderenza al tema c’è, Giorgio si ritrova da solo nel buio, anche se avrei preferito capire come ci è arrivato, perché lo avevamo lasciato al Mc con istinti omicidi.
L’uccisione necessaria c’è, l’animale pure, ma è messo lì un po’ per forza. Magari potevi far seppellire lo stupratore a due passi da casa della signora Remassi, avrebbe avuto più senso il gatto e avresti collegato le varie scene.
Tirando le conclusioni, ho letto il tuo racconto con piacere, buona parte degli appunti che ti ho fatto sono sottigliezze, il vero macro appunto è trovare un legame tra i due personaggi narranti che non sia solo il fatto che la morte passa e falcia persone a caso.


OLOCAUSTO di Giacomo Puca
Ciao Giacomo! Ben trovato.
Ho una specie di orticaria per chi infrange la quarta parete, se non è poliamoroso e non ha una tutina in latex rosso, quindi quando esordisci con
Mettiamo che vi siete messi in testa di fare il minatore.
mi hai fatto prendere un colpo. Mi sono detta, “no cacchio!”
E invece… cacchio, l’ho detto davvero, ma per il motivo opposto! Sei riuscito a convincermi con un narratore che odio e addirittura a farmi empatizzare con il protagonista, che è un pazzo assassino di bambini. Mica poco.
Lo scorrere del tempo dato dalla lettura della Bibbia è stata la ciliegina sulla torta.
Veniamo agli appunti. Per quanto la mia vena sadica apprezzi che qualcuno venga svegliato a manganellate, userei il termine bastonate. So che il manganello è entrato in uso proprio in quel periodo lì, ma è un po’ come il discorso del pollice verso per i gladiatori, se dici manganello, io penso alla fine del 1900, con “bastonate” ti levi dalle scatole le rompipalle come me.
Ci sono delle parti tell che potresti evitare senza far perdere la freschezza che hai scelto per la narrazione, un esempio
gli spiego quello che ho detto pure al giudice, che non erano bambini, ma Knocker che li avevano sostituiti. È un pezzo che lo fanno, solo che nessuno li riconosce. Nessuno tranne me, ovvio. Sono piccoli dettagli a tradirli, per esempio se li fissi abbassano lo sguardo, per non farsi scoprire.
te la potevi cavare con un dialogo. O questo
Annuisco. «Lo faccio.»

La parte nel cunicolo finché raggiunge la grotta più grande è un po’ confusionaria, ho dovuto rileggere per avere bene il quadro, e inizi parlando al plurale per poi continuare al singolare.
Tema centrato e bonus anche.
Detto questo, mi è proprio piaciuto e proprio perché mi è piaciuto tanto che ci sono rimasta malissimo nello scoprire che era un cacchio di squilibrato serial killer! XD ma questo è solo perché ormai mi ero affezionata e lo volevo eroe senza macchia e senza paura. Apprezzabile anche il lavoro di ricerca e il fatto che tu non lo faccia notare al lettore opprimendolo di termini tecnici, dandoci modo di capire di cosa stai parlando senza correre su Wiky. (ora so perché il draghetto pompiere si chiamava Grisù)
Complimenti.

Polly

Torna a “La Sfida a Vivo nel buio”

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti