Andrà tutto bene
Inviato: domenica 15 agosto 2021, 16:43
Un nuovo giorno. Gahlafil si voltò, convinto di vedere il letto, con Sergio che ancora vi dormiva nelle prime luci dell'alba.
Invece non c'era nulla. Solo un soffuso candore ovunque. Un brivido lo percorse, freddo e caldo insieme, mentre alzava lo sguardo sopra la propria testa. Sapeva cosa avrebbe visto. Un pentacolo, circondato da segni esoterici e scritte in lingue dimenticate, fluttuava pochi centimetri sopra di lui. L'ira lo avvolse. Gahlafil fece appello alla sua natura per ritrovare la calma, ma nemmeno la sua innata tolleranza gli evitò di urlare al cielo con voce tuonante, così diversa dalla sua solita cadenza soave e pacata.
«Avahdrel!»
Sergio aprì un occhio. Uno solo, come per convincere il cervello di stare dormendo. Cosa che non aveva fatto per tutta la notte, salvo brevi sonnellini che lo lasciavano più stanco di prima. Le cinque e mezza. Si sarebbe dovuto alzare di lì a mezz'ora, ma ormai la notte era persa.
«Tanto vale» borbottò, attento a non svegliare Serena.
Entrò in bagno e gli parve che la persona che gli restituiva lo sguardo dallo specchio fosse un perfetto sconosciuto.
«Ma sono io?» chiese, mentre apriva il rubinetto dell'acqua calda della doccia. Si passò una mano sugli occhi e sospirò. «Colpa di queste occhiaie. Sembro mio nonno» disse, infilandosi sotto l’acqua.
La doccia lo aiutò a svegliarsi un po’. Uscito dal cubicolo, si guardò di nuovo allo specchio. Non sembrava diverso. Si sentiva diverso. E no, non erano le occhiaie, o la notte insonne; e nemmeno l'ansia per il nuovo lavoro. Era come se qualcuno lo stesse incitando da spalti invisibili, con striscioni e trombette da stadio.
«Bah» disse, iniziando a vestirsi. «Speriamo solo che vada tutto bene sul serio».
«Ciao, amore» disse Serena quando Sergio entrò in cucina. Sul tavolo c'era del pane tostato, un vasetto di marmellata di lamponi e una tazza di English Breakfast.
«E questo?» chiese Sergio, sorridendo mentre sedeva al proprio posto.
«Sorpresa!» rispose sua moglie. «Oggi inizi il lavoro dei tuoi sogni, ti serve il giusto sprint».
«Quante volte mi avrai preparato la colazione in sette anni di matrimonio?» chiese lui sornione.
«Oh, più di quanto vorresti far intendere, salame».
Lui le prese la mano e le posò un bacio sul dorso. «Grazie».
«Di niente. Ora vado a lavarmi anch’io... quanto ci sei stato in bagno, accidenti?» scherzò lei, e uscì dalla cucina. Quando tornò, Sergio stava finendo il suo tè.
«Allora» disse Serena, «come hai dormito?»
«Mm» rispose lui, e posò la tazza nel lavello.
«Ci avrei giurato. Ma su, vedrai che andrà benissimo».
«Speriamo».
«Ne sono sicura. Mica è la prima volta che parli in pubblico».
«Sì, certo. Ma un conto è una platea di possibili acquirenti, un altro sono venti o più studenti a cui non interessa granché scoprire perché Garibaldi è andato in Sicilia o quando hanno sganciato la bomba su Hiroshima».
«Ma non essere così negativo. I giovani sono sempre sottovalutati. A molti di loro interessano queste cose. E comunque sei un ottimo oratore, vedrai che penderanno dalle tue labbra».
«Sarà».
«Ehi!» disse Serena, prendendo Sergio per un braccio, «basta con 'sto muso lungo. Finalmente stai iniziando il lavoro che hai sempre desiderato, un po' di ottimismo!»
«Sai, hai ragione. E poi, ti dirò, io sono un ansioso di natura, lo sai... ma stamattina, boh, non so. Mi sento diverso. Nel team vincente, per così dire!» si avvicinò a Serena e le si lanciò addosso con tanta foga da farle sbattere la testa contro lo sportello della cappa.
«Ehi! Ok l’entusiasmo, ma non mi devi mica ammazzare!».
«Scusa amore, non volevo farti male».
«Tranquillo, niente di grave. Ora vai però, che è tardi… ehi, ricordati la mascherina!»
«Cazzo, giusto!» disse Sergio correndo a prenderne una dal cassetto, «più di un anno che giriamo con ‘ste cose e ancora me le dimentico».
L'Istituto Superiore Parini sorgeva in fondo a un grosso piazzale, nel quale Sergio lasciò la Panda dopo il viaggio in auto più strano della sua vita. Mai aveva inveito con tale veemenza contro gli altri automobilisti. Senza contare quel sorpasso azzardato che gli era quasi costato un frontale con una Honda bicolore.
Orde di teenager arrivavano da ogni direzione, tutti con la loro mascherina appresso.
Chissà quali di loro saranno i miei studenti? si chiese. Era maggiorenne e vaccinato e veniva da anni come vice direttore di un'azienda. Aveva affrontato squali e vipere e ne era quasi sempre uscito vincitore. Eppure, la vista di quel branco informe di gioventù ridanciana lo metteva a disagio.
Poi, però, la paura svanì. Così, come per incanto. Qualcosa, forse l'istinto, gli disse di alzare il mento e raddrizzare le spalle. Si voltò, prese la borsa dal sedile posteriore e richiuse la portiera, per poi avviarsi con fare sicuro verso il portone.
«Ma che fai, amico? Dai, raddrizza 'ste spalle e tira su 'sto mento».
Avahdrel sfiorò la schiena e il viso di Sergio.
«Ecco, così. Bravo. Ci vuole autorevolezza. Ora in segreteria… perfetto, bravo, fai 'sta presa di servizio così ci rilassiamo».
Avahdrel si allontanò leggermente dal suo protetto, che doveva solo compilare scartoffie e se la sarebbe di certo cavata da solo, e ne approfittò per guardarsi attorno.
Lì sì che ce ne sarebbero state di anime da raccogliere! Ormai aveva abbandonato quella vita, o almeno ci stava provando. Ma tanto ben di Dio gli fece comunque girare la testa.
Ragazzi soli, ragazzi innamorati della persona sbagliata, ragazzi con famiglie disagiate, ragazzi con relazioni tossiche... E ognuno di loro, dal più felice al più problematico, aveva il suo Angelo custode. Avahdrel alzò una mano e li salutò tutti con frulli delle dita, ricevendo in cambio i soliti sguardi sconvolti e curiosi.
Avahdrel sapeva di avere poco tempo. Gli Angeli non potevano muoversi dal loro posto accanto al loro protetto per fare la spia; ma il Grande Capo, lassù, si accorgeva sempre di tutto. Magari non subito. Insomma, con un mondo intero da gestire... e che mondo. Guerre, fame, carestie, brutalità di ogni tipo. Avahdrel pensava ogni tanto che il Capo avrebbe dovuto mandare giù un altro bel diluvio, per ripulire un po' le cose.
Invece no; Lui, come un padre amorevole, attendeva; sperava; dava fiducia a quei suoi figli così confusi e dispersi.
Anche per questo Avahdrel aveva deciso di cambiare fazione. Ne aveva abbastanza di cattiveria e meschinità. Solo l’idea di circuire un altro umano gli dava la nausea. Voleva vivere in quella speranza, credere che anche in lui ci fosse del buono. Da secoli si sentiva a disagio, ma aveva comunque continuato, pur controvoglia, a fare il suo dovere.
Finché non era arrivata quella pandemia. Da più di un anno l'umanità combatteva contro un virus fino ad allora sconosciuto. Avahdrel aveva pensato che alla fine Dio si fosse stufato, e che quel Covid-19 fosse la versione due punto zero del diluvio di Noè.
Invece no. L'umanità aveva sofferto, e ancora soffriva. Ma era sopravvissuta. Era ripartita. Ci provava, quanto meno. E anche se i cartelli “ne usciremo migliori” che erano spuntati come funghi alla fine non avevano avuto ragione, qualcosa di bello c’era stato. Chi aveva donato denaro, chi tempo, chi cibo e medicine. Chi addirittura la propria vita. Chi anche solo una buona parola, un pensiero di speranza.
Quindi forse Dio, alla fine, aveva ragione con la storia del diluvio. Perché dai, in fondo l'umanità non è che fosse poi tutta da scartare.
Avahdrel era ancora perso in questi pensieri, quando Sergio finalmente uscì dalla segreteria. C'era un alone più scuro sotto le sue ascelle e una goccia come di rugiada gli brillava sulla tempia sinistra.
«Diamine, amico. Fai venire l'ansia anche a me! E che sarà mai?» disse. «Ok, ora devi andare in classe. La sai, la strada?» chiese.
Sergio si immobilizzò, come in preda a un pensiero improvviso. Accanto a lui stava passando un uomo piuttosto in carne che avanzava rapido con un portatile in mano.
«Ehm, scusa?» chiese Sergio.
L'uomo, che portava una mascherina dai colori psichedelici e un paio di occhialetti alla John Lennon, si fermò a guardare il nuovo arrivato.
«Dimmi, posso esserti utile?».
«Sì, per favore. Devo andare in 4A. Sai dov'è?».
«Certo! In fondo al corridoio, sali le scale e te la trovi praticamente davanti. Sei il supplente di storia, giusto?».
«Già. Sergio, piacere».
«Gianluca. Piacere mio. E buona fortuna, con la 4A. Un bel battesimo del fuoco!» Sergio rimase fermo a guardare il collega che si allontanava ridacchiando.
«Non ti preoccupare, amico! Io ne so qualcosa di demoni e demonietti. Se quei ragazzacci ti tratteranno male, so io come sistemarli».
In quel momento suonò la campanella delle otto.
«Forza, Sergio, è arrivato il momento! Corri!»
Sergio, come destatosi da un breve sonnellino, si incamminò verso la 4A. «Più veloce, la puntualità innanzi tutto» gli disse Avahdrel quando fu ai piedi delle scale, e gli diede una leggera pacca sulla schiena.
Fretta. All'improvviso arrivare in classe di volata sembrava essere l'unica cosa giusta da fare. Sergio prese a fare gli scalini a due a due, come in preda a un raptus.
Due... quattro... sei... otto...
Aveva quasi battuto il suo record personale di velocità in salita scale, quando un piede decise di posarsi di sghembo sullo scalino. Sergio planò in avanti, crollando miseramente contro il pavimento di linoleum. La borsa, che lui aveva scordato di chiudere, nella caduta pensò bene di spargere tutto il suo contenuto. Il quadernone ad anelli, il telefono, il tablet, le chiavi dell'auto, l'astuccio che aveva acquistato a Londra... e un assorbente ripiegato.
Sergio si rialzò più in fretta possibile. Allungò subito la mano verso l'assorbente, sperando di rimetterlo al più presto al sicuro nell’Eastpack, ma vide sei paia di scarpe nelle sue immediate vicinanze. Non ebbe bisogno di alzare la testa per capire cosa stava succedendo. Bastarono le risate. Raccattò il pacchettino viola e lo rimise al suo posto.
«Se le serve un tampax glielo presto io, prof!» disse una ragazza bionda, la voce sovrastata da risate sguaiate.
«Carlini, stai zitta e vai in classe!» urlò una voce femminile, che poi si addolcì e gli si rivolse in tono sommesso. «Scommetto che quella borsa te l’ha prestata tua moglie, vero?» gli disse sorridendo. Sergio si voltò e vide una donna sulla quarantina, dai capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Aveva gli occhi color del mare ghiacciato, messi in risalto dalle sopracciglia appena troppo folte.
«Già» disse lui. «Credevo di averla svuotata per bene, ma mi è sfuggito un dettaglio...»
«Cose che capitano».
«Sì, ma mi sono già bruciato il primo giorno. Sarò lo zimbello della scuola per tutto l'anno».
«Ma va'» disse la donna, «fatti voler bene, e questa storia passerà nel dimenticatoio più in fretta di quanto pensi. La gente spesso dipinge gli adolescenti come esseri crudeli, meschini e menefreghisti, ma non è affatto così. Ti stupiranno, fidati. Certo, qualche mela marcia, tipo la Carlini, c’è; ma è così ovunque. Vedrai che ti troverai alla grande. Sono Ambra, a proposito».
«Sergio. Piacere. Sono il nuovo supplente di storia».
«Immaginavo. Io insegno chimica. E, scusa se ti faccio una domanda personale...»
«Spara».
«Questa è la tua prima volta, vero?»
Sergio sospirò. «Si vede tanto, eh?»
«Beh, sì. E fidati, se me ne sono accorta io, loro ti sgameranno subito. Devi avere un'aria un po' più sicura. Come quella che avevi prima, mentre correvi sulle scale. Sembravi un Dio greco, prima di trasformarti in Superman».
«Direi più Ralph Supermaxieroe» scherzò Sergio.
«In effetti» Ambra rise. «Ora però è meglio andare. Spalle dritte, petto in fuori, e ricorda: sono ragazzi meravigliosi, ma mantieni sempre il controllo o ti rivolteranno come un calzino».
Avahdrel era furioso. Voleva che Sergio facesse bella figura, e invece lo aveva mandato in un mare di merda. Una figuraccia così il primo giorno, ma dai!
«E tu, cos'hai da guardare?» disse, rivolto alla figura eterea alle spalle di quella Ambra. L'Angelo era bellissimo; biondo, naturalmente, alto e con i lineamenti delicati di una statua del Bernini. «Sei soddisfatto, lo so» gli disse, «che bel lavoro stai facendo, eh? Guardala lì la tua protetta. Miss perfettina. Sono sicuro che gli studenti la adorano e che ha una vita meravigliosa».
«In effetti sì» disse l'Angelo. «Ma anche noi abbiamo i nostri problemi, come tutti. Tu sei Avahdrel, vero?»
Lui non rispose.
«Ho sentito parlare di te» continuò l'Angelo, «il Demone che vuole diventare una creatura celeste. Io ti stimo, lo sai?»
«Ah sì?»
«Però dimmi. Dove l'hai messo?»
«Dove ho messo cosa?»
«Non cosa. Chi. L'Angelo custode di Sergio. Dov'è?»
«Al sicuro, tranquillo. È la terza volta che faccio quell'incantesimo di imprigionamento e tutti gli Angeli ne sono usciti vivi e vegeti. Prima o poi».
«Sì ma non puoi rapire Angeli in questo modo; non è questa la strada giusta».
«Non sarà quella giusta ma è l'unica. A quale umano Dio potrebbe mai affidare me come custode? Sai, tra gli umani c'è un detto: “Se vuoi qualcosa, alzati e valla a prendere”. Ed è quello che sto facendo».
«Sì, ma non durerà. Lo sai che Dio ti troverà. Le altre volte è finita così, no?»
«Non stavolta. Farò un lavoro con i fiocchi e dimostrerò che posso farcela».
«Te lo auguro. Di cuore».
La donna, Ambra, girò sui tacchi e si avviò verso le aule in fondo al corridoio.
«Sarà meglio che ti sbrighi» disse l'Angelo, incamminandosi dietro di lei. «Il tuo protetto sta entrando in aula».
Avahdrel si voltò e vide che Sergio aveva già raggiunto la cattedra. Si attardò un attimo e constatò che la situazione, lì dentro, non era per niente buona.
Sergio si avvicinò alla cattedra, cercando di mantenere un'andatura spigliata e sicura di sé, come gli aveva suggerito Ambra. Ma si rese subito conto che un paio di spalle ben dritte non avrebbero potuto nulla contro la figuraccia di poco prima.
I ragazzi non lo guardavano nemmeno, stavano chiacchierando e ridendo a bassa voce tra loro, lanciandogli un’occhiata ogni tanto.
Sergio voleva andarsene. Scappare da lì, dall'umiliazione. Come avrebbe potuto mai farsi rispettare? Nei corridoi lui sarebbe sempre stato «il prof con gli assorbenti». Non avrebbe mai potuto rimediare a quel...
All'improvviso, tutta la vergogna e la paura si mutarono in qualcos'altro. Ira. Rabbia furibonda. Sbatté le mani sul tavolo.
«Vogliamo fare silenzio?» urlò. «Sono caduto dalle scale. Vero. Avevo un assorbente nella borsa. Vero. Questo perché ce lo ha dimenticato mia moglie. Fine della storia. Raccontatevi quello che volete, ridete fino a vomitare, non me ne frega niente. Io sono qui per fare entrare qualcosa in quelle vostre zucche vuote, branco di ignoranti! E tiratevi su quelle mascherine! Ora farò l'appello, e non voglio sentir volare una mosca, o vi butto giù da quella finestra, com'è vero che...»
Sergio si zittì. Restò immobile, gli occhi spalancati, fissi a guardare la parete di fronte. I ragazzi lo guardavano con un misto di terrore e imbarazzo.
«Non gli sarà mica venuto un infarto?» sussurrò una ragazza nella prima fila. «Prof? Tutto bene?»
Passarono alcuni secondi, e Sergio rimase lì, come una statua di cera.
«Non ti sembra di aver esagerato un pochino?» disse una voce alle sue spalle. Hazarat si voltò. «Merda...» disse. «Sei Gabriel, vero? Se hanno scomodato te, mi sa che sono cazzi amari».
«Sergio!» urlò un'altra voce, e un istante dopo un Angelo dai capelli color del fuoco gli passò di fianco, trafelato.
«Gahlafil» disse Avahdrel, «ti sei liberato...»
Gahlafil fermò un istante la sua corsa e fissò il demone negli occhi. «Certo. E ora fammi sistemare tutti i casini che hai combinato».
«Chiamo la bidella» disse un ragazzo in terza fila.
In quel momento, Sergio finalmente si mosse. L'ira era sparita, sostituita da un senso di rimpianto e tranquillità. «Io... ragazzi, scusate. Mi... mi dispiace. Non ero io, non mi sarei mai permesso di...»
«Tranquillo prof. Facevamo casino e la prendevamo per il culo. Aveva ragione lei» disse un giovane dai capelli a treccine.
«Grazie, ehm...»
«Luca Minetti»
«Ok. Grazie Luca. Solo, ecco, magari la prossima volta usa un gergo meno colorito».
Gli studenti si misero a ridere, risollevati.
«Facciamo così» disse Sergio, prendendo la borsa e avvicinandosi alla porta. «Ricominciamo da capo, ok?». Si mise sulla soglia e, dopo un paio di secondi, fece tre lunghe falcate verso la cattedra. «Buongiorno, ragazzi. Mi chiamo Sergio Lucini e sarò il vostro supplente di storia per quest'anno».
«Ha fatto in fretta» Avahdrel era basito e il suo orgoglio ridotto a un cumulo di macerie. «Direi che ora tutto va a gonfie vele».
«Sì» ammise Gabriel. «Gahlafil è un grande. Sta facendo un ottimo lavoro con Sergio e sono sicuro che lo aiuterà a vivere una vita lunga e piena. Certo è facile, quando devi guidare persone come lui. Con altri, beh, diciamo che certi protetti danno davvero del filo da torcere».
«Sergio è un brav'uomo, è vero. E io stavo per rovinargli la vita».
«Esagerato» disse Gabriel. «Sì, certo. Hai regalato un bernoccolo alla moglie, gli hai quasi fatto avere un incidente stradale, gli hai fatto fare una figura di... beh, hai capito, e lo hai fatto passare per un mezzo terrorista; quella storia della finestra, insomma... anche meno».
Avahdrel abbassò lo sguardo e strinse i pugni.
Chi voleva prendere in giro? Lui era un Demone. L'Inferno era il suo posto, fine della storia. E ora ci sarebbe tornato. Si sarebbe tolto tutti quei grilli dalla testa e sarebbe tornato a casa. A farsi prendere a randellate dai suoi simili, che ormai lo vedevano come un reietto, debosciato e traditore.
«Eppure...» disse Gabriel.
Avahdrel alzò la testa.
«Cosa?»
«Eppure hai fatto tutto con le migliori intenzioni. Era il metodo, a essere sbagliato».
«Sì, ma lo sanno tutti che la strada dell'Inferno è lastricata di buone intenzioni. Ed è lì che esse mi porteranno».
«Non necessariamente» disse Gabriel.
Avahdrel trattenne il fiato.
«Siamo disposti a fare un tentativo. Affiancherai Gahlafil nella sua missione. Se lavorerai bene, e dimostrerai di aver acquisito anche il metodo, allora forse, e dico forse...»
«Cosa?» urlò Gahlafil, e si avvicinò con un balzo.
«Non dovresti tenere d'occhio Sergio?» rise Gabriel.
«Oh, se la sta cavando benissimo. Ma dimmi un po', cos'è questa storia?»
«Farai da supervisore ad Avahdrel».
«Non se ne parla. Non hai visto che danni ha fatto in... quante, quattro ore?»
«Era da solo. D’ora in poi ci sarai tu a guidarlo».
«Ma io devo già guidare Sergio. Non ho tempo per...»
«Gahlafil! Vuolsi così colà dove...»
«Oh, risparmiami Dante, per favore. Ho capito, va bene. Ma stai attento, Demone. Dovesse venirmi anche solo il sospetto che tu possa fare del male al mio protetto, ti segnalerò subito e ti farò rispedire in quel buco da dove provieni, siamo intesi?»
Avahdrel si mise a ridere. «Certo che per essere una creatura di pace e serenità hai un bel caratterino».
Gabriel si lasciò andare a una risata. «Buona fortuna, Avahdrel» disse, per poi sparire.
«Allora, amore, com'è andato il primo giorno?» chiese Serena, sentendo Sergio rientrare.
«Benissimo. Beh, all'inizio ho avuto qualche problemino...»
Gahlafil sorrise.
«...e a proposito, amore ti prego, controlla bene le tue borse prima di prestarle agli altri!»
«Come mai?»
«Ti spiegherò. Comunque... devo essere sincero. Stamattina ero fuori di cozza, completamente. Non so, era come se non fossi io a decidere per me stesso. Forse era l'ansia accumulata, boh. E sono capitate cose poco piacevoli...»
Avahdrel sbuffò, guardando l'espressione soddisfatta sul volto dell'Angelo.
«...ma ti dirò. Non è stato tutto così negativo, anzi. Ero su di giri, come se potessi fare qualsiasi cosa. Sarà, ma spero di sentirmi di nuovo così, ogni tanto!»
Pura gioia pervase Avahdrel all’udire quelle parole… nonché alla vista dell’espressione nauseata sul viso del suo nuovo “collega”.
«Andrà tutto bene» disse, sbirciando il cartello ormai sbiadito appeso sul balcone dei vicini e scoppiando in una risata liberatoria.
Invece non c'era nulla. Solo un soffuso candore ovunque. Un brivido lo percorse, freddo e caldo insieme, mentre alzava lo sguardo sopra la propria testa. Sapeva cosa avrebbe visto. Un pentacolo, circondato da segni esoterici e scritte in lingue dimenticate, fluttuava pochi centimetri sopra di lui. L'ira lo avvolse. Gahlafil fece appello alla sua natura per ritrovare la calma, ma nemmeno la sua innata tolleranza gli evitò di urlare al cielo con voce tuonante, così diversa dalla sua solita cadenza soave e pacata.
«Avahdrel!»
Sergio aprì un occhio. Uno solo, come per convincere il cervello di stare dormendo. Cosa che non aveva fatto per tutta la notte, salvo brevi sonnellini che lo lasciavano più stanco di prima. Le cinque e mezza. Si sarebbe dovuto alzare di lì a mezz'ora, ma ormai la notte era persa.
«Tanto vale» borbottò, attento a non svegliare Serena.
Entrò in bagno e gli parve che la persona che gli restituiva lo sguardo dallo specchio fosse un perfetto sconosciuto.
«Ma sono io?» chiese, mentre apriva il rubinetto dell'acqua calda della doccia. Si passò una mano sugli occhi e sospirò. «Colpa di queste occhiaie. Sembro mio nonno» disse, infilandosi sotto l’acqua.
La doccia lo aiutò a svegliarsi un po’. Uscito dal cubicolo, si guardò di nuovo allo specchio. Non sembrava diverso. Si sentiva diverso. E no, non erano le occhiaie, o la notte insonne; e nemmeno l'ansia per il nuovo lavoro. Era come se qualcuno lo stesse incitando da spalti invisibili, con striscioni e trombette da stadio.
«Bah» disse, iniziando a vestirsi. «Speriamo solo che vada tutto bene sul serio».
«Ciao, amore» disse Serena quando Sergio entrò in cucina. Sul tavolo c'era del pane tostato, un vasetto di marmellata di lamponi e una tazza di English Breakfast.
«E questo?» chiese Sergio, sorridendo mentre sedeva al proprio posto.
«Sorpresa!» rispose sua moglie. «Oggi inizi il lavoro dei tuoi sogni, ti serve il giusto sprint».
«Quante volte mi avrai preparato la colazione in sette anni di matrimonio?» chiese lui sornione.
«Oh, più di quanto vorresti far intendere, salame».
Lui le prese la mano e le posò un bacio sul dorso. «Grazie».
«Di niente. Ora vado a lavarmi anch’io... quanto ci sei stato in bagno, accidenti?» scherzò lei, e uscì dalla cucina. Quando tornò, Sergio stava finendo il suo tè.
«Allora» disse Serena, «come hai dormito?»
«Mm» rispose lui, e posò la tazza nel lavello.
«Ci avrei giurato. Ma su, vedrai che andrà benissimo».
«Speriamo».
«Ne sono sicura. Mica è la prima volta che parli in pubblico».
«Sì, certo. Ma un conto è una platea di possibili acquirenti, un altro sono venti o più studenti a cui non interessa granché scoprire perché Garibaldi è andato in Sicilia o quando hanno sganciato la bomba su Hiroshima».
«Ma non essere così negativo. I giovani sono sempre sottovalutati. A molti di loro interessano queste cose. E comunque sei un ottimo oratore, vedrai che penderanno dalle tue labbra».
«Sarà».
«Ehi!» disse Serena, prendendo Sergio per un braccio, «basta con 'sto muso lungo. Finalmente stai iniziando il lavoro che hai sempre desiderato, un po' di ottimismo!»
«Sai, hai ragione. E poi, ti dirò, io sono un ansioso di natura, lo sai... ma stamattina, boh, non so. Mi sento diverso. Nel team vincente, per così dire!» si avvicinò a Serena e le si lanciò addosso con tanta foga da farle sbattere la testa contro lo sportello della cappa.
«Ehi! Ok l’entusiasmo, ma non mi devi mica ammazzare!».
«Scusa amore, non volevo farti male».
«Tranquillo, niente di grave. Ora vai però, che è tardi… ehi, ricordati la mascherina!»
«Cazzo, giusto!» disse Sergio correndo a prenderne una dal cassetto, «più di un anno che giriamo con ‘ste cose e ancora me le dimentico».
L'Istituto Superiore Parini sorgeva in fondo a un grosso piazzale, nel quale Sergio lasciò la Panda dopo il viaggio in auto più strano della sua vita. Mai aveva inveito con tale veemenza contro gli altri automobilisti. Senza contare quel sorpasso azzardato che gli era quasi costato un frontale con una Honda bicolore.
Orde di teenager arrivavano da ogni direzione, tutti con la loro mascherina appresso.
Chissà quali di loro saranno i miei studenti? si chiese. Era maggiorenne e vaccinato e veniva da anni come vice direttore di un'azienda. Aveva affrontato squali e vipere e ne era quasi sempre uscito vincitore. Eppure, la vista di quel branco informe di gioventù ridanciana lo metteva a disagio.
Poi, però, la paura svanì. Così, come per incanto. Qualcosa, forse l'istinto, gli disse di alzare il mento e raddrizzare le spalle. Si voltò, prese la borsa dal sedile posteriore e richiuse la portiera, per poi avviarsi con fare sicuro verso il portone.
«Ma che fai, amico? Dai, raddrizza 'ste spalle e tira su 'sto mento».
Avahdrel sfiorò la schiena e il viso di Sergio.
«Ecco, così. Bravo. Ci vuole autorevolezza. Ora in segreteria… perfetto, bravo, fai 'sta presa di servizio così ci rilassiamo».
Avahdrel si allontanò leggermente dal suo protetto, che doveva solo compilare scartoffie e se la sarebbe di certo cavata da solo, e ne approfittò per guardarsi attorno.
Lì sì che ce ne sarebbero state di anime da raccogliere! Ormai aveva abbandonato quella vita, o almeno ci stava provando. Ma tanto ben di Dio gli fece comunque girare la testa.
Ragazzi soli, ragazzi innamorati della persona sbagliata, ragazzi con famiglie disagiate, ragazzi con relazioni tossiche... E ognuno di loro, dal più felice al più problematico, aveva il suo Angelo custode. Avahdrel alzò una mano e li salutò tutti con frulli delle dita, ricevendo in cambio i soliti sguardi sconvolti e curiosi.
Avahdrel sapeva di avere poco tempo. Gli Angeli non potevano muoversi dal loro posto accanto al loro protetto per fare la spia; ma il Grande Capo, lassù, si accorgeva sempre di tutto. Magari non subito. Insomma, con un mondo intero da gestire... e che mondo. Guerre, fame, carestie, brutalità di ogni tipo. Avahdrel pensava ogni tanto che il Capo avrebbe dovuto mandare giù un altro bel diluvio, per ripulire un po' le cose.
Invece no; Lui, come un padre amorevole, attendeva; sperava; dava fiducia a quei suoi figli così confusi e dispersi.
Anche per questo Avahdrel aveva deciso di cambiare fazione. Ne aveva abbastanza di cattiveria e meschinità. Solo l’idea di circuire un altro umano gli dava la nausea. Voleva vivere in quella speranza, credere che anche in lui ci fosse del buono. Da secoli si sentiva a disagio, ma aveva comunque continuato, pur controvoglia, a fare il suo dovere.
Finché non era arrivata quella pandemia. Da più di un anno l'umanità combatteva contro un virus fino ad allora sconosciuto. Avahdrel aveva pensato che alla fine Dio si fosse stufato, e che quel Covid-19 fosse la versione due punto zero del diluvio di Noè.
Invece no. L'umanità aveva sofferto, e ancora soffriva. Ma era sopravvissuta. Era ripartita. Ci provava, quanto meno. E anche se i cartelli “ne usciremo migliori” che erano spuntati come funghi alla fine non avevano avuto ragione, qualcosa di bello c’era stato. Chi aveva donato denaro, chi tempo, chi cibo e medicine. Chi addirittura la propria vita. Chi anche solo una buona parola, un pensiero di speranza.
Quindi forse Dio, alla fine, aveva ragione con la storia del diluvio. Perché dai, in fondo l'umanità non è che fosse poi tutta da scartare.
Avahdrel era ancora perso in questi pensieri, quando Sergio finalmente uscì dalla segreteria. C'era un alone più scuro sotto le sue ascelle e una goccia come di rugiada gli brillava sulla tempia sinistra.
«Diamine, amico. Fai venire l'ansia anche a me! E che sarà mai?» disse. «Ok, ora devi andare in classe. La sai, la strada?» chiese.
Sergio si immobilizzò, come in preda a un pensiero improvviso. Accanto a lui stava passando un uomo piuttosto in carne che avanzava rapido con un portatile in mano.
«Ehm, scusa?» chiese Sergio.
L'uomo, che portava una mascherina dai colori psichedelici e un paio di occhialetti alla John Lennon, si fermò a guardare il nuovo arrivato.
«Dimmi, posso esserti utile?».
«Sì, per favore. Devo andare in 4A. Sai dov'è?».
«Certo! In fondo al corridoio, sali le scale e te la trovi praticamente davanti. Sei il supplente di storia, giusto?».
«Già. Sergio, piacere».
«Gianluca. Piacere mio. E buona fortuna, con la 4A. Un bel battesimo del fuoco!» Sergio rimase fermo a guardare il collega che si allontanava ridacchiando.
«Non ti preoccupare, amico! Io ne so qualcosa di demoni e demonietti. Se quei ragazzacci ti tratteranno male, so io come sistemarli».
In quel momento suonò la campanella delle otto.
«Forza, Sergio, è arrivato il momento! Corri!»
Sergio, come destatosi da un breve sonnellino, si incamminò verso la 4A. «Più veloce, la puntualità innanzi tutto» gli disse Avahdrel quando fu ai piedi delle scale, e gli diede una leggera pacca sulla schiena.
Fretta. All'improvviso arrivare in classe di volata sembrava essere l'unica cosa giusta da fare. Sergio prese a fare gli scalini a due a due, come in preda a un raptus.
Due... quattro... sei... otto...
Aveva quasi battuto il suo record personale di velocità in salita scale, quando un piede decise di posarsi di sghembo sullo scalino. Sergio planò in avanti, crollando miseramente contro il pavimento di linoleum. La borsa, che lui aveva scordato di chiudere, nella caduta pensò bene di spargere tutto il suo contenuto. Il quadernone ad anelli, il telefono, il tablet, le chiavi dell'auto, l'astuccio che aveva acquistato a Londra... e un assorbente ripiegato.
Sergio si rialzò più in fretta possibile. Allungò subito la mano verso l'assorbente, sperando di rimetterlo al più presto al sicuro nell’Eastpack, ma vide sei paia di scarpe nelle sue immediate vicinanze. Non ebbe bisogno di alzare la testa per capire cosa stava succedendo. Bastarono le risate. Raccattò il pacchettino viola e lo rimise al suo posto.
«Se le serve un tampax glielo presto io, prof!» disse una ragazza bionda, la voce sovrastata da risate sguaiate.
«Carlini, stai zitta e vai in classe!» urlò una voce femminile, che poi si addolcì e gli si rivolse in tono sommesso. «Scommetto che quella borsa te l’ha prestata tua moglie, vero?» gli disse sorridendo. Sergio si voltò e vide una donna sulla quarantina, dai capelli neri raccolti in una coda di cavallo. Aveva gli occhi color del mare ghiacciato, messi in risalto dalle sopracciglia appena troppo folte.
«Già» disse lui. «Credevo di averla svuotata per bene, ma mi è sfuggito un dettaglio...»
«Cose che capitano».
«Sì, ma mi sono già bruciato il primo giorno. Sarò lo zimbello della scuola per tutto l'anno».
«Ma va'» disse la donna, «fatti voler bene, e questa storia passerà nel dimenticatoio più in fretta di quanto pensi. La gente spesso dipinge gli adolescenti come esseri crudeli, meschini e menefreghisti, ma non è affatto così. Ti stupiranno, fidati. Certo, qualche mela marcia, tipo la Carlini, c’è; ma è così ovunque. Vedrai che ti troverai alla grande. Sono Ambra, a proposito».
«Sergio. Piacere. Sono il nuovo supplente di storia».
«Immaginavo. Io insegno chimica. E, scusa se ti faccio una domanda personale...»
«Spara».
«Questa è la tua prima volta, vero?»
Sergio sospirò. «Si vede tanto, eh?»
«Beh, sì. E fidati, se me ne sono accorta io, loro ti sgameranno subito. Devi avere un'aria un po' più sicura. Come quella che avevi prima, mentre correvi sulle scale. Sembravi un Dio greco, prima di trasformarti in Superman».
«Direi più Ralph Supermaxieroe» scherzò Sergio.
«In effetti» Ambra rise. «Ora però è meglio andare. Spalle dritte, petto in fuori, e ricorda: sono ragazzi meravigliosi, ma mantieni sempre il controllo o ti rivolteranno come un calzino».
Avahdrel era furioso. Voleva che Sergio facesse bella figura, e invece lo aveva mandato in un mare di merda. Una figuraccia così il primo giorno, ma dai!
«E tu, cos'hai da guardare?» disse, rivolto alla figura eterea alle spalle di quella Ambra. L'Angelo era bellissimo; biondo, naturalmente, alto e con i lineamenti delicati di una statua del Bernini. «Sei soddisfatto, lo so» gli disse, «che bel lavoro stai facendo, eh? Guardala lì la tua protetta. Miss perfettina. Sono sicuro che gli studenti la adorano e che ha una vita meravigliosa».
«In effetti sì» disse l'Angelo. «Ma anche noi abbiamo i nostri problemi, come tutti. Tu sei Avahdrel, vero?»
Lui non rispose.
«Ho sentito parlare di te» continuò l'Angelo, «il Demone che vuole diventare una creatura celeste. Io ti stimo, lo sai?»
«Ah sì?»
«Però dimmi. Dove l'hai messo?»
«Dove ho messo cosa?»
«Non cosa. Chi. L'Angelo custode di Sergio. Dov'è?»
«Al sicuro, tranquillo. È la terza volta che faccio quell'incantesimo di imprigionamento e tutti gli Angeli ne sono usciti vivi e vegeti. Prima o poi».
«Sì ma non puoi rapire Angeli in questo modo; non è questa la strada giusta».
«Non sarà quella giusta ma è l'unica. A quale umano Dio potrebbe mai affidare me come custode? Sai, tra gli umani c'è un detto: “Se vuoi qualcosa, alzati e valla a prendere”. Ed è quello che sto facendo».
«Sì, ma non durerà. Lo sai che Dio ti troverà. Le altre volte è finita così, no?»
«Non stavolta. Farò un lavoro con i fiocchi e dimostrerò che posso farcela».
«Te lo auguro. Di cuore».
La donna, Ambra, girò sui tacchi e si avviò verso le aule in fondo al corridoio.
«Sarà meglio che ti sbrighi» disse l'Angelo, incamminandosi dietro di lei. «Il tuo protetto sta entrando in aula».
Avahdrel si voltò e vide che Sergio aveva già raggiunto la cattedra. Si attardò un attimo e constatò che la situazione, lì dentro, non era per niente buona.
Sergio si avvicinò alla cattedra, cercando di mantenere un'andatura spigliata e sicura di sé, come gli aveva suggerito Ambra. Ma si rese subito conto che un paio di spalle ben dritte non avrebbero potuto nulla contro la figuraccia di poco prima.
I ragazzi non lo guardavano nemmeno, stavano chiacchierando e ridendo a bassa voce tra loro, lanciandogli un’occhiata ogni tanto.
Sergio voleva andarsene. Scappare da lì, dall'umiliazione. Come avrebbe potuto mai farsi rispettare? Nei corridoi lui sarebbe sempre stato «il prof con gli assorbenti». Non avrebbe mai potuto rimediare a quel...
All'improvviso, tutta la vergogna e la paura si mutarono in qualcos'altro. Ira. Rabbia furibonda. Sbatté le mani sul tavolo.
«Vogliamo fare silenzio?» urlò. «Sono caduto dalle scale. Vero. Avevo un assorbente nella borsa. Vero. Questo perché ce lo ha dimenticato mia moglie. Fine della storia. Raccontatevi quello che volete, ridete fino a vomitare, non me ne frega niente. Io sono qui per fare entrare qualcosa in quelle vostre zucche vuote, branco di ignoranti! E tiratevi su quelle mascherine! Ora farò l'appello, e non voglio sentir volare una mosca, o vi butto giù da quella finestra, com'è vero che...»
Sergio si zittì. Restò immobile, gli occhi spalancati, fissi a guardare la parete di fronte. I ragazzi lo guardavano con un misto di terrore e imbarazzo.
«Non gli sarà mica venuto un infarto?» sussurrò una ragazza nella prima fila. «Prof? Tutto bene?»
Passarono alcuni secondi, e Sergio rimase lì, come una statua di cera.
«Non ti sembra di aver esagerato un pochino?» disse una voce alle sue spalle. Hazarat si voltò. «Merda...» disse. «Sei Gabriel, vero? Se hanno scomodato te, mi sa che sono cazzi amari».
«Sergio!» urlò un'altra voce, e un istante dopo un Angelo dai capelli color del fuoco gli passò di fianco, trafelato.
«Gahlafil» disse Avahdrel, «ti sei liberato...»
Gahlafil fermò un istante la sua corsa e fissò il demone negli occhi. «Certo. E ora fammi sistemare tutti i casini che hai combinato».
«Chiamo la bidella» disse un ragazzo in terza fila.
In quel momento, Sergio finalmente si mosse. L'ira era sparita, sostituita da un senso di rimpianto e tranquillità. «Io... ragazzi, scusate. Mi... mi dispiace. Non ero io, non mi sarei mai permesso di...»
«Tranquillo prof. Facevamo casino e la prendevamo per il culo. Aveva ragione lei» disse un giovane dai capelli a treccine.
«Grazie, ehm...»
«Luca Minetti»
«Ok. Grazie Luca. Solo, ecco, magari la prossima volta usa un gergo meno colorito».
Gli studenti si misero a ridere, risollevati.
«Facciamo così» disse Sergio, prendendo la borsa e avvicinandosi alla porta. «Ricominciamo da capo, ok?». Si mise sulla soglia e, dopo un paio di secondi, fece tre lunghe falcate verso la cattedra. «Buongiorno, ragazzi. Mi chiamo Sergio Lucini e sarò il vostro supplente di storia per quest'anno».
«Ha fatto in fretta» Avahdrel era basito e il suo orgoglio ridotto a un cumulo di macerie. «Direi che ora tutto va a gonfie vele».
«Sì» ammise Gabriel. «Gahlafil è un grande. Sta facendo un ottimo lavoro con Sergio e sono sicuro che lo aiuterà a vivere una vita lunga e piena. Certo è facile, quando devi guidare persone come lui. Con altri, beh, diciamo che certi protetti danno davvero del filo da torcere».
«Sergio è un brav'uomo, è vero. E io stavo per rovinargli la vita».
«Esagerato» disse Gabriel. «Sì, certo. Hai regalato un bernoccolo alla moglie, gli hai quasi fatto avere un incidente stradale, gli hai fatto fare una figura di... beh, hai capito, e lo hai fatto passare per un mezzo terrorista; quella storia della finestra, insomma... anche meno».
Avahdrel abbassò lo sguardo e strinse i pugni.
Chi voleva prendere in giro? Lui era un Demone. L'Inferno era il suo posto, fine della storia. E ora ci sarebbe tornato. Si sarebbe tolto tutti quei grilli dalla testa e sarebbe tornato a casa. A farsi prendere a randellate dai suoi simili, che ormai lo vedevano come un reietto, debosciato e traditore.
«Eppure...» disse Gabriel.
Avahdrel alzò la testa.
«Cosa?»
«Eppure hai fatto tutto con le migliori intenzioni. Era il metodo, a essere sbagliato».
«Sì, ma lo sanno tutti che la strada dell'Inferno è lastricata di buone intenzioni. Ed è lì che esse mi porteranno».
«Non necessariamente» disse Gabriel.
Avahdrel trattenne il fiato.
«Siamo disposti a fare un tentativo. Affiancherai Gahlafil nella sua missione. Se lavorerai bene, e dimostrerai di aver acquisito anche il metodo, allora forse, e dico forse...»
«Cosa?» urlò Gahlafil, e si avvicinò con un balzo.
«Non dovresti tenere d'occhio Sergio?» rise Gabriel.
«Oh, se la sta cavando benissimo. Ma dimmi un po', cos'è questa storia?»
«Farai da supervisore ad Avahdrel».
«Non se ne parla. Non hai visto che danni ha fatto in... quante, quattro ore?»
«Era da solo. D’ora in poi ci sarai tu a guidarlo».
«Ma io devo già guidare Sergio. Non ho tempo per...»
«Gahlafil! Vuolsi così colà dove...»
«Oh, risparmiami Dante, per favore. Ho capito, va bene. Ma stai attento, Demone. Dovesse venirmi anche solo il sospetto che tu possa fare del male al mio protetto, ti segnalerò subito e ti farò rispedire in quel buco da dove provieni, siamo intesi?»
Avahdrel si mise a ridere. «Certo che per essere una creatura di pace e serenità hai un bel caratterino».
Gabriel si lasciò andare a una risata. «Buona fortuna, Avahdrel» disse, per poi sparire.
«Allora, amore, com'è andato il primo giorno?» chiese Serena, sentendo Sergio rientrare.
«Benissimo. Beh, all'inizio ho avuto qualche problemino...»
Gahlafil sorrise.
«...e a proposito, amore ti prego, controlla bene le tue borse prima di prestarle agli altri!»
«Come mai?»
«Ti spiegherò. Comunque... devo essere sincero. Stamattina ero fuori di cozza, completamente. Non so, era come se non fossi io a decidere per me stesso. Forse era l'ansia accumulata, boh. E sono capitate cose poco piacevoli...»
Avahdrel sbuffò, guardando l'espressione soddisfatta sul volto dell'Angelo.
«...ma ti dirò. Non è stato tutto così negativo, anzi. Ero su di giri, come se potessi fare qualsiasi cosa. Sarà, ma spero di sentirmi di nuovo così, ogni tanto!»
Pura gioia pervase Avahdrel all’udire quelle parole… nonché alla vista dell’espressione nauseata sul viso del suo nuovo “collega”.
«Andrà tutto bene» disse, sbirciando il cartello ormai sbiadito appeso sul balcone dei vicini e scoppiando in una risata liberatoria.