Un calice di fango

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo agosto sveleremo il tema deciso da Francesco Nucera. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Proelium
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Un calice di fango

Messaggio#1 » venerdì 20 agosto 2021, 11:17

Seduto su un’asse tarlata che faceva da panca, Felyx Nephtar sorseggiava di malavoglia una scodella di brodo maleodorante. Attorno a lui, sciami di avventori laceri sfogavano sete e malumore in boccali rancidi e fiumi di bestemmie.
Si sforzò di non posare gli occhi sul liquido scuro mentre se lo portava alla bocca. Trattenne il fiato e buttò giù. Dèi, se faceva schifo. Bloccò a stento un conato, ci mancava solo che si prosciugasse vomitando. Si concentrò sulle voci al bancone.
“Magnati maledetti! Scommetto che loro, la Sete, non l’hanno mai provata!”
“E come potrebbero, col culo pieno d’oro e diamanti che si ritrovano?”
“Bisognerebbe farglielo veramente, il culo. Prenderli tutti, uno a uno, e riempirglielo di sabbia, così come il nostro è pieno di...”
Felyx soffiò, inquieto. Non erano gli schiamazzi a cui era abituato. Nella rabbia di quei disgraziati non c’era la solita ironia, l’energia grottesca di chi ogni giorno tira a campare come può. Li conosceva, quei tre: a scassinare e borseggiare non erano malaccio. Ad aspettarli a casa, se un tugurio pieno di ratti si può chiamare casa, almeno tre bocche da sfamare per ciascuno. Ora, però, le loro voci da mariti e padri mormoravano altro, suonavano diverse. Fredde. Felyx distinse la serietà di chi, sibilando, si prepara a infliggere la morte.
Prese un altro sorso di brodo disgustoso. Storse naso e bocca, inghiottì l’acido del rigurgito. Un accenno di crampo allo stomaco. Felyx soffiò, rassegnato: meglio dissenterico che morto. Rimase lì, a occhi bassi sulla scodella fetida, le orecchie ben tese.
I tre disperati non erano i soli a covare rancore: in ogni angolo della taverna, anzi di tutte le taverne a Javakt, ormai serpeggiava la rivolta. Posò la ciotola sul tavolo lercio. Se solo i soldati fossero stati più comprensivi, e i magnati meno avidi... Dèi, era più facile che piovesse nel deserto.
Accarezzò il manico della daga. Non gli sarebbe dispiaciuto sfilarlo dalla gola di una guardia o due, o infilzare il magnate Melkin come un porco sullo spiedo. Lo avrebbe fatto? Con un po’ di impegno e fortuna, sapeva di poterci riuscire.
Alzò gli occhi al bancone. Con la stessa freddezza sul volto scavato, molti anni prima, tra quei disperati c’era stato anche suo padre: uno dei tanti briganti senza nome, uno dei vinti. Chi se la ricordava più, la sua faccia. La faccia di ogni rivoltoso ucciso per la sete.
Lasciò l’elsa sotto il mantello, stritolò la ciotola e la svuotò in un sorso. Il brodo amaro non gli avrebbe fatto bene, preso così in una volta, ma ne aveva abbastanza di starsene lì tra i fantasmi. Con la coda dell’occhio, mentre reclinava la testa all’indietro, ne distinse uno più nero degli altri incappucciato in un angolo. Tra la manica e il guanto stretto sul boccale, un lembo di pelle verdastra, da rettile. Felyx trasalì: i Naga erano la setta più pericolosa del Mare Giallo, che ci faceva uno di loro in quella bettola?
Finì la sorsata e appoggiò la scodella sul legno bisunto insieme a una moneta, una delle ultime. Doveva saperlo. Tese ogni muscolo, pronto a scattare, ma la sagoma incappucciata fu più veloce: schizzò fuori dalla taverna e svanì nel nero dei vicoli. Felyx si fiondò all’inseguimento.

Imboccò una viuzza stretta e lurida, svoltò a sinistra e poi a destra. Scartò tra i rifiuti, tra i vecchi che ci dormivano in mezzo, le latrine intasate e i dissenterici che imbrattavano ogni angolo di strada. Era notte, ma certi luoghi non hanno mai pace, neanche dopo l’arsura del giorno.
Continuò a correre, senza perdere di vista gli svolazzi della cappa del Naga. Voleva disorientarlo smarrendosi tra i vicoli? Povero idiota: quel labirinto di stradine era il suo regno. Prese una parallela piena di baracche e immondizia.
Balzò sui bidoni, percorse un’asse inclinata e una trave. La luna risplendeva piena, e l’aria lassù era così fresca... Indugiò con lo sguardo sulle cupole di giada in lontananza, si riscosse e riprese a correre: non un fruscio degli stivali felpati sulla lamiera dei tetti.
Spulciò la sagoma ferma a rifiatare nella viuzza accanto. La raggiunse furtivo, attento a non tradirsi proiettando la sua ombra. Il Naga ora era proprio sotto di lui. Gli saltò addosso, sicuro di atterrarlo. Dopo l’impatto, si ritrovò avvinghiato a lui in un groviglio di muscoli e nervi. Strinse e colpì finché non riuscì a bloccarlo. Gli puntellò le braccia con le ginocchia, snudò la daga e gliela premette sulla gola.
“Che ci facevi alla taverna?”
Nessuna risposta. Rifiatò anche Felyx. Il Naga lo fissava con gli occhi da rettile: nessun tremito, nessuna emozione. Non un accenno di paura o dolore. Il suo viso era inespressivo, la linea sottile della bocca serrata. Solo le narici, minuscole fessure senza volume, si dilatavano e restringevano per respirare.
“Ci siete voi, dietro la rivolta?”
Nessuna risposta. Felyx premette più forte.
“Qual è il vostro scopo?”
Nessuna risposta, ancora. Dal collo pallido del Naga colò un rivolo violaceo. Le sue mascelle erano serrate, la faccia assente. La linea delle labbra si dischiuse: una lingua forcuta guizzò dentro e fuori dalla bocca. Felyx esitò: il suo morso era velenoso? Un guizzo viscido, e il Naga gli sfuggì dalle mani.

Felyx si ritrovò da solo, la daga ancora puntata contro la cappa nera e vuota. Soffiò irritato: come aveva fatto a farselo scappare!
Fece per alzarsi, ma una fitta allo stomaco lo piegò a terra. Maledetta brodaglia, doveva spedirlo al cesso proprio ora? Si tirò su alla meglio e sparì in una viuzza appartata. Si calò le brache. Chino a gambe larghe, spruzzò fuori la fogna. Con l’addome torturato dai crampi e il culo in fiamme. Nauseato dalla sua stessa merda.
“Dovresti mangiare un po’ meglio, figliolo.”
Felyx sussultò alla vista della vecchia stravaccata tra i rifiuti. Come accidenti era arrivata nel vicolo, perché lo stava fissando? Si ripulì alla meglio con la cappa del Naga, facendo il possibile per coprirsi le vergogne. La vecchia ridacchiò.
“Si può sapere che problemi hai?” Felyx si sbarazzò del manto imbrattato.
“Oh. Io nessuno, giovanotto.” Era coperta di cenci e aveva il volto grinzoso. Storpiò le labbra in un ghigno sdentato. “E tu, invece? Che problemi avresti?”
“Gli stessi di ogni poveraccio che non vuole morire di sete.” Si tirò su le brache. Due passi, e la vecchia era davanti a lui. “Non è colpa mia, se l’acqua che bevo puzza più dei topi morti...”
Felyx le porse un braccio. “Meglio se te ne vai, nonnina. Non vorrei che ti intossicassi.”
Sotto la pelle floscia del viso, gli occhi della vecchia scintillavano come lanterne. Gli prese il braccio e lo attirò a sé, non per alzarsi ma per sporgersi meglio. Lo inchiodò con lo sguardo e una stretta graffiante delle dita.
Ferma la rivolta, Felyx Nephtar. Tu sai come.
Felyx sussultò: la vecchia era sparita. A sonnecchiare tra i rifiuti c’era solo una gatta grigia, pulciosa e decrepita. Le vie degli Dèi dovevano proprio essere infinite, per scovarlo perfino alla latrina. L’ironia lo fece sorridere. Anche se la Dea Gatto lo aveva benedetto, la sua vita da disgraziato non era cambiata. Saccheggiava ancora i templi, beveva fanghiglia e di tanto in tanto ammazzava qualcuno. Per sopravvivere, si diceva scrollando le spalle. La gente in città aveva smesso di chiamarlo Malpelo, ma il cognome altisonante dei Nephtar, i vecchi Re del Deserto, serviva a poco se eri un ladruncolo con la dissenteria. La Dea Gatto glielo aveva accordato, va bene, ma quel titolo era buono solo per pulirsi il...
Meeeooow.
Il felino miagolò per confortarlo, o ammonirlo. Tra i saloni di un tempio dimenticato, Kesht gli aveva fatto giurare che avrebbe fermato i Naga.
Sfiorò la gatta con un dito e uscì dal vicolo a lunghe falcate. Felyx Nephtar era di nuovo da solo. Da solo in tutta quella merda.

Il vociare tra le strade cresceva. Simile a un grosso scarafaggio in movimento, una fiumana di miserabili zampettava verso il quartiere dei magnati. Vicolo dopo vicolo, l’insetto era sempre più grande, il brusio più insistente.
Felyx sgattaiolò dietro lo sciame. Davanti a lui, la strada si faceva più larga, le cupole di giada più vicine. Scartò a sinistra in una stradina parallela, superò lo folla e si fermò per lasciarla sfilare. Quei poveri pazzi brandivano torce, bastoni e qualche lama smussata. Nei cerchi sotto gli occhi e i visi smunti, rischiarati di profilo dalle fiaccole, nessuna voglia di parlamentare. Tra i tanti, riconobbe i tre pezzenti della taverna. Si sarebbero fatti ammazzare.
Ferma la rivolta, Felyx Nephtar. Tu sai come.
No che non lo sapeva. Riprese a muoversi furtivo, riagguantò lo scarafaggio e lo seguì di soppiatto per la parallela. Che altro poteva fare? Sulla via principale, il ronzio crebbe fino a farsi rombo.
“Acqua... Acqua... Acqua...”
Uno sferragliare di passi. Acciaio battuto sugli scudi. Una voce come un tuono.
“Nessuna invasione sarà tollerata. Tornate indietro!”
Felyx interruppe la marcia. Anche le zampe dell’insetto si erano fermate. Silenzio sulla strada principale. Per una volta, una sola stramaledetta volta, il capo delle guardie aveva ragione. Pregò Kesht che anche gli altri lo capissero. Che tornassero indietro.
“Acqua... Acqua... Acqua...”
Brusio. Brulichio. Lo scarafaggio aveva ripreso ad avanzare.
“Linea serrata. Scudi! Non cedete loro un passo.”
Felyx saettava nel vicolo. Il rombo era diventato clangore. Grida. Disperazione. Non aveva bisogno di affacciarsi sulla strada per immaginarsi la scena. Si preparò a finirci dentro. Il cappuccio era sul punto scivolare indietro nell’impeto della corsa. Lo fermò con la mano. L’oscurità del vicolo esplose in un inferno di fiaccole e acciaio sotto la luna. Di pezzenti schiacciati contro gli scudi e massacrati dalle guardie. Sulle labbra di tutti, la Sete.
“Perdonami, Kesht. Mi viene in mente solo questo.”
Snudò la daga e si tuffò nella rivolta. Sgusciò tra i disgraziati senza neanche sfiorarli. Doveva ancora nascere, qualcuno più furtivo di lui. Si fece largo in mezzo al caos, tra insetti e strepiti, bastoni e torce: un’ombra nel crepitio dei fuochi.
Uno dei tre ceffi della taverna era a terra. Era morto. Riempito di calci da una guardia isolata. Felyx arrivò alle spalle del soldato. Gli affondò la daga nella schiena.
Poi di nuovo avanti, fino al muro di scudi. A destra e a sinistra, davanti e dietro, un turbinio di nasi spaccati e mandibole rotte, sangue che colava e imprecazioni. Fetore. Un tappeto di corpi sotto gli stivali felpati.
Morte al magnate, ai sssuoi cani e ai pezzenti...
Felyx Nephtar sussultò. Di chi era quel sibilo? Lo cercò intorno a sé, ma era già svanito.
La linea delle guardie era sempre compatta, l’acciaio degli scudi infangato di rosso: rovesciato su un fianco, l’enorme scarafaggio zampettava moribondo nel vuoto. Felyx guizzò in avanti, menò un fendente basso e si ritrasse nello sciame. L’urlo di un soldato ferito a una gamba. Uno spiraglio tra gli scudi. Oltre la linea di sbarramento, il lucore della giada e dell’avorio.
Felyx balzò nella breccia, rotolò tra altre gambe e altri scudi. Piantò la daga dappertutto, soffiando tra una schivata e l’altra. Era di nuovo in piedi. Stava correndo. La furia della rivolta era dietro di lui. Il vociare si affievolì alle sue spalle.

La piazza del bazar era silenziosa, il lastricato pulito e rischiarato dai fuochi nei bracieri, le bancarelle coperte dai teloni. Felyx avanzò guardingo fino al chiosco più vicino e sparì sotto un ampio drappo. Il pungente aroma di spezie lo fece starnutire. Pivello che non era altro, possibile che cadesse ancora in errori così elementari? Si coprì naso e bocca con il turbante, controllò il respiro e rimase in ascolto.
Echi di passi, qualche ordine o imprecazione troppo distante, il brusio della rivolta in lontananza. I residui appetitosi di quel profumo speziato. La lingua che umettava le labbra riarse. La Sete. A parte quello, andava tutto bene: nessuno lo aveva sentito, era più che al sicuro. Scostò un lembo del telo e sbirciò fuori per studiare il cortile.
Nei palazzi dei magnati i lumi erano accesi, la sorveglianza all’esterno più alacre che mai: a pattugliare ogni ingresso c’erano almeno tre guardie. Chissà com’era la situazione all’interno.
Felyx esitò, indeciso sul da farsi. L’istinto l’aveva guidato fin lì, ma ora? Non aveva idea di come fermare la rivolta, sapeva solo che la gente là fuori moriva di sete, e lui non faceva eccezione. Dèi, cosa avrebbe dato per un goccio d’acqua decente. Gettò un’occhiata alle facciate eburnee del palazzo di Melkin, il gran magnate. Indugiò sulle guglie e le volte e le cupole di giada, sulle colonne di marmo e le vetrate variopinte alle finestre: un paradiso di opulenza che non lo avrebbe mai dissetato.
Abbassò lo sguardo sulle stalle a ridosso del palazzo: non di marmo, ma dalle solide pareti in legno e muratura, di cui riusciva a scorgere un ingresso chiuso, non sorvegliato. Tese le orecchie al massimo: non ne era sicuro, ma gli sembrò di udire lo sbuffo sommesso delle bestie. E dove c’erano loro... Si umettò le labbra, di nuovo. Com’è che stava sorridendo?
Arginò l’impulso di precipitarsi alle stalle e farsi ammazzare nell’abbeveratoio. Ci sarebbe arrivato, ma con calma: quanto alla rivolta, per ora non aveva uno straccio di idea, solo una pezza vecchia a tappargli naso e bocca. Soffiò via gli ultimi residui e ridacchiò sotto i baffi: una bella fortuna, potersi servire gratis al chiosco dello speziale.
Allentò il turbante sul naso: non gli serviva la luce per riconoscere polveri e droghe. Strappò un lembo del telone per creare due sportine, lo lasciò ricadere e strisciò sotto di esso, al buio. Rintracciò con sicurezza ciò che cercava: in una bustina combinò un paio di aromi innocui in un sonnifero da soffiare, nell’altra raggranellò un veleno solubile, dall’aroma delicato ma insapore. Quante cose gli aveva insegnato, quello sciacallo di Primus! Intascò le sportine e scostò di nuovo il telo: nessun ostacolo tra lui e le stalle, l’attenzione delle guardie era rivolta altrove.
Felyx uscì dal nascondiglio e superò il bazar in quattro balzi da gatto. Armeggiò con la serratura, destreggiandosi con grimaldelli e forcine fino a farla scattare. Spinse piano e si infilò dentro.
La frescura della notte svanì, inghiottita dal fiato caldo e dall’odore di cammelli e dromedari. C’era anche qualche cavallo, poco adatto al Mare Giallo ma che valeva una fortuna: molto più di lui e dei troppi poveracci là fuori. Il chiarore della luna filtrava da una finestrella socchiusa: gli stalli tremolavano di ombre e riflessi.
Procedette piano, accarezzando di tanto in tanto musi e pellicce con tocchi leggeri, rassicuranti. I cammelli e i dromedari si tranquillizzarono. L’odore di paglia e letame impregnava l’aria, ma non era affatto fastidioso: segno che gli animali erano trattati bene e bevevano meglio di lui. Beati loro.
Scorse l’abbeveratoio e lo raggiunse. Con un sospiro di sollievo, liberò il volto dal turbante e si chinò sulla vasca. L’oscurità dell’ambiente faceva apparire il liquido denso e scuro, con un lucore tremolante in superficie: tutta apparenza, non puzzava mica di fogna. Sorrise allo spettro che lo fissava dall’acqua con gli occhi cerchiati e le basette striate di polvere. Nessun ghigno. In quel riflesso distorto ma vero, a Felyx Nephtar si era seccata la bocca.
Si calò nell’acqua con tutta la testa. Il liquido lo avvolse in un abbraccio gentile. Lo schiocco di un bacio sulle labbra e le palpebre, una carezza sul naso, le guance e le orecchie. I capelli inzuppati, le dita e i polsi a mollo, la certezza di stemperare e rinascere. Aprì la bocca e accolse l’acqua buona. L’acqua vera. Quando riemerse, lo spettro nella vasca era scomparso: a fissarlo dalla superficie c’era il volto di un uomo, di un vivo. Felyx Nephtar sorrise a se stesso.
Fece per alzarsi, ma una macchia argentata, a tratti verdognola, apparve e scomparve dietro il suo riflesso. Uno sbuffo irrequieto delle bestie negli stalli. Una zaffata pestilenziale di merda. La sua merda. Con le dita ancora umide, Felyx afferrò la daga e si voltò, tranciando l’aria alle sue spalle. Incontrò la cappa con cui si era pulito il culo. Le scaglie paludate all’altezza della gola. Nessuna esitazione. Lacerò entrambe.
Nesssuna pietà per la Lince...
Di nuovo quel sussurro, quel sibilo: un pugnale cadde dalle mani del Naga, un fiotto viola gli strabordò dalla gola. Lo sguardo vacuo. Si stava spegnendo? Lo trafisse finché non fu sicuro che lo fosse davvero.
Felyx trascinò il cadavere e lo nascose sotto un mucchio di paglia e letame. Perché il Naga si trovava laggiù, chi aveva inseguito chi? Quei sibili rivoltanti erano i suoi, ma forse la rivolta non era il vero bersaglio di quella notte. Che fosse tutto un diversivo per arrivare a lui, il ladruncolo della Dea Gatto? Improbabile. Magari qualcun altro, qualcuno che non conosceva. Soffiò irritato, incapace di far quadrare i conti: i suoi sforzi erano gocce in un mare di sabbia.
Ferma la rivolta, Felyx Nephtar. Tu sai come.
Assicurò le due sportine: con un po’ di impegno e fortuna, poteva intrufolarsi a palazzo e penetrare non visto nelle stanze del magnate. Sussultò. Era questo! Forse non avrebbe fermato la rivolta, ma era ciò che andava fatto. Ciò che Kesht si aspettava da lui.
Si chinò a bere un altro sorso d’acqua: buttò giù e si leccò le labbra senza trattenere un sorriso. Riannodò il turbante sul viso e sgattaiolò fuori dalla finestra socchiusa. Ora che stava bene, era la cosa più naturale del mondo.

Un intarsio elaborato nell’ebano. Una maniglia d’oro massiccio. Felyx richiuse piano la porta: dall’altro lato del battente, una sinfonia di russate e respiri da orso. Il guardiano sonnecchiava già al suo arrivo, rinforzargli il pisolino con la polvere era stato uno scherzo.
La camera del gran magnate era un tripudio di tappeti, candele accese e tendaggi vari. L’aria era impastata di polvere e incensi. Tracce di fumo stantio. Un vago sentore di oppio. Felyx serrò il turbante su naso e bocca. Sfilò tra i drappeggi fino al letto a baldacchino, ne scostò un lembo e sbirciò: il gran magnate Melkin era lì, affumicato e sudato, un maiale lardoso buono solo a morire. L’uomo più influente del Mare Giallo.
Accarezzò l’impugnatura della daga. Poteva farlo. Toglierlo di mezzo sarebbe stato giusto. Sarebbe stato facile. Più di bere un bicchiere d’acqua. Soffiò piano, incapace di dominarsi del tutto. E il gran magnate lo sentì.
“Chi è là? Sei tu, Akis?”
La voce di Melkin strideva come quella di un castrato. Felyx stritolò il manico e mugugnò un verso d’assenso.
“Oh, bene. Sai, l’incenso mi ha fatto la bocca un po’ asciutta. Versami un goccio d’acqua e portamela, caro Akis. Con tutto il rumore là fuori non riesco a dormire.”
Altro mugugno di assenso. Felyx lasciò la presa sull’elsa e si avvicinò alla scrivania di Melkin, una meraviglia di intarsi e suppellettili di pregio. Accarezzò le gobbe d’oro di un cammello fermacarte, i piccoli diamanti incastonati al posto degli occhi. Staccò almeno quelli, non se ne sarebbe accorto nessuno. Rovistò tra i documenti e scorse una missiva strana, ancora sigillata, con una serpe stilizzata sulla ceralacca. La intascò insieme ai brillanti.
“Sbrigati, Akis! Non puoi capire la sete che ho!”
Felyx prese la brocca e un calice di vetro soffiato, dai bordi d’oro e tempestato di rubini. Troppo vistoso. Peccato. Versò l’acqua pura, l’acqua trasparente, l’acqua per cui gli uomini morivano. E ci mise dentro il veleno.
Ferma la rivolta, Felyx Nephtar. Tu sai come.
La Dea Gatto aveva ragione, l’aveva sempre avuta: un magnate assassinato avrebbe portato solo caos, miseria e altre rivolte da soffocare nel sangue. Non avrebbe cambiato davvero le cose. I cambiamenti veri camminano in punta di piedi, uccidono e rinnovano senza fare rumore. Come un magnate morto nel sonno e il suo ennesimo pigro rimpiazzo, il popolo da ingraziarsi con un po’ d’acqua in più, qualche tassa in meno, la certezza che almeno la rivolta sarebbe finita. Forse non avrebbe salvato il mondo, ma per un ladruncolo con la dissenteria era più che abbastanza.
Felyx fece spallucce e porse a Melkin il calice avvelenato. Andava bene così.
Ultima modifica di Proelium il domenica 22 agosto 2021, 10:22, modificato 3 volte in totale.



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Re: Un calice di fango

Messaggio#2 » venerdì 20 agosto 2021, 11:27

Ciao a tutti, me la gioco anch'io sui tre bonus.
In bocca al lupo a tutti!

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Re: Un calice di fango

Messaggio#3 » martedì 24 agosto 2021, 12:17

Prime Impressioni Ciao Francesco! Gran bella ambientazione e bella storia. Ho comunque un paio di appunti da farti, ma il mio feedback è positivo.

Aderenza al tema e bonus Ok, il tema ci sta nel cambiamento politico che la tua nazione desertica avrà col nuovo dittatore. I bonus te li darei tutti, anche se sono incerto su quello del passato tormentato. Il protagonista ha di certo un background interessante, è una specie di Aragorn che discende da una stirpe di re del deserto, se non ho capito male. Però... non saprei quanto sia veramente tormentato da questo passato.

Punti di miglioramento Ho solo da farti un commento generale sullo stile: è molto carico. Ogni frase ha una sovrabbondanza di aggettivi e ci sono diversi infodump che mi hanno un momento rallentato. Fossi in te farei un po' di pulizia per rendere la lettura più fruibile. Lato trama, c'è anche qualcosa che non mi torna. Quali sono le vere motivazioni del protagonista? Perché vuole fermare la rivolta? In che modo muore il rettilone? E perché? Che ruolo ha nella vicenda? Chi è la misteriosa vecchia che appare al protagonista? Insomma: per quanto il tuo worldbuilding sia intrigante, qualche meccanismo politico mi è rimasto un pochino oscuro.
Il personaggio principale è senza dubbio interessante, anche se pecca di quello che io chiamo "effetto Sandokan": è sgravissimo, ma non si ha nessuna percezione del perché e percome sia così forte, ma solo una mezza frase della voce narrante tipo: "Doveva ancora nascere, qualcuno più furtivo di lui."

Punti di forza. C'è una certa cura nei dettagli che apprezzo sempre nelle storie che leggo. L'ambientazione è resa molto bene, con questo deserto, la dissenteria, la sete.. mi ha ricordato certamente Dune, e qualcosa de Il Pasto Nudo (non so perché, forse più il film che il libro...). Insomma, tanto di cappello: mi hai calato con successo in questa città desertica con le strade ricoperte di diarrea e tutti i suoi problemi sociali.

Conclusioni Ottima ambientazione e cura per i dettagli. Alcune scene me le sono proprio godute, anche se andrei a limare un po' la narrazione per renderla più scorrevole. Certamente, un buon racconto e una lettura che ho fatto volentieri.

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Re: Un calice di fango

Messaggio#4 » mercoledì 25 agosto 2021, 11:11

Rieccoci Matteo,
e ti ringrazio per il buon feedback! Sono felice che sia andata bene, soprattutto sul fronte ambientazione e storia.
Provo a dissipare qualche dubbio in merito alle tue osservazioni, di cui prendo senz'altro nota. Deciderai poi tu in sede di valutazione

non saprei quanto sia veramente tormentato da questo passato.

Cresciuto male nei bassifondi tra siccità, rivolte e senza più ricordi del padre. L'incontro decisivo con la Dea nel suo background (è un pg di cui avevo già scritto) che non gli ha svoltato la vita. Un passato pieno di tante piccole crepe al posto del solito maxi trauma mi intrigava di più, anche in ottica di sperimentazione.

Ho solo da farti un commento generale sullo stile: è molto carico.

Qui ci devo riflettere un po', perché pensavo di aver dosato bene aggettivi e informazioni nel testo. In alcuni passaggi si potrà sicuramente alleggerire di più (e ci ritornerò), ma a meno che la sequenza non sia di azione concitata, cerco sempre di definire bene ogni immagine e dare alla prosa il giusto respiro. O perlomeno, quello che sento giusto su di me.

"effetto Sandokan": è sgravissimo, ma non si ha nessuna percezione del perché e percome sia così forte, ma solo una mezza frase della voce narrante tipo: "Doveva ancora nascere, qualcuno più furtivo di lui."

Qui occhio perché, anche se siamo in terza remoto, il pdv è sempre immersivo e filtrato sul pg. Su MC ho constatato che la preparazione sull'immersività in prima è molto buona, sulla terza purtroppo la questione è più sottile, visto che filtra da una voce esterna. La sentenza che mi segnali non è una verità onnisciente su un pg "sgravo", ma solo Felyx che cerca di darsi un tono perché se la sta facendo sotto. Per renderlo più umano l'ho anche caricato di bisogni fisiologici non proprio eroici... ;)

Lato trama, c'è anche qualcosa che non mi torna. Quali sono le vere motivazioni del protagonista? Perché vuole fermare la rivolta? In che modo muore il rettilone? E perché? Che ruolo ha nella vicenda? Chi è la misteriosa vecchia che appare al protagonista?

C'è sicuramente un'indagine in corso e il protagonista ammette che tutte le risposte non le ha, può solo continuare a insistere agendo di nascosto, sperando di trovarle in futuro (magari in altri racconti). Quanto al resto (motivazioni, rivolta, rettile ucciso, vecchia gatta), forse sono un po' allusive, ma credo dal testo emergano tutte. Piuttosto, meglio non rischiare il peccato mortale del narratore onnisciente... ;)

Grazie per l'entusiasmo sull'ambientazione e per l'approfondito commento, da cui sicuramente posso imparare tanto: una risposta altrettanto articolata te la dovevo!

Buona Sfida Matteo, leggo e ti commento presto.
Francesco

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Re: Un calice di fango

Messaggio#5 » mercoledì 25 agosto 2021, 12:44

Ehi Francesco!
Proelium ha scritto:
non saprei quanto sia veramente tormentato da questo passato.

Cresciuto male nei bassifondi tra siccità, rivolte e senza più ricordi del padre. L'incontro decisivo con la Dea nel suo background (è un pg di cui avevo già scritto) che non gli ha svoltato la vita. Un passato pieno di tante piccole crepe al posto del solito maxi trauma mi intrigava di più, anche in ottica di sperimentazione.

chiare le tue intenzioni, allora ci sta.

Ho solo da farti un commento generale sullo stile: è molto carico.

Qui ci devo riflettere un po', perché pensavo di aver dosato bene aggettivi e informazioni nel testo. In alcuni passaggi si potrà sicuramente alleggerire di più (e ci ritornerò), ma a meno che la sequenza non sia di azione concitata, cerco sempre di definire bene ogni immagine e dare alla prosa il giusto respiro. O perlomeno, quello che sento giusto su di me.

Sia chiaro che non sono nessuno per farti le pulci, è solo una mia impressione. Ci sono alcune frasi che sono tali da avermi costretto a tornare indietro a rileggere perché ero conscio di essermi perso qualcosa. Ad esempio, all'inizio

Seduto su un’asse tarlata che faceva da panca, Felyx Nephtar sorseggiava di malavoglia una scodella di brodo maleodorante

Introduci un'asse (con aggettivo), un personaggio dal nome un po' ostico che sorseggia (con particella a funzione di avverbio) una scodella di brodo (con aggettivo). In una frase ci sono molti elementi che esprimono dei dettagli, e il lettore in poco tempo deve figurarsi molta roba. Forse è la posizione dei vari elementi che non aiuta, cosa ne pensi di:

Felyx Nephtar mandò giù un sorso della poltiglia puzzolente e, mentre il brodo caldo gli scendeva lungo l'esofago, il sapore della melma gli fece arricciare le labbra ancora attaccate all'orlo della scodella e lo fece agitare sulla panca mangiata dai tarli.

Questa frase non è ottima per il tema della consecutio temporum, però rendere tutto incentrato sul pdv, che vede e sente qualcosa, potrebbe aiutare la lettura e allo stesso tempo ricalcare di più le regole della scrittura immersiva. Dimmi cosa ne pensi, non sono un maestro della terza persona (anzi) e sto anche io brancolando nel buio.

"effetto Sandokan": è sgravissimo, ma non si ha nessuna percezione del perché e percome sia così forte, ma solo una mezza frase della voce narrante tipo: "Doveva ancora nascere, qualcuno più furtivo di lui."

Qui occhio perché, anche se siamo in terza remoto, il pdv è sempre immersivo e filtrato sul pg. Su MC ho constatato che la preparazione sull'immersività in prima è molto buona, sulla terza purtroppo la questione è più sottile, visto che filtra da una voce esterna. La sentenza che mi segnali non è una verità onnisciente su un pg "sgravo", ma solo Felyx che cerca di darsi un tono perché se la sta facendo sotto. Per renderlo più umano l'ho anche caricato di bisogni fisiologici non proprio eroici... ;)

Mmmm, ok. Quindi è il pdv che sente di essere sgravo e quindi quella frase ricalcava il suo pensiero. Ci sta, non è un narratore onnisciente che spiega tutto, ma un suo pensiero.

Buona Sfida Matteo, leggo e ti commento presto.
Francesco

Grazie a te :)

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Proelium
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Re: Un calice di fango

Messaggio#6 » mercoledì 25 agosto 2021, 14:07

Ma tranquillo, la cosa importante è imparare sempre il più possibile, e in questo MC è una risorsa preziosa. Sulla frase dell'incipit ora ci divertiamo ;)

Seduto su un’asse tarlata che faceva da panca, Felyx Nephtar sorseggiava di malavoglia una scodella di brodo maleodorante.

In una frase ci sono molti elementi che esprimono dei dettagli, e il lettore in poco tempo deve figurarsi molta roba. Forse è la posizione dei vari elementi che non aiuta, cosa ne pensi di:

Felyx Nephtar mandò giù un sorso della poltiglia puzzolente e, mentre il brodo caldo gli scendeva lungo l'esofago, il sapore della melma gli fece arricciare le labbra ancora attaccate all'orlo della scodella e lo fece agitare sulla panca mangiata dai tarli.


La mia versione, che poi magari fa comunque schifo, è costruita con l'effetto "establishing shot": prima si mette a fuoco la scena e poi si stringe sul personaggio in cui ci si sta per immergere. Iniziare subito dalle sensazioni di Felyx può essere lecito, ma lascerebbe il contesto indefinito, con la necessità per il lettore di risettarsi da zero appena arriveranno i riferimenti all'asse, alla taverna ecc.

Un appunto sulla tua versione: è ricchissima di quelle microazioni che fanno felici i paladini dell'immersione totale, ma che usati con questa abbondanza non fanno un così buon servizio. La lezione sul mostrato più importante che sto imparando (anche grazie al confronto con alcuni editor) è che bisogna selezionare con cura solo le azioni più significative e lasciar fluire la storia il più possibile: troppi verbi buggano il sistema al pari di troppi aggettivi.

Ovviamente non escludo che questo e altri passaggi siano migliorabili, come tutti ho ancora tanto da imparare e ogni osservazione è preziosa. Magari queste info un po' tecniche faranno comodo anche a te, chissà...

Ciao Matteo! :)

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MatteoMantoani
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Re: Un calice di fango

Messaggio#7 » mercoledì 25 agosto 2021, 14:11

Proelium ha scritto:Ma tranquillo, la cosa importante è imparare sempre il più possibile, e in questo MC è una risorsa preziosa. Sulla frase dell'incipit ora ci divertiamo ;)

Seduto su un’asse tarlata che faceva da panca, Felyx Nephtar sorseggiava di malavoglia una scodella di brodo maleodorante.

In una frase ci sono molti elementi che esprimono dei dettagli, e il lettore in poco tempo deve figurarsi molta roba. Forse è la posizione dei vari elementi che non aiuta, cosa ne pensi di:

Felyx Nephtar mandò giù un sorso della poltiglia puzzolente e, mentre il brodo caldo gli scendeva lungo l'esofago, il sapore della melma gli fece arricciare le labbra ancora attaccate all'orlo della scodella e lo fece agitare sulla panca mangiata dai tarli.


La mia versione, che poi magari fa comunque schifo, è costruita con l'effetto "establishing shot": prima si mette a fuoco la scena e poi si stringe sul personaggio in cui ci si sta per immergere. Iniziare subito dalle sensazioni di Felyx può essere lecito, ma lascerebbe il contesto indefinito, con la necessità per il lettore di risettarsi da zero appena arriveranno i riferimenti all'asse, alla taverna ecc.

Un appunto sulla tua versione: è ricchissima di quelle microazioni che fanno felici i paladini dell'immersione totale, ma che usati con questa abbondanza non fanno un così buon servizio. La lezione sul mostrato più importante che sto imparando (anche grazie al confronto con alcuni editor) è che bisogna selezionare con cura solo le azioni più significative e lasciar fluire la storia il più possibile: troppi verbi buggano il sistema al pari di troppi aggettivi.

Ovviamente non escludo che questo e altri passaggi siano migliorabili, come tutti ho ancora tanto da imparare e ogni osservazione è preziosa. Magari queste info un po' tecniche faranno comodo anche a te, chissà...

Ciao Matteo! :)

Chiaro il tema delle microazioni. Sia chiaro, quando leggerai il mio racconto ti accorgerai che predico bene e razzolo male: io stesso ho preferito dare più peso alla vecchia scuola, e a mia volta l'incipit segue l'establishing shot (espressione che imparo adesso). Non sono un fan del mostrato puro (anzi) e sto cercando un giusto equilibrio tra una tecnica e l'altra. Da qui tutte le mie elucubrazioni.
Grazie mille!

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Milena
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Re: Un calice di fango

Messaggio#8 » venerdì 27 agosto 2021, 15:30

[mi scuso con tutti per la brevità dei commenti ma sono, come si dice, un po’ nelle curve…]

Ciao proelium, ben trovato!
Un racconto interessante ma, devo ammetterlo, un po’ caotico. Non ti nascondo che ho dovuto rileggerlo due volte per comprenderlo appieno.
Cosa ho apprezzato? Sicuramente le ambientazioni e la cura per alcuni dettagli, che hanno reso certe scene (come l’inseguimento iniziale del Naga) particolarmente “visive”. Sappi, inoltre, che alla seconda lettura mi sono dovuta alzare a prendere un bicchiere d’acqua perché mi hai fatto venire sete! Quando si dice scrittura immersiva...
La narrazione nel suo complesso, però, mi è parsa confusa; se in certi passaggi, come dicevo sopra, hai dato molto peso ai dettagli, in altri hai lasciato alcune cose non dette o raccontate solo di sfuggita, il che ha reso un po’ difficile capire bene il background del protagonista e le sue motivazioni. Ciò ha un suo peso per quanto riguarda il bonus sul passato tormentato; mi sembra di capire dal passaggio “La gente in città aveva smesso di chiamarlo Malpelo,” che in gioventù o, comunque, in un’altro stadio della sua esistenza abbia avuto problemi, ma questi non sono ben chiariti. Preso in pieno invece il bonus sul momento imbarazzante (cosa c’è di peggio che scoprire di non essere da soli in bagno? ;), idem l’evento epocale, che io vedo nella rivolta a cui ti riferisci. Il tema mi sembra un po’ tirato per i capelli, ma credo tu intenda che sarà Felyx a portare il cambiamento in un tempo successivo al racconto, quindi direi che ci sta.
In compenso un bel racconto, che ho letto con un po’ di fatica ma anche con piacere (e disgusto… accidenti! In questo caso la scrittura immersiva è un’arma a doppio taglio!) Scherzi a parte, un buon lavoro. Grazie!

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Michael Dag
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Re: Un calice di fango

Messaggio#9 » domenica 29 agosto 2021, 15:15

ciao!
non sono in gara, ma voglio comunque commentare il racconto, anche perche avevo fatto da "giudice" nell'edizione del mese scorso dove avevi portato uno spin-off di questa storia. (quando felix va a recuperare un otre d'acqua ma alla fine lo regala a un bambino).

la storia mi è piaciuta, le cose di rivolte popolari mi appassionano particolarmente, quindi non ho potuto fare a meno di pensare a quante volte nella storia si siano verificati episodi simili, col popolo che soffre fino a esplodere con violenza (spesso inutilmente).

il personaggio mi piace, hai enfatizzato bene i suoi difetti, ovvero l'impotenza di fronte a una cosa più grande di lui che risolve brillantemente con una decisione molto saggia e lungimirante.
non ho trovato fastidiosa l'abilità furtiva e guerriera di felix, alla fine sì, fa cose decisamente sopra la media, ma nulla di eccessivo. alla fine si tratta di un rogue in un ambientazione fantasy, per me ci sta.
l'unica cosa, quando nella battaglia supera il muro di scudi, ecco, quella scena è un po holliwoodiana.
il passato misterioso è forse troppo misterioso, non ho ben capito se lui è un nobile decaduto, un prescelto della dea, un fanatico religioso...qui puoi approfondire.
della deagatto sappiamo poco, anzi, nulla. ok, non che sia obbligatorio per la trama, ma qualche dettagli un più mi sarebbe piaciuto.

stile evocativo e descrittivo, anche se qualche aggettivo in meno renderebbe più fluida la lettura.
in alcuni momenti, dall'immersività del personaggio, scivoli nell'onniscente invasivo e negli spiegoni commentati dall'autore.
personalmente non critico questo approccio alla scrittura, ma alcune frasi sono migliorabili.
non sono un fan dei duepunti, quello proprio no.

bella la metafora degli insetti, mi è piaciuto quel paragrafo.
bella la descrizione del palazzo del magnate, dopo tutta la merda che abbiamo visto fin'ora crea un contrasto che mi ha portato a empatizzare fino in fondo con la plebe in rivolta (e col protagonista, ovviamente).


in definitiva, mi è piaciuto, una bella avventura conclusa nel modo migliore. non quello che volevamo, no. il migliore che il pg ha trovato per salvare il salvabile, e fa riflettere che spesso, le soluzioni di pancia non sono le migliori.
e sono anche felice di farti un feedback positivo, te lo sei davvero meritato!
adesso vado a bere qualcosa, ho la gola secca.!

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Leonardo Pigneri
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Re: Un calice di fango

Messaggio#10 » lunedì 30 agosto 2021, 11:39

Prime impressioni: Ciao Francesco! Il racconto mi è piaciuto, si vede che ci hai riversato dentro un bel lavoro di worldbuilding. Ha però qualche problema di pacing a mio parere.

Tema: Il tema ci sta secondo me, dato che non specifica che proprio il protagonista deve cambiare. Qui infatti è l'ambientazione che deve cambiare, la fine della rivolta e una situazione un po' migliore per il popolo. I bonus, ok a tutti tranne per il passato tormentato, che non ho sentito.

Positivo: Il racconto più vai avanti più fila liscio. Ottima l'ambientazione e ho apprezzato il ripetersi della frase “Ferma la rivolta, Felyx Nephtar. Tu sai come.” lungo tutta la seconda parte del racconto. Un richiamo all'ineluttabilità di ciò che deve essere fatto e anche un ottimo modo per mantenere la temperatura delle scene.

Negativo: Partiamo con lo stile. Non è male ma è molto carico di raccontato più che mostrato. In particolare tutta la prima scena, in cui succede ben poco ma il PDV rimugina tanto. Non il massimo per catturare il lettore a mio parere.
Altri paragrafi successivi come questo:
Anche se la Dea Gatto lo aveva benedetto, la sua vita da disgraziato non era cambiata. Saccheggiava ancora i templi, beveva fanghiglia e di tanto in tanto ammazzava qualcuno. Per sopravvivere, si diceva scrollando le spalle. La gente in città aveva smesso di chiamarlo Malpelo, ma il cognome altisonante dei Nephtar, i vecchi Re del Deserto, serviva a poco se eri un ladruncolo con la dissenteria. La Dea Gatto glielo aveva accordato, va bene, ma quel titolo era buono solo per pulirsi il...

Seppur tu li mascheri come pensieri del protagonista, rimangono infodump piuttosto indigesti e forzati.
La storia ha due problemi secondo me. Uno è il ritmo.
Il racconto parte lento e va bene, poi accelera con l'inseguimento e la rivolta, poi, fino alla fine si susseguono scene più a bassa temperatura mancando di un vero e proprio climax. La seconda parte rimane migliore della prima per l'assenza di grossi infodump, ma se avessi messo un conflitto maggiore verso la fine sarebbe sicuramente riuscita meglio.
Il secondo problema è legato a questo, il finale sembra tu lo abbia concentrato sulla decisione che il protagonista fa. Come se un attimo prima stesse per ammazzare il riccone a coltellate e poi, solo dopo che si è svegliato, decide di avvelenarlo. Ci potrebbe anche stare, ma il fatto che lui poco prima avesse preso il veleno dal bazar rende tutto molto forzato. L'aveva già messa in conto la possibilità di avvelenarlo quando aveva preso le polveri e tu non l'avevi fatta trasparire al momento corretto riservandoti la sorpresa per il finale.
Le opzioni quindi erano due: O mostravi i pensieri del protagonista quando prendeva il veleno, oppure trovavi un modo perché lui avesse il veleno sempre addosso (magari con una semina all'inizio) e allora, proprio quando il riccone si svegliava, lui si nascondeva e gli veniva in mente l'idea di avvelenarlo. Spero di essermi spiegato bene.

Conclusioni: Un buon racconto che sicuramente non pecca per inventiva e che con qualche accorgimento qua e là poteva essere davvero una bomba. Spero di esserti stato utile. A presto Francesco!

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Proelium
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Re: Un calice di fango

Messaggio#11 » giovedì 2 settembre 2021, 14:22

Grazie a tutti per i preziosi commenti. Molto positivo che ognuno di voi abbia trovato buona l'ambientazione, vuol dire che era solida davvero.
E positivissimo che finalmente sono riuscito a strappare un apprezzamento a Michael, anche se non è in gara mi fa davvero tanto piacere.
Mi spiace invece per le criticità del background, volevo che trapelasse da sé e lasciasse intendere che il pg ne aveva passate tante, ma a quanto vedo la resa è stata subottimale. Pazienza, è stato comunque un esperimento utile.
Sulla faccenda dello stile, ringrazio Leonardo per l'analisi dettagliata. Il passo che segnali è un sicuro bersaglio, ma anche lì era stato voluto: un pdv interno in terza che riflette/semina/crea background a volte è l'unico modo per dare profondità a un pg taciturno e spesso senza interlocutori. Nel tuo caso avevi applicato alla lettera l'immersione in prima presente e puntellato il flusso con tutti i sostegni e attanti possibili. Ma ci sono anche situazioni/scene più scomode, che almeno per me sarebbe un peccato rinunciare a scrivere.

Alla prossima!
Francesco

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Re: Un calice di fango

Messaggio#12 » giovedì 2 settembre 2021, 15:06

Ciao Francesco,

il tuo è uno di quei racconti che ho apprezzato di più dalla seconda rilettura in poi (ho cercato di leggere tutti più volte per dividere le prime impressioni da opinioni più saldate).

Bonus
Il tema è centrato e anche i bonus per l'evento epocale e il momento imbarazzante ci stanno tutti. Ciò che meno mi ha convinto è il passato tormentato: qui il passato c'è e ha un suo peso, ma mi sono persa il tormento che ne deriva.

Giudizio
L'ambientazione mi ha travolta: sono stata veramente immersa in questo luogo con la gola secca che chiede anche la più misera goccia d'acqua, quindi non ho fatto fatica ad immergervi nel disagio del PdV. Ho però trovato il testo molto carico e mi ha ricordato le mie prime esperienze di guida, quando faticavo a mettere la marcia nel momento giusto e la macchina aveva momenti di stop mentre procedevo con scorrevolezza.
Scorre scorre scorre. Stop. Scorre scorre scorre. Stop.
Soprattutto la parte finale ho fatto fatica a leggerla con la stessa attenzione e lo stesso interesse iniziale, forse perché mentre la sete la percepisco, i motivi che portano Felyx ad agire li comprendo un po' meno. Sarà che mi affascinano i personaggi deboli e Felyx è un fighissimo one-show-man che fa quello che vuole.
In sintesi ho gradito molto l'ambientazione e come l'hai resa, il mio consiglio è quello di lavorare forse un po' di più sui personaggi (in particolare sul protagonista) in modo che emergano con più forza le loro motivazioni e sia più facile per il lettore esser coinvolto nelle loro peripezie.

Grazie per la bella lettura!

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Proelium
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Re: Un calice di fango

Messaggio#13 » giovedì 2 settembre 2021, 15:51

Ciao Morena,
grazie a te per il feedback. Ancora una volta, ambientazione andata bene e background poco percepito. Prendo nota ;)
Il tormento, senza telefonarlo troppo, è la rivolta violenta in cui Felyx aveva perso suo padre. Ma anche una vita di stenti nonostante il favore di una dea penso sia frustrante... Il conflitto invece, così completiamo il pacchetto, è non cedere alla sete di sangue abbracciando la rivolta ma andare a caccia di un'altra risposta, meno da showman ma forse più impattante.
Sulla questione dello stile/auto inceppata: non ho capito se ti riferisci a un difetto globale di tessitura della frase o più a una sfasatura di ritmo tra una sequenza e l'altra. Se è la seconda, considera che ho impresso al testo (o almeno ci ho provato) un andamento serrato solo nelle scene ad alta temperatura, scegliendo invece di rallentare e distendere i periodi nelle sequenze più calme. Fammi sapere, perché qui la faccenda è seria... ;)

Alla prossima!

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Alessandro -JohnDoe- Canella
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Re: Un calice di fango

Messaggio#14 » venerdì 3 settembre 2021, 10:33

Ciao Francesco.
Il tuo racconto è, per certi versi, speculare a quello di Matteo. Forma subottimale la sua, più solida nel tuo caso; protagonista di spessore per lui, un po’ troppo stile marionetta per te. Ma andiamo con ordine.

Stilisticamente parlando, pur avendo adottato uno stile che non rientra nei miei gusti personali, gli va riconosciuta una buona solidità (bada bene, giusto per evitare fraintendimenti: in questo caso parlando di stile non prendo minimamente in considerazione la scelta del narratore). Il tratto è sicuro, per nulla improvvisato. In altre parole, consapevole, e a mio avviso questo è un pregio. L’unico passaggio che ammetto non piacermi proprio è questo:

“Bisognerebbe farglielo veramente, il culo. Prenderli tutti, uno a uno, e riempirglielo di sabbia, così come il nostro è pieno di...”

L’impressione datami da questo stacco mi fa quasi da autocensura, anche se so che non può essere tale visto il vocabolario non certo da scolaretto adottato. Avrei comunque preferito sentire la frase fino in fondo, ma forse ciò dipende anche dal fatto che in queste settimane sto leggendo quasi soltanto Scott Lynch, che invece è un vero artista quando si tratta di far dire ai suoi personaggi i peggiori improperi.

Ad aver apprezzato meno è invece, come scrivevo sopra, la figura del protagonista. Sebbene questi goda di una sua “voce” ben caratterizzata, durante l’intero brano ho avuto come la sensazione che le sue azioni venissero dettate non tanto dalla sua volontà, quanto dall’esterno. Insomma, mi sembrava di avere di fronte una marionetta che faceva quello che voleva l’autore, anziché quello che voleva lui, sensazione che ha il suo climax nelle ultime righe, le quali mancano a mio avviso di una semina adeguata volta a portare il protagonista verso l’epifania finale.

Riguardo proprio il finale, ammetto di aver storto un po’ il naso di fronte ad altri due dettagli. Il primo è l’effetto “teletrasporto” che introduce il paragrafo finale. Possibile che Felyx riesca a raggiungere il suo obbiettivo così facilmente, senza trovare la benché minima resistenza? Nella città sta scoppiando una rivolta popolare, mi aspetterei una maggiore protezione nei confronti di Melkin. Il secondo ha a che vedere infine proprio con quest’ultimo: possibile che non si accorga che l’uomo che gli sta porgendo da bere non è il suo servitore? Ha la mente davvero così tanto annebbiata dall’incenso?

In conclusione: ottima ambientazione, trama interessante e buona scrittura, ma protagonista e struttura del racconto non mi convincono al cento per cento. Nulla che comunque non si possa sistemare in fase di revisione, visto e considerato che i pregi superano comunque i difetti.
Alla prossima.
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Proelium
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Re: Un calice di fango

Messaggio#15 » sabato 4 settembre 2021, 22:51

Ciao Alessandro,
grazie per il feedback, sono davvero contento che tu abbia sentito la bontà del lavoro nonostante la differenza di gusti: è da riscontri come il tuo che il miglioramento, se c'è, si può saggiare con mano :)

Grazie anche per gli appunti sempre utili per migliorare. Provo a dirti la mia:

Sulla battuta "censurata": semplicemente non volevo essere didascalico e lasciar emergere l'elemento dissenteria dalla storia. Ho pensato a quella battuta come una semina, non come un payoff.

Sul protagonista marionetta: Felyx ha una sua interiorità, e mi spiace che trapeli poco. Forse è dovuto al fatto che è un personaggio di cui mi era già capitato di scrivere, non so. In futuro mi piacerebbe creare un ciclo di racconti suoi, tutti autonomi ma collegati, e bilanciare di volta in volta informazioni vecchie e nuove non è per nulla facile. A ogni modo, uno dei conflitti della storia doveva essere proprio il senso di impotenza del pg in balia degli eventi, della storia, della volontà degli dèi... ho seminato all'inizio la soluzione che Felyx sapeva già fin dal principio: con un po' di fortuna poteva infiltrarsi a palazzo e uccidere Melkin. Quello sarà il punto di arrivo, ma come ha fatto notare Micheal il percorso non sarà lineare né trionfale.

Sul finale: ho optato per un'ellissi non solo per una questione di caratteri, ma anche per non essere ripetitivo. Da assetato, Felyx aveva già liquidato delle guardie, scassinato porte e fatto azioni furtive. Dopo la bevuta riacquista lucidità e benessere: ho pensato che un'eventuale scena di infiltrazione sarebbe risultata meno tesa, e lì sì che si sarebbe rischiato l'effetto-Sandokan. Ho sentito di dover chiudere con un ponte diretto tra il climax con il Naga e l'assassinio di Melkin... che no, non era proprio il massimo del furbizia. L'idea era anche di giocare sull'effetto distorto di fumo e veli vari, in fase di progettazione ho fatto del mio meglio ma vedrò di migliorare ancora.

Alla prossima!

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