La casa di Dio

Appuntamento fissato per le 21.00 di lunedì 18 ottobre 2021 con un tema di Luca Cristiano!
Gli autori che vorranno partecipare dovranno scrivere un racconto di max 4000 caratteri entro l'una.
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Enzo Gentile
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La casa di Dio

Messaggio#1 » martedì 19 ottobre 2021, 0:43

Spinsi con cautela la porta ed entrai nella chiesa. Mi guardai intorno: poche lampadine illuminavano la penombra della navata. Qua e là poche persone, qualche donna in ginocchio, il capo velato, assorta in preghiera.
Abbassai il cappuccio del giaccone. Come un riflesso automatico avevo ricordato le parole ascoltate anni prima: ‘… in chiesa le donne devono avere sempre il capo coperto, gli uomini invece devono scoprirlo!...’.
Mi avvicinai al confessionale, un uomo in attesa e una donna inginocchiata che bisbigliava nella grata. Mi sedetti dietro all’uomo, mettendomi in fila, come aveva fatto da piccolo, quando con gli amici santificavamo con la confessione tutti i sabati pomeriggio.
Spostai lo sguardo sulla donna, sembrava giovane: magra, capelli biondi che sembravano naturali, tacchi alti sotto un paio di pantaloni scuri. Mi ritrovai a fantasticare su ciò che stava raccontando, ora però non avevo nessuno cui raccontare gli episodi più scabrosi che riuscivo a ricostruire con la fantasia.
Distolsi lo sguardo, non ero lì per quello e non era ancora il momento di farmi assalire dal passato.
La donna si rialzò, un veloce segno della croce e poi si rivolse sottovoce all’uomo seduto: «Andiamo…». Lo sguardo era rivolto verso il basso, ma gli occhi erano lucidi: aveva pianto. Lui si alzò e provò ad abbracciarla. Lei si abbandonò solo per un attimo, poi si divincolò e si avviò in fretta verso l’uscita. Lui la seguì, con il capo chino.
Toccava a me ora:
«In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen», dissi, inginocchiandomi davanti alla grata e segnandomi.
Dall’altra parte della grata sentì la stessa formula ripetuta e poi l’invito ad aprirsi: «Figliolo, da quanto tempo non ti confessi?».
«Tanti anni, troppi», risposi con voce rotta, ma con la rabbia che sentivo montare.
«Allora dovrai raccontarmi molte cose e pentirtene, non è così?» La voce era melliflua, insinuante, la percepivo come un invito a condividere anche i pensieri più oscuri e le azioni più orribili.
«Sì», risposi: «ho tanto da raccontare…».
«E allora forza, comincia. C’è anche Dio ad ascoltarti, io sono solo il suo tramite…»
Cominciai a fatica: «Ho una moglie, due figli…», mi fermai, esitai. Poi continuai con più forza: «Non è vero, tutto questo lo avevo e l'ho perso. Perché insieme a questo cercavo altro e lo trovavo… con facilità…»
«Cos’altro cercavi? Altre donne? Forse uomini?» La sua voce si era fatta più bassa, sensuale, pensai con un brivido.
«No», risposi sicuro, alzando la voce: «cercavo ragazzi.»
Dall’altra parte della grata un sospiro profondo e poi ancora quella voce: «E li trovavi hai detto? Racconta…»
Ora ero sicuro, allegro: «Sono un insegnante, era semplice. Cercavo il più solitario, quello diverso, che sapevo avrebbe taciuto, e me lo portavo a letto una volta finito l’anno scolastico. Sceglievo sempre quelli dell’ultimo anno, i quattordicenni, quelli che non avrei più rivisto, in modo da non dovermeli trovare ancora tra i banchi. Ma l’ultima volta ho fatto una scelta sbagliata e non sono più riuscito a liberarmene…»
Mi rispose con voce spezzata, con un singulto, ma mantenendo il tono basso: «È una cosa gravissima, dovrai espiare… iniziare un cammino di riconciliazione con il Signore... possiamo farlo insieme, saprò aiutarti…».
Mi alzai e andai sul davanti del confessionale aprendo con violenza la tenda che lo chiudeva. Ora urlavo «Espiare? E perché? Anche tu sai bene cosa vuol dire portarsi a letto qualcuno che si fida ciecamente di te, e che ha il vigore e l’ingenuità di chi che non ha esperienza. La sensazione di potere tutto e di essere simile a un essere divino per lui…».
«Ma tu sei…?». Ora mi aveva riconosciuto e aveva paura. Urlò «Vai via! Questa è la casa di Dio!»
Tirai fuori il coltello che avevo portato con me e glielo affondai nello stomaco: «Per anni ho seguito il tuo esempio, senza riuscire a dimenticarti, ma ora ho trovato la forza di cancellarti. E non bestemmiare: qui Dio non ha mai abitato.»



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antico
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Re: La casa di Dio

Messaggio#2 » martedì 19 ottobre 2021, 0:44

Ciao Enzo! Caratteri e tempo ok, buona Luca Cristiano Edition anche a te!

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Antonio Pilato
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Re: La casa di Dio

Messaggio#3 » martedì 19 ottobre 2021, 15:56

Ciao Enzo, il tuo racconto mi ha rapito fino all’ultima parola; sebbene tu sia incappato nell’ormai canonico cliché della pedofilia clericale, devo dire che la rivelazione della verità avviene in maniera giusta, pertinente e al passo con la lettura.
Il tema è rispettato e quanto alle scelte stilistiche tutto molto buono fuorché l’inserimento della breve vicenda della donna: probabilmente, la tua era una tattica per distrarre positivamente il lettore e, qualora fosse questo il caso, allora anche questa decisione narrativa potrebbe tranquillamente coesistere nella trama.

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Laura Calagna
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Re: La casa di Dio

Messaggio#4 » giovedì 21 ottobre 2021, 15:52

Ciao Enzo, piacere di conoscerti.

Sei la mia prima posizione, dubito che cambierò idea.
Il tuo racconto mi piace un casino, la tensione cresce gradualmente fino a esplodere nel colpo di scena finale. Le descrizioni sono perfette, la scena è lì e i refusi (ce ne sono un po', questo è vero, ma abbiamo anche poco tempo) non ledono la qualità e la fluidità della lettura.
Il prete mi è stato antipatico dalla prima battuta e non mi aspettavo un risvolto tale dalla voce narrante.
Complimenti, davvero.

Spero di rileggerti presto.

Dario17
Messaggi: 417

Re: La casa di Dio

Messaggio#5 » domenica 24 ottobre 2021, 11:55

Questo pezzo soffre di troppe artificiosità e di una scrittura migliorabile nei passaggi chiave.
Pezzi come "Mi guardai intorno", "Come un riflesso automatico avevo ricordato"
"pensai con un brivido" fanno zoppicare la lettura non poco.
Non è una buona idea nemmeno caricare le descrizioni con aggettivi uno dopo l'altro tipo "La voce era melliflua, insinuante,...".
Andrebbero rivisti anche i dialoghi, legati a frasi fatte oppure TROPPO INVEROSIMILI come "e che ha il vigore e l’ingenuità di chi che non ha esperienza. La sensazione di potere tutto e di essere simile a un essere divino per lui…" Chi è che all'apice di una situazione tesa se ne uscirebbe con una frase così contorta? sembra proprio l'exploit spiegone di un personaggio teatrale e non lo sfogo di una persona vera.
il colpo di scena finale, seppur piazzato nel punto giusto per un racconto così breve, è un clichè fatto e finito.
Deboluccio il collegamento con la traccia del contest: il prete pedofilo non è di certo di casa in una chiesa, ma gli "altri" chi sarebbero?

FilippoR
Messaggi: 161

Re: La casa di Dio

Messaggio#6 » lunedì 25 ottobre 2021, 17:57

Ciao Enzo,
un racconto impegnativo per la tematica trattata ma non ho trovato particolari problemi tranne l'uso dei cliché.
Per il resto scorrevole, inizialmente mi era sembrata stonata la descrizione della voce del prete "La voce era melliflua, insinuante" ma arrivato alla finale (inaspettato) e è diventata chiara la motivazione.
Buon proseguimento e alla prossima!

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Alessandro -JohnDoe- Canella
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Re: La casa di Dio

Messaggio#7 » lunedì 25 ottobre 2021, 21:59

Ciao Enzo.
Da questo mese ho deciso di commentare i racconti segnando a lato del testo le mie note “a caldo”, col commento vero e proprio lasciato in fondo.


Spinsi con cautela la porta ed entrai nella chiesa. Mi guardai intorno: poche lampadine illuminavano la penombra della navata. Qua e là poche persone, qualche donna in ginocchio, il capo velato, assorta in preghiera. [Come incipit non mi fa impazzire, vuoi per la ripetizione di “poche”, sia per quel “mi guardai intorno”. Essendo il brano in prima persona, spesso è superfluo usare verbi che indicano l’atto del guardare, in quanto il semplice descrivere ciò che circonda il portatore di PDV denota tale tipo di azione.]
Abbassai il cappuccio del giaccone. Come un riflesso automatico avevo ricordato le parole ascoltate anni prima: ‘… in chiesa le donne devono avere sempre il capo coperto, gli uomini invece devono scoprirlo!...’. [Perché quei puntini di sospensione? E poi che ha detto queste parole. È un ricordo del protagonista, dovrebbe saperlo.]
Mi avvicinai al confessionale, un uomo in attesa e una donna inginocchiata che bisbigliava nella grata. Mi sedetti dietro all’uomo, mettendomi in fila, [Se si è messo dietro l’uomo, è ovvio che si messo in fila] come aveva fatto da piccolo, quando con gli amici santificavamo con la confessione tutti i sabati pomeriggio.
Spostai lo sguardo sulla donna, sembrava giovane: magra, capelli biondi che sembravano naturali, tacchi alti sotto un paio di pantaloni scuri. Mi ritrovai a fantasticare su ciò che stava raccontando, ora però non avevo nessuno cui raccontare gli episodi più scabrosi che riuscivo a ricostruire con la fantasia.
Distolsi lo sguardo, non ero lì per quello e non era ancora il momento di farmi assalire dal passato.
La donna si rialzò, un veloce segno della croce e poi si rivolse sottovoce all’uomo seduto: «Andiamo…». Lo sguardo era rivolto verso il basso, ma gli occhi erano lucidi: aveva pianto. Lui si alzò e provò ad abbracciarla. Lei si abbandonò solo per un attimo, poi si divincolò e si avviò in fretta verso l’uscita. Lui la seguì, con il capo chino.
Toccava a me ora:
«In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen», dissi, inginocchiandomi davanti alla grata e segnandomi. [Perché sei andato a capo dopo i puntini? Attenzione inoltre al sequenza temporale delle azioni. Il gerundio, a tal proposito, è uno dei nemici giurati degli scrittori, in quanto spesso inverte tale sequenza. Pensaci: il protagonista PRIMA si si inginocchia e si fa il segno della croce, POI parla. Ti sarebbe bastato trasformare il passaggio così: “Toccava a me ora. M’inginocchiai davanti alla grata e feci il segno della croce. «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.»”]
Dall’altra parte della grata sentì [sentii]la stessa formula ripetuta e poi l’invito ad aprirsi: «Figliolo, da quanto tempo non ti confessi?».
«Tanti anni, troppi», risposi con voce rotta, ma con la rabbia che sentivo montare. [Passaggio “tellato” all’ennesima potenza. Dov’è questa rabbia? Io, da lettore, non la vedo e pertanto non posso percepirla.]
«Allora dovrai raccontarmi molte cose e pentirtene, non è così?» La voce era melliflua, insinuante, la percepivo come un invito a condividere anche i pensieri più oscuri e le azioni più orribili.
«Sì», risposi: «ho tanto da raccontare…». [Di nuovo: perché i due punti?]
«E allora forza, comincia. C’è anche Dio ad ascoltarti, io sono solo il suo tramite…»
Cominciai a fatica: «Ho una moglie, due figli…», mi fermai, esitai. Poi continuai con più forza: «Non è vero, tutto questo lo avevo e l'ho perso. Perché insieme a questo cercavo altro e lo trovavo… con facilità…»
«Cos’altro cercavi? Altre donne? Forse uomini?» La sua voce si era fatta più bassa, sensuale, pensai con un brivido. [Anche qui vale il discorso sui verbi tipo “vedere”. Sei in prima persona e pertanto tutto ciò che viene detto è il realtà un pensiero del protagonista.]
«No», risposi sicuro, alzando la voce: «cercavo ragazzi.» [Come sopra: i due punti sono sbagliati. Serve una seconda virgola, in quanto stai interrompendo un discorso diretto con una nota del narratore.]
Dall’altra parte della grata un sospiro profondo e poi ancora quella voce: «E li trovavi hai detto? Racconta…»
Ora ero sicuro, allegro: «Sono un insegnante, era semplice. Cercavo il più solitario, quello diverso, che sapevo avrebbe taciuto, e me lo portavo a letto una volta finito l’anno scolastico. Sceglievo sempre quelli dell’ultimo anno, i quattordicenni, quelli che non avrei più rivisto, in modo da non dovermeli trovare ancora tra i banchi. Ma l’ultima volta ho fatto una scelta sbagliata e non sono più riuscito a liberarmene…»
Mi rispose con voce spezzata, con un singulto, ma mantenendo il tono basso: «È una cosa gravissima, dovrai espiare… iniziare un cammino di riconciliazione con il Signore... [Attenzione a quando il correttore automatico non trasforma i 3 punti fermi in puntini di sospensione.] possiamo farlo insieme, saprò aiutarti…».
Mi alzai e andai sul davanti del confessionale aprendo con violenza la tenda che lo chiudeva. Ora urlavo «Espiare? E perché? Anche tu sai bene cosa vuol dire portarsi a letto qualcuno che si fida ciecamente di te, e che ha il vigore e l’ingenuità di chi che non ha esperienza. La sensazione di potere tutto e di essere simile a un essere divino per lui…».
«Ma tu sei…?». Ora mi aveva riconosciuto e aveva paura. Urlò «Vai via! Questa è la casa di Dio!»
Tirai fuori il coltello che avevo portato con me e glielo affondai nello stomaco: «Per anni ho seguito il tuo esempio, senza riuscire a dimenticarti, ma ora ho trovato la forza di cancellarti. E non bestemmiare: qui Dio non ha mai abitato.»

COMMENTO FINALE
Ciao Enzo e innanzitutto benvenuto.
Come avrai notato dalle note soprariportate, i punti critici sono parecchi, soprattutto a livello stilistico. Innanzitutto, se vuoi padroneggiare l’arte dello scrivere, il mio consiglio è d’imparare la corretta punteggiatura, perché allo stato attuale ci sono troppi passaggi che utilizzano “regole” del tutto inventate e sbagliate dal mero punto di vista logico. I due punti servono infatti a introdurre una spiegazione, non certo la seconda parte di un dialogo spezzato da un commento del narratore.
Altro coniglio: fai il possibile per evitare i gerundi. Sono un tempo verbale pessimo in narrativa, in quanto sta a indicare una simultaneità nelle azioni che, nella realtà, il più delle volte non esiste. Al contrario, il gerundio tende a invertire l’ordine naturale delle azioni.
Idem per gli aggettivi. Ne usi troppi, a volte persino in sequenza. Non ricordo più chi disse che un bravo scrittore usa un solo aggettivo, un maestro non più di due, ma è una sacrosanta verità.
Infine, ti sconsiglierei la prima persona al passato. La prima persona è sempre meglio al presente, in quanto aumenta l’immedesimazione del lettore nel portatore di PDV.
Ci vado giù un po’ secco perché questo brano, purtroppo, è colmo di errori di livello base ed è bene correggerli subito, piuttosto che soprassedere con una pacca sulle spalle al motto di “andrà meglio la prossima volta”. Andrà meglio soltanto se dietro c’è impegno e dedizione, anche perché le idee e la costruzione della scena, per quanto visto in questa occasionie, ci sono tutte. Dopotutto, non a caso, questo forum è spesso definito una palestra. Quindi forza, rimboccati le maniche e ci si vede al prossimo giro. :)
lupus in fabula

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Luca Nesler
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Re: La casa di Dio

Messaggio#8 » martedì 26 ottobre 2021, 9:19

Ciao Enzo!
Bella l'idea che la casa d'altri sia la casa di Dio. Le chiese come ambientazione mi piacciono molto.
Hai forzato un po' il colpo di scena finale ottenendo un effetto straniante. Seguiamo il protagonista dall'inizio, ma mai penseremmo che sia lì per quello che invece intende fare. Alla fine è chiara l'intenzione dell'autore e questo rompe la magia.
Sul piano tecnico devo dire che trovo la tua prosa un po' antiquata e frettolosa. Ti faccio degli esempi per giustificare questo giudizio:
"Spinsi con cautela la porta ed entrai nella chiesa."
A cosa è dovuta la cautela? Questa cautela è una pistola di Cechov: non si può inserire e basta.

"Mi guardai intorno: poche lampadine illuminavano la penombra della navata. Qua e là poche persone, qualche donna in ginocchio, il capo velato, assorta in preghiera."
Il "mi guardai intorno" è del tutto superfluo. Poi, davvero devo immaginare poche lampadine che illuminano una chiesa? Dove sono i fari o, quantomeno, dei lampadari?
Inoltre hai già una ripetizione nelle prime due righe. Certo, lo so che sfuggono, ma fa una cattiva prima impressione.

Nella frase "qualche donna in ginocchio, il capo velato, assorta in preghiera." si sente la mancanza della preposizione e ti espone come autore. Le scelte autoriali evidenti lo fanno.

"Come un riflesso automatico avevo ricordato le parole ascoltate anni prima"
Qui sei lapalissiano: i riflessi sono automatici per definizione. Poi passi al trapassato prossimo, perché? Eri al passato remoto e il trapassato prossimo ora indica un momento ancora precedente, come a dire che non lo ricorda in quel momento, ma è entrato in chiesa che già l'aveva ricordato. Naturalmente la cosa non ha senso.

Poi inserisci il ricordo in corsivo, anticipato e posticipato dai punti di sospensione. Troppe scelte "grafiche" che si fanno notare e, essendo anche bizzarre, segnalano la presenza di un autore poco consapevole.

"Mi avvicinai al confessionale, un uomo in attesa e una donna inginocchiata che bisbigliava nella grata. Mi sedetti dietro all’uomo, mettendomi in fila, come aveva fatto da piccolo, quando con gli amici santificavamo con la confessione tutti i sabati pomeriggio."
Qui manca del tutto una descrizione del luogo che fornisca qualche coordinata per immaginare la scena. Io aspettavo in piedi da piccolo, per esempio. Qui ci sono delle sedie? Una panca?
Inoltre: a che serve il riferimento degli amici che santificano la confessione tutti assieme? Il fatto che frequentasse la chiesa da piccolo era già fornito dal "come aveva fatto da piccolo".

"Spostai lo sguardo sulla donna, sembrava giovane: magra, capelli biondi che sembravano naturali"
Di nuovo l'indicazione del fatto che il protagonista sposta lo sguardo è superflua. Se cominci a descrivere la donna va da sé che il protagonista la stia guardando, visto che è lui che narra la vicenda. Poi qui usi due volte "sembrava". Si tratta di una formulazione di incertezza che non aiuta la fruibilità del testo e non pone in buona luce l'autore che dà l'idea di essere insicuro. Inoltre il primo è anche strano: si vede se una donna è giovane o meno.

Noi siamo nella testa del protagonista, ne seguiamo lo sguardo e ascoltiamo i suoi pensieri. Non può tenerci all'oscuro delle sue intenzioni. Fin qui sembra che voglia solo confessarsi. Mai una volta pensa a chi c'è nel confessionale o a cosa prova. Per questo il finale poi non funziona.

Spero di averti dato qualche spunto per approfondire qualche regoletta. Studiare quello che ci appassiona è sempre entusiasmante.
Alla prossima!

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Davide_Mannucci
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Re: La casa di Dio

Messaggio#9 » mercoledì 27 ottobre 2021, 10:12

Ciao Enzo, piacere di rileggerti.
Il racconto mi trova combattuto. Da una parte ho apprezzato il finale e come hai gestito la tensione che cresce nel pdv. Dall’altra però sono stato spiazzato dall’inizio. A conti fatti ho trovato la descrizione della coppia che lui trova in chiesa, con tanti dettagli che ti fanno concentrare l’attenzione su di loro, un po’ fuori luogo e inutile. Mi aspettavo una presenza, almeno della donna, più decisiva, considerata la cura con cui avevi descritto il tutto. Anche lo stile all’inizio è un po’ pesante. Forse con una prima al presente ne avrebbe giovato.
Nel complesso non è una cattiva propria. L’idea della vendetta non era male e la struttura della narrazione, coppia a parte, è ben impostata.
Alla prossima
Davide Mannucci

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Stefano.Moretto
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Re: La casa di Dio

Messaggio#10 » giovedì 28 ottobre 2021, 13:44

Ciao Enzo,
il tuo racconto parte da una base solida e semplice, ma soffre di alcuni problemi che lo rendono meno godibile. La ricerca della vendetta è ottimo come fondamenta del racconto, però devi costruirci attorno la storia tenendone conto. Ad esempio: il protagonista passa molto tempo a guardare le donne e a pensarci, anche in modo diciamo ambiguo. Però, a giudicare dal finale, lui si odia interiormente per questa sua ossessione sessuale, mentre per tutto il racconto questo non traspare. Inoltre questa frase, secondo me, crea ulteriori problemi:
ora però non avevo nessuno cui raccontare gli episodi più scabrosi che riuscivo a ricostruire con la fantasia.

Questo mi crea aspettativa. Io penso "okay, ORA non ha nessuno a cui raccontare, quindi PRIMA ce l'aveva" e mi aspetto che il racconto mi spieghi chi era il suo compagno di fantasie. Cosa che alla fine non succede, perché il prete a quanto pare era il suo aguzzino, non credo che fosse lui quello a cui raccontava le cose scabrose che si immaginava.
Un altro punto probabilmente problematico è questo:
«Espiare? E perché? Anche tu sai bene cosa vuol dire portarsi a letto qualcuno che si fida ciecamente di te, e che ha il vigore e l’ingenuità di chi che non ha esperienza. La sensazione di potere tutto e di essere simile a un essere divino per lui…».

Il protagonista si è lanciato in un lungo monologo urlando in chiesa, è veramente difficile che per tutto il tempo in cui lui parla non ci sia davvero nulla che accada intorno a lui in reazione alle sue azioni. Anche solo il prete che cerca di allontanarsi o qualcuno che si gira o si avvicina, un altro prete per esempio o una suora. Inoltre per essere un dialogo di una persona arrabbiata è un po' troppo ragionato: "la sensazione di potere tutto e di essere simile a un essere divino per lui" sembra qualcosa che si sia scritto prima e che ora sta recitando, più che lo sfogo di una persona che finalmente ha davanti il suo aguzzino.
Il tuo racconto mi mette in difficoltà nella classifica, perché da un lato c'è un'idea che mi piace e che potrebbe anche essere sviluppata in qualcosa di più grande, dall'altro c'è una realizzazione che mi lascia con parecchio amaro in bocca.

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antico
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Re: La casa di Dio

Messaggio#11 » domenica 31 ottobre 2021, 13:19

Considerare l'immersività non è solo mero esercizio teorico, ma serve a fare capire il perché di quelle sensazioni d'incertezza che si possono avere alla fine di una lettura come quella del tuo racconto perché la confezione è buona, non ci sono particolari problematiche e il finale è, letteralmente e metaforicamente, da pugno (coltello) nello stomaco, però qualcosa non torna ed ecco che l'immersività ci viene in soccorso perché è vero che tu porti il lettore a vivere il racconto attraverso gli occhi del tuo protagonista, ma a questo punto perché le sue emozioni nei confronti del prete trapelano solo nel finale quando, invece, sono il motore trainante del tutto? Una spiegazione potrebbe essere una dissociazione nell'animo del protagonista, ma non ne troviamo traccia e allora ecco che il tutto è spiegabile solo da una scelta dell'autore tesa ad arrivare alla sorpresa finale e questo lo percepisco come un problema reale perché l'autore stesso, che ci ha dato gli occhi del protagonista, ha poi deciso cosa farci e non farci vedere. Detto questo, il tema è ben inserito e il racconto ha valore, ma come valutazione mi sento di fermarmi a un pollice tendente verso il positivo in modo solido, ma non brillante e in classifica va dietro al parivalutato racconto di Impellitteri perché meno corretto proprio sul fronte del punto di vista (che tu usi in modo funzionale per la fruizione stessa del racconto, cosa che appesantisce quello che, a mio avviso, è un errore).

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