Quell'unica volta

Appuntamento fissato per le 21.00 di lunedì 18 ottobre 2021 con un tema di Luca Cristiano!
Gli autori che vorranno partecipare dovranno scrivere un racconto di max 4000 caratteri entro l'una.
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KatyBlacksmith
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Quell'unica volta

Messaggio#1 » martedì 19 ottobre 2021, 0:47

di Katjia Mirri

Lo schianto col quale la finestra si spalancò risuonò tra le mura di pietra come una fucilata. Il vento autunnale intriso di nebbia e ululati lontani l'aveva forzata; aveva fatto irruzione nel salotto buono come un'orda di barbari all'ultima incursione prima del tramonto. La corrente gelida sollevò per l'ennesima volte le foglie, secche da anni, facendole danzare alla melodia dei sibili del vento e degli scricchiolii dei vecchi mobili.
«Aelhaearn! Quante volte ti ho detto di chiamare qualcuno e fare aggiustare quella finestra?» strillò furiosa Clìodhna, per poi aggiungere, sottovoce come sempre: «gallese del cazzo».
Aelhaearn non rispose. Fece spallucce. Aveva provato a chiamare qualcuno a riparare quella finestra, ma non era arrivato nessuno. Forse non riusciva a farsi capire, con quel suo accento forte e scomodo, che lo rendeva subito inviso, lo faceva riconoscere come straniero. Nei paesi piccoli lo straniero lo si guarda con sospetto. Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese". Sospirò.
Era abituato al pessimo carattere della donna. Dopo che se ne erano andati tutti era rimasto l'unico uomo in quella casa, era naturale che spettasse a lui chiamare il carpentiere, il fabbro, il falegname.
Invano.
Non era mai venuto nessuno e i guai di quella vecchia e tronfia casa si erano moltiplicati.
Fino a quando il problema era stato di qualche finestra il cui telaio, prosciugato dal sole e inzuppato dalla pioggia non chiudeva bene, era stato un problema limitato. I veri guai iniziarono quando il tetto in paglia aveva cominciato a perdere. Le infiltrazioni d'acqua avevano fatto marcire il pavimento, dal quale erano poi nate generazioni di funghi dagli steli pallidi e sottili che reggevano ombrelli efebici, che non duravano più di quattro o cinque giorni. Era stato l'inizio della trasformazione della vecchia dimora. Si era lentamente riempita di odori grassi e stantii, di muffe e di humus.
Aelhaearn si avvicinò alla donna, ora alla finestra, che osservava gli ultimi raggi arrossare il cielo sulla campagna irlandese. Ne percepiva forte lo scontento.
«Neppure questa volta verrà qualcuno a ripararla» le disse, mite. La mitezza era tutto quello che gli era rimasto.
Clìodhna non rispose; con il volto imbevuto di disapprovazione stava slabbrando col dito un vecchio strappo nel corpetto.
«Sono andati via quasi tutti» continuò Aelhaearn, sperando che lei capisse che ci aveva provato, ci aveva provato davvero a farla riparare.
«Già. Quasi tutti. Ma tu no, vero? Tu dovevi restare qui!»
«Lo sai. Sai che non posso lasciarti»
Lei si voltò dall'altra parte, battendo un palmo sul davanzale. Neppure la pace di quelle colline baciate dall'oro dell'ultimo raggio riuscì a distenderle quella ruga tra le sopracciglia, che sembravano essersi dichiarate guerra. Aelhaearn le invidiava la rabbia e osservava affascinato quel cipiglio.
«Non puoi, ma vorresti, vero?» sibilò la donna, voltandosi a guardarlo, lo sguardo fiammeggiante.
Aelhaearn pensò che era identica ad allora, non era cambiata. La ammirava davvero, ancora così viva dopo tutto quel tempo. Si sentì svilito ancora una volta.
«Credi che dopo tutto quello che è accaduto io possa avere ancora dei desideri? Resterò qui con te, lo sai»
«Lo so. Ma mi piacerebbe che almeno una volta facessi qualcosa perché lo vuoi, ecco»
Lui rise; un raschio amaro e lento. Era qualcosa che non faceva da tantissimo tempo.
«No, non fa per me. L'ultima volta che ho fatto qualcosa di azzardato, qualcosa che volevo davvero fare, sai come è finita: tuo fratello mi ha ucciso»
Lei tornò a toccarsi lo strappo sul corsetto, un taglio all'altezza del cuore.
«Lo so, poi è toccato a me»
«Mi dispiace. Davvero, Clìodhna. Non avrei dovuto introdurmi di notte a casa d'altri. A casa tua. Tuo fratello Fergus ha creduto che io... che noi...» Ancora arrossiva imbarazzato, anche se in modo impercettibile come spettro.
Clìodhna distolse lo sguardo.
Non gli avrebbe mai svelato che Fergus avrebbe voluto essere l'unico desiderato da Aelhaearn.



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Re: Quell'unica volta

Messaggio#2 » martedì 19 ottobre 2021, 0:49

Ciao Katjia! Parametri tutti rispettati, buona Luca Cristiano Edition!

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Andrea Lauro
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#3 » martedì 19 ottobre 2021, 18:15

Ciao Katjia, piacere d’averti letto. Storia interessante, per renderla efficace c’è da lavorare sulla forma. E fortuna vuole che i primi tre periodi soffrano dello stesso problema, così mi focalizzo e facciamo il punto.

Partiamo dalla prima frase:
Lo schianto col quale la finestra si spalancò risuonò tra le mura di pietra come una fucilata.
Scena a effetto, con dettagli sensoriali e la maledetta finestra, oggetto simbolo su cui ruota il racconto. Quello che non va è che si perde l’immediatezza della scena. Persa dalla subordinata e dall’ordine con cui i dettagli vengono esposti. La sequenza di lettura è questa: leggi “lo schianto”, poi “la finestra che si spalanca”, arrivi a “risuonò” e devi tornare indietro, perché vuoi essere sicuro di aver capito a cosa si riferisce. Qui non si tratta di essere lettori più o meno navigati, più o meno svegli. Torni indietro o comunque rallenti. Ecco una possibile soluzione lasciando tutte le parole:
La finestra si spalancò, lo schianto risuonò tra le mura… /con uno schianto che…

Secondo periodo:
Il vento autunnale intriso di nebbia e ululati lontani l'aveva forzata.
anche qui, “l’aveva forzata” è fuori posto. O meglio, si trova in una posizione poco efficiente per garantire un’esperienza di lettura che sia fluida. Se qualcuno ti dice che la lettura non dovrebbe essere fluida, scegli pure a chi dare ascolto, io non mi offendo.

E veniamo al terzo periodo:
aveva fatto irruzione nel salotto buono come un'orda di barbari all'ultima incursione prima del tramonto
Qui abbiamo un dettaglio temporale preciso, ma in una posizione che genera confusione: è riferito alla finestra o all’incursione dei barbari? Se riferito alla finestra, devi aspettare di leggere tutto per avere un’immagine mentale chiara del tramonto (e quindi rallenti / torni indietro). Se riferito all’orda, rimani con il dubbio che si riferisca alla finestra.

Nel testo vedo altri possibili spunti di miglioramento, ma secondo me questo è già un buon punto su cui poter lavorare. L’obiettivo, al solito, è migliorare la forma in modo che al lettore arrivi un buon contenuto. Se qualcuno ti dice il contrario, vedi sopra.

E se hai bisogno, chiedi pure. Intanto ti auguro una buona edition!
andrea

giancarminetrotta
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#4 » martedì 19 ottobre 2021, 19:23

Ciao Katija,

chi mi ha preceduto ha sottolineato per bene molti spunti su cui lavorare.
Posso aggiungere che si perde, qua e là, la fluidità che la lettura dovrebbe avere; la storia ha un'ambientazione piuttosto truce, cupa e avrei preferito delle pennellate con frasi brevi, per lasciare spazio all'immaginazione e poter metabolizzare il contesto.
Perdonami, ma anche i nomi, che probabilmente sono originali, li avrei scelti più "digeribili" alla prima lettura: altrimenti bisogna fermarsi, rileggere, tornando al punto di partenza, a quella fluidità che ti dicevo.
Finale non scontato, che cerca il colpo di scena: ci può stare, ma anche senza la storia avrebbe retto.
Alla prossima,
G.
*

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Sirimedho
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#5 » martedì 19 ottobre 2021, 20:27

Buonasera Katija,
È la prima volta che ti leggo, ben trovata!

La difficile vita degli spettri in un aldilà davvero deprimente.
Lo svelamento della natura spettrale dei personaggi rende il racconto interessante, anche grazie al dialogo più intimo.
La parte iniziale serve a dare il contesto, ma mi sembra un po’ ostica, si fa un po’ difficoltà a capire quale sia l’ambientazione e i nomi gallesi non aiutano.
Il racconto lascia qualche qualche punto aperto, ad esempio perché prima c’erano altre “persone” e poi no, dove sono finite, se il villaggio è un doppio di quello originale. Visto che poi non sono molto funzionali al racconto, ed evidentemente 4.000 caratteri più di quello che hai fatto non si può fare, potrebbe essere utile semplificare un po’ il contesto.
Il secondo colpo di scena, la passione di Fergus per Aelhaearn, mi lascia alquanto freddo, avrei preferito capire meglio i sentimenti reciproci dei due personaggi.
Mi ha lasciato un buon sapore.

Buon contest!

P.S. ma nelle capanne dai tetti di paglia ci sono finestre mobili?

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Signor_Darcy
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#6 » mercoledì 20 ottobre 2021, 10:26

Ciao Katjia.
Racconto interessante, un po’ zoppicante nella prima parte, soprattutto per qualche costrutto un po’ troppo elaborato o poco credibile (dubito che le foglie secche resistano per anni); ma che poi si riprende nell’ampia parte centrale, molto tenera, in cui i due protagonisti vengono esposti piuttosto bene.
Il finale permette di declinare a suo modo bene il tema e consente di riguardare il racconto con un’ottica differente (credo giocata sul non poter andarsene versus il non voler andarsene, seppur la cosa sia forse ingannevole); per quanto la situazione giunga un po’ improvvisa, senza elementi di semina – non che sia necessariamente un difetto.
Attenzione però ai dialoghi forzati: i due protagonisti sanno come sono andate le cose, lo scrittore dovrebbe farlo capire al lettore senza soluzioni poco verosimili come quel “Poi è toccato a me”.
Avrei evitato il doppio riferimento al “gallese” a poche righe di distanza; nella fattispecie avrei tolto “Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese"”, che nulla aggiunge.
Non male, d’ogni modo: giochi bene con le atmosfere della campagna gallese e con – immagino – delle leggende o credenze locali, che posso ipotizzare sia un contesto a te non del tutto sconosciuto.

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Leonardo Pigneri
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#7 » mercoledì 20 ottobre 2021, 15:21

Ciao Katjia! E' la prima volta che leggo qualcosa di tuo, ecco i miei commenti:

Disclaimer: Il format può essere un po' confusionario, ma faccio i commenti direttamente sul testo così da poter essere più dettagliato e preciso. Ti avverto che non indolcirò la pillola ma spero che il mio sincero feedback possa tornarti utile (siamo qui per migliorare d’altronde). Tutti i commenti sono fatti a caldo, durante la prima lettura. Ci tengo, inoltre, a precisare che le critiche (se ci saranno) vorranno sempre e comunque essere costruttive e mai offensive. Buona lettura e, se vorrai ulteriori delucidazioni, non esitare a chiedere! :)

di Katjia Mirri

Lo schianto col quale la finestra si spalancò risuonò tra le mura di pietra come una fucilata. Il vento autunnale intriso di nebbia e ululati lontani l'aveva forzata; aveva fatto irruzione nel salotto buono come un'orda di barbari all'ultima incursione prima del tramonto. La corrente gelida sollevò per l'ennesima volte le foglie, secche da anni, facendole danzare alla melodia dei sibili del vento e degli scricchiolii dei vecchi mobili. [Attacco in narratore onnisciente, non il massimo, vediamo un po' se ti focalizzi dopo su un personaggio]
«Aelhaearn! Quante volte ti ho detto di chiamare qualcuno e fare aggiustare quella finestra?» strillò furiosa [Togli questo furiosa, lo si capisce dal contesto e dalla battuta di dialogo che è arrabbiata] Clìodhna, per poi aggiungere, sottovoce come sempre: «gallese del cazzo». [Ok, è tutto in onnisciente. Non è un male in sé, ma, perché tu lo sappia, è una narrazione considerata ormai fuori moda non capace di immergere il lettore nella storia.]
Aelhaearn non rispose. Fece spallucce. Aveva provato a chiamare qualcuno a riparare quella finestra, ma non era arrivato nessuno. Forse non riusciva a farsi capire, con quel suo accento forte e scomodo, che lo rendeva subito inviso, lo faceva riconoscere come straniero. Nei paesi piccoli lo straniero lo si guarda con sospetto. Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese". [Spiegone, probabilmente frutto della narrazione onnisciente, ma te lo segnalo lo stesso] Sospirò.
[ah no, continua anche qui] Era abituato al pessimo carattere della donna. Dopo che se ne erano andati tutti era rimasto l'unico uomo in quella casa, era naturale che spettasse a lui chiamare il carpentiere, il fabbro, il falegname.
Invano.
Non era mai venuto nessuno e i guai di quella vecchia e tronfia casa si erano moltiplicati.
Fino a quando il problema era stato di qualche finestra il cui telaio, prosciugato dal sole e inzuppato dalla pioggia non chiudeva bene, era stato un problema limitato. I veri guai iniziarono quando il tetto in paglia aveva cominciato a perdere. Le infiltrazioni d'acqua avevano fatto marcire il pavimento, dal quale erano poi nate generazioni di funghi dagli steli pallidi e sottili che reggevano ombrelli efebici, che non duravano più di quattro o cinque giorni. Era stato l'inizio della trasformazione della vecchia dimora. Si era lentamente riempita di odori grassi e stantii, di muffe e di humus. [Ok, finisce qui. Ti dico subito che non mi è rimasto niente di quanto ho letto. Mettersi a raccontare tutte queste cose al lettore ha il solo risultato di farlo annoiare e uscire dalla storia. Se non mi hai ancora introdotto per bene i personaggi o la vicenda, perché mi dovrebbe interessare tutto ciò?]
Aelhaearn si avvicinò alla donna, ora alla finestra, che osservava gli ultimi raggi arrossare il cielo sulla campagna irlandese. Ne percepiva forte lo scontento.
«Neppure questa volta verrà qualcuno a ripararla» le disse, mite. La mitezza era tutto quello che gli era rimasto.
Clìodhna non rispose; con il volto imbevuto [bruttino] di disapprovazione stava slabbrando col dito un vecchio strappo nel corpetto. [carino invece questo dettaglio]
«Sono andati via quasi tutti» continuò Aelhaearn, sperando che lei capisse che ci aveva provato, ci aveva provato davvero a farla riparare.
«Già. Quasi tutti. Ma tu no, vero? Tu dovevi restare qui!»
«Lo sai. Sai che non posso lasciarti»
Lei si voltò dall'altra parte, battendo un palmo sul davanzale. Neppure la pace di quelle colline baciate dall'oro dell'ultimo raggio riuscì a distenderle quella ruga tra le sopracciglia, che sembravano essersi dichiarate guerra. Aelhaearn le invidiava la rabbia e osservava affascinato quel cipiglio.
«Non puoi, ma vorresti, vero?» sibilò la donna, voltandosi a guardarlo, lo sguardo fiammeggiante.
Aelhaearn pensò che era identica ad allora, non era cambiata. La ammirava davvero, ancora così viva dopo tutto quel tempo. Si sentì svilito ancora una volta.
«Credi che dopo tutto quello che è accaduto io possa avere ancora dei desideri? Resterò qui con te, lo sai»
«Lo so. Ma mi piacerebbe che almeno una volta facessi qualcosa perché lo vuoi, ecco»
Lui rise; un raschio amaro e lento. Era qualcosa che non faceva da tantissimo tempo.
«No, non fa per me. L'ultima volta che ho fatto qualcosa di azzardato, qualcosa che volevo davvero fare, sai come è finita: tuo fratello mi ha ucciso» [ma chi sta parlando? non si capisce]
Lei tornò a toccarsi lo strappo sul corsetto, un taglio all'altezza del cuore. [buona la semina]
«Lo so, poi è toccato a me»
«Mi dispiace. Davvero, Clìodhna. Non avrei dovuto introdurmi di notte a casa d'altri. A casa tua. Tuo fratello Fergus ha creduto che io... che noi...» Ancora arrossiva imbarazzato, anche se in modo impercettibile come spettro.
Clìodhna distolse lo sguardo.
Non gli avrebbe mai svelato che Fergus avrebbe voluto essere l'unico desiderato da Aelhaearn.

Commento:

Mentirei se ti dicessi che ho letto con piacere questo racconto, ma c'è del potenziale a mio avviso.
Della storia non ho capito un batuffolo: spiegoni confusi, dialoghi che non si sa chi parla (e per una storia basata su un dialogo tra due personaggi è un bel problema), personaggi non chiari ecc... Forse sono stato un po' distratto io, ma il racconto non fa davvero nulla per catturare l'attenzione del lettore. Solo il colpo di scena finale mi ha svegliato dal torpore di tutto il resto che però, a causa della mancata progettazione della storia, non è d'impatto come potrebbe. Lo stile è completamente da rivedere. Butta via il narratore onnisciente e calati nel punto di vista di un solo personaggio senza mai uscire dalla sua sensorialità e percezione. Hai un buon polso per i dettagli e alcune delle descrizioni mi son piaciute ma devi limare parecchio tutto il resto.
Ovviamente questo è solo il mio parere. Se ti piace davvero tanto il narratore onnisciente puoi anche tenerlo, ma comunque devi imparare anche lì a dosare infodump e raccontato.
Ciao!

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Re: Quell'unica volta

Messaggio#8 » venerdì 22 ottobre 2021, 18:58

Ciao Katjia e ben arrivata su questi lidi.
La storia è interessante, il colpo di scena finale fa rivalutare tutta la narrazione con occhi diversi ed è molto piacevole.
La tua scrittura però è troppo ricercata, a tratti di difficile lettura. Manca di immediatezza e fluidità.
Non ti dico di passare al "lato oscuro" della scrittura immersiva o dello show don't tell, però valuta di alleggerire le frasi, ridurre le subordinate e rendere tutto più intelligibile, credo che la qualità finale ne gioverebbe.
Se hai qualche domanda, più che volentieri, ma prima di mettermi a fare il maestrino mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.

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KatyBlacksmith
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#9 » sabato 23 ottobre 2021, 0:55

Buonasera a te e grazie per aver speso del tempo a leggere e commentare. Ti rispondo in merito ad alcune cose

Sirimedho ha scritto:Buonasera Katija,
È la prima volta che ti leggo, ben trovata!

La difficile vita degli spettri in un aldilà davvero deprimente.
Lo svelamento della natura spettrale dei personaggi rende il racconto interessante, anche grazie al dialogo più intimo.
La parte iniziale serve a dare il contesto, ma mi sembra un po’ ostica, si fa un po’ difficoltà a capire quale sia l’ambientazione e i nomi gallesi non aiutano.


A dire il vero solo il nome di lui è gallese. Quello di lei è irlandese. Sono lì da secoli, non potevo chiamarli Marco e Anna, non sarebbe stato credibile (che, detto di un racconto di fantasmi, forse non è il termine migliore :D ).
Sono in Irlanda, dove lui è rimasto intrappolato causa dipartita prematura.

Sirimedho ha scritto:Il racconto lascia qualche qualche punto aperto, ad esempio perché prima c’erano altre “persone” e poi no, dove sono finite, se il villaggio è un doppio di quello originale.


La risposta a tutto quanto è la stessa che puoi trovare anche nelle nostre valli: spopolamento. Se ne vanno tutti "nelle dannate città, che il diavolo li porti" (scusa, mi sono lasciata prendere da un altro personaggio, anche questo non ha vissuto bene l'abbandono rurale).

Sirimedho ha scritto:Visto che poi non sono molto funzionali al racconto, ed evidentemente 4.000 caratteri più di quello che hai fatto non si può fare, potrebbe essere utile semplificare un po’ il contesto.
Il secondo colpo di scena, la passione di Fergus per Aelhaearn, mi lascia alquanto freddo, avrei preferito capire meglio i sentimenti reciproci dei due personaggi.


Eh, Aelhaearn ancora adesso, dopo secoli, non sospetta nulla! Fergus non aveva avuto il coraggio di confessargli niente. E la sorella, nonostante sia stata uccisa da Fergus, non ha mai tradito il fratello svelando questo particolare.
O almeno: lei afferma che lo fa per difendere la riservatezza di Fergus, ma se devo dare ascolto a quella pettegola della lattaia, lo fa per non restare sola, per tenere accanto a sé Aelhaearn e avere qualcuno con cui parlare. Anche se non lo sopporta.

Sirimedho ha scritto:Mi ha lasciato un buon sapore.

Buon contest!

P.S. ma nelle capanne dai tetti di paglia ci sono finestre mobili?


Grazie!
Le case (no, non capanne. case) con il tetto di paglia esistono ancora adesso, ci sono anche dei bellissimi bed and breakfast fatti a quel modo! Non devi pensarle come dei grumi di fango, ma come edifici normali con un tetto particolare e anche molto bello. Certo che hanno finestre mobili! Se non l'hai mai fatto, consiglio davvero un giro in Irlanda. :)

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Re: Quell'unica volta

Messaggio#10 » sabato 23 ottobre 2021, 1:05

Anche a te: grazie per aver trovato il tempo di leggere e di consigliare.

Fagiolo17 ha scritto:Ciao Katjia e ben arrivata su questi lidi.
La storia è interessante, il colpo di scena finale fa rivalutare tutta la narrazione con occhi diversi ed è molto piacevole.
La tua scrittura però è troppo ricercata, a tratti di difficile lettura. Manca di immediatezza e fluidità.
Non ti dico di passare al "lato oscuro" della scrittura immersiva o dello show don't tell, però valuta di alleggerire le frasi, ridurre le subordinate e rendere tutto più intelligibile, credo che la qualità finale ne gioverebbe.
Se hai qualche domanda, più che volentieri, ma prima di mettermi a fare il maestrino mi piacerebbe sapere cosa ne pensi.


I vari suggerimenti che ricevo (non solo in questo luogo) mi hanno resa consapevole di diversi aspetti sui quali lavorare. Non sono pochi, e ne affronterò uno alla volta per arrivare a padroneggiarli, alla fine.
Riguardo alle frasi: sappi che sono già mooooooolto più leggibili di un tempo, quando ero quarto dan di subordinate e Soke Sensei di D eufonica. Ma non mi fermo: continuerò a ricercare la chiarezza e la leggibilità.
Grazie ancora e buone letture.

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Re: Quell'unica volta

Messaggio#11 » sabato 23 ottobre 2021, 1:50

Ciao Leonardo e grazie per il lavorone che hai fatto con i commenti. E grazie per non aver indorato la pillola, apprezzo.
C'è una cosa che mi preme dire e che hai inquadrato con delle parole estremamente precise, definendo il narratore onnisciente come fuorimoda.
È vero. E, per come la vedo io, è un problema.
Mi spiego perché è una cosa alla quale tengo e spero di riuscire a trasmetterla.
Con il narratore onnisciente c'è la possibilità, per il lettore, di osservare le stesse frasi, le stesse azioni e le stesse scene da più punti di vista diversi. Il valore aggiunto, secondo me, è ricordare al lettore che nessuno può sapere con certezza che la frase che ha sentito abbia il solo significato che gli da lui o che ciò che ha detto sia stato recepito esattamente come lo ha pensato.
Esiste sempre qualcuno o molti più che uno, che ha esperienze diverse e che quindi la frase la vede con significati e implicazioni a cui, chi l'ha detta, manco ha neppure pensato.
Non parlo tanto di artifici per generare una commedia degli equivoci, quanto di un tarlo che ogni persona dovrebbe avere (nella vita reale) che mette in dubbio l'infallibilità della sua opinione. Nella vita reale ci accade più spesso di quanto non ci accorgiamo di non aver capito un ciufolo o di non aver colto tutte le implicazioni e i significati; è bene tenerlo sempre presente.
Nella narrazione onnisciente questo continuo confronto può essere molto utile, e parlo di utilità sociale che esce dalla pagina scritta e tiene sveglia l'attenzione della persona.
Se invece si utilizza il punto di vista di un solo personaggio, si sente una sola campana. A mio personalissimo avviso si accentua la frammentazione sociale vera, si perde il sentirsi parte di una comunità. Un po' come passare da famiglia a coinquilini: si vive nello stesso posto ma non si ingloba il prossimo col suo sentire nel nostro mondo.
L'abitudine a un solo punto di vista fa sì che pensino tutti di avere ragione senza ascoltare gli altri. Perché non sono più abituati a pensare alle molte interpretazioni possibili di singole frasi.
Sì, hai ragione: il narratore onnisciente è fuorimoda, e i danni li vediamo tutti i giorni.

Bello il mio pippone, eh? Ma conta che mi legge giusto mio marito e mia suocera, quindi capirai che influenza posso avere... :)

Probabilmente sono molto più facili e fruibili i punti di vista diversi, ma come ti ho scritto c'è un motivo che ritengo importante per questa scelta. E questo vuol dire che dovrò diventare molto, MOLTO più brava dì cosi a utilizzarlo.
Fammi gli auguri ;)


Leonardo Pigneri ha scritto:...
Commento:

Mentirei se ti dicessi che ho letto con piacere questo racconto, ma c'è del potenziale a mio avviso.
Della storia non ho capito un batuffolo: spiegoni confusi, dialoghi che non si sa chi parla (e per una storia basata su un dialogo tra due personaggi è un bel problema), personaggi non chiari ecc... Forse sono stato un po' distratto io, ma il racconto non fa davvero nulla per catturare l'attenzione del lettore. Solo il colpo di scena finale mi ha svegliato dal torpore di tutto il resto che però, a causa della mancata progettazione della storia, non è d'impatto come potrebbe. Lo stile è completamente da rivedere. Butta via il narratore onnisciente e calati nel punto di vista di un solo personaggio senza mai uscire dalla sua sensorialità e percezione. Hai un buon polso per i dettagli e alcune delle descrizioni mi son piaciute ma devi limare parecchio tutto il resto.
Ovviamente questo è solo il mio parere. Se ti piace davvero tanto il narratore onnisciente puoi anche tenerlo, ma comunque devi imparare anche lì a dosare infodump e raccontato.
Ciao!


L'infodump è il mio attuale arcinemico, per dirla con un linguaggio da supereroi. Sto iniziando a capire come gestirlo, ma so già che non sarà una cosa semplice. Una volta sgominato quello, passerò al prossimo difetto (ce ne sono una caterva, lo so) (moriremo tutti).

Buone letture!

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KatyBlacksmith
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#12 » sabato 23 ottobre 2021, 2:50

Ciao Darcy, grazie per aver trovato il tempo di leggere e di commentare.

Signor_Darcy ha scritto:Ciao Katjia.
Racconto interessante, un po’ zoppicante nella prima parte, soprattutto per qualche costrutto un po’ troppo elaborato o poco credibile (dubito che le foglie secche resistano per anni); ma che poi si riprende nell’ampia parte centrale, molto tenera, in cui i due protagonisti vengono esposti piuttosto bene.


Le foglie secche se le tieni in un luogo adeguato si conservano, sì. Mai capitato di aprire un libro e ritrovarne una dopo decenni?
Certo, se le si tengono all'umido la trasformazione in terriccio è rapida, ma se sono all'asciutto e nessuno ci cammina sopra, direi che un po' durano.

Signor_Darcy ha scritto:Il finale permette di declinare a suo modo bene il tema e consente di riguardare il racconto con un’ottica differente (credo giocata sul non poter andarsene versus il non voler andarsene, seppur la cosa sia forse ingannevole); per quanto la situazione giunga un po’ improvvisa, senza elementi di semina – non che sia necessariamente un difetto.


È più complesso di non potere o non volersene andare.
Il vero motivo per cui Aelhaearn non se ne va è perché si sente responsabile della morte di lei e per ripagarla ha rinunciato a tutto.
È convinto che lei lo ricambiasse ma non è vero, era Fergus a essere interessato a Aelhaearn.
Lei è a casa propria e non se ne vuole andare. Tace la reale portata dei propri sentimenti soltanto per non restare sola.
Insomma, tra tutti quanti sono riusciti a impantanarsi per bene nei non detti e nelle fragilità. Pure da morti!

Signor_Darcy ha scritto:Attenzione però ai dialoghi forzati: i due protagonisti sanno come sono andate le cose, lo scrittore dovrebbe farlo capire al lettore senza soluzioni poco verosimili come quel “Poi è toccato a me”.


Ok, provo a immaginare una frase diversa che comunichi al lettore che pure lei e stata uccisa dalla stessa persona. È ovvio che l'altro spettro lo sa e che la frase serve al lettore, un minimo la mano probabilmente è necessario forzarla.

Signor_Darcy ha scritto:Avrei evitato il doppio riferimento al “gallese” a poche righe di distanza; nella fattispecie avrei tolto “Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese"”, che nulla aggiunge.


Confesso che qui mi fai venire un dubbio. Poco sotto hai scritto "campagne gallesi", mentre sono le campagne irlandesi. Svista tua nella nota? O in qualche modo il testo in cui lo esplicito non è arrivato?
Se fossero stati nelle campagne del galles (come scrivi qui sotto), che senso avrebbe avuto chiamare solo lui "il gallese"?

Signor_Darcy ha scritto:Non male, d’ogni modo: giochi bene con le atmosfere della campagna gallese e con – immagino – delle leggende o credenze locali, che posso ipotizzare sia un contesto a te non del tutto sconosciuto.


Grazie.
Le colline irlandesi (non gallesi) sono luoghi con una propria misticità: svolti un angolo di una stradina di campagna e, dopo aver spostato a manciate le solite frotte di pecore autarchiche, ti trovi dolmen, menhir e cumuli in luoghi assolutamente normali. Integrati nei prati, fanno parte dei paesaggi. L'impressione è che gli antichi dei si siano appena allontanati, tipo per farsi la pausa caffè, lasciando tutto lì, come una scrivania ingombra. Vista una volta, quella campagna non se ne va più.

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Re: Quell'unica volta

Messaggio#13 » lunedì 25 ottobre 2021, 13:01

Col senno di poi, una semina di informazioni per intuire il finale la si può vedere, ma non so se basta. È una di quelle storie dove si gioca molto sulla differenza tra fabula e intreccio, e forse la resa finale non arriva perfetta come dovrebbe. Tutto sommato l’uso del tema mi piace ed è davvero un peccato che a livello formale la storia per me abbia dei piccoli problemi (un filino di raccontato, persino se la distanza narrativa non è proprio immersa; parte iniziale molto statica e descrittiva).
"Scrivo quello che voglio e come voglio. Fatevelo piacere."

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Laura Brunelli
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#14 » giovedì 28 ottobre 2021, 11:01

Ciao Katjia, piacere di leggerti.
Il tuo racconto, secondo me presenta diversi problemi, sia di struttura che di stile. Innanzi tutto, devo confessarti che ho capito che i personaggi erano morti quando, nelle prime righe, il vento solleva le foglie. Questo mi ha un po’ rovinato la lettura. Anche il fatto che se ne sono andati via tutti e sono rimasti solo loro telefona un po’ il finale, sebben sia un dettaglio difficile da capire. Se i personaggi sono morti e sono rimasti lì, mi domando perché non ci siano rimasti anche gli altri? Dove sono andati? C’è un aldilà e i protagonisti sono bloccati in un limbo perché sono stati uccisi? Oppure è bloccata solo lei e lui rimane perché la ama?
Non ho capito, poi, il senso del “twist” finale sulla presunta omosessualità di Fergus, non porta nulla al racconto e lascia solo spiazzati.
Anche lo stile è un po’ farraginoso. Non tanto la terza persona, quanto piuttosto il fatto che non ci sia un punto di vista preciso e ben focalizzato.
Per esempio
«Aelhaearn! Quante volte ti ho detto di chiamare qualcuno e fare aggiustare quella finestra?» strillò furiosa Clìodhna, per poi aggiungere, sottovoce come sempre: «gallese del cazzo».
Aelhaearn non rispose. Fece spallucce. Aveva provato a chiamare qualcuno a riparare quella finestra, ma non era arrivato nessuno. Forse non riusciva a farsi capire, con quel suo accento forte e scomodo, che lo rendeva subito inviso, lo faceva riconoscere come straniero. Nei paesi piccoli lo straniero lo si guarda con sospetto. Anche adesso, dopo tutto quel tempo, Aelhaearn era ancora "il gallese". Sospirò.

In questo passaggio, nella prima frase il punto di vista sembrerebbe essere o Clìodhna oppure un narratore onnisciente. E, infatti, Clìodhna, abbassa la voce per non farsi sentire da Aelhaearn e lui, di certo, se non sente il commento, non può sapere che l’ha pronunciato dopo aver abbassato la voce.
Nella frase successiva, il punto di vista è sicuramente quello di Aelhaearn, perché esprime suoi pensieri.
Questo passaggio da un punto di vista all’altro disorienta e rende faticosa la lettura.
Anche il raccontato non mi piace un granché, ma questi sono gusti personali, però mi sento di suggerirti di snellire un po’ il testo.

Dopo che se ne erano andati tutti era rimasto l'unico uomo in quella casa, era naturale che spettasse a lui chiamare il carpentiere, il fabbro, il falegname.
Invano.

Qui, per esempio “Dopo che” è bruttino, impersonale e, secondo me, inutile.

“Se ne erano andati tutti e lui era rimasto l’unico uomo in quella casa”
Alla prossima e buona edition.

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MatteoMantoani
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#15 » giovedì 28 ottobre 2021, 17:01

KatyBlacksmith ha scritto:il racconto scorre e l'idea mi piace, anche se alcune descrizioni dell'ambiente di una precisione che mi limita nell'immersività: "Alla mia sinistra sono appesi ... nel lavandino alla sua destra". Se voglio immedesimarmi difficilmente ragiono in modo tanto preciso (alla mia sinistra, alla sua destra) a meno che questa localizzazione forzata non diventi fondamentale per una scena successiva. E non lo è.
Una nota da rompiscatole: calcolando le dimensioni della terra (e del suo contenuto) e la poca interattività dei neutrini con qualunque materiale, direi che per fare una radiografia alla terra, come minimo il rilevatore dovrebbe stare sulla luna, non sul pianeta terra (e viceversa per la luna, chiaramente). E per fare lo stesso con marte andrebbe piazzato a una distanza adeguata, su phobos o su deimos. Non tanto su marte.

Ciao Katjia, volevo un momento ringraziarti per il posizionamento in classifica che hai dato per il mio racconto, e fugare il tuo dubbio sulla fattibilità tecnica delle radiografie di neutrini.
Certamente, usare i neutrini per avere un'immagine dettagliata dell'interno di qualsiasi oggetto (a prescindere dalle dimensioni) è fantascienza. I neutrini sono veramente particelle che attraversano ogni cosa con scarsa reattività (un calcolazzo mostra che per avere la certezza di fermare un neutrino, si dovrebbe usare uno spessore di piombo di diversi anni luce), tuttavia i neutrini che colpiscono la terra sono tanti, tantissimi, tanto che (per la legge dei grandi numeri) ogni tanto uno di questi interagisce con la materia e produce una radiazione visibile. I detector di neutrini sulla terra sono una realtà, ce ne sono in praticamente qualunque macrostruttura sperimentale di fisica delle particelle, dal CERN al Gran Sasso. Inoltre, in Antartide, l'esperimento IceCube esiste per monitorare proprio i neutrini che attraversano la Terra dagli antipodi (i rivelatori sono in profondità nel ghiaccio, non ti sto a spiegare perché questo rende più facile vedere i neutrini). Ci sono diversi progetti di rivelatori di neutrini che hanno come scopo quello di sondare le profondità della Terra, un po' come radiografie, certamente non con lo scopo di disegnare una radiografia, ma con quello di capire la densità dei vari strati sotterranei (cosa per cui adesso si usa la propagazione delle onde sismiche).
Insomma, studiare i neutrini non richiede assolutamente di costruire strutture nello spazio, ma è fattibile e, in pratica, una realtà da almeno settant'anni ;)

Sara Mosna
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#16 » giovedì 28 ottobre 2021, 20:27

Ciao Katjia, piacere di leggerti.

Mi sono un po’ persa nelle lunghe spiegazioni, lo ammetto, avrei voluto saltarle. Si rischia sempre di annoiare un po’, l’ho imparato per esperienza, tutt’oggi tendo all’infodump e agli spiegoni. Per questo ti dico che capisco la difficoltà nel riuscire a spiegare ciò che si ha in mente senza però spiegare tutto per filo e per segno, ma scommetto che è un dettaglio sul quale puoi lavorare e sicuramente migliorare senza troppi problemi, magari scegliendo un’altra tipologia di narrazione.
Il colpo di scena finale mi porta a rivalutare tutto il racconto. L’ho apprezzato molto, dopo gli spiegoni iniziali stavo perdendo interesse invece… tac, sul finale. Ottima scelta.

A rileggerti presto,
buon contest!

alexandra.fischer
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#17 » venerdì 29 ottobre 2021, 18:20

Tema centrato. Storia davvero molto ben riuscita. La decadenza della casa nella campagna che presumo inglese, o scozzese, si nota nelle tue immagini molto indovinate: tutto suggerisce scontro, lite, a partire dal vento dalla finestra rotta. Le foglie secche nel salotto buono danno un’aria di decadenza e un brivido soprannaturale. Sono il primo indizio che porta il Lettore a capire perché nella casa della coppia non arriverà alcun artigiano a riparare la finestra né altre parti danneggiate dal tempo. Aelhaearn è un gallese, quindi fuori posto nel villaggio, ma non solo: la compagna Clìodhna ha qualcosa che non va, uno strappo al corpetto, prova della loro condizione di spettri, e c’è il segreto del fratello di lei, Fergus, il loro assassino: no, non ha difeso l’onore della sorella da un estraneo, provava una passione per questo stesso estraneo.
Unico appunto: le descrizioni dei personaggi. Sulle prime ho creduto di leggere i due battibecchi di un’anziana coppia di coniugi, invece si tratta di due giovani dalle vite troncate troppo presto.

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antico
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#18 » lunedì 1 novembre 2021, 19:20

Il racconto ha delle belle atmosfere e tu una buona penna anche se la mia impressione è che tu abbia faticato nella gestione dei personaggi e delle informazioni. Mi spiego: tutti i blocchi mentali di lei che non dice del fratello per non rischiare di rimanere sola e di lui che non la lascia perché si sente colpevole non arrivano, ti sono rimasti in canna. Probabilmente Fergus andava introdotto prima e il dialogo tra i due necessitava di una rielaborazione per permettere al lettore di costruirsi le giuste immagini. Detto questo: credo di essere l'unico a non avere capito il perché di tutto lo spazio dato a carpentieri e affini che non venivano a riparare... E ci credo, erano fantasmi e come facevano a farsi sentire? :) O mi sono perso qualcosa? Quindi, ricapitolando: lascia perdere immersività e onniscente e lavora di più sulle informazioni da trasmettere con il giusto timing all'interno del testo e solo a quel punto deciderai il come trasmetterle. Il tema c'è anche se non così chiaro come avrebbe dovuto e sempre per colpa, mio parere, di queste informazioni mancanti. Allo stato attuale direi un pollice tendente verso l'alto anche se al pelo.

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KatyBlacksmith
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#19 » domenica 7 novembre 2021, 19:45

Ciao Matteo,
non mettevo in dubbio il fatto che tra tutti i neutrini qualcuno riuscisse a interagire con i corpi che attraversano, ma solo sul miglior posizionamento del mezzo impressionabile (o in questo caso del rivelatore) per ottenere le specifiche immagini che descrivi nel racconto.
Nel racconto i personaggi maneggiano delle "fotografie" che comprendono l'intero pianeta.
Appoggia un foglio A3 sul tavolo e immagina quali angoli arditi i pochi neutrini che interagiscono devono compiere per giungere a disegnare, su quel foglio, l'intera composizione della terra (che dista dal tuo foglio un'inezia rispetto al diametro del pianeta). Lo so anche io che i rivelatori sono parecchio più grandi di un foglio, ma rimangono di dimensioni trascurabili rispetto al pianeta. E dato che i neutrini che interagiscono con la materia sono davvero pochi, per cogliere le immagini di ogni sezione del globo il rivelatore andrebbe inclinato ad angoli molto vari per poi assemblare le immagini (con le dovute correzioni per le inclinazioni relative tra superficie del rivelatore e del pezzo di pianeta da indagare). Di per sé la matematica per riassemblare le immagini riportandole a una fotografia piana sarebbe semplice, solo che (correggimi se sbaglio) i rivelatori sono oggetti in genere troppo grossi e da quel che ricordo sono fissi.
Se il rivelatore fosse posto più distante (ad esempio un satellite naturale) sarebbe meno difficile ottenere queste immagini nella loro interezza, anche solo per sottrazione: radiazione di fondo - radiazione residua dopo aver attraversato il corpo celeste.
Mi va benissimo che i neutrini siano studiati per indagare la composizione degli strati profondi, ma immagino che ne vedano solo una piccola sezione, non l'intero pianeta. Per aver l'intero pianeta penso che occorra, appunto, un diverso posizionamento del rivelatore, ma solo per una questione squisitamente geometrica. Di nuovo: correggimi se sbaglio.
Tutto qui.
Comunque questo particolare non toglie nulla al racconto.
Buona scrittura!

MatteoMantoani ha scritto:Ciao Katjia, volevo un momento ringraziarti per il posizionamento in classifica che hai dato per il mio racconto, e fugare il tuo dubbio sulla fattibilità tecnica delle radiografie di neutrini.
Certamente, usare i neutrini per avere un'immagine dettagliata dell'interno di qualsiasi oggetto (a prescindere dalle dimensioni) è fantascienza. I neutrini sono veramente particelle che attraversano ogni cosa con scarsa reattività (un calcolazzo mostra che per avere la certezza di fermare un neutrino, si dovrebbe usare uno spessore di piombo di diversi anni luce), tuttavia i neutrini che colpiscono la terra sono tanti, tantissimi, tanto che (per la legge dei grandi numeri) ogni tanto uno di questi interagisce con la materia e produce una radiazione visibile. I detector di neutrini sulla terra sono una realtà, ce ne sono in praticamente qualunque macrostruttura sperimentale di fisica delle particelle, dal CERN al Gran Sasso. Inoltre, in Antartide, l'esperimento IceCube esiste per monitorare proprio i neutrini che attraversano la Terra dagli antipodi (i rivelatori sono in profondità nel ghiaccio, non ti sto a spiegare perché questo rende più facile vedere i neutrini). Ci sono diversi progetti di rivelatori di neutrini che hanno come scopo quello di sondare le profondità della Terra, un po' come radiografie, certamente non con lo scopo di disegnare una radiografia, ma con quello di capire la densità dei vari strati sotterranei (cosa per cui adesso si usa la propagazione delle onde sismiche).
Insomma, studiare i neutrini non richiede assolutamente di costruire strutture nello spazio, ma è fattibile e, in pratica, una realtà da almeno settant'anni ;)

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MatteoMantoani
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Re: Quell'unica volta

Messaggio#20 » domenica 7 novembre 2021, 22:10

KatyBlacksmith ha scritto:Ciao Matteo,
non mettevo in dubbio il fatto che tra tutti i neutrini qualcuno riuscisse a interagire con i corpi che attraversano, ma solo sul miglior posizionamento del mezzo impressionabile (o in questo caso del rivelatore) per ottenere le specifiche immagini che descrivi nel racconto.
Nel racconto i personaggi maneggiano delle "fotografie" che comprendono l'intero pianeta.
Appoggia un foglio A3 sul tavolo e immagina quali angoli arditi i pochi neutrini che interagiscono devono compiere per giungere a disegnare, su quel foglio, l'intera composizione della terra (che dista dal tuo foglio un'inezia rispetto al diametro del pianeta). Lo so anche io che i rivelatori sono parecchio più grandi di un foglio, ma rimangono di dimensioni trascurabili rispetto al pianeta. E dato che i neutrini che interagiscono con la materia sono davvero pochi, per cogliere le immagini di ogni sezione del globo il rivelatore andrebbe inclinato ad angoli molto vari per poi assemblare le immagini (con le dovute correzioni per le inclinazioni relative tra superficie del rivelatore e del pezzo di pianeta da indagare). Di per sé la matematica per riassemblare le immagini riportandole a una fotografia piana sarebbe semplice, solo che (correggimi se sbaglio) i rivelatori sono oggetti in genere troppo grossi e da quel che ricordo sono fissi.
Se il rivelatore fosse posto più distante (ad esempio un satellite naturale) sarebbe meno difficile ottenere queste immagini nella loro interezza, anche solo per sottrazione: radiazione di fondo - radiazione residua dopo aver attraversato il corpo celeste.
Mi va benissimo che i neutrini siano studiati per indagare la composizione degli strati profondi, ma immagino che ne vedano solo una piccola sezione, non l'intero pianeta. Per aver l'intero pianeta penso che occorra, appunto, un diverso posizionamento del rivelatore, ma solo per una questione squisitamente geometrica. Di nuovo: correggimi se sbaglio.
Tutto qui.
Comunque questo particolare non toglie nulla al racconto.
Buona scrittura!

Ciao! Ok :) Forse ho capito quello che intendevi. In pratica, tu dici, per fare qualcosa come una radiografia (o meglio, una tac in questo caso) bisognerebbe posizionare i detector di neutrini nello spazio, per fare loro 'guardare' angoli più grandi. Aggiungerei allora che si dovrebbe anche farli ruotare in orbita (come avviene per la tac, in cui la sorgente di raggi X ruota attorno al paziente). Una precisazione interessante, e mi pare che effettivamente occorrerebbe fare così, se si volesse ottenere delle immagini ben definite e con una ricostruzione 3d come è descritto nel racconto. Una piccola fregatura, è che l'orbita non potrebbe essere quindi geostazionaria (perché altrimenti il rivelatore controllerebbe sempre la stessa fetta di pianeta), quindi la Miskatonic corporation dovrebbe faticare un po' di più per ricevere il segnale del satellite e costruire tutta una serie di antenne di ricezione.. ma qui andiamo a incasinarci ancora di più :) comunque la tua è una buona nota, ne terrò certamente conto se mai andassi ad ampliare il racconto. Grazie ;)

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