LUCE E BUIO (Racconto ritirato dal suo autore)
Inviato: lunedì 19 settembre 2022, 22:35
Davanti a me vedo la siepe e poco più là il roseto che piantai in quella lontana primavera, quando aspettavi i gemelli. Ricordo che mi dicevi che non sarebbe mai cresciuto e invece guarda com’è adesso, è il mio orgoglio.
Mi volgo a destra.
Laggiù, al di là della boscaglia una striscia di mare con le crestine bianche, oggi non sarei potuto uscire in barca coi ragazzi. «Troppo pericoloso» avresti detto col tono che conosco bene e allora avrei passato la giornata a leggere, i gemelli alla playstation, tu e le ragazze a cuocervi al sole.
Mi giro a sinistra a vedo la casa, la nostra casa tirata su mattone su mattone mentre tu già cucivi le tendine da mettere alle finestre che ancora non c’erano.
Sopra una trave della tettoia un uccellino si liscia le piume e fissa la tavola con i resti della colazione, la gatta lecca un avanzo di latte ma non lo perde di vista.
Con quattro figli ormai cresciuti i giorni duri sono un ricordo e adesso mi piace passare più tempo in famiglia.
Invece eccomi qui.
Io, insieme a Sergio e con la nostra missione da compiere.
Quante volte lui e io ci siamo fatti coraggio a vicenda? Quante volte ci siamo ripetuti fino alla noia che siamo medici e non soldati? Eravamo sicuri che le Organizzazioni umanitarie fossero al di sopra di tutte le guerre, religiose o per interessi economici, e che nessuno avrebbe osato farci del male.
Non è stato proprio così.
Ci hanno rapiti ieri notte, dopo un giorno intero trascorso a cucire ferite, operare bambini, ridare una speranza di vita a chi ne ha sempre meno. Continuo a chiedermi perché mentre comincio a sentirmi addosso una paura che prima non conoscevo.
Allora apro gli occhi e mi guardo attorno.
Accanto a me, con uno straccio sulla testa là dove è stato colpito, Sergio cerca di sorridermi anche se la paura che siede tra noi adesso è tanta e le gambe legate strette come le braccia cominciano a farmi male.
Richiudo gli occhi e provo a rientrare in quella sorta di sogno di poco fa, quello che mi aveva dato tanto coraggio.
Mi volgo a destra.
Laggiù, al di là della boscaglia una striscia di mare con le crestine bianche, oggi non sarei potuto uscire in barca coi ragazzi. «Troppo pericoloso» avresti detto col tono che conosco bene e allora avrei passato la giornata a leggere, i gemelli alla playstation, tu e le ragazze a cuocervi al sole.
Mi giro a sinistra a vedo la casa, la nostra casa tirata su mattone su mattone mentre tu già cucivi le tendine da mettere alle finestre che ancora non c’erano.
Sopra una trave della tettoia un uccellino si liscia le piume e fissa la tavola con i resti della colazione, la gatta lecca un avanzo di latte ma non lo perde di vista.
Con quattro figli ormai cresciuti i giorni duri sono un ricordo e adesso mi piace passare più tempo in famiglia.
Invece eccomi qui.
Io, insieme a Sergio e con la nostra missione da compiere.
Quante volte lui e io ci siamo fatti coraggio a vicenda? Quante volte ci siamo ripetuti fino alla noia che siamo medici e non soldati? Eravamo sicuri che le Organizzazioni umanitarie fossero al di sopra di tutte le guerre, religiose o per interessi economici, e che nessuno avrebbe osato farci del male.
Non è stato proprio così.
Ci hanno rapiti ieri notte, dopo un giorno intero trascorso a cucire ferite, operare bambini, ridare una speranza di vita a chi ne ha sempre meno. Continuo a chiedermi perché mentre comincio a sentirmi addosso una paura che prima non conoscevo.
Allora apro gli occhi e mi guardo attorno.
Accanto a me, con uno straccio sulla testa là dove è stato colpito, Sergio cerca di sorridermi anche se la paura che siede tra noi adesso è tanta e le gambe legate strette come le braccia cominciano a farmi male.
Richiudo gli occhi e provo a rientrare in quella sorta di sogno di poco fa, quello che mi aveva dato tanto coraggio.