Loros blancos

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Pietro D'Addabbo
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Loros blancos

Messaggio#1 » domenica 16 ottobre 2022, 11:25

L'ultimo scatolone resta piantato al suolo.
I guanti sono un impiccio ormai, li poggio sul cartone e asciugo le mani sudate sui jeans.
“Porca miseria, che fatica. Allah, dammi la forza!”
Un gatto entra dalla porta aperta, mi fissa.
“Ehi, piccoletto. Ti aspettavi la vecchia? Cattive notizie, mi spiace per te.”
Mi inginocchio, si avvicina e si struscia.
Brontola come un motorino, gli concedo una sola carezza.
Lo spingo all’esterno, le dita intirizziscono appena fuori dalla porta.
Miagola e si volta per rientrare. Gli blocco il passaggio.
“Non puoi più entrare qui. Vai via, torna a casa.”
Uno sportello sbatte con violenza, da qualche parte in fondo alla strada.
Il gatto fa un balzo e scappa verso l’angolo opposto dell’isolato.
“Insciallah, micetto.”
Torno dentro, faccio un giro di controllo di tutte le stanze, vuote.
Stasera divano e partita. E poi la tesi, se il catorcio non si pianta.
Prendo il pacco, proprio il più pesante per ultimo, che razza di idea.
Davanti al pianale del furgone c’è qualcuno, la faccia è in ombra ma la sagoma da bisonte è inconfondibile. Avrà visto il gatto?
"Buonasera, signor Cesare."
Il boss allunga le braccia, mi toglie lo scatolone senza sforzo e lo sbatte nello spazio che avevo lasciato libero. Le sospensioni protestano con uno squittio.
I miei guanti sono spariti all’interno del cassone, meglio riprenderli dopo.
Chiude il portellone e allunga verso di me una mano, ci potrebbe strangolare un dobermann.
“Dammi le chiavi, Habral. Lo porto io al deposito.”
Pericolo scampato, forse faccio in tempo a comprarmi anche dei felafel prima della partita.
Frugo nelle tasche e gliele consegno.
“Eccole. Per… per la paga? Andiamo in ufficio?”
Mi passa un'altra chiave, si sposta sul fianco del furgone.
“Vai da Gaetano, piuttosto.”
“Ma veramente, stasera—”
“Voglio la villa vuota per domattina all’alba, muovete il culo e finirete prima.”
Sale, le sospensioni gemono più di prima.
Fa grattare la frizione e riparte, inseguito da una nuvola nauseante di olio incombusto.
Schiaccio il pulsante sulla chiave per far scattare la serratura, le luci d’emergenza di un Doblò che ha marciato almeno due decenni lampeggiano un paio di volte in fondo alla via.
Addio ai felafel, alla partita e alla tesi.
E pure ai guanti.
“Miseria ladra!”

-

Gaetano, illuminato sempre più dai fari del Doblò, sta fermo in mezzo al vialetto. Mi fa cenno di parcheggiare a destra, sul prato all’inglese.
“Ce ne hai messo di tempo. Dovevi fare le preghiera della sera?”
Il cigolio dello sportello basterebbe come risposta.
“Guarda che questa non è una sportiva, è una bara su ruote.”
Mi lancia addosso qualcosa di grosso che tintinna, forse una catena; mi scanso ma mi becca comunque un braccio. Che male cane.
Sull’erba si sono piantate una decina di grosse chiavi, di quelle da vecchi portoni, tenute da un anello di ferro. Le raccolgo.
Gaetano si infila nel suo furgone e innesta la marcia.
“Ehi, dove vai?”
“A prendere un altro mezzo, questo è pieno. Tu riempi quello, quando torno finiamo insieme. Le chiavi sono della villa.”
“Sbrigati, lo sai che c’è stasera?”
“Che non lo so? C’è la partita. Ma tu gliel’hai detto, al Boss?”
“Io no”
Alza le spalle.
“E io nemmeno. Com’è che dite voi altri? Insciallah!”
Le ruote mordono il terreno, appena sul viale sparano brecciolina.
Mi proteggo il volto con le braccia, ma avrei fatto meglio a proteggere le gambe.

-

La porta della villa è accostata, lascia uscire appena una striscia di luce. I cartoni da sgomberare sono accatastati nell’atrio e sui primi gradini delle scale per il primo piano. Ci sono anche un paio di lampadari di cristallo in un angolo.
Troppa roba per il Doblò.
Uno scalpiccio sul pavimento di legno del piano di sopra, battiti d’ali. Qualcuno avrà lasciato aperta una finestra, topi e piccioni festeggiano il loro nuovo regno.
Almeno riempiono il silenzio.
Sollevo il primo pacco, un’ondata di libri si sparge sul pavimento.
Una scia di facce minacciose mi guarda da ogni copertina, a volte con un solo occhio.
Il fondo dell’imballo ha ceduto.
“Miseria ladra. Qui non finisco nemmeno per mezzanotte. Porca…”
Cerco la scorta dei cartoni per rinscatolare.
Dalla fooorca, dalla fooorca.
Una voce.
“C’è qualcuno?”
Peeenzola, peeenzola.
In cima alle scale.
“Ehi, questa è proprietà privata, non si può stare qui. Venga di sotto.”
Tutta la nave dooondola.
La voce è talmente rauca che sembra un pappagallo. Il capo non sarebbe contento di sapere che abbiamo fatto entrare un ubriacone.
Devo convincerlo a lasciare la villa.
“Per favore, deve uscire.”
Salgo di sopra.
La luce del salone al primo piano non si accende, avranno già staccato il lampadario, ma quella accesa nell’atrio basta a vederci qualcosa. Il salone è quasi vuoto, è rimasto solo un telo che sembra coprire una piccola statua. Che fosse troppo pesante da spostare per Gaetano?
Il mare che si ingrooossa.
La voce viene da là sotto. Sotto il telo spunta una voliera, e un pappagallo di quelli bianchi, enormi. Sbatte le ali, è così grosso che perde qualche penna contro le sbarre di metallo. Sbarre sottili ma basamento doppio, in legno intagliato.
Provo a spostarlo, non è troppo pesante. Se non lo porto di sotto ci dimenticheremo di lui. Sollevo la gabbia.
Il pappagallo agita le ali, smuove l’intera gabbia ogni volta ma è troppo piccola per volare.
Arrivo alle scale, scenderle sarà un problema.
Sarà la nostra fooossa.
Mi becca le dita e mollo la presa. La gabbia cade in avanti, oltre i primi gradini.
“Miseria la—”

-

Un pizzico all’alluce, non ho le scarpe. La testa e la schiena fanno un male cane.
Sono sdraiato su reti che puzzano di pescheria, il pappagallo è libero, la gabbia non c’è. Tenta di beccarmi il piede ma lo ritraggo in tempo.
Sveeeglia, sveeeglia.
“Sta zitto!”
Sbatte le ali, spargendo penne e piumine bianche sui miei ieans.
Dalle finestre entra poca luce.
Strane finestre tonde, da fuori arriva una specie di risacca.
Oltre la parete di legno dei passi si avvicinano, la porta si apre, cigola quasi quanto quella del furgone.
Il tipo che entra sembra venire da uno dei libri che ho sparso a terra poco fa, a parte il secchio di metallo che ha in mano. Lo posa a terra.
“Il pezzente si è svegliato, doccia risparmiata. In piedi, i clandestini pagano vitto e alloggio. Prendi quella.”
Lo stesso tono del boss. Indica una ramazza in un angolo.
Barcollo per rialzarmi, trovare l’equilibrio è difficile, devo capire dove mi trovo.
Avrei un sacco di domande, ma il tipo non mi sembra tollerante con le chiacchiere.
Raccolgo la scopa senza fiatare.
“Seguimi, il Capitano ti vuole vedere.”
Le mie scarpe non ci sono, ma neanche il tizio ne indossa.
Saliamo le scale, di legno come tutto il resto.
Una nave enorme. A vela e in mare aperto. Le vele sono abbaglianti nel cielo sereno.
I marinai sono tutti vestiti da pirati, mi fissano come se fossi un alieno.
Ci fermiamo davanti al più brutto della cricca, gli occhi nascosti dalla tesa di un cappellaccio nero. Mi fa cenno di avvicinarmi ancora.
“Tira fuori la voce o mi faccio una zuppa con la tua lingua. Chi sei e che ci fai sulla mia nave?”
“Mi chiamo Habral, signore. Non ho idea di come sono arrivato qui. Spostavo la gabbia di un pappagallo… e mi sono svegliato sulle reti, di sotto.”
Il Capitano scambia uno sguardo con il mio accompagnatore, uno sguardo accigliato.
“In cambusa c’è una grossa bestiaccia, bianca con la cresta gialla.”
Il capitano si incupisce, il marinaio fa un passo indietro e abbassa lo sguardo.
Torna a puntarmi gli occhi addosso, ma questa volta il ghigno sembra un sorriso.
“Allora, caro Habral, preparati all’avventura, perché entro questo pomeriggio andremo all’arrembaggio.”
Si volta verso i marinai, si sono radunati per ascoltare.
“Avete capito, ciurma? Tutti ai vostri posti, armati e cattivi. Finalmente faremo bottino! Parola di Capitan Flare.”
L’equipaggio esplode in un Hurrà collettivo e si disperde rapidamente.
L’unico che resta accanto a noi è il pirata che mi ha portato qua.
Il Capitano mi poggia una mano sulla spalla, mostra i denti gialli e storti.
“Sarà meglio che impari a usare una spada, signorino. E in fretta.”
Mi toglie la ramazza e la passa all’altro.
“Mairon, procuragli una sciabola e dagli qualche rudimento. Deve sopravvivere alla battaglia. O ci rimetti il collo.”

-

Il graffio sopra l’occhio brucia da morire.
Mairon sghignazza, passa l’arma da una mano all’altra.
“Sentito 'signorino'? Se muori ci rimetto il collo. Datti da fare.”
Parte di nuovo con un assalto, alzo la spada e la sua lama scivola con uno sfrigolio sulla mia, sfiorandomi la spalla. Scappo sulla destra ma lui è già pronto a un nuovo affondo. Giro intorno all’albero maestro per evitarlo, corro dalla parte opposta della nave.
Non mi insegue.
“Lascia la poppa alle manovre, maldestro come sei finisce che tagli qualche cima o finisci a mare. Vieni qua, canaglia.”
Devo trovare il modo di fermarlo.
Avanzo a piccoli passi, il cuore pulsa nelle tempie.
Mi viene contro a metà ponte, il portello per scendere è aperto, non posso scansarmi.
Le lame sbattono e il suo colpo va a vuoto, ma la sua spinta è troppa. Le assi del ponte dietro la schiena e lui sopra, che mi mozza il respiro. La mia sciabola scivola via, col moto delle onde.
Si mette a cavalcioni, solleva la sua spada.
Chiudo gli occhi, non voglio guardare la morte.
Un colpo secco vicino all’orecchio.
La sua arma è piantata fra le assi del ponte, a un soffio dalla mia testa.
Mi guarda come se volesse una mannaia per staccarmi la testa.
Avvicina il viso al mio, l’alito mi fa rimpiangere il risveglio nella stiva.
“Devi sempre sapere dove sei, novellino. E sfruttarlo a tuo vantaggio.”
Si solleva in piedi senza spostarsi, mi sovrasta. Ora posso respirare e tirarmi via.
Mi puntello sui gomiti e mi spingo indietro.
“Avanti, striscia a leccarti le ferite, signorino. Tra poco si ricomincia.”
Si gode l’umiliazione.
Sollevo le gambe, colpisco dove fa più male; si accartoccia su se stesso, mugola.
Mi alzo e mi butto verso di lui per colpirlo sul fianco col mio peso, farlo cadere dal boccaporto.
“Non abbiamo finito.”
Gira su se stesso. Vedo i gradini precipitare verso la mia faccia, atterro su qualcosa di duro ma senza spigoli. Patate rotolano ovunque.
Mairon si affaccia con una smorfia di dolore sul volto.
“Te lo concedo. Sarai di primo pelo, ma l’orgoglio non ti manca. Ripulisci quel casino, continuiamo dopo.”

-

Spalmo un impasto verdognolo e caldo sul taglio.
“Grazie.”
Finn sorride e continua a pelare patate, sposta dietro l’orecchio la ciocca di capelli gialli che continua a cadergli sul naso.
“Ricetta della nonna, dovrebbe aiutare la ferita a chiudersi, e la mantiene pulita.”
Avrà la mia età.
“Come mai ti trovi con questi… pirati?”
Mi sembra strano pronunciare questa parola.
Fa cadere nel calderone quel che stava pulendo, risponde senza distrarsi.
“Clandestino, come te. Mi sono imbarcato di nascosto per scappare di casa e andare all’avventura. Sono rimasto nascosto a bordo per una settimana prima che mi scoprissero e da allora sono tre anni che pelo patate tutti i giorni. Finché lavoro non mi buttano a mare, e non mi è permesso scendere, nemmeno in porto.”
Si ferma e rimane a fissarmi.
“A me però niente sciabola. Mi hanno dato questo, per farci i mestieri.”
Alza il braccio e lo riabbassa di scatto, qualcosa parte dalla sua mano e lampeggia passandomi fra le gambe. Il suo coltello è conficcato profondamente in una delle patate rotolate alle mie spalle.
Ride, io non mi sono accorto di aver trattenuto il respiro.
Infila la mano dietro la schiena, ha un altro pugnale.
Indica quello che ha lanciato.
“Datti da fare va. Sei in debito.”
Recupero il coltello e il tubero infilzato, avvicino uno sgabello.
“Se le sbucciassimo con la sciabola chissà quanto ne butteremmo via.”
Finn sorride, piazza quattro patate sulla sua panca.
“Vediamo un po’. Passamela.”
Gli porgo l’elsa, la prende e ammira i riflessi della luce. La solleva.
Con un unico colpo taglia i bersagli in due parti, la lama lascia il segno anche sul legno.
Pulisce il metallo sulla manica.
“Ti hanno trattato bene, Habral. Se l’avessero data a me una sciabola, ora non starei qui a fare lo sguattero.”
Mi sovviene una vecchia storiella.
“Però è lei, nobile Finn, che può vantarsi di averne ‘ammazzate quattro’ con un colpo solo. Se fosse sarto potrebbe cucirselo addosso e tutti avrebbero maggiore rispetto.”
Appoggia la sciabola in terra, accanto a me, con una smorfia riprende il suo coltello.
“A proposito, non ho mai visto abiti come i tuoi.”
Camicia e jeans, i miei abiti da lavoro.
“Vengo… da molto lontano.”
“Mi insegni qualche canzone delle tue terre? Così passiamo il tempo.”

-

Il cuscino della sedia è soffice, una tessitura raffinata.
La cabina del Capitano Flare ha finestre più grandi della cambusa, ma il pirata accende due lampade e una candela e chiude le tende. Nell’aria si spande profumo di incenso, così intenso che mi gira la testa.
Noi siamo dei corsaaari.
Il pappagallo bianco è su un trespolo in un angolo della stanza, la zampa legata da una catenella. Sgranocchia qualcosa da una ciotola. Ad ogni beccata semina a terra briciole e granaglie.
Il Capitano mi mostra una bottiglia di vetro scuro.
“Hai mai bevuto rhum, Habral?”
Scuoto la testa.
“Allah non vuole, Capitano.”
Versa una dose abbondante in due tazze, ne piazza una sul tavolo davanti a me.
“Se non è un clandestino anche Allah, sulla mia nave non c’è. Ricordalo, a bordo rispondi solo a me."
Batte una delle tazze sul tavolo, mi fissa e aspetta che la prenda.
Solchiamo tutti i maaari.
Beviamo insieme, il primo sorso brucia lingua e palato e sputo tutto.
Una fiammata si alza sopra la candela.
Odore di fumo si mescola all’incenso, il Capitano spegne una fiammella su una delle tende.
“Devi imparare a bere, signorino. Come a tirare di sciabola.”
Sollevo la tazza per provarci di nuovo, ma mi blocca il braccio.
“La prossima volta berrai all’aperto, non voglio che mi bruci tutta la cabina. Specialmente questo.”
Prende un grosso libro rivestito di cuoio, con un nastro di stoffa infilato fra le pagine, lo volta verso di me e lo apre alla prima pagina.
“Sai leggere?”
Le lettere, di un inchiostro nero, sono in corsivo. Una grafia elegante ma comprensibile. In alto sul foglio c’è una data di tre secoli fa, ma il pirata indica un'altra scritta.
“Loros blancos.”
“Bravo, è il nome di questa nave, per le vele: Pappagalli bianchi. A Port Royal dicono che i cacatua, come il nostro amico, portino fortuna.”
Lo sguardo è rivolto al volatile sul trespolo.
Bussano alla porta, Finn entra portando la ramazza.
“Mi… mi ha chiamato, Capitano? Cosa posso fare?”
Parla a Flare ma i suoi occhi vanno alla bottiglia sul tavolo e alla tazza che ho in mano.
“Che puoi farci con quell’affare? Vuoi assaltarci un mercantile? Sveglia.”
Lo spintona malamente verso il trespolo. Il pappagallo sbatte le ali infastidito e un’altra manciata di semi picchietta il legno del pavimento.
Sveeeglia, sveeeglia.
Finn comincia a darsi da fare per ripulire.
Flare mi indica nuovamente il nome scritto sul libro.
“Sono tre mesi che incrociamo le rotte mercantili ma il vento non ci ha mai favorito. Nonostante le vele, le manovre, qualsiasi cosa si sia tentato. Ogni preda è riuscita a seminarci. Da non credersi. Ma qui è scritto, su questo maledetto libro, è già successo prima che diventassi capitano. Lui compare a bordo, anche in mare aperto, e in qualche ora si riesce a fare bottino. Che io sia dannato se non è così. Sono proprio tre mesi che non si vedeva più a bordo.”
Il pirata si volta verso Finn. Ha finito di spazzare ed è rimasto fermo, in attesa.
“E tu cosa aspetti? Una sciabolata? Fila via, infingardo.”
Il mozzo abbassa gli occhi e si allontana con la scopa in mano, Flare fulmineo estrae la spada e lo colpisce di piatto sul sedere. Il giovane salta e si massaggia la chiappa, fila via correndo senza preoccuparsi di richiudere la porta.
Il Capitano torna a interessarsi al libro. E a me.
“Lui ricompare dopo tanto tempo, e questa volta, Habral, ci sei tu con lui. Non sei un clandestino, non c’entri niente con noi, ma nemmeno col mare. Non so come diamine hai fatto, e per Nettuno nemmeno mi interessa, ma ce lo hai riportato.”

-

Mairon mi spinge nella cabina.
“Non posso badare a te. Dovrai difenderti da solo, signorino. Hai la tua sciabola. Ma resta qua, chiuditi dentro e non fare entrare nessuno, così sarai al sicuro.”
Chiude la porta, i passi si mescolano al rumore di spade e urla. Fin troppo vicine. La battaglia infuria. Metto il primo chiavistello.
Appena in tempo, qualcuno spinge la porta. Bussano.
“Habral, fammi entrare. Per pietà. Qua fuori è un massacro.”
La voce di Finn.
Tolgo subito il blocco, il mozzo ha mani e camicia sporche di sangue, si precipita dentro. Richiudo e questa volta chiudo tutti e tre i chiavistelli.
“Sei ferito? Cerco delle bende.”
Si guarda le mani, impugna uno dei suoi coltelli.
“Non sono ferito.”
Strofina i palmi a turno sui pantaloni, passando il pugnale da una mano all’altra.
“Puoi lasciarlo quello. Siamo al sicuro, qua dentro.”
“No, non siamo al sicuro, dobbiamo andarcene.” guarda il pappagallo “Digli di portarci via.”
L’uccello alza e abbassa la testa, ripetutamente, le ali strette al corpo.
Tutta la nave dooondola.
Ancora quella canzone.
“Che vuoi dire?”
“Digli di fare la sua magia, di portarci via. Alle tue terre, se vuoi. Dovunque tranne che qui.”
“Ma io —”
Mi viene addosso, mi afferra per la camicia, il pugnale ancora in mano preme sulla mia spalla.
“Non mentirmi, l’ho sentito. Ho sentito il Capitano che lo diceva. Lui ti ha portato qui, digli di riportarci indietro.”
“Non posso, Mairon mi ha detto di restare —”
“Quel bastardo è morto!” urla, stringe la presa, due lacrime gli scorrono sulle guance “Dobbiamo… dobbiamo andare.”
Fanno una danza goooffa.
“Io non ho idea, davvero. Non sono nemmeno certo che non sia un sogno.”
Mi sbatte contro il tavolo, la candela oscilla ma non cade, la fiamma resta accesa.
“Senti come fa male? Non è un sogno, per nessuno. Questo è un incubo.”
Alza lo sguardo, verso il pappagallo. Mi sfila la sciabola dal fodero sul fianco.
“Il Capitano tiene a questa bestia più che a noi. Dovrà pentirsi di come mi ha trattato.”
“Finn, ti prego. Non fare stronzate. Forse è vero, forse è stato lui. Forse posso convincerlo. Mi ricordo come è successo. Cantava. Cantava questa stupida canzone, mi ricordo i versi.”
“Fallo allora, fallo. Che affoghino, che si ammazzino. Devo andar via di qua.”
Le fiamme sulla coooffa.
Alza la sciabola verso il collo del pappagallo
“A te ti ammazzo dopo, brutto uccellaccio. Non dovrai più tornare indietro.” si volta verso di me “Allora, quali sono le parole?”
Prendo la bottiglia del rhum. E due tazze.
“Scusa, ma ho bisogno di bere prima. Se devo rischiare di morire, non voglio essere sobrio.”
Riempio entrambe le tazze, ne porgo una a lui. Pianta il pugnale sul tavolo fra noi, afferra la tazza e beve, stringe la sciabola nell’altra mano come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco.
Attendo che finisca di bere, questa volta sono io che cerco i suoi occhi.
“Dimmi la verità. Ucciderai anche me, dopo?”
Non risponde, è sufficiente.
Lancio la mia tazza verso di lui, la candela accende una fiammata.
Barcolla, la camicia in fiamme, gli occhi sgranati, urla di dolore. O di terrore.
Mi avvicino evitando la sciabola, la bottiglia di rhum contro la sua testa esplode in pezzi, Finn cade a terra. Le fiamme avvampano.

-

La battaglia è finita, il Capitano è adirato.
“Dannato bastardo, hai mandato in fiamme l’intera cabina. Posso dirti solo una cosa, Habral… ben fatto, soltanto ben fatto!”
Il cacatua sbatte le ali sul suo trespolo, accanto a noi, sul castello di prua. La catenella tintinna sulla zampa.
“Tre hurrà per Habral, protettore di pappagalli!”
La ciurma, riunita sul ponte, esplode in tre urli potenti.
“Allora Habral, ora puoi avere ciò che vuoi. Ti spetta una parte del bottino, ti dobbiamo questa vittoria.”
I pirati riuniti sul ponte sono quasi tutti feriti, e sono meno di quando sono arrivato. Ma hanno tutti un lampo negli occhi, i volti raggianti.
A casa mi aspettano i traslochi, la partita e la tesi. Ma non mi sono mai sentito più vivo che in questo momento.
“Desidero solo una cosa.” indico il pennuto “che lui sia libero, e io possa restare.”
Il pirata sorride. Annuisce.
Stacco la catenella.
“Sveglia!”
Sveeeglia, sveeeglia. e spicca il volo.
Ultima modifica di Pietro D'Addabbo il lunedì 17 ottobre 2022, 10:23, modificato 4 volte in totale.


"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Re: Loros blancos

Messaggio#2 » domenica 16 ottobre 2022, 11:46

Salve a tutti,
chiedo i bonus:
1 - Qualcuno tradisce (Finn tradisce i pirati perché vuole andarsene)
2 - Dev’esserci un elemento soprannaturale (il pappagallo viaggia nel tempo e nello spazio, portando Habral con sé)
3 - Inserisci una canzone piratesca (i versi del pappagallo, a parte Sveeeglia, compongono una canzone piratesca.
"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Re: Loros blancos

Messaggio#3 » giovedì 27 ottobre 2022, 0:43

Ciao.
parto col dire che mi piace la tua scrittura, è lineare, pulita. pochi fronzoli e va diretta dove vuole andare. il racconto scorre bene e si ha voglia di andare avanti nella lettura. questo nonostante la trama mi abbia un po’ spiazzata. I fatto un preambolo un po’ linguettò, ero lì a chiedermi quando avremmo visto qualcosa di piratesco e come, soprattutto. A un certo punto ki sono chiesta sé avessi deciso di declinare il concetto di pirateria a dei “topi” d’appartamento.
Il protagonista è un buon personaggio, di entra subito in empatia con lui e si sta dalla sua parte. però rimane sempre questa strana trama alla “dal tramonto all’alba”, che uno si ritrova a pensare, se ne avesse fatto due racconti distinti sarebbe stato meglio.
Non capisco perché finisce tre secoli prima, in mezzo al mare, non capisco come faccia a capire i pirati, che potrebbero parlare molte lingue, ma non l’italiano. Non capisco perché li identifichi come tali. Qual’e l’abbigliamento da pirata? perché se andavano in giro con una gamba di legno, la benda è una maglietta a righe azzurre, sarebbe stato molto più carino fargli esclamare che sembravano pirati da film.
la canzone c’è e pure il sovrannaturale, ma sul tradimento ni. alla fine non li stava tradendo, voleva solo scappare via e sperare di sopravvivere.
Non avrei usato un cacatua. l’Australia è stata scoperta nel 1600, siamo stretti con i tempi per commerciare in pappagalli, da lì. ma, a parte questo dettaglio è proprio il come il protagonista sia saltato nel tempo che mi perplime. uno straccetto di spiegazione me lo devo dare.
Per quanto riguarda la forma, mi piacciono molto le frasi brevi che hai usato, tengono su il ritmo. empatia c’è, come ho già detto e hai addirittura i filato un arco di trasformazione del protagonista. Complimenti. quello che manca è l’introspezione: sto tipo non si stupisce di niente. Si trova in una cambusaxe non si preoccupa. Scopre di essere finito, minimo trecento anni indietro nel tempo e va bene così. Non c’è conflitto interiore, paura, angoscia direi! lui invece non sente niente.
Comunque una buona prova. mi sono anche affezionata al protagonista.
Polly

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Alessio
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Re: Loros blancos

Messaggio#4 » lunedì 31 ottobre 2022, 19:10

Ciao Pietro,


La storia si regge, l'idea del pappagallo che in qualche modo riesce a viaggiare nel tempo è carina e le vicende che ne conseguono sono coerenti. Il finale "buono" in cui Habral trova uno scopo nella sua vita ci sta e mi sembra adeguato al suo percorso nella storia.

A livello di world building mi manca un po' di contesto sul pappagallo, nel senso che che Habral lo trova nella villa, ma di chi è la villa? Perché il pappagallo è lì? Cosa succede nel presente quando il pappagallo torna indietro? Intendiamoci, nessuna delle risposte a queste domande è fondamentale, ma la mancanza di tutte queste informazioni mi scolla un po' il pappagallo da quanto raccontato fino a quel momento.

Habral e Finn mi sembrano credibili e caratterizzati adeguatamente, un po' meno il capitano, che ho trovato un po' troppo comprensivo con i clandestini che si ritrova a bordo, in particolare con Finn, limitandosi a metterlo a pelare patate (e a trattarlo di merda, ma vabbe'). Diverso è il caso di Habral, che invece è arrivato col pappagallo e quindi ha senso che venga trattato meglio.
La scena dell'addestramento mi sa un po' troppo di già visto.

Due parole sullo stile.
Io è da più di un anno che manco da MC, e da quel che ricordo mi sembra di notare che ti sei orientato di più verso l'immersività, con una focalizzazione profonda nel portatore del punto di vista e una narrazione basata sul "qui e ora". Ho due rilievi da fare in questo senso. Il primo è che, soprattutto all'inizio, usi frasi molto brevi e spezzettate e questo rende piuttosto frammentaria la lettura, soprattutto all'inizio col gatto. Non ci vedrei un grosso problema durante le fasi concitate, ma in scene più calme le trovo poco adatte. Il secondo punto è che c'è poca sensorialità: manca un po' la percezione di odori e sapori. Sono consapevole che i caratteri sono limitati, ma se dovessi arrivare in semifinale può essere uno spunto per utilizzare i caratteri extra.

I bonus per me ci sono tutti. Buona sfida!

Amelohay
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Re: Loros blancos

Messaggio#5 » mercoledì 2 novembre 2022, 14:50

Ciao Pietro,

L’idea della storia mi è piaciuta: è coinvolgente e mi ha trascinato avanti perché volevo capire dove sarebbe andata a parare. I pirati sono presentati in salsa cartoonesca, quasi stereotipata, nell’abbigliamento e nel linguaggio. Se la cosa era voluta l’ho apprezzata.

L’inizio, però, mi è sembrato un po’ lungo. Anche a fine lettura non mi è sembrato del tutto importante. Mi sarebbe piaciuto se, una volta sulla nave pirata, la vita da dipendente di una ditta di traslochi fosse servita a qualcosa. Magari grazie a questo mestiere Habral riesce a fare qualcosa di particolare che nessun pirata sa fare?
Così, invece, mi è parsa un po’ inutile ai fini globali della storia e il protagonista risulta un passivo perché non prende in mano la situazione.

Quello che secondo me manca è la voce interiore del personaggio. Si ritrova in una nave pirata nel Settecento e non si chiede nemmeno “Dove sono finito?”. Un vago “Avrei un sacco di domande” e subito dopo sembra quasi dimenticarsi di essere stato vittima di una magia.
Anche quando il Capitano gli spiega che il pappagallo viaggia nel tempo e nello spazio, Habral accetta la spiegazione senza fare (né farsi) domande, come se fosse la cosa più normale del mondo. In questo modo, appunto, risulta molto passivo.

La scrittura è buona, le frasi brevi danno ritmo alla storia, ma a volte risultano un po’ troppo scarne e troppo spezzate, soprattutto all’inizio. Più di una volta ho dovuto tornare indietro e ricostruire chi stesse parlando o che cosa stesse succedendo.

Nel complesso, comunque, il racconto mi sembra buono e i bonus ci sono tutti.
Amelohay

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Stefano.Moretto
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Re: Loros blancos

Messaggio#6 » giovedì 3 novembre 2022, 17:55

Ciao Pietro, piacere di rileggerti.
Da fan degli isekai non può non piacermi una storia in cui il protagonista finisce in un altro mondo (o nel passato, in questo caso), soprattutto se la cosa – anche se non viene spiegata se non con un "è magia" – ha una rilevanza ai fini della trama. E in questo caso ce l'ha, con il tradimento finale che viene innescato proprio da questo elemento.
Per il resto la storia fila liscia e lineare, forse pure un po' troppo: Habral accetta molto passivamente l'idea di essere finito su una nave pirata, non prova neanche a capire come o perchè, né tenta di tornare a casa (o fa capire in qualche modo che gli piaccia l'idea di restare lì per sempre). Accetta anche passivamente il fatto di bere alcool, cosa che va contro la sua religione. Un credente avrebbe opposto più resistenza; giusto per fare un parallelismo, quando gli hanno offerto l'alcool ha fatto la stessa resistenza di quando il capo gli ha sbolognato un turno extra, cioè un timido tentativo di dire "no" per poi accettare tutto.
Ecco, "passivo" penso sia la parola che descrive il problema principale del racconto: il protagonista fa poco il protagonista, si limita a reagire quel che basta agli eventi della trama per sopravvivere.
Anche durante la battaglia, mi aspettavo che sarebbe stato il fulcro del racconto, invece lui si chiude a chiave in una stanza e non ci prova neanche. Paradossalmente era molto più attivo come personaggio nei primi paragrafi, quando svuotava le case.
Penso che il racconto sarebbe stato molto più interessante se Habral si fosse comportato in modo più propositivo.

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Eugene Fitzherbert
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Re: Loros blancos

Messaggio#7 » sabato 5 novembre 2022, 13:55

Questo è il racconto che mi ha dato più grattacapi. Da una parte è scritto in modo fluido, immersivo, con un buon mix e una buona alternanza di pensieri-azioni. I dialoghi sono tesi e asciutti, senza fronzoli e veloci.
Lo stesso protagonista è divertente e si lascia "amare" fin d subito. Purtroppo, a fronte di questa bella costruzione, alla fine resta troppo bidimensionale: per esempio non ho ben capito se quello che fa è un'attività lecita o losca. Inoltre il suo lavoro, che occupa buona parte dell'incipit, non ha alcuna rilevanza ai fini della storia, se non quello di fargli trovare il pappagallo magico. Ma poi, perché lasciare il pappagallo vivo ingabbiato in una casa dove si sta facendo un trasloco? Non riesco a crederci neanche se Habral sia lì per svuotare la villa quando i padroni di casa sono in viaggio. Se poi il trasloco è una cosa ufficiale, perché i padroni di casa non se lo sono portati con sé come si farebbe con un animale?

Lo stesso aspetto magico del pappagallo, usato come macchina del tempo piumata, per quanto affascinante è una trovata lasciata un po' a sé stessa. Per esempio: perché era nel presente di Habral? Perché era in quella casa? Il padrone di casa era un lontano parente del capitano pirata? (sto facendo supposizioni a caso, perché in realtà nella tua versione della storia, le cose accadono e basta.) E quando compare sulla nave pirata, l'avvenimento viene accettato come se niente fosse.
Lo stesso Habral che è vestito da giovane del 2022 è accolto in modo un po' troppo piatta. Nel corso del racconto, purtroppo, le reazioni dei personaggi sono tutte smorzate, appena accennate. E questo purtroppo riguarda anche il nostro protagonista che da voce narrante e unico filtro narrativo agli eventi che lo circondano dovrebbe esserne travolto, considerando l'aspetto soprannaturale e sorprendente dei fatti.

Il finale, poi, è poco soddisfacente perché non risponde alle domande che sono sorte nel corso del racconto:
- perché Habral e il Pappagallo sono arrivati proprio lì?
- Cosa diavolo è il pappagallo? E perché era in quella casa?
- È mai tornato indietro, Habral? È mai voluto tornare indietro?
- E soprattutto, il Flinn che pela le patate è veramente lo stesso Flinn della storiella che Habral cita? È un riferimento metanarrativo? Habral è finito in qualche universo paranarrativo, dove le fiabe sono tutte mischiate e ognuno fa un po' come cazzo gli pare?

Spero di averti dato qualche spunto per riflettere sui punti da rinforzare della tua storia, che resta comunque una buona prova di scrittura e di stile.

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