La Pozione

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
Amelohay
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La Pozione

Messaggio#1 » domenica 16 ottobre 2022, 12:55

Il capitano Moore si portò una mano all’amuleto che aveva al collo. Con i calli delle dita distingueva la figura in rilievo di qualche santone asiatico. Ancora una volta, la collana della vecchia veggente senza gambe e senza denti di Singapore l’aveva protetto dalla cattiva sorte. Sorrise.
La scialuppa con i prigionieri stava salpando dalla nave nemica. La São Cristóvão, il grande galeone portoghese, fluttuava tacita con i fianchi martoriati dalle cannonate, a mezzo miglio dal veliero di Moore. Sulla cima dell’albero di trinchetto, un drappo bianco strappato da un lenzuolo si gonfiava svogliato al vento di sud-ovest. La grande marina portoghese che si arrendeva così in fretta dopo aver sparato solo un paio di colpi… poteva essere solo frutto della benedizione della vecchia di Singapore.
Il capitano Moore scese dal castello di poppa con un balzo. Gli stivali urtarono le assi del ponte e un brivido di dolore gli percorse la gamba destra. Un grugnito gli sfuggì dalle labbra, ma lo camuffò con un colpo di tosse.
Sul ponte di coperta, diciotto uomini della ciurma attendevano l’arrivo dei prigionieri. Gli altri dovevano essere in giro per il vascello, intenti a valutare i danni fatti dalla breve battaglia. Qualche colpo l’avevano preso anche loro, prima che la São Cristóvão si arrendesse.
Disteso sotto l’albero di mezzana, Steve il Secco stringeva tra i denti un panno sporco, mentre Jacob gli rammendava un grosso squarcio sul braccio. Eddy gli teneva fermo l’altro braccio e Sam le gambe, ma Steve il Secco si impuntava, scalciava e si dimenava. Anche se ovattante, le sue urla erano strazianti.
Il frammento di una botte distrutta da una cannonata nemica gli aveva lacerato l’arto. Era stato l’unico danno serio subito dalla sua ciurma.
Moore zoppicò verso il gruppo. Sulla guancia di Steve il Secco, una lacrima rifletté la luce del sole e il capitano sentì una stretta allo stomaco. Dopo tutto quel dolore, un’infezione se lo sarebbe portato via. Anche se fosse sopravvissuto, senza un braccio non sarebbe stato di grande aiuto sulla nave. Moore gli passò una mano sulla fronte sudata e bollente. «Andrà tutto bene.»
«Capitano! Sono arrivati.» Il richiamo del vecchio Joey fu una benedizione. Moore si affacciò al parapetto di tribordo. La scialuppa aveva attraccato e gli uomini stavano salendo sul ponte da una scaletta di corda.
A uno a uno, scortati da Victor, i prigionieri della São Cristóvão misero piede sulla nave di Moore. Le catene ai loro polsi tintinnavano, quelle alle caviglie impedivano il movimento e più di qualcuno inciampò e cadde. Victor li spintonò per sistemarli tutti in fila indiana. Qualcuno di loro poteva rivelarsi utile: sulla nave erano a corto di uomini.
Il primo della fila era un giovanotto dai capelli lunghi, che teneva gli occhi chiusi e muoveva le labbra in preghiera. Le braccia grosse e le spalle larghe tendevano la stoffa della camicia strappata e imbrattata di sangue. La pelle abbronzata era quella di uno che sapeva lavorare su una nave. Sarebbe stato un’ottima aggiunta alla ciurma.
Moore gli prese il mento tra le mani callose. «Come ti chiami?»
Il ragazzo aprì gli occhi. «Marcos.» Dalla bocca uscì un rivoletto di sangue e un crocefisso d’oro ballonzolò fuori dal collo della camicia.
Moore gli lasciò andare la faccia. «E che cosa sai fare?»
«Sono… sono un prete» mormorò Marcos. Doveva avere i denti rotti, forse anche la lingua tagliata.
Moore scoppiò a ridere. «Non ci credo che sei un prete, giovanotto.»
«Lo giuro nel nome del Signore.»
«Quindi sei un prete cattolico con i muscoli di un marinaio?»
Il viso di Marcos era impassibile. «Sissignore.»
Doveva essere una menzogna colossale, i preti hanno le unghie curate, le braccine magrissime e la pelle diafana. Ma la vecchia di Singapore non lo avrebbe perdonato se avesse buttato a mare un discepolo di Cristo. E quel crocifisso al collo non mentiva.
Moore scrutò il giovanotto. «Che ce ne facciamo di un prete?» Sospirò. «Però sembra che tu sappia lavorare. Per ora sarai ospite della mia nave, poi vedremo. C’è sempre tempo per buttarti fuori bordo.»
Con un gesto deciso e violento strappò la catenina d’oro del prete e se la infilò in tasca. Il vecchio Victor trascinò via Marcos in uno sferragliare di catene.
I prossimi erano due grossi schiavi neri, che indietreggiarono tenendo gli occhi puntati a terra. Due giganti docili e sottomessi. Sarebbero stati un’ottima aggiunta alla ciurma.
Moore sorrise. «Questi li prendiamo noi.»
Steve il Grosso e il vecchio Victor li presero per le catene e li trascinarono via. Li avrebbero portati sottocoperta e riempiti di botte assieme al pretino. Così gli sarebbe passata la voglia di scappare, se quelle bestie avessero mai avuto una volontà propria.
Poi fu il turno di un giovane ufficiale, con addosso l’uniforme della marina portoghese. Era magro come un chiodo e pallidissimo, uno che non avrebbe saputo distinguere una gomena da una sartia ma che poteva decidere la rotta e il destino di una nave. Si gettò a terra. «Vi prego signore, abbiate pietà delle nostre anime e dei nostri corpi, sign—»
Moore gli sferrò un calcio in viso. «Sei amico del prete, tu?»
«No, signore, pietà… per l’amor d’Iddio…»
«Sta’ zitto.» Moore non aveva nessuna voglia di urlare. Quanto lo irritavano quei lamentosi che imploravano pietà. Afferrò la catena che legava i polsi del ragazzetto e lo tirò in piedi.
«Oh signore, vi prego, faremo tutto quello che vorrete ma lasciateci andare…»
Uno schiaffo lo zittì. L’occhio sinistro gli si tinse di sangue e la guancia sbarbata di fresco avvampò. Non era neanche capace di sopportare una sberla, figurarsi il bastone di Victor e di Steve il Grosso.
Moore gli tastò le braccia, il petto e le gambe. Non c’era muscolo su quelle ossa. Gli infilò due dita in bocca e gliela spalancò. Tastò le gengive alla ricerca di qualche dente d’oro da strappare, ma non c’era niente di utile. Lo spintonò a terra. «Victor. Steve. Questo fatelo fuori subito.»
I due energumeni liberarono l’ufficiale dalle catene ai polsi. Lo sollevarono di peso, Steve il Grosso per i piedi e Victor per la collottola. Doveva essere leggero come un fuscello isterico.
«No, vi prego, signori, aiuto, per favore, pietà!» Puntò i piedi. Si dimenò. Urlò e chiese di essere risparmiato. Pianse. Tentò di prendere a pugni i due uomini che lo stavano portando verso il parapetto. Ma i due lo gettarono in mare ridendo. Dopo un breve volo, finì in acqua con un tonfo. Il suo lagnarsi si perse tra lo sciabordio delle onde.
Moore ridacchiò e proseguì. Niente più grida e piagnistei, ora.
Toccò a un moro che poteva avere quarant’anni, che tremava ma cercava di contenersi. Teneva gli occhi a terra, mostrando una larga chierica sul cocuzzolo del cranio. Era vecchio per poter essere utile.
Moore gli alzò il mento con una mano. «E tu chi sei?»
«Mi chiamo Abū Qais, signore.» La voce gli tremava, ma alzò lo stesso lo sguardo a incontrare gli occhi di Moore.
«E che sai fare?»
«Medico di bordo, signore.»
Moore sgranò gli occhi e lasciò la presa dal mento dell’uomo. «E sei un moro? Un saraceno imbarcato nella flotta portoghese?»
Abū Qais annuì e riabbassò lo sguardo. «Sì, signore»
«Bizzarro,» Moore si passò una mano tra la barba. «Ma non mi serve un medico di bordo. VICTOR!»
«Posso curare quel vostro uomo.» Abū Qais alzò una mano magrolina e puntò il dito verso il gruppo di marinai che attendevano sul ponte. In mezzo a loro, seduto su una botte, si dondolava Billy l’Irlandese.
A Moore mancò il fiato. «Come sai che Billy è malato?»
«È scorbuto, signore. Ha le gambe gonfie e la schiena scottata. Zoppica ma non ha ferite se non grandi lividi. Posso curarlo, signore.»
Com’era possibile che quel moro avesse capito che Billy soffriva di scorbuto senza nemmeno averlo visto da vicino? Era di nuovo l’intervento della veggente di Singapore? Si toccò l’amuleto. Non poteva lasciarsi sfuggire l’ennesima benedizione.
«Come lo vuoi curare?»
Abū Qais parlò con un filo di voce. Non tremava più. «C’è una pozione, signore. Ne avevo un po’ sulla São Cristóvão. Dategliela per una settimana e si rimetterà in sesto, signore. Non è troppo tardi ancora.»
Ecco perché quella nave portoghese si era arresa così in fretta. Era stata tutta una macchinazione della provvidenza per fargli avere la cura per la malattia che aveva decimato i suoi uomini. Era successo tutto per salvare Billy… e non solo.
Ma poteva essere anche tutta una farsa di un infedele per non andare incontro al suo falso dio. «Mostrami questa pozione» ordinò.
«Ne ho una piccola botte sulla São Cristóvão, signore. Posso andarla a prendere, se volete.»
Andare fino alla nave e tornare indietro a remi gli avrebbe fatto perdere un’altra ora, ma valeva la pena tentare. Si sfiorò ancora l’amuleto. «Victor! Porta questo moro fino alla São Cristóvão e tienilo d’occhio. Deve prendere una botte di una pozione, nient’altro. Sta’ attento che non faccia scherzi.»

Un’ora più tardi, Abū Qais e Victor ritornarono sulla nave di Moore. Il capitano li attendeva seduto sul cassero di poppa e riposava la gamba dolorante. L’acqua dell’Atlantico cullava il vascello con dolcezza e un leggero vento spirava da sud-ovest. Se imbrigliato bene, l’indomani avrebbe avvicinato la nave all’Europa di parecchie miglia.
Steve il Secco era stato medicato e i marinai erano indaffarati a sistemare nella stiva le provviste di cibo e acqua rubate alla São Cristóvão. Sotto il ponte di batteria, Steve il Grosso si stava sfogando con il bastone sui due schiavi neri e sul prete. Il rumore delle percosse e le urla dei tre uomini arrivavano fino a lì.
Billy era rimasto seduto sulla botte, intagliava un pezzo di legno e canticchiava una vecchia canzone. Forse cercava di coprire le grida strazianti e il suono delle ossa che si rompevano. «Io son Captain Kidd, ho navigato e navigato. Io son Captain Kidd e la legge d’Iddio ho violato…»
Abū Qais e Victor arrivarono sul ponte. Victor portava tra le mani un piccolo barile di legno. «Ecco la pozione che vi serviva, capitano. L’ufficiale che avete buttato in mare ha più tempra di quanto credessi: è ancora lì che nuota disperato.»
Moore rise forte. «Qui non s’azzarderà a risalire. Grazie, ora puoi andarti a divertire coi prigionieri insieme a Steve il Grosso.»
Victor non se lo fece ripetere e filò sottocoperta.
Sul ponte, le ombre si stavano allungando e la palla rossa del sole stava per tuffarsi in mare. Moore era rimasto da solo assieme a Billy l’Irlandese e a quel medico saraceno con la sua pozione. «Allora, Abū Qais. Mostraci la tua magia.»
Il moro s’inginocchiò e aprì la botte. «Ecco, signore. Questa pozione è l’unica medicina che esista per lo scorbuto. Deve prenderne un mestolo ogni giorno per una settimana e si rimetterà in sesto.»
Se fosse stata la verità, Moore avrebbe fatto vela di nuovo per Singapore e l’avrebbe ricoperta d’oro, quella vecchia sdentata. «Billy, vieni qua.»
Billy scese dalla sua botte e si avvicinò. «Di porto in porto ho navigato e navigato. E ogni nave che ho trovato, l’ho bruciata… ho navigato e navigato.» Tossì. «Capitano, siete sicuro che non sia pericoloso?»
Era un’eventualità a cui Moore aveva pensato. «Prendine prima un sorso tu, Abū Qais. Poi ne berrà anche Billy.»
Il moro ubbidì. Prese un piccolo mestolo di brodaglia color piscio e la bevve senza opporre resistenza. Quindi non era un veleno, anche Billy poteva berla. Al massimo non gli avrebbe fatto nulla. In nome di Dio, se quella pozione fosse stata miracolosa, sarebbe stato davvero l’intervento della provvidenza.
Moore sospirò. «Billy, bevine un sorso.»
Il giovanotto rosso di capelli ubbidì. Prese una mestolata, se la portò alle labbra e gridò: «Che diavolo è? È acidissima! Mi sta avvelenando?» Sputò a terra un grumo di intruglio misto a sangue.
Abū Qais aveva un antidoto? Era un veleno a cui i saraceni erano immuni? Se fosse stato così, Moore gli avrebbe cavato gli occhi, strappato la lingua e rotto ogni osso, gli avrebbe tagliato ogni arto e solo allora l’avrebbe dato in pasto ai pesci.
Ma prima che il capitano potesse parlare, il moro si scusò abbassando la testa. «No, signore. Il suo ingrediente principale è il succo di limone, signore. E Billy ha delle ferite alle gengive, gli brucia ma gli farà bene. Vi prego di credermi, signore.»
Il capitano guardò il saraceno. Seduto a terra con gli occhi bassi sembrava davvero pentito. In effetti, il limone è acido e sulle ferite è come un succo infernale. Billy aveva anche perso un dente qualche giorno prima, era normale che gli bruciasse.
Moore spostò gli occhi sul giovane irlandese. «Bevine un sorso e non fare storie.»
Billy esitò. Se avesse disubbidito ci sarebbe passato lui sotto i bastoni di Victor e di Steve il Grosso. Raccattò il mestolo e prese una sorsata. La faccia gli si accartocciò in una smorfia di dolore e disgusto, ma deglutì la pozione e proruppe in un verso schifato. «Ebbene?»
Abū Qais gli rispose senza alzare lo sguardo da terra. «Dovrete berne una sorsata al giorno, Billy. Per una settimana.»
«Al diavolo…» mormorò il giovane.
Moore alzò una mano e frenò la cascata di parolacce che stava per arrivare. «Ti prego, Billy, fa’ come dice. Ora puoi andare… Va’ a dire a quei due di andarci piano coi prigionieri, non devono ammazzarli.» Le urla dei tre uomini di sotto si erano fatte più forti dopo l’arrivo di Victor e la nave era scossa dai loro lugubri lamenti.
L’irlandese rossiccio se ne andò mugugnando qualche insulto e sputacchiando la medicina.
Moore rimase sul ponte. La brezza della sera gli soffiava delicatamente tra i capelli e la barba.
Abū Qais era ancora inginocchiato vicino alla sua botte. Parlò con un filo di voce, che si confuse nello sciabordio delle onde. «Posso curare anche voi, signore.»
Era ovvio che avesse capito. Per quanto Moore cercasse di nasconderlo, tutti dovevano averlo visto claudicare o aggrapparsi per non cadere. Bastavano poche ore al sole per cuocergli il viso fino a spellarlo, e per guarire da quelle scottature ci metteva settimane. Ma il sintomo peggiore erano le gengive lacerate. Lo costringevano a consumare i pasti da solo nella cabina per non sanguinare sul piatto davanti alla sua ciurma. Più il tempo passava, più lo scorbuto si acuiva e i sintomi lo tormentavano.
«Tra una settimana. Se Billy guarisce mi fiderò di te.» Era bene fidarsi della benedizione della vecchia, ma doveva comunque essere cauto. Per quanto volesse bene al giovane irlandese, la sua vita era più importante di quella di un semplice mozzo.
«La pozione non basterà, signore. Ce n’è troppo poca per curare sia Billy che voi.»
«Stiamo facendo vela verso l’Europa. Tra una settimana potrai sbarcare nelle tue terre dell’Africa e comprare gli ingredienti necessari per farne dell’altra. Lì dovrebbero essercene in abbondanza di limoni. Sempre che Billy si rimetta.»
«Sì, signore. Come desiderate.»
Moore si alzò. «Ora puoi andare. Trovati una branda per dormire e da domani comincerai a lavorare qui come medico di bordo. Darai un’occhiata anche a Steve il Secco. Vedi di salvargli il braccio, se puoi.»
Abū Qais si alzò, sempre con gli occhi bassi. Richiuse la botte e la consegnò a Moore. «Tenetela voi, signore, come prova della mia buona fede. Non potrò avvelenarla se ce l’avrete voi.»
Moore prese la botte. «Va’.»

Una settimana più tardi, Joey dalla coffa gridò «Terra!» e tutti gli uomini sul ponte si girarono verso est. I due prigionieri neri avevano già cominciato a lavorare sulla nave di Moore, ma faticavano a stare in piedi e avevano lividi e ferite su tutto il corpo. Anche loro si sporsero dal parapetto di tribordo, solo che rimasero immobili e non gioirono. Che animali senza sentimenti.
Moore scorse le montagne dell’Atlante che facevano capolino tra le onde e diede il via a un ululato di gioia che contagiò tutti. Erano quasi arrivati. «Billy!» gridò.
Il giovane arrivò saltellando. Non zoppicava più e la faccia lentigginosa aveva un colorito più roseo. I lividi sulle gambe erano spariti del tutto e mangiava con appetito. «Capitano!»
Moore gli sorrise. «Come stai oggi?»
«Meglio, capitano. Quella pozione acida fa anche meno male alla bocca ora. Mi sta facendo guarire davvero!»
«Mostrami i denti, figliolo.»
Billy si infilò due dita in bocca e abbassò le labbra. Le gengive erano ancora rosse, ma i tagli erano meno profondi e meno sanguinolenti. Il buco del canino caduto si stava rimarginando e non puzzava più come qualche giorno prima.
Allora Abū Qais era un vero salvatore mandato dalla provvidenza! Moore si toccò ancora l’amuleto al collo. Anche Steve il Secco stava migliorando grazie alle sue cure. Non poteva ancora usare il braccio come prima, ma c’erano solide speranze che non lo perdesse.
Tutto andava per il meglio: il vento spirava nella direzione giusta, l’Africa era vicina, l’indomani il moro sarebbe sceso e avrebbe fatto scorta di limoni e degli altri ingredienti magici che gli servivano. Per non dimenticare la prudenza, Moore avrebbe mandato Victor a seguire il medico sulla terraferma. E allora, anche lui sarebbe stato guarito.
Attraccarono al porto di Agadir e Abū Qais non scappò, né tentò di farlo. Al ritorno, Victor annunciò che era andato tutto come previsto: si erano fermati al mercato e avevano fatto scorta di ingredienti. Il pirata aveva pagato e ora il medico si era ritirato in una cabina per mescolare gli ingredienti secondo la sua ricetta.
Moore stava sprizzando di gioia. Negli ultimi giorni, il dolore si era esteso anche all’altra gamba e due denti avevano cominciato a traballare in bocca. Se non si fosse curato al più presto gli sarebbero caduti. Doveva avere quella pozione magica, doveva berla o sarebbe morto come tanti altri nella sua ciurma.
Al calare della notte, la pozione fu pronta. Abū Qais bussò alla porta del capitano ed entrò con la sua piccola botte di liquido. «Ecco a voi, signore.»
Moore si alzò a fatica dalla sedia. Dovette appoggiarsi con entrambe le mani ai braccioli perché le gambe gli dolevano e gli tremavano. Afferrò il mestolo e prese una grossa sorsata.
La bocca gli andò a fuoco. Il succo di limone penetrò in ogni ferita e in ogni piaga delle gengive, bruciando come l’inferno. I denti gli urlarono di dolore ma si costrinse a deglutire. L’intruglio acidissimo scese lungo l’esofago e gli provocò un conato di vomito. Moore lo ricacciò indietro e strinse i denti in un sibilo. Che diavolo, doveva bere o sarebbe morto. Era stato bravo Billy a sopportare quella tortura per una settimana intera.
Riprese a respirare a fatica, la faccia che faceva smorfie contro la sua volontà. Pian piano, il dolore passò.
Abū Qais tossì per chiedere la parola e Moore gliela concesse con un gesto della mano. Non era ancora in grado di parlare.
«Signore, potrei suggerirvi di dare di questa pozione anche al resto della ciurma? Alcuni di loro si stanno ammalando e non lo sanno. Questa pozione potrebbe prevenire la malattia.»
Moore si deterse la bocca con il polso. Era un suggerimento valido. «Ce n’è abbastanza per tutti?»
Abū Qais annuì. «Ne ho preparata a sufficienza per tutti per diverse settimane. Un mestolo al giorno basterà.»
Ora che il dolore si era placato, il capitano si rilassò sulla sedia. «Grazie», sussurrò.

Sotto lo sfavillare delle stelle nel cielo di Agadir, Abū Qais lasciò la nave di Moore su una scialuppa. I colpi di remo increspavano l’acqua placida mentre si allontanava dal vascello. La luna illuminava la sagoma scura della nave, in cui tutte le luci erano spente.
Niente lanterna sulla coffa, né nel castello di poppa, dove il capitano si tratteneva con il nostromo a studiare le carte nautiche. Niente candele sul ponte, dove la sera i marinai giocavano a carte e scommettevano a dadi. La nave di Moore era pervasa da un silenzio irreale. Un silenzio di morte.
Abū Qais tese l’orecchio. Leggero, quasi impercettibile, un rantolio. Qualcuno annaspava per cercare aria e cadeva dalla branda in preda alle convulsioni. L’ultimo di quelli che avevano bevuto la pozione moriva, respirando sempre più piano.
Ma Abū Qais respirava ancora.
L’aria profumava di libertà.


Amelohay

Amelohay
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Re: La Pozione

Messaggio#2 » domenica 16 ottobre 2022, 12:56

Bonus:

Tradimento: Abū Qais tradisce il capitano Moore
Elemento soprannaturale: la benedizione e l'amuleto
Canzone piratesca: Billy canta «Captain Kidd»
Amelohay

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Spartaco
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Re: La Pozione

Messaggio#3 » sabato 22 ottobre 2022, 19:15

Contattami in privato per la conferma dell'identità. Meglio se su facebook.
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Andrea Furlan
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Re: La Pozione

Messaggio#4 » lunedì 31 ottobre 2022, 9:02

Ciao Amelohay,
Il tuo racconto è solido e ben costruito: diviso nei tre atti, un punto di vista centrato sul capitano che cambia solo alla fine, i tre bonus piuttosto chiari.
All'inizio l'ho trovato un po' dispersivo: diverse scene (il prete, i due neri, l'ufficiale portoghese) potevano essere ridotte perché non aggiungono molto all'avanzamento della storia, i personaggi potevano essere più vividi e così l'ambientazione, con cui riusciamo a "sentire" l'atmosfera della vita dei pirati, ma l'insieme poteva essere reso meglio. I nomi sono molti e confondono, ci sono due personaggi che si chiamano Steve, uno il Grosso e l'altro il Secco: magari potevi semplificare o usare nomi diversi. Perché il medico di bordo non aiuta l'uomo ferito gravemente al braccio prima dei pirati con lo scorbuto?
Come a Polly, ti segnalo una possibile incongruenza geografica: mi sembra che non fosse indicato dove la nave incrocia il galeone portoghese, ma se parte da Singapore in Indonesia mi sembra che passi troppo poco tempo per arrivare ad Agadir, cioè in Marocco.

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Pretorian
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Re: La Pozione

Messaggio#5 » lunedì 31 ottobre 2022, 12:35

Ciao, Amelo e piacere di leggerti.

A livello stilistico, il tuo racconto soffre di un'estrema pesantezza, con periodi lunghi, pieni di aggettivi e di espressioni enfatiche. Questo fa si che ogni azione compiuta, ogni punto che porti avanti la storia, sia annegato in un mare di descrizioni, dettagli ed elementi che, nel giusto quantitativo, darebbero colore e profondità alla vicenda, ma che finiscono per diventare puro riempitivo. A cosa ci serve sapere del prete? Lo introduci come un personaggio fondamentale, lasciandoci anche il dubbio del perché sia così grosso (e del perché abbia un crocifisso d'oro, cosa decisamente improbabile per un pretino di bordo) e poi lo fai sparire. Qual è la necessita di ribadire almeno quattro o cinque volte che i due sgherri di Moore stanno pestando il due africani e il prete? Non aggiunge niente alla trama e ogni dubbio sulla crudeltà del capitano ce lo siamo tolti nel momento in cui ha fatto affogare il capitano portoghese. Inoltre, in almeno un paio di occasioni il pdv è scivolato dalla terza persona concentrata du Moore a un narratore onnisciente, come quando esprimi l'idea che i due mori siano "Animali senza sentimento" perché non gioiscono alla vista della costa, ma senza dare l'idea che sia Moore ad esprimere quel pensiero.
A livello di trama, abbiamo poco e tutto sviluppato in modo lineare, senza troppa infamia, né lode. Ci sono un paio di incongruenze qui e lì (come il già detto crocifisso d'oro, o il fatto che tu dica che la nave portoghese si sia arresa dopo aver sparato un paio di colpi, ma la descrivi come se le cannonate siano andate avanti per parecchio tempo)ma niente che non si possa sistemare.

Alla prossima

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Michael Dag
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Re: La Pozione

Messaggio#6 » martedì 1 novembre 2022, 17:15

Ciao e benvenuto/a/i/&
Ti dico la verità, è un lavoro niente male per uno scrittore alle prime armi.
Il difetto più grosso che ho trovato è un primo atto inutilmente lungo, in cui presenti molti personaggi, interessanti anche, ma assenti nel resto della storia.
A parte questo la struttura in se regge bene.
Mi è piaciuta la coppia Steve il secco/il grosso: dettaglio insignificante, ma aggiunge personalità alla ciurma, anche perché sono personaggi che si vedono poco (non farlo mai con pg principali o confondi i lettori).
Non conosciamo però il nome della nave. Nella scrittura immersiva il capitano moor si riferirebbe alla sua nave come
"la BuzzoDiTonno" (nome a caso). dettagli del genere presentati con la naturalezza di chi vive quella cosa come la quotidianità favoriscono l'immedesimazione del lettore nella storia.
Bella invece l'osservazione dei "negri senza sentimento". Un pirata del 1600 penserebbe esattamente così.


L'atteggiamento di Abū Qais unito al fatto che nella storia doveva esserci un tradimento mi ha telefonato il finale. Mi aspettavo un'esca che mi inducesse a credere una cosa e poi un plot twist finale, ma hai optato per il classico.

L'ambientazione è resta abbastanza bene. "Scorbuto" è una di quelle parole-gancio che subito evocano tutto ciò che dobbiamo sapere: pirati, bocche sdentate, ferite da battaglia, intrugli curativi.
Nelle descrizioni ti sei un po' perso, usi periodi a volte troppo lunghi che però non offrono alcun dettaglio ulteriore. È un vizio che si perde col tempo, non ti preoccupare.
Insomma, non male come lavoro di prova ma vedo il potenziale per migliorarti molto.
Ultima modifica di Michael Dag il martedì 1 novembre 2022, 17:16, modificato 1 volta in totale.

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Pietro D'Addabbo
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Re: La Pozione

Messaggio#7 » giovedì 3 novembre 2022, 16:28

Ciao Amelohay, piacere di leggerti.

Idea molto interessante quella di eliminare del tutto dal racconto l'azione guerresca e spostare il nodo del racconto su una nozione scientifica. Non sono certo che la vitamina C fosse conservabile in forma liquida e in botti adeguate all'epoca in cui si svolge la storia, ma elencherò questo aspetto sotto il bonus 'fantasy' insieme alle credenze scaramantiche del Capitano, che da sole di soprannaturale sembrano avere poco. Vediamo infatti il Capitano convinto di un aspetto magico del medaglione, ma sembra una credenza per giunta sconfessata dalla malattia e dal finale tragico del portatore.
Purtroppo gran parte della prima parte, cioè circa 6mila caratteri su 20mila, sembra un riempitivo piuttosto che una presentazione dei personaggi, soprattutto l'enfasi data alla sorte dell'ufficiale della nave sconfitta. Probabilmente lo stesso racconto avrebbe avuto accoglienza migliore da parte mia se fosse partito con la frase "Un moro che poteva avere quarant’anni tremava ma cercava di contenersi."
Buon racconto comunque.
"Ho solo due cose da lasciarti in eredità, figlio mio, e si tratta di radici ed ali." (William Hodding Carter)

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Milena
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Re: La Pozione

Messaggio#8 » sabato 5 novembre 2022, 13:41

Ciao Amelohay, e ben trovato.
Bene, del tuo racconto ho apprezzato di certo la storia. Bella l’idea di ingannare il capitano con una pozione funzionante per guadagnarsi la sua fiducia e poi sterminare tutta la ciurma. Però non mi sembra tu abbia approfondito a dovere. Sarebbe interessante sapere cosa esattamente ci fosse di diverso tra le due pozioni. Nel senso, la prima probabilmente è solo e semplice succo di limone, (non mi intendo di queste cose, ma potrebbe bastare per reintegrare le riserve di vitamina C) e i famosi ingredienti al mercato sono il “di più” che causa la morte della ciurma. Però sarebbe interessante conoscere questi dettagli, il racconto risulterebbe a mio avviso più completo.
Per contro, hai invece dedicato molto spazio a un personaggio potenzialmente forte ma poi dimenticato: sto parlando del prete, il quale, quando viene introdotto, sembra possa avere un ruolo rilevante nella storia, ma poi se ne perdono le tracce (a parte le sue urla quando passa sotto le sgrinfie di Steve il Grosso).
In sostanza, un racconto che parte con un’idea molto interessante ma che si perde un po’ qua e là.
Per i bonus, ok il primo e il terzo, ma per quanto riguarda l’elemento soprannaturale non ne sono così convinta.Non è chiaro se la benedizione di cui parla il capitano sia reale oppure no; potrebbe benissimo essere una sua illusione, visto oltretutto la fine che fanno tutti (insomma, se davvero la veggente di Singapore ha benedetto la collana, non mi sembra abbia fatto questo gran lavoro ;-))

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