Bandiere nere

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Andrea Furlan
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Bandiere nere

Messaggio#1 » domenica 16 ottobre 2022, 22:26

La baia di Batam era immersa nella nebbia. Mare grigio, liscio e fermo.
Il sole era una palla rossa appena salita dall’orizzonte, raggi che non davano calore.
Diogo era in piedi sulla tolda, scrutava fra le volute di vapore la posizione delle altre quattro caravelle. Ascoltava la voce della nave che avanzava lenta, il leggero sciabordio, i piccoli rumori del fasciame, delle vele appena gonfie di una leggera brezza. L’odore del prezioso carico di noce moscata che trasportavano in Europa impregnava l’intera nave, ma su di sé sentiva ancora il profumo di Fatima. Era stata abbracciata a lui quasi tutta la notte, lo aveva visto partire assonnata, con gli occhi lucidi.
«Gonzalo, fai salire Ahmed in coffa. Questa nebbia non mi piace.» Il secondo annuì, dando l’ordine al ragazzo persiano. Batam era il porto della Fortaleza. L’uscita dal porto era facile, nota a tutti, ma era meglio essere prudenti finché non fossero arrivati in mare aperto.
Rimase sul ponte ancora a lungo, pensando a quando sarebbero entrati nel porto della dolce Lisbona, la città che una volta chiamava casa. Gli uomini avevano terminato le operazioni di partenza, si preparavano alla lunga navigazione dall’Indonesia verso l’Africa, poi alla loro destinazione finale. Gli altri ufficiali portoghesi parlavano ad alta voce sottocoperta, la ciurma governava le vele: li conosceva tutti, portoghesi, arabi, indonesiani, cinesi che aveva scelto a uno a uno.
«Qursan! Qursan!»
Il grido arrivò dalla cima dell’albero maestro.
«Maledizione! Tutti ai loro posti!» Gridò allarmato.
Corse al timone, ordinando di preparare la difesa, la mano destra che afferrò d’istinto l’impugnatura della spada.
Qursan.
Pirati.

Iman sentiva l’eccitazione dello scontro imminente.
Era nervoso, non riusciva a stare fermo, passeggiava sul ponte avanti e indietro, sibilando ordini nervosi a chiunque gli passasse a tiro di voce. Dopo una preparazione di mesi, era sicuro di avere calcolato i tempi in modo accurato, ma le navi portoghesi ancora non si vedevano. Avevano navigato per tutta la notte verso nord, evitando le vedette, nascondendosi per giorni fra le piccole isole a sud di Batam. Un altro equipaggio sarebbe stato stanco, provato.
Ma i suoi uomini no, li aveva selezionati in molti scontri, tenendo solo i più resistenti. Le altre tre navi erano comandate da ufficiali olandesi che avevano navigato con lui per mesi. Erano leali, almeno finché il bottino sarebbe stato sufficiente per soddisfare le loro ambizioni.
Si avvicinò ai segnalatori, dando ordine di virare sotto costa. Le bandiere si mossero, le quattro navi si spostarono all’unisono, come un branco di squali in caccia.
«Meneer!» Il segnalatore attirò la sua attenzione, indicando la cima dell’albero maestro. La vedetta aveva appena issato la lunga bandiera nera che li identificava, preparandosi per l’attacco: ora sventolava un drappo rosso per dare il segnale all’equipaggio. La preda era in vista.
Era ora.
A passo svelto, salì sul ponte principale: Jan scrutava ansioso fra la nebbia, il cappello nero pieno di goccioline. Era alto per i suoi tredici anni, braccia magre ma muscolose che spuntavano dalla camicia, la carnagione scura che gli avrebbe sempre ricordato la madre perduta. Impaziente come lui, saltellava da un piede all’altro mentre mormorava la canzone che gli aveva insegnato da piccolo.
“Bandiera nera, scura come la tomba.
Inchiodala nel sangue, all’albero maestro.
La morte aspetta mentre spazza l’onda.
Sciabola in mano, attacca sul fianco destro.”
Passarono solo pochi minuti, poi videro la polena dorata della prima nave portoghese spuntare nella nebbia.
Iman non ebbe bisogno di dare ordini, gli uomini iniziarono l’arrembaggio. Avevano preparato solo i cannoni di piccolo calibro per non danneggiare il carico. Aprirono il fuoco spazzando la tolda delle navi che si coprirono di schegge e sangue, un albero cadde lento nell’acqua, tranciato da una salva. In breve, le navi si scontrarono. I suoi indonesiani agganciarono le passerelle d’arrembaggio, corsero all’attacco mulinando le spade.
Iman sorrise, un taglio amaro privo di allegria, che si aprì in un secondo sul suo volto. Attese il tempo necessario per verificare che lo scontro fosse a loro favore: i portoghesi erano stati colti di sorpresa, le navi avversarie non erano equipaggiate per la battaglia.
Gettò uno sguardo a Jan che rispose annuendo.
Fece un cenno al timoniere di continuare dritto verso la baia.

Fatima era immersa nel verde della foresta, scappava da qualcosa che la inseguiva, un animale feroce che non poteva vedere ma sapeva che era lì, vicino. Troppo vicino.
La foresta era sua amica, lo sapeva nel profondo. Era nata ai suoi margini, ci era cresciuta, l’aveva sempre protetta, coccolata. Era il suo ambiente. Ma ora aveva partorito quella belva che non le dava scampo. La sentiva avvicinarsi, braccarla, impedirle di cambiare direzione.
Arrivò in una radura, un prato attorniato da alberi alti: era un posto familiare, che le sembrava di ricordare dall’infanzia, come se ci fosse stata mille volte. Le dava fiducia, protezione. Sentiva che lì l’animale non poteva raggiungerla.
Un potente ruggito, seguito subito da un altro, come se fossero due belve ad inseguirla. Sembrava arrivare da ogni direzione, senza darle tregua. Cominciò a piangere, cercando di guardare da tutte le parti.
Poi le vide. Erano due pantere. Un adulto e un cucciolo.
Quella grande si muoveva sinuosa fra l’erba alta, frustandola con la coda. La teneva d’occhio, ma intanto sembrava spingere l’altra, incoraggiarla ad avanzare verso di lei. Quindi si trovò a fronteggiare il piccolo: la fissava con gli occhi verdi, da cui non riusciva a distogliere lo sguardo.
Per un po’ sembrò studiarla, muovendosi a semicerchio come a volerle togliere ogni possibilità di fuga.
Ruggì un’altra volta, poi la attaccò, così veloce che non riuscì neanche a muoversi.
Gli artigli le squarciarono il ventre. Gridò di dolore.

Si svegliò, fra le lacrime. Si teneva la pancia, accarezzandola. Il bambino si mosse dentro di lei, in quel modo dolce che la rassicurava.
Non c’erano tagli, né sangue, solo il frutto dell’amore di Diogo che cresceva.
Attese sdraiata di ritornare al mondo, che i brandelli del sogno si spegnessero, facendole ritrovare una relativa tranquillità.
Si accorse che il sole illuminava la stanza in modo strano: si alzò con cautela, trovando la baia piena di nebbia. Sapeva che la Fortaleza l’avrebbe affrontata senza problemi come era successo tante volte, ma la tensione non l’abbandonava.
Il sogno sbiadì mentre si lavava il viso, ma non l’inquietudine che le aveva portato, la stessa che aveva sentito senza motivo dalla sera prima. Erano mesi che non abbracciava Diogo durante la notte, aveva sempre caldo e la pancia era ormai troppo grande per farla dormire comoda. Ma quella volta sarebbe partito per mesi: aveva avuto bisogno di sentirlo vicino, che fosse lì per rassicurarla. Ricordava che non aveva potuto fare a meno di piangere quando lo aveva salutato, ancora nel cuore della notte.
La nebbia vorticava, all’improvviso si aprì, mostrando uno squarcio della baia: vide un gruppo di navi fronteggiarsi, scoppi che avvertì in lontananza.
Bandiere portoghesi.
Bandiere nere.
Trattenne il respiro.

Diogo toccò il fondo, cominciando a correre verso la spiaggia, rallentato dall’acqua, dai vestiti bagnati.
Perse solo un attimo a guardarsi indietro: nel tempo che aveva passato a nuotare verso terra, lo scontro stava finendo. I pirati erano stati efficienti e mortali. In meno di un’ora avevano preso il comando delle sue navi, i superstiti erano stati catturati, gli aggressori stavano già portando via il carico sulle passerelle.
Ma non aveva tempo di cedere al senso di colpa di aver abbandonato i suoi uomini, alla rabbia che gli montava dentro.
Una delle navi aveva rifiutato lo scontro, era andata avanti fendendo la nebbia. Mentre cercava di essere dappertutto per organizzare la difesa, lo aveva visto. Sul ponte principale c’era quell’uomo alto, calvo, la pelle piena di tatuaggi.
«Iman.» Aveva mormorato.
In quel momento, immagini dal passato lo avevano sommerso: tutti i giorni di navigazione che avevano condiviso, bevute colossali nelle bettole peggiori di Macao, avventure che avevano vissuto insieme da giovani capitani.
Rivide lo sguardo impertinente di Fatima quando l’aveva vista la prima volta. Allora era ancora una ragazza e teneva Iman a braccetto mentre passeggiavano lungo il fiume. Si era innamorato di lei all’istante.
Quella notte in cui era scomparso per sempre dalle loro vite.
Poteva essere lì solo per un motivo: non era la Fortaleza, e neanche il prezioso carico di noce moscata.
Dietro alla spiaggia c’era la strada, su cui arrivava un contadino col carretto carico di banane.
«Ehi tu! Ferma, è un’emergenza!»

Iman diede l’ordine: due dei suoi corsero fuori dalla piantagione, attaccando le guardie della casa che caddero senza rumore. Li chiamarono con un gesto, aprendo il portone di legno.
Erano in quindici a correre fra la vegetazione ai lati del viale d’ingresso. Senza più curarsi di fare rumore, avanzavano veloci. Altre guardie cercarono di fermarli. Ne colpì una al torace senza rallentare, finché non arrivarono all’angolo della villa.
Fece cenno di entrare da una porta secondaria: in pochi secondi la abbatterono, gettando le torce sul tetto prima di entrare. Ordinò a quattro di loro di rimanere fuori per controllare che l’incendio si sviluppasse a sufficienza ed evitare sorprese.
Non conoscevano l’interno della casa, ma procedettero in modo sistematico, esplorando ogni stanza. I servi malesi, disarmati, vennero trucidati sul posto, mentre le donne vennero rinchiuse per essere portate via, dopo.
Una stanza era protetta da una porta più robusta: in pochi secondi la serratura venne scassinata rivelando armadi pieni di argenteria e pesanti forzieri. Gli uomini risero, gridarono di gioia, guardandolo con aria interrogativa.
«Portate via tutto. Noi vi seguiremo.»
Il ragazzo era rosso in faccia, eccitato dallo scontro, dalla vista del bottino. Esitò, lo sguardo incerto. Per un attimo gli sembrò ancora il bambino tenero che era una volta, quello che non esisteva più, cancellato da anni di scontri, di addestramento. Ormai era un pirata come lui, come gli altri.
«Devi venire, Jan. È necessario. Per te, per liberarti.»
Uscì dalla stanza senza voltarsi, sicuro che l’avrebbe seguito.

Fatima era in piedi sulla terrazza. Era agitata, si accarezzava la pancia per calmarsi. Aveva sentito le urla, cercando di capire cosa stesse succedendo mentre scrutava in mezzo alle foglie.
Poi aveva visto un gruppo di uomini correre veloce nel cortile. Uno di loro era calvo, tatuato.
La sensazione che aveva provato nel sogno ritornò: era nel posto più sicuro, a casa sua. Ma la belva era arrivata, non le dava tregua.
Scappò in casa, correndo nella camera da letto. Era in preda alla confusione, senza sapere se fuggire o nascondersi.
Proprio come quella notte, nella loro casa di Macao. Aveva appena finito di fare l’amore con Diogo, gli accarezzava la testa nel letto disfatto, godendosi il suo odore, volendo prolungare quel momento il più possibile.
«Amore, sono qui!»
La voce di Iman allegra, inaspettata, dal piano di sotto. Era partito quella mattina per trasportare un carico ad Amsterdam, chissà per quale diavoleria era tornato a casa. Non avevano avuto tempo di alzarsi che era già sulla soglia.
Li aveva fissati, uno sguardo incredulo sul volto. Una sola lacrima scendeva sulla sua guancia destra.
Fatima si era sentita morire, strappare il cuore in brandelli dai suoi occhi. L’uomo che per qualche anno era stato il mondo, che le aveva dato l’amore della sua vita, il bimbo che dormiva nella stanza accanto. Ma che non voleva più, travolta dalla passione per Diogo.
Aveva fatto un solo passo nella stanza, il volto acceso da una rabbia che non aveva mai visto prima.
«Iman, non…» Diogo si era alzato ancora nudo, mettendosi fra lui e il letto.
Si sarebbe aspettata qualsiasi cosa, ma non che se ne andasse. Era sparito senza una parola, lasciando un silenzio irreale, rotto solo dal pianto del piccolo che si era acceso in lontananza.
Lei e Diogo si erano guardati, lacrime che avevano cominciato a scorrere quando aveva capito.
Suo figlio piangeva forte, aveva potuto seguire le sue grida giù per le scale, poi fuori.
Non c’era stato nulla da fare. Erano scomparsi, non aveva mai più visto il suo bambino e neanche Iman.
Tornò al presente, scuotendo la testa mentre si muoveva senza meta nella stanza. Aveva perso tempo a ricordare, a cercare di recuperare i suoi gioielli. Quando arrivò alla porta, questa volta determinata a scappare, lui era già lì. Le bloccava la strada con la spada insanguinata in mano.
La colpì forte sulla guancia con un manrovescio, mandandola distesa a terra.
«Hoer!» Le urlò, una sola parola piena di veleno.
Puttana.

Diogo era disperato. Correva da una pianta all’altra nel parco di casa sua, zoppicando, combattuto fra la fretta e la prudenza. Si era accorto di essere ferito solo sul carretto, aveva chiesto al contadino di andare a chiamare aiuto alla guarnigione di Batam.
Vedeva il fuoco divorare il tetto della casa, pregava di non essere arrivato troppo tardi, assillato dai sensi di colpa per Fatima, per il tradimento al suo equipaggio. Li aveva abbandonati per amor suo. Il carico era il meno, anche se significava perdere il lavoro con la Compagnia.
Le sue guardie erano tutte stese a terra, alcune immerse in un lago di sangue.
Per fortuna non aveva trovato nessuno a sbarrargli la strada. O forse erano già scappati, portandola via con loro in una nave con le bandiere nere.
Entrò dalla porta della servitù sul retro, trovandola aperta.
Attraversata la cucina, sentì voci provenire dal piano di sopra. Si avvicinò senza fare rumore.
Riconobbe la voce di Iman anche se non la sentiva da un tempo che sembrava lunghissimo, senza capire cosa dicesse.
Sentì il pianto di Fatima: riprese a correre all’improvviso, salendo le scale tre gradini alla volta.
Un ragazzo era in piedi sulla porta, una figura alta torreggiava al centro della stanza: spinse di lato il giovane, lasciando che lo slancio lo portasse a impattare contro Iman.
L’olandese schivò in parte la carica, rimanendo in piedi, ma troppo sbilanciato per colpire subito con la spada.
I duellanti si ricomposero, mettendosi in guardia. Diogo ansimava cercandola con lo sguardo, trovandola piangente a terra. Iman alzò la punta della sciabola, uno sguardo determinato e divertito sul volto.
«E così ti sei dato da fare, vecchio bastardo. L’hai montata come una vacca. Sono più di dieci anni che te la godi alle mie spalle. Ma ora è finita.»
Diogo vide arrivare l’attacco dal movimento del suo corpo, parò e rispose, trovando l’aria dove poco prima c’era il petto dell’avversario.
Iman aveva scartato di lato, facendo seguire un mezzo giro su sé stesso e colpendo una seconda volta. Una striscia rossa apparve sulla camicia di Diogo.
Fatima si lamentò, tenendosi la pancia, indietreggiando verso il letto.
Rabbia, disperazione, paura lo accecarono per un attimo. Attaccò con foga, costringendo Iman a indietreggiare. Le spade balenarono finché non si trovarono faccia a faccia a pochi centimetri di distanza, separati solo dalle lame incrociate. Digrignavano i denti per lo sforzo, spingendo l’uno contro l’altro.
Iman lo spinse lontano, imponendo un movimento rotatorio alla sua sciabola. Un lampo di dolore al polso e si trovò disarmato. Un secondo dopo era a terra, colpito a una gamba. Cercò di tamponare il sangue con la mano nuda, gocce che già bagnavano il pavimento. L’olandese era su di lui, lo minacciava tenendogli l’arma alla gola.

Iman ansimava per lo sforzo, l’eccitazione dello scontro. I due bastardi che gli avevano distrutto la vita erano a terra, sconfitti. Li dominava come aveva sognato da quella notte maledetta, in cui era tutto finito.
Nel momento di calma cercò Jan con lo sguardo, trovandolo a sbirciare dal corridoio, dietro alla porta. Mormorava qualcosa, di certo la sua canzone delle bandiere nere, l’unica cosa che lo calmava. Aveva uno sguardo impaurito, come se volesse sparire, essere dimenticato.
«Vieni qui!» Lo aveva pronunciato come un ordine.
Jan entrò nella stanza, la sciabola tenuta bassa, inerte nella mano destra. Sentì la puntura della rabbia. Per un attimo intuì che correva un rischio: tutti gli sforzi di quegli anni potevano essere cancellati in un istante di indecisione.
Dal tetto si sentì un rumore, come se qualcosa si fosse spezzato. Il fumo cominciò a fluire nella stanza. Doveva sbrigarsi.
«Tutto questo è per te, ricordatelo. Tua madre ti ha abbandonato, te l’ho detto mille volte. Io ti ho raccolto, salvato e affilato come una lama. Devi farlo. Ora!»
Le spalle del ragazzo si raddrizzarono, la presa sulla sciabola si fece più ferma. Si avvicinò a Fatima guardandola fisso negli occhi. Camminò avanti e indietro davanti a lei come se la stesse studiando, senza più traccia di indecisione.
Poi le tese una mano guantata, invitandola in silenzio ad afferrarla per aiutarla ad alzarsi.

Fatima guardò la mano di Jan, senza sapere cosa pensare, né dire.
Era confusa dal turbine di emozioni. Tossiva per il fumo. Non poteva smettere di controllare le condizioni di Diogo, vedendo la macchia di sangue allargarsi sui pantaloni, pensando che doveva aiutarlo, presto.
Rimase qualche secondo ferma, indecisa, poi prese la mano, rialzandosi con qualche difficoltà.
Quando si trovarono faccia a faccia, lo fissò negli occhi per la prima volta.
I lineamenti del volto assomigliavano ai tratti di Iman, ebbe la certezza che fosse suo figlio. Gli occhi invece erano verde chiaro, luminosi.
Come quelli della pantera che aveva sognato.
In un attimo ricordò, e le fu tutto chiaro. Un bambino di poco più di un anno le stringeva la mano mentre erano sdraiati nel letto insieme, la guardava con amore. Il suo bimbo. Mae, la chiamava sempre. Mamma.
«Joao? Sei tu?» Disse con esitazione.
D’istinto aprì le braccia come a volerlo accogliere, coccolare. Cancellare quello che aveva fatto a lui, a Iman, il suo antico amore.
Il ragazzo lanciò uno sguardo al padre, la sua espressione cambiò: da una calma tesa si trasformò in una maschera di rabbia e determinazione.
«Mi chiamo Jan!»
La sciabola partì in un affondo deciso, mortale. Penetrò il ventre di Fatima attraversando il suo corpo da parte a parte.
Il ragazzo lasciò la presa sull’arma e rimase a fissarla, gli occhi che esprimevano sollievo.
Non sentì dolore mentre cadeva. Le sembrò di svegliarsi in un altro stato di coscienza, come era successo dopo il sogno.
Si ritrovò seduta a terra, le mani sporche di sangue che tenevano stretta la sua pancia, la sciabola di Jan. L’unica cosa che univa due fratelli.
Da una distanza siderale sentì le parole di Iman, confuse nel rumore del fuoco che ormai divorava le travi del tetto.
«È finita, Diogo. Devi vivere, per capire l’inferno che ci avete regalato in tutti questi anni.»
Lo vide voltarsi, noncurante della reazione di suo marito, avvicinarsi. Sentì il suo sputo colpirla al volto. Mise una mano sulla spalla di Jan, lo portò via un’altra volta.
Rimasero soli, a sanguinare sul pavimento. Diogo che si trascinava verso di lei fra le lacrime.
Pensò che forse anche quello fosse solo un sogno, un brutto incubo da cui si sarebbe svegliata presto.
Lo prese fra le sue braccia, ormai senza forze.
Il buio la avvolse, come una bandiera nera.



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Andrea Furlan
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Re: Bandiere nere

Messaggio#2 » domenica 16 ottobre 2022, 22:29

Ciao a tutti,

nel racconto trovate gli elementi legati a tutti e tre i bonus.

- Il tradimento: nel ricordo di Fatima, quando lei e Diogo vengono scoperti da Iman dopo una notte di passione.
- L'elemento soprannaturale: la premonizione di Fatima, in forma del sogno delle due pantere.
- La canzone dei pirati: la canzone delle Bandiere nere, che mormora Jan.

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Alessio
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Re: Bandiere nere

Messaggio#3 » lunedì 31 ottobre 2022, 19:15

Ciao Andrea,

La storia ruota attorno a tradimento e vendetta e in questo caso chi tradisce, o ha tradito, è il protagonista. Apprezzo il ribaltamento del più classico protagonista che viene tradito.
Mi piace come sei riuscito a ingannare il lettore facendo provare empatia per chi, alla fin fine, era lo stronzo della situazione.
Ci sono un paio di punti che non mi convincono.
Perché Iman e i suoi danno fuoco al tetto della casa e poi ci entrano, rischiando di bruciare anche loro insieme alla costruzione?
Jan che uccide la madre a sangue freddo, senza chiederle perché l'ha abbandonata, mi sembra un po' forzato.
Non mi convince nemmeno l'incipit in cui racconti il meteo del giorno. Se vuoi raccontarci com'è il tempo perché ti serve rendere un certo tipo di atmosfera, secondo me ci sono modi migliori.

I personaggi mi sembrano ben caratterizzati, con motivazioni forti e credibili.

La lettura scorre abbastanza bene salvo alcune parti in cui cambi soggetto senza esplicitarlo e non si capisce chi fa cosa, bloccando la lettura.
Per esempio qui:
Fatima era immersa nel verde della foresta, scappava da qualcosa che la inseguiva, un animale feroce che non poteva vedere ma sapeva che era lì, vicino. Troppo vicino.
La foresta era sua amica, lo sapeva nel profondo. Era nata ai suoi margini, ci era cresciuta, l’aveva sempre protetta, coccolata. Era il suo ambiente. Ma ora aveva partorito quella belva che non le dava scampo. La sentiva avvicinarsi, braccarla, impedirle di cambiare direzione.

La foresta sembra che sia amica dell'animale feroce. Poi torniamo su Fatima, che "era nata ai suoi margini", ma quando dici "l'aveva sempre protetta" sembra che sia Fatima a proteggere la foresta. Quindi ora il soggetto è la foresta, che ha partorito la belva. "La sentiva avvicinarsi": posso intuire che sia Fatima a sentire la bestia che si avvicina, ma l'incoerenza, diciamo così, semantica mi blocca la lettura per quell'istante di troppo.

La focalizzazione sul punto di vista non è sempre coerente, a volte sei più esterno, a volte sentiamo i pensieri del personaggio, ma non mi pare di aver notato cambi di pdv ingiustificati.

Usi molti verbi sensoriali che possono essere tranquillamente rimossi (anche in un'ottica di risparmio caratteri).
Per esempio qui:
Si accorse che il sole illuminava la stanza in modo strano: si alzò con cautela, trovando la baia piena di nebbia. Sapeva che la Fortaleza l’avrebbe affrontata senza problemi come era successo tante volte, ma la tensione non l’abbandonava.
[...]
Ricordava che non aveva potuto fare a meno di piangere quando lo aveva salutato, ancora nel cuore della notte.
La nebbia vorticava, all’improvviso si aprì, mostrando uno squarcio della baia: vide un gruppo di navi fronteggiarsi, scoppi che avvertì in lontananza.

"Si accorse che", "sapeva che", "ricordava che", "vide", "che avvertì" sono tutti verbi che scondo me si possono risparmiare senza particolari problemi.

Come ultima nota, ti invito a valutare la possibilità di gestire diversamente molti dei gerundi che hai utilizzato, soprattutto quando, invece di azioni contemporanee, indicano azioni successive.
Esempio:
si alzò con cautela, trovando la baia piena di nebbia

Fatima prima si alza e poi trova la baia piena di nebbia. In questo caso specifico, secondo me puoi anche toglierlo direttamente.

I bonus ci sono tutti. Forse solo il sogno premonitore è un po' più debole come evento soprannaturale, ma comunque c'è. Buona sfida!

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Andrea Furlan
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Re: Bandiere nere

Messaggio#4 » lunedì 31 ottobre 2022, 23:21

Grazie mille Alessio per aver trovato il tempo di andare così a fondo sul mio racconto, sono tutte indicazioni molto utili.
Qualche chiarimento: Iman ordina di dare fuoco alla casa perché vuole radere al suolo la proprietà dei suoi "nemici" sapendo che comunque ci sarebbe stato poco.
Jan la uccide perché Iman gli ha fatto una specie di lavaggio del cervello, talmente a fondo che il ragazzo non si pone neanche il problema, tranne un'innata indecisione. Ma hai ragione, avrei dovuto rafforzare e spiegare meglio questa parte o gestire in modo differente il dialogo.
Sui punti di vista è importante che la storia funzioni: questo racconto è uno spin off del romanzo che sto terminando ed è scritto con lo stesso stile, ovvero con i capitoli visti dagli occhi dei vari personaggi.
Il sogno di Fatima è diverso, volutamente simbolico ma forse anche meno chiaro perché non basato su un'azione fattuale. Grazie per i suggerimenti specifici.
Infine, utilissima l'indicazione sui verbi sensoriali e i gerundi, ci farò attenzione per cercare di snellire la scrittura.

Amelohay
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Re: Bandiere nere

Messaggio#5 » mercoledì 2 novembre 2022, 14:43

Ciao Andrea,

Il tuo racconto mi è piaciuto davvero molto, la scrittura è scorrevole e nonostante la brevità sono riuscito a empatizzare con tutti i personaggi PdV (che sono parecchi, per essere un testo così corto). Sono tutti personaggi molto realistici, e questo aiuta l’immedesimazione anche in quelli negativi.

Ho apprezzato i parallelismi tra Diogo e Iman, per esempio nello scegliere e conoscere personalmente ogni membro del rispettivo equipaggio: sono simili nell'atteggiamento e condividono molto di più dell'amore per la stessa donna. Sono sicuro che, a parti inverse, Diogo avrebbe esattamente quello che ha fatto Iman.

L’hook non brilla per originalità, ma fa il suo dovere e ci immerge in un'atmosfera quasi spettrale.

Nella lettura ho riscontrato un piccolo problema di temporalità, che non riesco a capire se sia intenzionale o una semplice svista.
Nel primo paragrafo si dice che Diogo ha dormito con Fatima quella notte perché ancora ne sente il profumo; Fatima, dopo essersi risvegliata dal suo incubo, dice che “erano mesi che non abbracciava Diogo durante la notte”.
La contraddizione tra queste due frasi mi ha fatto credere che le due vicende si svolgessero su piani temporali diversi. Nel resto del testo, invece, sembra che le storie siano contemporanee e che tutto accada nella stessa mattinata.

Personalmente non saprei se considerare il sogno premonitore come un vero e proprio elemento soprannaturale, ma probabilmente è solo un mio problema dato dal mio odio irrazionale per i sogni nella narrativa. Gli altri bonus ci sono senza dubbi.
Amelohay

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Andrea Furlan
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Re: Bandiere nere

Messaggio#6 » mercoledì 2 novembre 2022, 23:21

Ciao Amelohay,

Sono contento che tu abbia apprezzato il racconto e grazie per le spiegazioni dettagliate che aiutano sempre molto.
Riguardo alla parte che non ti era chiara: tutto in effetti si svolge in poche ore nella stessa mattina, quella in cui Diogo e Fatima dormono abbracciati e Diogo parte all'alba per poi tornare subito in seguito all'attacco dei pirati.

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Polly Russell
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Re: Bandiere nere

Messaggio#7 » giovedì 3 novembre 2022, 21:06

Ed eccomi anche da te. per la verità ho letto il
racconto già qualche giorno fa, ma
speravo di arrivare ad avere sotto mano un pc per scrivere i commenti; cosa che non è accaduta. ce ne faremo una ragione.
il tuo racconto mi è piaciuto, anche se i continui cambi di pdv mi hanno un po’ “incasinato”, se non avessi dovuto inserire l’elemento sovrannaturale, di quello di Fatima, per dire, potevano fare a meno.
non è facile immedesimarsi nella storia, non è facile empatizzare con i personaggi, perché: diciamolo! sono una manica di stronzi! XD A parte il povero Jan, vittima inconsapevole.
Non sembra ma ti sto facendo un complimento, a chi verrebbe in mente di fare dei personaggi tanto opinabili? tutti tradiscono tutti, Fatima per prima, che non vuole più suo figlio, per dedicarsi a un nuovo amore. Complimenti per il coraggio e anche per la riuscita, perché nonostante lo
odiassi tutti, sono stata in apprensione.
Non inizierei il racconto con il meteo, è scontato e oltretutto ai fini della trama non serve a nulla, parti diretto da Diogo.
C’è una bella suapance, e tieni alta la tensione. la parte del sogno è un po’ telefonata, si capisce che è un sogno (e ci sta che tu l’abbia fatto di proposito), ma la perfezione sarebbe capirlo una volta letto tutto. Finire il
capitolo e dire, “cacchio! era chiaro, perché non ci sono arrivato?”
per il resto non ho molto da dire che non ti abbia già suggerito Alessio. sono arrivata tardi.
Buona sfida!
Polly

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Stefano.Moretto
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Re: Bandiere nere

Messaggio#8 » giovedì 3 novembre 2022, 21:38

Ciao Andrea,
la storia ha un bell'intreccio, ma ho trovato un po' complicato seguire il tutto. Principalmente perché ci sono veramente tanti stacchi temporali e/o spaziali, e ogni volta che inizi una nuova scena il lettore deve avere il tempo di capire chi è il nuovo punto di vista, il luogo e il tempo.
In particolare lo stacco "peggiore" è stato quello in cui Fatima si sveglia: essendo che fino a questo momento ogni stacco mi ha dato un personaggio diverso, mi aspettavo che anche in questo caso ci fosse un cambio di PoV, che invece non c'è stato; in realtà non c'è stato neanche un cambio di tempo, si è solo spostato dal sogno alla realtà. Visto che ci sono ben tre voci in questo racconto, forse in quel punto preciso sarebbe stato meglio non mettere uno stacco di una riga, ma semplicemente andare a capo e dire che Fatima si sveglia, in modo da non confondere le acque.
Un altro punto "critico" è quando Fatima (sì, è sempre colpa sua) inizia a ricordarsi la notte del tradimento. A parte il fatto che se vedo dei pirati che mi stanno entrando in casa difficilmente mi perderò nei ricordi, l'inserimento di quella parte mi ha confuso un bel po', perché non è un ricordo breve ma prosegue per più di una decina di righe e dopo un po' inizio a chiedermi se sono ancora nel ricordo o se in realtà era quello che stava succedendo in quel momento, visto che la situazione nel mondo reale era parecchio concitata.
Per il resto il racconto è perfettamente godibile e anche abbastanza appassionante devo dire, e non mi è dispiaciuto il finale tragico.

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Eugene Fitzherbert
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Re: Bandiere nere

Messaggio#9 » sabato 5 novembre 2022, 13:56

Questo racconto purtroppo è quello che, al di là dei molto pregi, come la storia di tradimenti inaspettata, l'aspetto romantico, il triangolo amoroso, si porta dietro un po' di criticità che andrebbero corrette per renderlo migliore e farlo evolvere nella sua forma definitiva, tipo un Pokémon.

La scrittura in terza persona (che ho anche scritto a qualcun altro, ma non mi ricordo chi) è piuttosto insidiosa se non ben calibrata. Nel tuo caso, fai un largo uso di verbi di percezione (vedere, scrutare, sentire, etc etc) che in generale tengono il lettore lontano dall'azione vera e propria. Ci sono alcuni passaggi che sono più sul versante Tell che Show della famigerata regoletta, e questo allo stesso modo, butta il lettore fuori dalla scena.

Sempre in merito alla terza persona, in questo caso non focalizzata con un narratore tecnicamente onnisciente, ti sei ritrovata a voler gestire diversi punti di vista, molto spesso sovrapposti. La narrazione ne soffre perché si frammenta il flusso narrativo, si spezza l'azione e si lascia spazio alla confusione. Come corollario a quanto detto, ti faccio presente che alcune volte per evitare di ripetere in continuazione il nome dei personaggi hai lasciato (giustamente) la frase senza soggetto: il risultato è che in alcuni punti in cui ti sei fatto prendere la mano non si capisce bene chi fa cosa.

Per quel che riguarda la trama, è lineare, veloce e senza grossi stravolgimenti di fronte. Si arriva da A a B, con una breve sosta in un flashback che rimette tutto in prospettiva.
Secondo me, sarebbe molto più interessante se il racconto fosse scritto usando i punto di vista dei personaggi più interessanti e contrapposti: Jan e Diogo, lasciando Iman e Fatima in secondo piano. D'altronde i fatti del passato coinvolgerebbero alla grande i due protagonisti senza la necessità di farli raccontare agli altri.
Il triangolo amoroso sarebbe quindi visto da due prospettive diverse: quella interna (Diogo) e quella esterna (Jan) e avresti un buon mix per fare esplodere tutto.
Comunque, sono solo idee: riflettici, o al massimo, se vuoi continuare a tenere tutti i punti di vista, allora cerca di controllarli meglio e per farlo avrai bisogno di più spazio.

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Andrea Furlan
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Re: Bandiere nere

Messaggio#10 » lunedì 7 novembre 2022, 0:45

Grazie a tutti e soprattutto a Eugene per gli ottimi consigli, cercherò di farne tesoro.
Leggendo gli altri racconti del girone non avrei potuto aspirare a una posizione migliore, siete stati tutti molto bravi!
Buona fortuna a Michael e Agostino.

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