Eden
Inviato: lunedì 17 ottobre 2022, 23:23
L’Eden è un posto con un bel po’ di tavolini e un sacco di specchi appesi alle pareti, ma non ha niente di speciale. Non si sente musica ed è pieno di gente con cui non passerei il fine settimana: colletti bianchi, studenti con la fissa per i motori, donne dalla bocca larga che parlano di acconciature.
Ho scelto apposta un tavolo in disparte, al riparo dalle chiacchiere degli avventori. Siedo dando le spalle all’entrata, e sulla parete di fronte c’è uno specchio più grande degli altri, uno di quelli lunghi con la cornice in legno. Il mio riflesso parla di occhiaie a forma di mezzelune e di una barba sbagliata, troppo folta a destra e troppo rada a sinistra.
Arriva una giovane cameriera con il pancione. Ha i capelli parzialmente sciupati dalla decolorazione ma nel complesso è più che passabile. Sulla sua camicia è appuntata una targhetta su cui si legge un nome: Brigitta.
“Cosa vuole ordinare?” anche la voce è simpatica, è una voce che squilla senza perforare i timpani.
“Sto aspettando qualcuno,” con il pollice indico la porta d’ingresso alle mie spalle.
“Allora ripasso più tardi, signore,” sorride, un sorriso sincero.
“Complimenti, comunque.”
“Per cosa?” Brigitta aggrotta la fronte.
Punto il dito sulla sua pancia.
“Maschio o femmina?” domando con voce allegra.
Brigitta batte le ciglia tre volte di seguito.
“Non sono incinta!” protesta.
“Ah, mi scusi.”
Va via con le lacrime agli occhi, io invece chiudo i miei e faccio un respiro lungo.
L’Eden è un posto per gente con il sorriso vincente, il portafoglio pieno e la parlantina sciolta. Ho scelto il posto sbagliato per il nostro primo appuntamento.
Riapro gli occhi e sul mio tavolo vedo una mano che non è la mia. Una mano piccola, da bambina. Qualcuno si è seduto di fronte a me.
“Sara!” ho alzato troppo la voce. “Sono felice che sei venuta.”
Ha i capelli illuminati dai colpi di sole, ma i suoi occhi sono neri, molto neri.
“Posso restare solo pochi minuti, Giacomo.”
Allungo una mano sul tavolo, sopra la sua.
“È successo qualcosa?”
“La solita routine. Devo correre a scuola, prendere Daniele e portarlo in ospedale.”
“Come sta andando il trattamento?”
“Non ho voglia di parlarne,” ritrae la mano e se la mette sulle ginocchia. “Giacomo, ti rendi conto che incontrarci è stata una pazzia? Ti rendi conto che vederci non significa solo… vederci?”
Guardo di nuovo lo specchio alle spalle di Sara. Il mio riflesso parla di pochi capelli e tanti problemi. Uno di questi sono i troppi peli nel naso.
“Che vuoi ordinare?”
“Niente, Giacomo. Sono venuta solo per dirti che non dobbiamo più vederci.”
I suoi occhi scuri mi guardano come se fosse l’ultima volta che lo fanno.
“Ciao, Giacomo,” si alza ed esce dal perimetro del tavolo. Noto solo adesso che indossa dei jeans a vita alta.
“Sara…”
Lei si ferma e si gira verso di me. “Dimmi.”
“Che giorno è oggi?”
“Non capisco. È una domanda a trabocchetto?”
“Rispondi.”
“Il 21 settembre. Oggi è il 21 settembre.”
Poggio i gomiti sul tavolo e congiungo le mani.
“Questa cosa può funzionare. Ogni primo giorno d’autunno vediamoci qui e parliamo. Parliamo di noi.”
“A che scopo, Giacomo?”
“Non lo so. Un giorno all’anno è meglio di niente, tutto qui.”
“Tu puoi essere felice solo se ti liberi di me.”
Mi alzo anch’io e le punto il dito contro. “Ma quale liberazione! Lo hai capito o no che non mi importa di niente e di nessuno se non di te?”
Lei scuote la testa. “Dio mio, tu sei sposato. E anche io lo sono,” è tutto quello che riesce a dirmi.
“Ci rivediamo l’anno prossimo?”
“Io…” fa un passo indietro. “Io non posso promettertelo, Giacomo.”
Gira le spalle, due spalle strette e ossute, e va via. Io mi risiedo e osservo allo specchio il suo riflesso mentre attraversa una sala piena di gente che parla di stipendi a sei zeri, di scommesse vinte alla Snai, di vestiti di marca e di auto da mille cavalli.
Sara esce dall’Eden e io non sono sicuro che la rivedrò più.
Però ci spero.
Ho l’impressione che la mia vita andrà avanti solo se potrò raccontarla a lei.
Ho scelto apposta un tavolo in disparte, al riparo dalle chiacchiere degli avventori. Siedo dando le spalle all’entrata, e sulla parete di fronte c’è uno specchio più grande degli altri, uno di quelli lunghi con la cornice in legno. Il mio riflesso parla di occhiaie a forma di mezzelune e di una barba sbagliata, troppo folta a destra e troppo rada a sinistra.
Arriva una giovane cameriera con il pancione. Ha i capelli parzialmente sciupati dalla decolorazione ma nel complesso è più che passabile. Sulla sua camicia è appuntata una targhetta su cui si legge un nome: Brigitta.
“Cosa vuole ordinare?” anche la voce è simpatica, è una voce che squilla senza perforare i timpani.
“Sto aspettando qualcuno,” con il pollice indico la porta d’ingresso alle mie spalle.
“Allora ripasso più tardi, signore,” sorride, un sorriso sincero.
“Complimenti, comunque.”
“Per cosa?” Brigitta aggrotta la fronte.
Punto il dito sulla sua pancia.
“Maschio o femmina?” domando con voce allegra.
Brigitta batte le ciglia tre volte di seguito.
“Non sono incinta!” protesta.
“Ah, mi scusi.”
Va via con le lacrime agli occhi, io invece chiudo i miei e faccio un respiro lungo.
L’Eden è un posto per gente con il sorriso vincente, il portafoglio pieno e la parlantina sciolta. Ho scelto il posto sbagliato per il nostro primo appuntamento.
Riapro gli occhi e sul mio tavolo vedo una mano che non è la mia. Una mano piccola, da bambina. Qualcuno si è seduto di fronte a me.
“Sara!” ho alzato troppo la voce. “Sono felice che sei venuta.”
Ha i capelli illuminati dai colpi di sole, ma i suoi occhi sono neri, molto neri.
“Posso restare solo pochi minuti, Giacomo.”
Allungo una mano sul tavolo, sopra la sua.
“È successo qualcosa?”
“La solita routine. Devo correre a scuola, prendere Daniele e portarlo in ospedale.”
“Come sta andando il trattamento?”
“Non ho voglia di parlarne,” ritrae la mano e se la mette sulle ginocchia. “Giacomo, ti rendi conto che incontrarci è stata una pazzia? Ti rendi conto che vederci non significa solo… vederci?”
Guardo di nuovo lo specchio alle spalle di Sara. Il mio riflesso parla di pochi capelli e tanti problemi. Uno di questi sono i troppi peli nel naso.
“Che vuoi ordinare?”
“Niente, Giacomo. Sono venuta solo per dirti che non dobbiamo più vederci.”
I suoi occhi scuri mi guardano come se fosse l’ultima volta che lo fanno.
“Ciao, Giacomo,” si alza ed esce dal perimetro del tavolo. Noto solo adesso che indossa dei jeans a vita alta.
“Sara…”
Lei si ferma e si gira verso di me. “Dimmi.”
“Che giorno è oggi?”
“Non capisco. È una domanda a trabocchetto?”
“Rispondi.”
“Il 21 settembre. Oggi è il 21 settembre.”
Poggio i gomiti sul tavolo e congiungo le mani.
“Questa cosa può funzionare. Ogni primo giorno d’autunno vediamoci qui e parliamo. Parliamo di noi.”
“A che scopo, Giacomo?”
“Non lo so. Un giorno all’anno è meglio di niente, tutto qui.”
“Tu puoi essere felice solo se ti liberi di me.”
Mi alzo anch’io e le punto il dito contro. “Ma quale liberazione! Lo hai capito o no che non mi importa di niente e di nessuno se non di te?”
Lei scuote la testa. “Dio mio, tu sei sposato. E anche io lo sono,” è tutto quello che riesce a dirmi.
“Ci rivediamo l’anno prossimo?”
“Io…” fa un passo indietro. “Io non posso promettertelo, Giacomo.”
Gira le spalle, due spalle strette e ossute, e va via. Io mi risiedo e osservo allo specchio il suo riflesso mentre attraversa una sala piena di gente che parla di stipendi a sei zeri, di scommesse vinte alla Snai, di vestiti di marca e di auto da mille cavalli.
Sara esce dall’Eden e io non sono sicuro che la rivedrò più.
Però ci spero.
Ho l’impressione che la mia vita andrà avanti solo se potrò raccontarla a lei.