IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
Davide Rossi
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IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#1 » venerdì 16 dicembre 2022, 10:52

IL CREPUSCOLO
di
Davide Rossi

La luce fioca del crepuscolo illuminava lo stretto corridoio attraverso i vetri rotti delle finestre che, immobili gendarmi, assistevano allo scorrere delle ore. Un secchio raccoglieva gocce che ritmicamente cadevano dall'alto, da un punto imprecisato del soffitto. Il liquido purpureo riempiva interamente il recipiente. Accanto un frammento disomogeneo di vetro rifletteva timidamente il bagliore rossastro del cielo. In mezzo, vaghe e amorfe, due figure si agitavano.
Attraverso la serratura della porta il capitano Navoni muoveva rapidamente la pupilla bruna. Lo sguardo limitato poteva solo scorgere una scarpa nera di cuoio da donna, consunta, riempita da una gamba rivestita da una calza bianca. La prospettiva gli regalava la visione di un pavimento crepato, lurido, e un muro, frontale alla sua posizione, deturpato da graffiti rossi. Tutto taceva intorno.
Si sollevò, tentando di forzare l'ingresso. Il metallo rugginoso e spesso lo separava dall'altra stanza, impedendogli l'accesso. Estrasse il telefono, non c'era campo.
Si volse e guardò l'altro alla ricerca di risposte.
« Sono anni che non vengo in questo luogo. »
Navoni fece una smorfia. Il viso scavato e la barba ispida gli regalavano qualche anno in più rispetto alla giovane età. Sudava e gli abiti da carabiniere non aiutavano il corpo a termoregolarsi. Sotto le ascelle, evidenti, i segni della copiosa sudorazione, mentre gli occhi tradivano una violenta e insostenibile stanchezza. Sulla parete del corridoio spoglio in cui si trovavano c'era un grosso quadro appeso. La polvere sul vetro nascondeva le immagini raffigurate, attirando la sua attenzione.
« Perché è tornato? »
« Un acquirente, erano anni che non si faceva vivo nessuno. »
Navoni ripercorse mentalmente gli ambienti spogli, le ragnatele, le macerie crollate, la strada percorsa per raggiungere il luogo, l'ingresso sfondato. Qualcosa non tornava.
« Di chi era questa casa? »
Tornò a guardare attraverso la fessura crepata della serratura, riscoprendo l'immobilità lasciata qualche istante prima.
« Questa è casa tua... » L'uomo rispose, stranito dalla domanda ricevuta. Sudava anche lui copiosamente, il caldo soffocante di quei giorni aveva surriscaldato gli ambienti, fatti di cemento e calcestruzzo. Indossava un abito scuro, con camicia e scarpe eleganti. Il viso pallido, stempiato, i folti baffi grigi.
Navoni lo guardò, sorpreso « Ma che dice? »
« Mi hai chiesto tu di venderti la casa. Io, non so... »
Si raddrizzò e guardò meglio intorno, stranito. Quelle pareti, i pavimenti, la porta. Ora gli sembrava di ricordare, eppure c'era qualcosa che non andava. Quell'uomo poi lo inquietava. Fissava il suo volto, alla ricerca di reminiscenze che lo riconducessero all'identità. Il baratro cerebrale in cui stava annegando gli aveva fatto dimenticare come ci fosse arrivato in quel luogo. I riflessi sanguigni dell'orario investivano figure e costruzione, donando una cromia granguignolesca.
« Mi hai detto tu di vendere la casa dopo che è morta tua madre. Oggi un acquirente mi ha chiamato per vederla e sei venuto per accompagnarci durante la visita... »
I ricordi di Navoni erano annebbiati, disorientato tentava di ricostruire gli eventi che l'avevano condotto lì. Il contenuto del secchio debordava bagnando il pavimento, mentre dal soffitto continuava lo stillicidio. Passò una mano sul quadro, rimuovendo uno strato di polvere, senza tuttavia rivelarlo.
Tornò a osservare la stanza adiacente attraverso la serratura. Dietro alla porta il tempo sembrava essersi fermato. L'immobilità di quell'arto e della calzatura che lo rivestiva lo innervosivano. Puntò i piedi sul pavimento e premette il viso contro il freddo metallo, quasi volesse oltrepassarlo, fondersi con esso. Fu allora che si accorse che quelli che aveva identificato inizialmente come graffiti sulle pareti, in realtà erano voluminosi schizzi di sangue. Era rappreso e aveva macchiato l'intonaco bianco.
Scivolò a terra, lasciandosi cadere, voltandosi, fissando l'anziano, che ora, girato dalla parte opposta, osservava la cadenza lenta e continua del liquido nel secchio.
« Che cazzo sta succedendo... » Bisbigliò, tossendo Navoni. Estrasse di nuovo il telefono e digitò il numero 112. L'apparecchio non emise alcun suono. Provò a urlare, ma nulla uscì dalla sua gola.
L'abitato, in decadimento e dimenticato da anni, assisteva inerme alla vorticosa caduta verso il vuoto di quei due esseri che aveva ingurgitato in un giorno d'estate come altri.
Si alzò, mentre il vecchio lo fissava a occhi sgranati. Passò in rassegna tutto quello che lo circondava: pareti, detriti, quella dannata bacinella grondante e poi il quadro accanto a lui. In fondo al corridoio il vuoto. Cosa c'era a dieci metri di distanza? Fissava il punto, ignorando l'uomo di fronte a lui.
« Carlo... » Gli pose la mano sul braccio, fissandolo impaurito. L'ufficiale sospirò, pensò che avrebbe dovuto abbandonare quel luogo, che non era sicuro, che avrebbe dovuto portare via da lì quell'uomo, ma c'era quel corpo oltre la porta. L'istinto gli fece portare una mano sulla fondina. Non c'era nulla, era disarmato.
« Cazzo! » Imprecò, scuotendo via il braccio ossuto e freddo. Inspirava ed espirava, velocemente, sorpreso dal panico che cominciava a divorarlo. Camminava nel breve perimetro che lo separava dall'altro freneticamente, tenendosi il capo fra le mani, buttando fuori l'aria a grosse boccate e masticando bestemmie e maledizioni. Scioccamente, senza alcun preavviso, armò un pugno per scagliarlo contro la parete, là ove c'era appeso il quadro. Si arrestò in tempo, rapito da chissà quale istinto o curiosità. Le falangi si rilassarono e gli occhi si posarono sull'oggetto ricoperto da polvere. Dopo averlo ulteriormente esaminato, cominciò a sfregare freneticamente con le mani sul vetro protettivo che separava la tela dall'esterno. In breve si rivelò la scena raffigurata: in primo piano due uomini stavano trasportando su una lettiga un corpo ricoperto da un telo bianco, un cadavere probabilmente. Dietro una folla sbigottita assisteva alla scena assorta, assiepata lungo le mura di un paese. Quel dipinto gli ricordava qualcosa, ma in quel momento non riusciva a dargli un nome o una paternità. Si voltò verso il misterioso compagno, che per tutto il tempo era rimasto contrito a guardarlo.
« Non ti senti bene, vuoi che chiami qualcuno? »
« No, no. E poi non c'è campo qui... »
« Dottore! »
Un urlo lo colse, scuotendolo. Era lontano, proveniente dall'esterno.
« Ha sentito? »
« No, ma che dici figliolo? »
« Un urlo, mi chiamava... Da fuori » Scosso indicò varie direzioni, senza tuttavia riuscire a indirizzare l'attenzione verso un punto preciso.
« Ma che dici Carlo? Mi preoccupi figlio mio. » Il vecchio, che tremava, pallido, senza più una goccia di sudore gli prese di nuovo il braccio, cercando di tranquillizzarlo. Impallidì nel scoprire in quel volto il padre.
« Papà, ma... »
« Figlio, perché vuoi vendere casa nostra? »
« Ma io... »
« Vuoi far piangere tua madre? »
Continuava a non capire. Dal secchio il liquido cominciò a inzuppare la superficie circostante suddividendosi in rivoli che si diramavano in tutte le direzioni, seguendo un'impercettibile pendenza che conduceva ai due uomini.
« Dottore! »
Di nuovo l'urlo. Dalla stanza dei tonfi metallici. Si affacciò, era vuota, la gamba scomparsa. I muri ora erano stranamente intonsi. Le macchie misteriosamente scomparse. Navoni faceva roteare la pupilla convulsamente, alla ricerca di segnali, movimenti impercettibili o rumori provenienti dalla zona cieca, quella non raggiungibile dalla sua vista. Permaneva l'illuminazione, anche se la notte si stava avvicinando. L'ora blu stava per esaurirsi e Navoni si sentiva prigioniero di un fato incongruente.
Vorticò la visuale dalla stanza al quadro, passando per il padre, che lo guardava languido, al liquido straripante dal secchio, fino al fondo, a quella che gli apparve l'unica possibile via di fuga.
« Andiamo! » Disse imperativo al padre lasciando la posizione, passandogli accanto e avanzando verso l'estremità opposta del corridoio.
« Dove vai? » Disse l'anziano, impietrito.
« Dobbiamo andare, qui è pericoloso, fra poco farà buio. »
Avanzava sicuro, senza guardarsi indietro, senza alcun indugio. All'altezza del secchio si arrestò per fissarlo. Era ricolmo di un liquame rosso purpureo, denso. Straripava dai bordi e i rigagnoli stavano bagnando il pavimento. Seguendoli i suoi occhi incocciarono nei piedi del padre, ormai zuppi. Annaspava, fissandolo terrorizzato.
« Non andare... »
Navoni scosse la testa e riprese il cammino.
« No! » Gridò il padre, frenandolo di nuovo. Stavolta Navoni non si voltò. Rimase fermo, respirando lentamente.
« Rimani qui, io vado a cercare aiuto. »
Lentamente ricoprì i pochi metri che lo separavano dal fondo del corridoio. Una parete. Niente scale, nessun passaggio o porta, solo una parete. Navoni l'accarezzò, la tastò, ne provò la consistenza bussando. Era di cemento pieno. Si voltò, alla ricerca degli occhi del genitore, scosso. Altri due pugni, seguiti dal rumore sordo restituito dal muro.
« Dove cazzo siamo... »
Ripercorse i suoi passi fermandosi all'altezza di una finestra. I vetri crepati lasciavano filtrare l'aria della sera. Respirò a pieni polmoni, scrutando l'esterno. Era deserto, un piccolo giardino con erba secca, e poi alberi e rovi a perdita d'occhio.
Il padre, rimasto fermo, lo fissava. Se ne accorse e gli restituì un'occhiata di rabbia.
« Dobbiamo andarcene. »
« Non possiamo. »
« Perché? »
Il genitore non rispose, si limitò ad abbassare lo sguardo. Navoni lo raggiunse, passando oltre, urtandolo leggermente per scansarlo e tornando a guardare dentro alla stanza tramite la fessura. Silenzio, non c'era nulla.
Alzò lo sguardo e vide la faccia del padre, più giovane, stupita.
« Che hai figliolo? Stai male? Aspetta che arriva mamma, ti dà le medicine. »
Ora la situazione stava diventando grottesca « Pa', ma mamma... »
Sentì le calze inumidirsi. Abbassò lo sguardo e si accorse che le scarpe erano rosse. Guardò il liquido e gli parve sangue. Da dentro la porta qualcuno bussava.
« Pa', ma mamma è morta... E anche tu... »
Altro liquido, denso e scuro, cominciò a riversarsi lungo la parete accanto a lui, investendo anche il quadro.
« Ma che dici Carlo? »
Da dentro la stanza qualcuno scuoteva l'uscio, mentre ormai l'intero ambiente era ricoperto dalla sostanza purpurea. Navoni era bagnato fino alle ginocchia. Si volse e finalmente riconobbe il quadro. Era un Pellizza da Volpedo, intitolato “Il ritorno dei naufraghi al paese”. Da dentro qualcuno, ostinatamente bussava e faceva vibrare la porta.
« Carlo! »
Un altro urlo.
« Che fai figliolo? Non apri a tua madre? »
Navoni si affacciò. Dentro incontrò un'altra pupilla. Un urlo. Si scostò e scivolò, cadendo. Il suo corpo sprofondò nel fluido. Gli entrò in bocca e gli parve di soffocare. Sputò, ma più sputava, più gli mancava il respiro.
« Apri figlio, apri a tua madre. »
« Dottore! »
Cercò un appiglio per alzarsi, senza trovarlo. Lo sguardo gli si posò sul dipinto. Al posto del sudario che ricopriva il cadavere, c'era il viso di un giovane. Era il suo. Gli mancava il fiato, gli parve di soffocare. Altri scossoni alla porta.
« Capitano! »
« Respira Carlo, altrimenti muori come noi. »
Le immagini si fecero confuse. Tutto in un attimo si liquefece.

Sputava sangue, mentre degli uomini che non riconobbe lo trasportavano tenendolo per gli arti. Le divise erano macchiate. Il suo sangue le insudiciava.
« Resista capitano! » Qualcuno disse, mentre la luce del cielo veniva oscurata dalla moquette del tettuccio di un auto.
Chiuse gli occhi, un velo nero, denso come la pece condensò pensieri e vista. Lontana una voce, il suo eco, l'attirava, fragorosa. Il tono aumentò d'intensità fino a risultare fragorosa.
« Carlo! Carlo! »
Aprì gli occhi. Era disteso, sopra di lui c'era suo padre. Aveva freddo, tremava fino a battere i denti. L'uomo lo coprì con un telo bianco.
« Respira figliolo, respira... »
Si avvicinò anche una donna. I capelli ricci, ingrigiti dal tempo e dalla vita. Lo guardava sorridente. Gli passò una mano sulla fronte ghiacciata, accarezzandolo. Al contatto, che gli parve impercettibile, chiuse gli occhi, assaporando il gesto.
« Figliolo perché ci vuoi spaventare? »
La donna indossava una lunga gonna marrone che le copriva le gambe fino al lembo inferiore delle ginocchia. Sopra un golf azzurro e una camicetta bianca. Non aveva trucco, il viso splendente era pallido, complementare a quello del padre, che appaiati lo guardavano dall'alto.
« Carlo devi smetterla con questo lavoro, farai morire tua madre. »
La donna cominciò a piangere, singhiozzando, mugugnando fra sé e sé.
Navoni gli osservava, stranito. Si guardò, era nudo sotto il sudario. Il freddo era pungente, gli fracassava le ossa e gli annebbiava la mente. Scrutò oltre ai due genitori, verso l'estremità della stanza. Notò l'intonaco bianco e poi una porta rugginosa, crepata all'altezza del buco della serratura. Un corridoio, insudiciato da un liquido rossastro. Si guardò il braccio, era bagnato, gli parve sangue. Di nuovo si concentrò sulle due persone, su se stesso, gli venne in mente il quadro, la stanza. Si guardò i piedi e poi le gambe. Indossava delle calzature femminili, di cuoio nero. Le calze bianche erano imbrattate.
« Figlio lascia perdere quel mondo. » Disse piagnucolando la donna.
La guardò e poi squadrò l'uomo.
« Ma voi siete... »

« Carlo! Carlo! »
Si svegliò.
« Si è svegliato... »
Sentì quella frase pronunciata da una persona ignota. Era in una stanza sconosciuta. Intorno macchinari, metallo, il soffitto bianco. Aveva freddo, digrignava i denti. Indossava un camice verde leggero, velato. Una coperta pesante a celarlo fino al collo. I sensi intorpiditi, la gola che bruciava.
« Carlo, riposati, ora ti portiamo in camera. »
Una donna, con una mascherina bianca a celarle parzialmente il viso, gli apparve da un punto imprecisato, occupandogli parzialmente la visuale.
Richiuse gli occhi, esausto e dormì, finalmente, senza sogni.

Una pupilla bruna si muoveva veloce attraverso la fessura della serratura. Chinato dinanzi alla porta chiusa c'era un uomo corpulento, in uniforme da carabiniere. Cercava di sbirciare al di là della porta, nella speranza di carpire movimenti, comprendere ciò che stava avvenendo oltre quella barriera invalicabile. Mentre indugiava in quella posizione un uomo maturo, in camice bianco, apparse alle sue spalle. Incuriosito dalla situazione rimase immobile ad assistere alla scena. L'ufficiale si dimenava, piegato sulle ginocchia, alla ricerca della posizione migliore per sbirciare all'interno. Si passava da una mano all'altra un quotidiano, servendosi di quella libera per meglio ancorarsi all'ingresso.
Visto che la gag si stava protraendo per un intervallo di tempo piuttosto lungo, l'osservatore decise di mettere la parola fine tossicchiando. Il carabiniere, vistosi colto in fallo, si raddrizzò istantaneamente e si discostò dall'accesso assumendo una postura ufficiale. Il medico, mostrando il tesserino attaccato alla tasca del camice, sfoderò un sorriso di circostanza.
« Al momento purtroppo non può ricevere visite » disse il medico con tono solenne.
L'altro asserì ossequioso con il capo e poi allungò una mano nella direzione del medico porgendo il quotidiano, ormai raggrinzito « Potrebbe darlo al capitano? »
L'uomo prese il giornale e gli diede un'occhiata veloce « Mmmh » fece una smorfia « va bene. »
Entrò nella stanza, lasciandosi alle spalle l'uomo, che con un rapido balzo e allungando il collo cercò di sbirciare all'interno.
Navoni era seduto sul letto, lo sguardo rivolto verso la finestra, la schiena appoggiata allo schienale. La vista del medico gli dipinse un sorriso spontaneo sul volto. L'uomo lo raggiunse, ostentando un'espressione seriosa. La camera era piccola ma accogliente. Una piccola porta che conduceva al bagno, una grossa finestra che si affacciava direttamente sul parco interno della clinica e un armadio celeste. Le pareti bianche, candide, agevolavano il rilassamento. Altri macchinari per il monitoraggio dei parametri erano posti vicino al letto, spenti.
Il medico posò una mano sulla spalla dell'uomo « Come va? »
« Bene, non si vede? » Disse sorridendo.
L'altro sorrise appena « Si riposi. Per qualsiasi cosa che non concerne lo stare nel letto suoni il pulsane che ha sopra la testa, l'aiuterà il personale. »
« D'accordo. »
Il medico si alzò e fece per andarsene, poi si rammentò del giornale che stringeva fra le mani e tornò sui suoi passi allungandolo all'uomo, che lo raccolse senza proferire verbo.
« Non si stanchi, ricordi, ha perso molto sangue. »
Asserì e, scrutando il titolo sul giornale, gli sovvenne una domanda « Dottore, scusi, come sta la ragazza? »
Il medico si girò e guardò seriosamente Navoni « In osservazione. »
Uscì lasciandolo solo con i suoi pensieri, troppo voluminosi per essere dissolti.
L'orologio digitale posto sul mobiletto a fianco del letto segnava le 20:00, fuori c'era il sole e l'estate per il resto dell'Italia stava trascorrendo normalmente. I giornali parlavano di code sull'autostrada, di siccità e del serial killer del Monferrato.
Navoni leggeva le pagine che gli erano state dedicate, che lo eleggevano a eroe da encomio. Poco spazio era stato dedicato ai suoi uomini, che l'avevano salvato, sottraendolo al secondo colpo di pistola, quello che probabilmente l'avrebbe ucciso, mentre il primo l'aveva trapassato sfiorando solo alcuni organi vitali e facendolo svenire. Poco era stato scritto sulla ragazza. Una giovane, di Volpedo, un paesino della provincia di Alessandria. Tutto si concentrava su di lui, l'eroe, e sul cattivo, di cui non era ancora stata resa nota l'identità. Era stato catturato quel bastardo. Dieci pagine in cui si ripercorrevano omicidi, modus operandi, ossessioni, curiosità. Fra le tante la mania dell'assassino per i quadri. Ogni vittima era stata associata a un quadro. La preda veniva designata in base all'ambientazione del dipinto prescelto dal maniaco...
Sapeva tutto di questo. Richiuse il giornale e lo buttò sul pavimento. Si lasciò cadere esausto sul letto e chiuse gli occhi. I riflessi rossastri del crepuscolo gli coloravano il volto pallido, provato. Nella sua mente solo pochi fotogrammi: i volti dei genitori, ormai morti da anni, le immagini troppo lontane di un'infanzia senza oneri, fatta solo di gioco e leggerezza. Prima di addormentarsi gli venne in mente casa sua, il corridoio e in fondo la sua stanza. Il ricordo ormai era vago, frammentato. Gli angoli bui del cervello troppi, era come osservarla dal buco di una serratura.



Davide Rossi
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#2 » venerdì 16 dicembre 2022, 10:55

Buongiorno,

con il mio racconto ambisco a tutti i bonus.
Grazie e buona lettura a tutti.

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AjejeBrazorf83
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#3 » martedì 27 dicembre 2022, 18:06

Ciao Davide!

Ho notato uno stile di scrittura che appesantisce la lettura. Usi spesso termini ricercati, sia nella narrazione che nei dialoghi.

-L'altro sorrise appena « Si riposi. Per qualsiasi cosa che non concerne lo stare nel letto suoni il pulsane che ha sopra la testa, l'aiuterà il personale. »
-Asserì e, scrutando il titolo sul giornale, gli sovvenne una domanda

Ecco due esempi. Questo dando per scontato che il racconto sia ambientato nei giorni nostri. Ma Navoni dopo essere caduto tira fuori un telefono, quindi non credo ci siano dubbi.
Sono termini ricercati che difficilmente si dicono o semplicemente si pensano.
Ci sono delle parti, sul finale che sembra fossi di fretta,come se volessi chiudere in fretta e furia. Se è per il limite delle battute lo capisco, mi sono trovato in difficoltà anch'io, ma se è per altre ragioni, stona un po.

Davide Rossi
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#4 » mercoledì 28 dicembre 2022, 20:30

Grazie per gli appunti mossi.
Condivido per i dialoghi un uso un po' più colloquiale, per gli intermezzi è opinabile. È vero però che trattandosi di un racconto di genere, come il giallo, forse lo stile deve essere meno aulico
Per le fasi terminali il testo è stato studiato come un sogno, quindi che si sgretollasse. Probabilmente risulta un po' vorticoso.
Grazie davvero per i rilievi fatti.

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Giovanni Attanasio
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#5 » sabato 31 dicembre 2022, 12:54

Ho più o meno chiaro l'intento del testo, e ho intuito che al tale fosse accaduto qualcosa che lo avesse mandato in questo stato di delirio— cosa confermata dal finale. Nonostante ciò, alcuni passaggi sono forse troppo pesanti a livello di descrizioni e puntualizzazioni; in generale, una volta reso noto che si trattava di uno stato delirante o di sogno, avrei stretto di più e chiuso il racconto. Mi sarebbe piaciuto, per esempio, notare qualche riferimento a boati della pistola, o riferimenti alla ferita oltre a quelli mostrati e che fossero inequivocabili : è però una preferenza personale. Diciamo, in breve, che per i miei gusti c'è un po' troppo indugio nel testo e segmenti che avrei semplificato o evitato.
"Scrivo quello che voglio e come voglio. Fatevelo piacere."

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Shanghai Kid
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#6 » domenica 1 gennaio 2023, 15:34

Ciao Davide,
e piacere di averti letto.
Sono d’accordo con i commenti fatti finora: il tuo stile appesantisce la lettura e rischia di fare “perdere” al lettore alcuni passaggi (per me è stato così). Questo sia per una questione di termini aulici che di costruzione della frase.
Ti faccio un esempio scemo su tutti:
“ Il baratro cerebrale in cui stava annegando gli aveva fatto dimenticare come ci fosse arrivato in quel luogo.” è una frase “pesantuccia” sia per la scelta dei termini, che per il “ci” che è solo un rafforzativo (a mio avviso inutile).
Ti segnalo un piccolo errore: “il suo eco”, la sua ego.
Detto ciò, una volta alleggerito io penso si tratti di un buon testo.
Hai poi una visione poetica delle cose molto bella e la trasmetti al lettore.
Devi solo alleggerire.
I bonus ci sono tutti, anche se quello del quadro è un po’ tirato.
A rileggerti,
Elisa

Davide Rossi
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#7 » lunedì 2 gennaio 2023, 0:02

Grazie Elisa,

Ti ringrazio per l'analisi e i rilievi fatti.
Farò tesoro dei tuoi consigli.

Buona gara e grazie per aver dedicato del tempo al mio testo.

Davide Rossi

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Rick Faith
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#8 » martedì 3 gennaio 2023, 0:10

Ciao Davide, innanzitutto benvenuto su Minuti Contati. Tolto il classico periodo di adattamento iniziale poi diventa difficile smettere!

Per quanto riguarda il testo, il registro linguistico è uno strumento come un altro nelle mani dello scrittore e non c'è niente di male ad usarlo per ottenere un certo tipo effetto. Magari in una scena d'azione dove il ritmo dev'essere incalzante stonerebbe, ma vista l'atmosfera sognante, in un quasi delirio sul bordo tra la vita e la morte, alla fine è una scelta che ci sta.

Non sono un particolare amante delle atmosfere troppo oniriche, perché tendono a schiudersi davvero solo a una successiva rilettura e lasciano durante la prima un lungo senso di "sospensione", in attesa di afferrare il quadro generale. Anche questa è una scelta legittima, ma per gusto personale mi trova meno entusiasta. Capisco però che sia voluto, per rendere con il testo il disorientamento del personaggio.

Comunque mi sento di condividere il consiglio generale di alleggerire dove vuoi dare più velocità e scorrevolezza, per riflesso esaltarai quelle parti dove vuoi rallentare il ritmo. In particolare, facci caso, già riducendo gli avverbi in -mente o sostituendoli con espressioni più specifiche (ad esempio "chiudere violentemente" diventa "sbattere", "bere lentamente" diventa "sorseggiare", ecc..) il testo acquista una maggiore fulidità.

Per quanto riguarda i bonus, chiaramente porta e immaginazione sono palesi, mentre l'ambientazione nello stesso universo del quadro mi vede più combattuto. La scelta dell'opera è comunque peculiare e mi piacerebbe saperne di più. È perché ti serviva materialmente per ricreare la scena del telo bianco? Inoltre il fatto che la ragazza si scopre essere essere proprio di Volpedo mi ha incuriosito molto.

Un saluto e buon anno!

Davide Rossi
Messaggi: 11

Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#9 » martedì 3 gennaio 2023, 10:49

Ciao Rick,

grazie per la lettura e l'attenta analisi, non scontata e banale.
Facendo un breve cappello sulla prima parte di quanto hai scritto, sapevo che la tematica poteva risultare poco seducente e digeribile. Sto iniziando un percorso che mi porterà a scrivere un romanzo giallo/noir, e con i confini dettati, questo mi è parso l'unico indirizzo possibile da dare alla storia. Come stella polare ho usato Dylan Dog, in particolare Tiziano Slavi, che ammiro per stile. Nel complesso il risultato non mi è dispiaciuto, certo c'è da migliorare, snellire e acquisire ritmo. Ho scritto sempre narrativa sociale, o sceneggiature, quindi devo ambientarmi con il genere, ma sono sicuro che con studio e abnegazione riuscirò a ottenere dei buoni risultati.

Per il quadro è un'opera che conosco, la vidi in una mostra sui macchiaioli a Novara, e sin da subito m' impressionò, così quando ho letto le indicazioni del contest ho pensato d'inserirla. Oltrettutto l'idea del serial killer che uccide seguendo l'ambientazione delle opere pittoriche non mi spiace, potrebbe essere una traccia da percorrere.
Tornando al quadro, l'influsso che ha questo sul protagosta lo porta in una dimensione parallela, il dipinto non è protagonista, ma diventa un ulteriore dimensione, una quarta, in cui Navoni si ritrova dilaniato dalla morte.

Grazie per la lettura e l'analisi.
Davide Rossi

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Spartaco
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Re: IL CREPUSCOLO di Davide Rossi

Messaggio#10 » sabato 7 gennaio 2023, 16:02

Ciao Davide, ho compreso l’intento del racconto ma ho dei dubbi sulla realizzazione. Alcuni passaggi sono caotici tanto da avermi costretto a rileggere alcune parti. Ciò non è un bene.
Ho trovato la scrittura poco coerente. In alcuni momenti troppo carica e ricercata per il tipo di racconto. Trovare il giusto registro linguistico per una storia è una dote non da poco e, secondo me, non la padroneggi ancora.
Ci sono delle sbavature, come alcuni spazi di troppo nei dialoghi, che possono infastidire.

Credo che il racconto meriti una nuova riscrittura in cui alleggerisci il testo.

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