Semifinale Autoritratto

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Autoritratto

Messaggio#1 » sabato 7 gennaio 2023, 16:50

Immagine

Eccoci pronti per la seconda parte di La Sfida a Scilla Bonfiglioli. Giudice di questo gruppo è Wladimiro Borchi.
Combattono in questa semifinale:

L'arte è immaginazione, di Rick Faith Vs La fabbrica di sguardi, di Giovanni Attanasio

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: lunedì 9 martedì 10 gennaio alle 23.59
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, al giudice verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 10 gennaio. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Rick Faith
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Re: Semifinale Autoritratto

Messaggio#2 » martedì 10 gennaio 2023, 22:57

L'arte è immaginazione

Teo accese la lampada della scrivania e aprì il libro di Storia dell'Arte. E se avesse fatto le foto alle pagine? Meglio di no, dopo l'ultima volta la Cavallaro gli stava addosso come un avvoltoio.
Che ingiustizia, mentre lui era bloccato a studiare gli altri erano alla piazzetta. Sul balcone le luci degli addobbi si rincorrevano libere e spensierate. Teo si mise le mani in faccia, un'altra insufficienza e altro che Natale, si sarebbe giocato uscite, motorino e PlayStation.
Gli venne da piangere, e tutto per colpa di quella stupida materia inutile. A chi serviva Storia dell'Arte, eh? Gli occhi gli diventarono umidi e si fece forza per non strofinarseli. Aveva ancora una dignità.
«Oh, tutt'appost guagliò?»
Teo trasalì. Chi aveva parlato? Si asciugò gli occhi con la manica della felpa. Il libro, la scrivania e la stanzetta erano spariti nel nulla. Al loro posto, un uomo in giacchetta verde-azzurra si avvicinava con sguardo allucinato.
«Uo, uo, fermo là!» Teo d'istinto stese le braccia e indietreggiò, solo per ritrovarsi chiuso in un angolo. Era in una stanza piccola e vuota, le pareti senza finestre avevano uno strano motivo ondeggiante dello stesso colore dei vestiti del tizio. Tirò su col naso. «Che cavolo sta succedendo?»
Il tipo si fermò al centro del locale. Aveva la barba rossiccia, sopracciglia folte e una stempiatura evidente. Alle sue spalle c'era una porta di legno, l'unica via di fuga. «Ti serve 'na mano?»
Ma come parlava? Comunque non sembrava pericoloso, aveva pure un orecchio bendato. Assomigliava quasi a... «Il cosplay di Van Gogh?»
«E che je o'cosplèi?»
No, doveva essere a casa in quel momento. Forse si era addormentato e stava facendo quello che chiamano sogno lucido. Pescò nei meandri della sua memoria: se ricordava bene, il trucco per svegliarsi era chiudere forte gli occhi. Poi bastava riaprirli e...
Van Gogh era ancora lì, il suo volto e i vestiti erano in stile impressionista, espressionista o quello che era, tipo quei filtri sul telefono. Sembrava vero.
«Senti Van Gogh, non mi distrarre.» Dov'era rimasto? Ah, giusto, chiuse di nuovo gli occhi e... li riaprì!
Van Gogh si picchiettò la tempia. «Mi pare 'i esse turnato o'manicomio.»
«Perché cavolo non riesco a svegliarmi?»
«Nun staje durmenno, l'arte è immaginazione. O suonno al limite 'o pierdi.»
Non gliene fregava niente dell'arte. «Voglio solo tornare a casa.»
«Guagliò, se disprezzi l'arte, disprezzi l'immaginazione. E po' lei s'offenne.»
«Ma che vuoi da me? Tienitela per te questa filosofia da quattro soldi.»
Van Gogh allargò le braccia. «Io faccio o'pittore, mica o' filosofo.»
Quel rosso pazzo lo prendeva per il culo.
Teo si passò le mani tra i capelli. D'accordo, se era arrivato lì ci doveva essere anche un modo per uscirne. La porta. Superò Van Gogh e in poche falcate la raggiunse. Era tutta disegnata sul muro, tranne maniglia e serratura. Gli sembrò di toccare un dipinto a olio su tela. «Che scherzo è questo?»
«Scus, comm a vuò aprì senza 'a chiave?»
«Ma se è un disegno!»
Van Gogh infilò una mano nella tasca posteriore e si avvicinò alla finta porta. «Taggio ritt ca l'arte è immaginazione. Lievàti.»
Scostò Teo con una spallata e piantò una chiave nel foro sotto la maniglia. Un clack sordo e la porta si spalancò.
Teo si diede un pizzicotto, la sua mente gli stava tirando un brutto scherzo, non c'era altra spiegazione.
Entrò in una camera da letto e una sensazione di familiarità lo travolse. Il tavolino sotto la finestra, le due sedie di legno, la coperta rossa, i quadri storti, l'orologio a muro... sembrava un dipinto. No, non sembrava, era un dipinto. Ma certo, stava sulla copertina del libro di Storia dell'Arte! Era finito dentro un quadro. Com'è che si chiamava?
Van Gogh andò al tavolino e afferrò una brocca. «Mo calmati nu' mumento e biviti nu bell bicchier d'acqua.»
Se quello era un quadro, allora anche il cosplay poteva esserlo. «Signore, non sarai mica quel Van Gogh?»
«O' Signore sta in cielo, chiamàmm solo Vincenzo. E tu?»
Se lo avesse raccontato lo avrebbero preso per culo fino alla fine dei tempi. «Matteo, ma tutti mi chiamano Teo.»
«Teo, eh? Mi stai già a genio. Comunque sicuro ca non sbatti pe' terra? Ti vuoi stenne cinque minuti?»
«Sto bene.» Certo che era strano forte per essere il famoso pittore. «Scusa la domanda, ma perché parli in questo modo?»
Van Gogh si grattò l'orecchio buono. «E che t'aggia dicere? L'immaginazione è a toja.»
«Vuoi dire che questo» Teo ruotò gli indici in aria «è tutto frutto della mia immaginazione?»
Van Gogh fece spallucce.
«Va bene, non importa. Voglio solo sapere come fare a tornare alla realtà.» Magari bastava immaginarlo con convinzione.
«Mi dispiace, mo nun se po' fa.»
«Cosa?!» Era bloccato lì, quindi? Teo si sentì come se gli fosse appena caduto il mondo addosso.
«Però ij penz pure che ce sta nu motivo se ti truovi qua. Nun 'o saccio quale.» Van Gogh lanciò uno sguardo alla porta di fronte al letto. Pure quella era disegnata sul muro. «'O puoi scoprì solo jenn annanzi.»
Si stava davvero fidando del Van Gogh partenopeo?
Teo spostò la seggiola davanti alla porta e afferrò la maniglia. Non accadde nulla. «La puoi aprire come hai fatto con l'altra?»
«Scusa guagliò, teng sulo 'a chiave d'à camera mia.»
«E come devo fare?» Teo si chinò per sbirciare. Oltre il foro della serratura c'era una stanza dalle pareti nere e una donna di spalle.
Bussò due volte.
«È inutile, nun ti po' sent senza chiave.» Van Gogh gli poggiò una mano sul braccio. «Stai sereno, sta qua 'ttuorno. T'aiuto a cercarla.»
Ma non era la sua camera?
Van Gogh gli diede le spalle e iniziò a controllare l'attaccapanni sopra la testiera.
Teo aprì il cassetto del tavolino, ma era vuoto. Spostò la brocca d'acqua , i bicchieri e i vasetti. Niente. «Trovata?»
«Noni, continua, alle chiavi non ci piace 'e s'alluntanà.»
Teo tastò lo straccio appeso accanto alla porta, tutto sembrava fatto di tela. «Sotto il letto?»
«Nient, guagliò.»
Che rabbia! Teo diede un calcio al tavolino e lo mandò a sbattere contro il muro. La brocca e i vasetti volarono sul parquet.
«San Gennàr, o'tavulin buon!» Van Gogh si precipitò a raccogliere tutto. Curiosamente non c'era stato alcun danno.
«S-scusa» Teo si sentì un po' in colpa, ma tanto era la sua immaginazione, giusto? Doveva concentrarsi sulla chiave. Girò uno a uno tutti i quadretti. Niente anche lì. Era rimasto solo l'orologio. Lo afferrò e gli si sciolse in mano come la panna nella cioccolata. «Non ho toccato niente, giuro.»
Van Gogh saltellò verso di lui e gli diede una pacca sulla spalla. «Ce l'hai fatta, guagliò!»
Nella mano di Teo era rimasta una chiave.
«Addò stava?»
«N-nell'orologio... credo.»
«Ci sta nu rilorgio?» Aggrottò le sopracciglia.
«Non più, si è sciolto.»
«Stran» si lisciò la barba con sguardo pensieroso. «Vabbuò, l'importante è che 'a truvata. Jamm ja, vengo cu' te.»
Teo infilò la chiave nella toppa e la girò. Un altro clack e la porta dipinta si aprì. Incredibile.
Una ragazza con una mantellina color rame e i capelli raccolti in un drappo giallo stava immobile al centro della stanza. Il suo profilo spiccava tantissimo sullo sfondo nero.
Teo fece un passo in avanti.
Lei si voltò, la luce le illuminò i lineamenti morbidi e gentili, i grandi occhi castani, il bel nasino, le labbra carnose appena dischiuse. Poteva avere all'incirca la sua età, che bella che era. Sembrava dipinta, ma non come Van Gogh.
La ragazza diede un piccolo colpo di tosse. «Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?»
«Scusami?»
Le sue sopracciglia sottili si incresparono. «Ho chiesto chi siete, sarebbe cortese rispondere.»
Che figuraccia, si era imbambolato fino a quel punto? Chissà che faccia da pesce leso doveva aver fatto.
«Nennè, aggie pacienza, o'guaglione è scurnùso. Lui è Teo, io Vincenzo.»
«Ma quale timido!» Teo avvampò. «Scusaci per il disturbo, veniamo dal quadro a fianco e lui mi sta aiutando a lasciare questo posto.»
La ragazza si portò una mano al collo, sotto la camicetta bianca s'intravedeva un ciondolo ovale. «Si vede, sai, che non sei di qui.»
«A verità, se ci dai 'na mano ce ne jamm subbito, così ti può fernì i asciugà e' capilli in santa pace.»
«E che c'entrano i miei capelli adesso?»
Van Gogh fece spallucce. «E che ne saccio, tieni sta pezza n' capa, pensavo t'eri fatta o' sciampo.»
La ragazza si portò le mani alla fascia azzurra che le cingeva il capo. «Ma quale pezza?! Questo è un turbante molto costoso, cafone!»
«Per favore, calmatevi» Teo si frappose tra i due per impedire che la fanciulla saltasse alla gola di Van Gogh. «Scusalo tanto, a volte parla senza riflettere. Secondo me ti dona molto, invece.»
La ragazza col turbante arrossì e si voltò. Il suo orecchino di perla scintillò alla luce. «Davvero? Dicono mi faccia assomigliare a una musa.»
Van Gogh si grattò l'orecchio buono. «'Na che?»
«Shh! Zitto tu!» Teo gli poggiò una mano sul petto e lo costrinse ad arretrare. Sul palmo gli rimase una viscida macchia azzurrognola. «Sì, assolutamente, sei magnifica!»
Lei rise e le si formarono due fossette ai lati della bocca. «Almeno uno dei due è un gentiluomo. Teo, giusto? Di che hai bisogno?»
«Ecco, per tornare a casa devo proseguire,» Teo indicò la porta in fondo «puoi prestarmi la chiave?»
«Sei molto ben informato. Be', bastava chiederlo con garbo.» La ragazza lanciò un'occhiataccia a Van Gogh. «Prego, da questa parte.»
Raggiunsero la porta e lei gli porse il ciondolo. «Ecco qua.»
Teo lo afferrò e, proprio come accaduto con l'orologio, si sciolse. «Perché fa così?»
«A loro piace nascondersi.»
In mano era comparsa una minuscola chiave. «È piccolissima.»
«L'arte è immaginazione, non serve che sia gigante.»
Teo fece scattare la serratura e aprì la porta. «Grazie mille per l'aiuto.» Si voltò verso la ragazza. «Non so nemmeno come ti chiami...»
Incurvò le labbra rosse in un sorriso triste. «Buona fortuna Teo. Non dimenticarmi, eh.»
La porta si richiuse e diventò tutt'uno con un muro di pietra dipinto.
No, non l'avrebbe dimenticata. Forse l'arte non era poi tanto male.
Van Gogh gli diede dei colpetti sulla spalla.
Teo si voltò: di fronte a loro una lunga tavola imbandita attraversava da parte a parte lo stanzone, gli occhi di una dozzina di commensali erano piantati su di loro. Ci mancava pure l'Ultima Cena.
«Comodi, continuate pure, non faciti caso a nuje.»
«B-buona sera, scusate l'intrusione.»
L'uomo al centro gli fece cenno di avvicinarsi e subito tutti gli altri si animarono. Il tipo riccio in piedi a capotavola si scostò la matella verde e avvicinò due sgabelli. «Che fate lì impalati? Sedetevi!»
Van Gogh prese un respiro profondo e avanzò a piccoli passi. «Ecco sì, nun sarebbe brutto arriposarsi n'attimo.»
Aveva un'espressione provata, forse per lui spostarsi da un dipinto all'altro era stancante. Chi li capiva i quadri?
Teo si accomodò tra il tizio degli sgabelli e Van Gogh. Di fronte a loro sedevano un uomo fulvo con la tunica rossa, due anziani con la barba bianca, un uomo dai capelli corvini e un giovane dai lineamenti delicati. A uno come Teo, abituato a defilarsi, già metteva a disagio rimanere nell'ascensore con qualcuno, figurarsi avere addosso lo sguardo curioso di quei sei sconosciuti; era davvero una fortuna che il resto della tavolata sembrasse non prestargli troppa attenzione.
Strinse i pugni e si ripetè che era tutto nella sua mente. La porta era sullo sfondo in mezzo a due finestre, bastava solo trovare la chiave. «Perdonateci, noi sta—»
«Prima se beve, poi se parla.» L'apostolo anziano con la toga gialla gli allungò due bicchieri di vino.
Il tipo degli sgabelli si passò una mano sul volto. «Scusatelo, quando Pietro beve non lo mantiene più nessuno.»
«Basta che me mantiene 'a panca.»
«Dovremmo presentarci ai nostri ospiti.»
«E damme 'n momento, no?» Pietro sbuffò. «Er nome mio mo 'o sapete. Sto fijo de talmai è Barto. Pare 'n bacchettone, ma in realtà è pure peggio.»
Barto rise e chinò il capo in un saluto, i ricci castani ondeggiarono.
«Sti due so' Giacomino e mi' fratello Andrea,» Pietro indicò il fulvo e l'altro anziano. «Quest'antri so er Purciaro e Giovanni.»
Le gote gli andarono a fuoco, doveva essere rosso come un peperone. Attorcigliò un lembo della tovaglia intorno all'indice. Anche quella sembrava dipinta su tela.
Al centro della tavolata c'era... «Ar Maestro non je rompete che ha fatto un discorso importante e deve medità.»
Oddio, pregò che la sua immaginazione non lo avesse fatto veneto, non voleva finire all'inferno.
Pietro strinse gli occhi. «Che c'ha l'amico tuo?»
«Lui è Van...Vincenzo, io—»
«Vanvincè, nun t'offenne, ma c'hai 'na faccia...»
Aveva ragione, era molto pallido. «Ma che hai?»
«Scusa guagliò, all'improvviso mi seng tutt scassato. Mo sto cinque minuti e ti faccio vedè che m'arripiglio.» Van Gogh afferrò il bicchiere e diede una bella sorsata.
«C'hai sete, già me stai simpatico.» Pietro rise e bevve. «Alla vostra.»
Anche Barto e gli altri imitarono. «Alla salute!»
Teo avvicinò il bicchiere al naso: non odorava affatto di vino. Si sarebbe giusto bagnato le labbra, tanto per non sembrare scortese. Magari uno di loro aveva la chiave e gliel'avrebbe prestata volentieri, del resto erano apostoli, no?
«Toc, toc» Pietro bussò sul tavolo. «Te sei mbriacato solo coll'odore?»
Teo diede un piccolo sorso e per poco non sputò anche gli occhi. Una schifezza immonda, sapeva di intonaco.
«Daje regazzì, che nun è veleno.»
Barto gli sorresse il bicchiere. «Non lo forzare, non lo vedi che è giovane?»
«All'età sua già stavo co 'e reti 'n mezzo al Genesaret.»
«Eccolo che riparte col pippone del vecchio pescatore.»
«Guagliò...» Van Gogh si inclinò da un lato e crollò giù dallo sgabello.
«Che ti succede?» Teo gli si inginocchiò accanto e gli prese la mano, era fredda e viscida. No, per lui non era più Van Gogh. «Vincenzo, apri gli occhi!»
Giovanni si portò una mano al petto.
Il Maestro si alzò e fece il giro del tavolo. Teo lo osservò come se lo stesse vedendo per la prima volta: i lunghi capelli castani, la pelle liscia, lo sguardo fermo e profondo. Ogni suo movimento emanava una grande tranquillità.
Pietro si accucciò accanto a Teo e tastò il petto di Vincenzo. Una grossa macchia azzurrognola gli macchiò il palmo. «Se sta a strugge, ma che l'ha disegnato Dalì?»
Il cuore di Teo aumentò i giri. «Che vuol dire? Che gli sta succedendo?»
Pietro strinse le labbra.
Non stava mica morendo, no? Impossibile. Erano dentro un quadro e quelli non morivano mica.
Il Maestro accarezzò la testa di Vincenzo. «È stato riconosciuto come fuori posto.»
Fuori posto? Era perché aveva lasciato il suo quadro? Teo tirò sul col naso.
«Mi dispiace guagliò,» gli strinse la mano e sorrise, la voce era diventata un sussurro «io davvero ti vulevo aiutà...»
«Non lasciarmi, ho bisogno di te.»
«Ce la puoi fà,» boccheggiò «chesta è l'ultima...» La presa di Vincenzo si allentò e la mano gli scivolò a terra.
Teo strizzò gli occhi. Era solo la sua immaginazione, un personaggio di un quadro, ma allora perché gli veniva da piangere? «Cosa gli succederà adesso?»
«Purtroppo svanirà presto.» La voce del Maestro era insieme dolce e ferma. «Non gli rimane molto tempo.»
Non era giusto. Non pote—
Tempo!
Teo ripensò all'orologio a muro, allora quello era fuori posto. Non apparteneva alla camera di Vincenzo, ecco perché lui sembrò sorpreso. Di conseguenza pure il ciondolo della ragazza col turbante non doveva esserci nel quadro originale. Ma cosa avevano in comune?
L'illuminazione gli spaccò il cuore: li aveva toccati. Aveva dato uno spintone a Vincenzo, era colpa sua! La saliva gli si seccò in bocca.
Pietro si asciugò gli occhi con la toga gialla. «Maestro, noi nun se po' fa gnente?»
«Noi no, ma lui sì.»
Teo si morse il labbro. «Se me ne vado, se torno a casa mia, potrò sistemare le cose?»
Il Maestro lo aiutò ad alzarsi. «Credi in lui?»
L'arte è immaginazione. «Sì.»
«Allora funzionerà.»
Teo lanciò uno sguardo alla porta e prese un respiro profondo. «Perdonatemi tutti, lo so che non ho nessun diritto di chiedervelo, ma... ho bisogno del vostro aiuto per salvare il mio amico. Per favore.»
Il Maestro sorrise. «Certo, cosa ti serve?»
«Qualcuno di voi vede un oggetto o un qualcosa che non dovrebbe essere qui?»
Gli apostoli si guardarono intorno e scossero la testa.
Gli sfuggiva ancora qualcosa. «Potreste allora sistemarvi com'eravate al nostro arrivo? Mi aiuterebbe a pensare.»
Pietro battè le mani. «Eddaje.»
Piano piano tutti presero posto: Barto si mise in piedi all'estremità sinistra; Andrea mostrò i palmi e Giacomino gli si appoggiò sulla spalla; Pietro prese un coltello e si sporse verso Giovanni, er Purciaro afferrò un sacchetto di monete. Al centro si sedette il Maestro, inclinò la testa e stese le braccia sulla tovaglia bianca.
Teo si avvicinò al tavolo. Doveva trovare qualcosa fuori posto, ma cosa? In quell'opera c'erano troppi dettagli, non poteva toccare tutto sperando di beccare quello giusto. Gli si strinse il cuore, pretendeva di risolvere la situazione ma a chi voleva darla a bere? La prima chiave l'aveva presa Vincenzo, la seconda l'aveva trovata per caso e la terza l'aveva chiesta alla ragazza col turbante. Adesso che doveva pensarci da solo non sapeva che pesci prendere.
«Movite che mi so 'ncriccato.»
«Mi dispiace!» Ecco che gli tremava la voce. «Sono sempre andato male in Storia dell'Arte.»
Le lacrime cominciarono a rigargli le guance, e al diavolo la dignità. Era tutta colpa sua ed era troppo scarso per rimediare. Se avesse studiato l'Ultima Cena avrebbe trovato subito la chiave. Invece cosa aveva combinato? Era rimasto bloccato davanti una porta dipinta, aveva preso a calci un tavolino e si era quasi strozzato con il...
Ma certo, il vino! Sapeva di intonaco. Teo accarezzò di nuovo la tovaglia che sembrava di tela. Era sbagliato, l'Ultima Cena era dipinta su una parete, quello almeno lo sapeva. Cadeva a pezzi!
Prese il bicchiere, lo rovesciò e trattenne il respiro. Sarebbe stato strano mettersi a pregare con gli apostoli che lo guardavano?
La macchia rossa comiciò a ritrarsi, a muoversi come dotata di vita propria. Si compattò e prese la forma di una chiave, lasciando la tovaglia bianca come prima. Non era più fatta di tela.
Ci era riuscito! Teo corse da Vincenzo e si inginocchiò. «Ce l'ho fatta, l'ho trovata!»
Gli apostoli applaudirono.
«Non avevo dubbi.» Vincenzo si sollevò sui gomiti, ormai il volto aveva quasi perso ogni colore.
Teo lo abbracciò forte.
«Chiano, chiano che mi stacchi l'unica recchia che mi rimane...»
«Vedrai, tra poco starai meglio e tornerai nel tuo quadro. E mi mancherai. E mi mancheranno tutti. E...» Non sapeva quante cose voleva dire.
Vincenzo tossì e gli strinse le mani. «Guagliò... m'arraccomando. Fai il bravo.»
«Matteo...» Il Maestro gli poggiò una mano sulla spalla. Non rimaneva molto tempo.
«Non vi dimenticherò.» Teo si tirò su e andò alla porta. Attraverso il foro della serratura c'era la sua cameretta, la scrivania, il libro di Storia dell'Arte. Che strano, adesso quasi gli dispiaceva andare via. Infilò la chiave e i bordi della porta s'illuminarono. «Mi piacerebbe passare per un saluto, qualche volta.»
Pietro si toccò la tempia. «Sai 'ndo trovarci.»
«Al manicomio?»
«Nell'immaginazione!»
Teo rise e spinse la porta, il calore della luce bianca lo avvolse. Sentiva gli occhi umidi. «Allora ci vediamo.»
Vincenzo sorrise e tutti gli altri agitarono le mani in saluto.
Teò sussultò, il cuore gli saltò in gola come quando salendo le scale si mette un piede su un gradino che non c'è. Era di nuovo nella sua stanzetta. Gli addobbi natalizi sul balcone brillavano a festa. Si guardò la mano, nessuna traccia della macchia di colore. Aveva davvero sognato tutto?
Si asciugò gli occhi con la manica della felpa. Sulla copertina del libro di Storia dell'Arte c'era la stanza da letto con il tavolino sotto la finestra, le sedie di legno, la coperta rossa e i quadri storti. E no, niente orologio.
Vabbè, dopotutto se anche fosse andato male il compito in classe c'era sempre il secondo quadrimestre, no? Avrebbe recuperato, non era poi la fine del mondo.
Aprì il libro e cercò il capitolo su Van Gogh. La giacchetta che indossava nell'autoritratto dell'ottantanove se la ricorda—
Si strofinò gli occhi. Avrebbe giurato che Van Gogh gli avesse appena fatto l'occhiolino. Sorrise.
No, non Van Gogh.
Vincenzo.

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wladimiro.borchi
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Re: Semifinale Autoritratto

Messaggio#3 » giovedì 19 gennaio 2023, 13:44

L’ARTE È IMMAGINAZIONE
Un buon racconto a scopo educativo. Il protagonista impara l’utilità dello studio della storia dell’arte attraverso un viaggio in un modo onirico creato con alcuni dei più noti capolavori della pittura. Al netto di qualche ripetizione di troppo (una volta che sappiamo che ad agire è Teo non importa ripeterne il nome, almeno fino a quando l’azione non passa a un altro personaggio), un refuso (“preso per culo” anziché “preso per il culo”) e qualche aggettivo di troppo (Es. “libere e spensierate” - secondo me se lasciavi solo “spensierate” il passaggio guadagnava in forza evocativa), una storia che mi ha davvero divertito e che denota una discreta dose di fantasia. Complimenti!

LA FABBRICA DI SGUARDI
Una distopia che ricorda molto “1984” di George Orwell. Leggerlo è stato un vero piacere, grazie anche allo stile che hai scelto, che ho trovato perfetto per raccontare il tipo di storia. Ho apprezzato tantissimo come, anche mediante la scelta dei vocaboli, si percepisse il cambiamento del protagonista grazie all’amore. Amore che rende migliori e libera (e con un finale molto più positivo rispetto all’originale Orwelliano). Davvero un bellissimo lavoro. Avrei osato un po’ di più utilizzando altri bonus.

Secondo me “La fabbrica di sguardi” è più completo e stilisticamente più maturo, merita quindi la finale.

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Giovanni Attanasio
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Re: Semifinale Autoritratto

Messaggio#4 » giovedì 19 gennaio 2023, 21:07

Grazie mille del giudizio! E spero che questa cosa dei bonus non segni la mia rovina. xD
"Scrivo quello che voglio e come voglio. Fatevelo piacere."

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