III Incontri
Inviato: lunedì 16 gennaio 2023, 23:31
I
Era il dottore dei corpi. Lui i corpi voleva vederli sgonfiarsi come palloncini, o almeno così le aveva detto. Le aveva detto pure “Buongiorno raggio di sole”, in un sms dopo la prima visita.
Nelle quattro settimane che li separavano dentro la testa di lei si proiettava un film dalla trama scadente quanto banale, nel quale le piaceva rintanarsi tra una pausa e l’altra della vita di tutti i giorni. Il protagonista era il dottore dei corpi con il suo camice bianco, i capelli neri, gli occhiali con le lenti rotonde e il sorriso cordiale che si allargava alla vista di lei.
Nel frattempo il suo corpo, grazie alle formule magiche del dottore, cominciava a sgonfiarsi davvero. Più passavano i giorni e più lei si sentiva orgogliosa, fiera di quel fisico che diventava finalmente più bello. Da guardare, da desiderare.
II
Nella sala d’aspetto era rimasta solo lei e la voce di Jovanotti in filodiffusione. Il dottore l’aveva accolta con il consueto sorriso, lei si era accomodata sulla poltrona di fronte alla scrivania: la foto di una neonata con i capelli neri la fissava dal muro.
Lei stava in piedi sulla bilancia, in mutande e reggiseno, cercando di trattenere la pancia in dentro. Lui aveva in mano il metro da sarta e la misurava con cura. 4 chili e 20 centimetri totali persi.
“Brava”, le aveva detto.
Ed era stata brava. Non avevo fatto il passo più lungo della gamba.
III
Attendeva il suo turno con le morbide cosce bianche spalmate su una sedia di plastica: facevano capolino dall’orlo di un abito nero in cotone, leggermente scollato. Era di nuovo l’ultima.
Un’anziana signora, prima di uscire, l’aveva salutata guardandola male.
“Secondo lei solo le persone obese hanno il diritto di andare dal nutrizionista?”, avrebbe avuto voglia di domandarle.
Al momento della pesata si era sfilata il vestito: sotto aveva un costume da bagno a due pezzi, perché forse dopo sarebbe andata al mare (o forse perché la imbarazzava di meno).
Dopo essersi rivestita avevano parlato, guardandosi da i capi opposti della scrivania di lui. Lei gli aveva risposto di sì, che a cena con lui ci sarebbe andata. Lo aveva fatto con quella sfrontatezza che a volte le ventenni tirano fuori per darsi una parvenza di struttura, di consistenza. Una struttura solida come un castello di carte, consistente come un domino in attesa che il primo tassello venga giù.
Sotto il camice lui portava una T-shirt marrone con delle stelline. Prima che lei andasse via lui l’aveva bloccata sulla porta e l’aveva baciata, lei lo aveva lasciato fare, stordita alla vista delle stelline sulla sua maglia.
__ __ __
Il telefono le squillava nella borsa mentre lei si trascinava dietro a un carrello, nella corsia di un supermercato. Non aveva avuto bisogno di controllare il display: una morsa allo stomaco la stava già percuotendo bruscamente dall’interno, risvegliandole una nausea da poco sopita.
Lei aveva detto “NO”, ma lui non l’aveva voluto sentire.
Dopo un’attenta analisi aveva ficcato un pacco di cracker sul fondo del carrello, e l’immagine del corpo di lui nel magma dei ricordi scomodi.
“Chi era al telefono?”, le aveva chiesto suo padre.
“Nessuno”, aveva risposto lei.
Era il dottore dei corpi. Lui i corpi voleva vederli sgonfiarsi come palloncini, o almeno così le aveva detto. Le aveva detto pure “Buongiorno raggio di sole”, in un sms dopo la prima visita.
Nelle quattro settimane che li separavano dentro la testa di lei si proiettava un film dalla trama scadente quanto banale, nel quale le piaceva rintanarsi tra una pausa e l’altra della vita di tutti i giorni. Il protagonista era il dottore dei corpi con il suo camice bianco, i capelli neri, gli occhiali con le lenti rotonde e il sorriso cordiale che si allargava alla vista di lei.
Nel frattempo il suo corpo, grazie alle formule magiche del dottore, cominciava a sgonfiarsi davvero. Più passavano i giorni e più lei si sentiva orgogliosa, fiera di quel fisico che diventava finalmente più bello. Da guardare, da desiderare.
II
Nella sala d’aspetto era rimasta solo lei e la voce di Jovanotti in filodiffusione. Il dottore l’aveva accolta con il consueto sorriso, lei si era accomodata sulla poltrona di fronte alla scrivania: la foto di una neonata con i capelli neri la fissava dal muro.
Lei stava in piedi sulla bilancia, in mutande e reggiseno, cercando di trattenere la pancia in dentro. Lui aveva in mano il metro da sarta e la misurava con cura. 4 chili e 20 centimetri totali persi.
“Brava”, le aveva detto.
Ed era stata brava. Non avevo fatto il passo più lungo della gamba.
III
Attendeva il suo turno con le morbide cosce bianche spalmate su una sedia di plastica: facevano capolino dall’orlo di un abito nero in cotone, leggermente scollato. Era di nuovo l’ultima.
Un’anziana signora, prima di uscire, l’aveva salutata guardandola male.
“Secondo lei solo le persone obese hanno il diritto di andare dal nutrizionista?”, avrebbe avuto voglia di domandarle.
Al momento della pesata si era sfilata il vestito: sotto aveva un costume da bagno a due pezzi, perché forse dopo sarebbe andata al mare (o forse perché la imbarazzava di meno).
Dopo essersi rivestita avevano parlato, guardandosi da i capi opposti della scrivania di lui. Lei gli aveva risposto di sì, che a cena con lui ci sarebbe andata. Lo aveva fatto con quella sfrontatezza che a volte le ventenni tirano fuori per darsi una parvenza di struttura, di consistenza. Una struttura solida come un castello di carte, consistente come un domino in attesa che il primo tassello venga giù.
Sotto il camice lui portava una T-shirt marrone con delle stelline. Prima che lei andasse via lui l’aveva bloccata sulla porta e l’aveva baciata, lei lo aveva lasciato fare, stordita alla vista delle stelline sulla sua maglia.
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Il telefono le squillava nella borsa mentre lei si trascinava dietro a un carrello, nella corsia di un supermercato. Non aveva avuto bisogno di controllare il display: una morsa allo stomaco la stava già percuotendo bruscamente dall’interno, risvegliandole una nausea da poco sopita.
Lei aveva detto “NO”, ma lui non l’aveva voluto sentire.
Dopo un’attenta analisi aveva ficcato un pacco di cracker sul fondo del carrello, e l’immagine del corpo di lui nel magma dei ricordi scomodi.
“Chi era al telefono?”, le aveva chiesto suo padre.
“Nessuno”, aveva risposto lei.