Gumiho
Inviato: martedì 21 febbraio 2023, 0:47
La camera nuziale è illuminata da candele basse e tozze. Drappeggi di seta rossa decorano il soffitto e ricadono in ampi veli su un baldacchino di legno.
Non si respira: l’incenso alla magnolia aleggia a mezz’aria, sfuggendo appena dalla finestra aperta che dà sui grandi giardini tradizionali. Persino la luna piena si vede male, offuscata com’è dal fumo.
Sospira, posando il gomito sul tavolino basso al quale siede a gambe incrociate. Il mento cerca le nocche chiuse, appoggiandovisi.
«Dovrete impegnarvi di più, mia Signora. Come potete vedere, questo non funziona.» Ha la voce bassa e calda, simile all’arpeggio di un vecchio geomungo.
Nel notare il disappunto di lei, gli angoli della bocca si sollevano a delineare un sorriso divertito.
Che creatura interessante -pensa mentre conduce gli occhi dal taglio affilato sulla figura esile di chi gli siede davanti. Non può avere più di vent’anni: i capelli corvini sono raccolti in una corona di trecce impreziosite da fermagli d’oro e, come vuole la tradizione, è vestita con un hanbok della stessa tonalità di rosso del suo viso incollerito.
«Non potete tenermi prigioniera.» Glielo sbatte in faccia con l’impulsività tipica della giovane età, tenendo gli occhi fissi nei suoi. Le mani raccolte in grembo si mordono l’un l’altra, cercando di tenere a bada il tremore che le scuote.
«Il matrimonio è una prigione, ne convengo.» Annuisce appena, scostando il viso dal suo ricovero per essere libero di afferrare le proprie bacchette. Osserva per qualche istante le ciotole d’argento colme di leccornie che imbadiscono il tavolo che lo separa dalla sposa, infine decide per un tortino di riso. Lo esamina qualche istante, poi si volta e lo infila in bocca a un servo esanime, riverso sul pavimento di fianco a lui.
In un istante, questo si contorce e da umano torna a essere topo.
«Non avete nessuna morale, dunque?» Sibila la ragazza, facendo saettare lo sguardo dal ratto all’uomo seduto di fronte a lei.
«E voi ne avete?» Sospira l’altro mentre rimette le bacchette al loro posto. «Magnolia velenosa, cibo nuziale stregato… posso aspettarmi che almeno il nostro talamo sia sicuro?»
Quando alza gli occhi a incontrare i suoi, la giovane sposa storce le labbra pitturate di rosso.
Scruta in silenzio la figura di quell’uomo alto, dai lineamenti eleganti e la pelle color della luna, poi sbuffa.
Maledetta volpe. La vera disgrazia era il suo aspetto, non certo la prigionia che l’aspettava se non fosse riuscita ad andarsene. Doveva ricorrere alle maniere forti.
«Non arrabbiatevi, ma temo che non vedrete alcun talamo, stanotte.» Seduta com’è sulle ginocchia, non fatica a rimettersi in piedi con un unico, fluido movimento. La vaporosa gonna della prima notte di nozze si gonfia, allargandosi attorno a lei come la fioritura di una pianta velenosa.
«Oh.» Lo sposo non la imita, rimanendo comodamente seduto. Maledetta volpe confidente. «Sto per morire, dunque?»
«Così pare.»
«E come intendete fare?»
«Dovrei dirvelo, forse?»
«La tradizione vuole che la sposa ribelle annunci al Gumiho il modo in cui morirà.»
…Era vero? Non aveva letto in nessun libro di fiabe quella cosa.
Ferma in piedi ci pensa un secondo: non poteva rischiare, le regole valevano troppo in quel mondo. Infila allora la mano destra sotto la parte superiore dell’hanbok, l’abito tradizionale, e ne estrae un coltello dal manico di corno che sfodera prontamente.
Di fronte a lei, il Gumiho ruota gli occhi al cielo. «Che cosa scontata.» Guaisce, spostando lo sguardo annoiato verso la finestra.
Era troppo: quella maledetta volpe sarebbe morta in quel momento.
Senza pensarci una seconda volta la sposa insinua la punta del piede scalzo sotto il tavolino, calciandolo alla sua sinistra e liberando così la strada verso l’avversario che solo adesso torna a guardarla.
Sorride divertito mentre il coltello cala verso la sua gola e continua a farlo quando la lama oltrepassa il suo corpo etereo, conficcandosi nel pavimento di paglia intrecciata.
«Dannazione!» Urla la ragazza, stringendo la presa sul pugnale e facendo forza per estrarlo. Non ha però il tempo di riuscirci che una vaporosa coda bianca le scivola sulla spalla sinistra, ghermendole il volto paonazzo.
«Non arrabbiatevi, mia Signora, ma…» La voce di lui è tornata bassa e suadente. C’è una pazienza antica nel modo in cui ogni parola viene scandita. «…temo che stasera non riuscirete nel vostro intento.» Sente il respiro di lui sul suo collo e non riesce a impedire al proprio corpo di vestirsi di un brivido. «Avete però tutta l’eternità per riuscirci.»
«Siete una volpe troppo confidente.» Si limita a dire la sposa, piantando gli occhi scuri nell’immagine che le rimanda lo specchio poco distante da lei e in cui nove code serpeggiano rasenti a un pavimento disseminato di servi esanimi e cibo sprecato.
Avvolti dalle dense volute dell’incenso, entrambi sorridono.
Poi improvvisamente lei alza le mani, le sbatte l’una contro l’altra e tutto esplode.
Non si respira: l’incenso alla magnolia aleggia a mezz’aria, sfuggendo appena dalla finestra aperta che dà sui grandi giardini tradizionali. Persino la luna piena si vede male, offuscata com’è dal fumo.
Sospira, posando il gomito sul tavolino basso al quale siede a gambe incrociate. Il mento cerca le nocche chiuse, appoggiandovisi.
«Dovrete impegnarvi di più, mia Signora. Come potete vedere, questo non funziona.» Ha la voce bassa e calda, simile all’arpeggio di un vecchio geomungo.
Nel notare il disappunto di lei, gli angoli della bocca si sollevano a delineare un sorriso divertito.
Che creatura interessante -pensa mentre conduce gli occhi dal taglio affilato sulla figura esile di chi gli siede davanti. Non può avere più di vent’anni: i capelli corvini sono raccolti in una corona di trecce impreziosite da fermagli d’oro e, come vuole la tradizione, è vestita con un hanbok della stessa tonalità di rosso del suo viso incollerito.
«Non potete tenermi prigioniera.» Glielo sbatte in faccia con l’impulsività tipica della giovane età, tenendo gli occhi fissi nei suoi. Le mani raccolte in grembo si mordono l’un l’altra, cercando di tenere a bada il tremore che le scuote.
«Il matrimonio è una prigione, ne convengo.» Annuisce appena, scostando il viso dal suo ricovero per essere libero di afferrare le proprie bacchette. Osserva per qualche istante le ciotole d’argento colme di leccornie che imbadiscono il tavolo che lo separa dalla sposa, infine decide per un tortino di riso. Lo esamina qualche istante, poi si volta e lo infila in bocca a un servo esanime, riverso sul pavimento di fianco a lui.
In un istante, questo si contorce e da umano torna a essere topo.
«Non avete nessuna morale, dunque?» Sibila la ragazza, facendo saettare lo sguardo dal ratto all’uomo seduto di fronte a lei.
«E voi ne avete?» Sospira l’altro mentre rimette le bacchette al loro posto. «Magnolia velenosa, cibo nuziale stregato… posso aspettarmi che almeno il nostro talamo sia sicuro?»
Quando alza gli occhi a incontrare i suoi, la giovane sposa storce le labbra pitturate di rosso.
Scruta in silenzio la figura di quell’uomo alto, dai lineamenti eleganti e la pelle color della luna, poi sbuffa.
Maledetta volpe. La vera disgrazia era il suo aspetto, non certo la prigionia che l’aspettava se non fosse riuscita ad andarsene. Doveva ricorrere alle maniere forti.
«Non arrabbiatevi, ma temo che non vedrete alcun talamo, stanotte.» Seduta com’è sulle ginocchia, non fatica a rimettersi in piedi con un unico, fluido movimento. La vaporosa gonna della prima notte di nozze si gonfia, allargandosi attorno a lei come la fioritura di una pianta velenosa.
«Oh.» Lo sposo non la imita, rimanendo comodamente seduto. Maledetta volpe confidente. «Sto per morire, dunque?»
«Così pare.»
«E come intendete fare?»
«Dovrei dirvelo, forse?»
«La tradizione vuole che la sposa ribelle annunci al Gumiho il modo in cui morirà.»
…Era vero? Non aveva letto in nessun libro di fiabe quella cosa.
Ferma in piedi ci pensa un secondo: non poteva rischiare, le regole valevano troppo in quel mondo. Infila allora la mano destra sotto la parte superiore dell’hanbok, l’abito tradizionale, e ne estrae un coltello dal manico di corno che sfodera prontamente.
Di fronte a lei, il Gumiho ruota gli occhi al cielo. «Che cosa scontata.» Guaisce, spostando lo sguardo annoiato verso la finestra.
Era troppo: quella maledetta volpe sarebbe morta in quel momento.
Senza pensarci una seconda volta la sposa insinua la punta del piede scalzo sotto il tavolino, calciandolo alla sua sinistra e liberando così la strada verso l’avversario che solo adesso torna a guardarla.
Sorride divertito mentre il coltello cala verso la sua gola e continua a farlo quando la lama oltrepassa il suo corpo etereo, conficcandosi nel pavimento di paglia intrecciata.
«Dannazione!» Urla la ragazza, stringendo la presa sul pugnale e facendo forza per estrarlo. Non ha però il tempo di riuscirci che una vaporosa coda bianca le scivola sulla spalla sinistra, ghermendole il volto paonazzo.
«Non arrabbiatevi, mia Signora, ma…» La voce di lui è tornata bassa e suadente. C’è una pazienza antica nel modo in cui ogni parola viene scandita. «…temo che stasera non riuscirete nel vostro intento.» Sente il respiro di lui sul suo collo e non riesce a impedire al proprio corpo di vestirsi di un brivido. «Avete però tutta l’eternità per riuscirci.»
«Siete una volpe troppo confidente.» Si limita a dire la sposa, piantando gli occhi scuri nell’immagine che le rimanda lo specchio poco distante da lei e in cui nove code serpeggiano rasenti a un pavimento disseminato di servi esanimi e cibo sprecato.
Avvolti dalle dense volute dell’incenso, entrambi sorridono.
Poi improvvisamente lei alza le mani, le sbatte l’una contro l’altra e tutto esplode.