Semifinale Cardone

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum. Questo GAME il racconto dev'essere ambientato in un preciso universo narrativo che verrà comunicato al momento del lancio.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Livio Gambarini e Marco Cardone leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Samuel Marolla assegnerà la vittoria.
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Spartaco
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Semifinale Cardone

Messaggio#1 » sabato 15 aprile 2023, 22:24

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Eccoci pronti per la seconda parte di La Sfida a Gli Inutili. Giudice di questo gruppo è Marco Cardone.
Combattono in questa semifinale:

Energia pulita VS Una Napoli

In risposta a questa discussione gli autori semifinalisti hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi possono sfruttare i giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: lunedì 17 alle 20.00
Limite battute: 21.666

Se non verrà postato alcun racconto, al giudice verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 20.00 del 17 aprile. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione!



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Spartaco
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Re: Semifinale Cardone

Messaggio#2 » mercoledì 3 maggio 2023, 10:50

Per questione di spazio, divido in due i commenti di Marco Cardone

Una Napoli

Parto con una serie di considerazioni generali e la valutazione complessiva; a seguire, l’intero racconto scandagliato parte per parte, con proposte personali.
Vado dritto al punto: il racconto non mi ha convinto del tutto. Ha lati positivi (in particolare il parallelismo con certi sistemi di punteggio sul comportamento social e le loro conseguenze sulla vita reale) e aspetti che mi sono piaciuti e di cui dirò, ma l’ho trovato poco attinente all’ambientazione di riferimento (i poteri sono del tutto ininfluenti sulla storia), a tratti verboso, pieno d’informazioni e premura di trasmetterle, un pelo compiaciuto in alcune parti e con alcune fallacie logiche. Ci sono inoltre errori di punto di vista (pochissimi, per la verità) e incongruenze interne allo stesso (aspetto da sofisti, mi rendo conto, ma tant’è).
Ciò detto non si tratta di un giudizio sull’autore ma sul singolo lavoro, peraltro realizzato entro un tempo prefissato e con paletti narrativi, ne sono consapevole. In realtà, c’è un singolo passaggio che sfiora la perfezione e si staglia su tutto. Se scrivi un paragrafo del genere non lo fai per fortuna o perché “ti esce bene”, lo devi saper fare. La mia impressione è che l’autore abbia avuto poco tempo per scrivere (altro modo per dire “si sia ridotto all’ultimo”) e che sappia davvero il fatto suo, solo che qui la sua vera pasta, per un motivo o per l’altro, non è riuscita a emergere appieno.
Non lo dico per piaggeria, o per fornire un improbabile “premio di consolazione”; al contrario, un po’ rosico perché chiunque possa scrivere un passaggio efficace come quello cui mi riferisco (oltre lo commento nel dettaglio), una piccola perla vivida di potenza narrativa, ha il dovere di rimanere su quel livello, ed è un peccato che il resto del racconto sia di livello altalenante e ci siano parti molto raccontate, invece che mostrate. Inoltre, il potere del personaggio è figo e, già con accorgimenti da poco il testo migliorerebbe molto. Invece mi sono trovato davanti a un lavoro secondo me per certi versi affrettato ed errori facilmente evitabili. Peccato.
Tra quel che mi è piaciuto c’è l’atmosfera quotidiana, la resa efficace del “sabato italiano” e il rapporto semplice tra padre e figli. Quello funziona. In mezzo ho fatto parecchie annotazioni di dettaglio su elementi che mi hanno fatto storcere il naso per altri motivi, ma il tema della sfida (molto più dell’ambientazione generale inerente i superpoteri) è stato rispettato appieno, e anche il bonus dell’animale che crea disturbo azzeccato.
Tra quel che non mi è piaciuto, invece, digressioni mentali troppo estese e a tratti retoriche così come, soprattutto, le forzature logiche che descriverò meglio nel commento minuto.
Non mi dilungo invece troppo sul fatto che trovo irragionevole che il potere del protagonista sia presentato come inutile o comunque poco rilevante, quando invece sembra essere ben più utile di robe tipo super forza e raggi al plasma, e che si presterebbe a una miriade di usi remunerativi (più o meno leciti…). A riguardo dico solo che rende il ruolo di quasi reietto sociale del personaggio poco credibile; tuttavia, poiché i poteri hanno un peso impercettibile nella storia, non fa chissà quale differenza.
Di seguito, la mia analisi dettagliata.



Edoardo si rigira di scatto nel letto, il telefono sta suonando con il fastidioso triin triin preimpostato da sveglia, e lui inizia la sua giornata come al solito, con una bella bestemmia.

Che cazzo di ore saranno?, pensa, con gli occhi abbottonatissimi a causa delle tre ore scarse di sonno di cui ha potuto godere quella notte.

A parte la terza persona presente, che non è nelle mie corde, eliminerei “pensa” e tutta la verbosità derivante dalla specificazione “di cui ha potuto godere quella notte”. Soprattutto, il personaggio se non sa che ore sono, non può calcolare di aver dormito tre ore e l’intero periodo è contraddittorio. L’unica spiegazione è che sia il narratore a fornire il dato, intromettendosi in modo fastidioso nel racconto e violando il punto di vista che, appare già chiaro, è quello interno del protagonista. A meno di non ipotizzare un narratore onnisciente, scelta legittima per quanto un pelo desueta, oltre che non così facile da gestire come spesso si crede, direi che c’è un sottile errore di pdv. A dirla tutta, la scelta del pensiero diretto semplice così all’inizio, un tratto distintivo di un pdv interno e dunque per sua natura limitato, farebbe comunque un po’ a pugni con la presenza di un narratore onniscente, pertanto opterei per riformulare in maniera più semplice e coerente, tipo:

Che cazzo di ore saranno?
A giudicare da com’erano abbottonati i suoi occhi, doveva aver dormito tre, quattro ore al massimo.
La sera prima, come sempre: “una birra e poi a letto!” E, come sempre, era rientrato alle quattro.

“Buongiorno, Edoardo, oggi ti aspetta una giornata ricca di impegni gratificanti.” Zitta, per favore.
Sì concentra un istante e riesce a far star zitta l’AI dello smartphone.

Piccole rifiniture: metti il pensiero diretto a capo dopo la frase ed evita la ripetizione (zitta-zitta).
Così:

“Buongiorno, Edoardo, oggi ti aspetta una giornata ricca di impegni gratificanti.”
Zitta, per favore.
Sì concentra un istante e l’AI dello smartphone si silenzia.

Ride tra sé. Potevano toccargli in sorte chissà quali poteri, col mondo pieno di polari, e invece… lui al massimo bypassa le notifiche e spegne il tostapane a distanza. Almeno ha rimandato per un po’ a dormire quella voce femminile che all’inizio lo attizzava quasi, ma che dopo un po’ è diventata come una mamma fastidiosa che irrompe, non richiesta, nel quotidiano. Aveva provato anche con una voce maschile, ma faceva troppo gay friendly per i suoi gusti, e allora, nonostante la scocciatura, era tornato sul femminile.

Urca, quanti spiegoni in poche righe. Il mio consiglio è di far intuire di più senza spiegare passo passo; qualora invece tu voglia comunque passare tutte quelle informazioni (a mio avviso superflue in un lavoro così breve), fallo almeno riducendo all’osso le divagazioni. Tutta la parte dei poteri la puoi semplificare, tanto il contesto è chiaro; per le frasi seguenti puoi evitare gran parte di passaggi specificanti perché evidenti nel senso proprio di poche parole e aggettivi: se usi “mamma fastidiosa”, per esempio, puoi tranquillamente omettere “che irrompe, non richiesta, nel quotidiano”, decisamente pleonastico. Tutto ciò volendo mantenere il tuo impianto, che io invece segherei a “mamma fastidiosa”. A limite potresti aggiungere una frasetta tipo: “e dire che, all’inizio, quella voce gli era persino sembrata sexy”. Stop. Ma vediamo come cambia il passaggio anche solo con una “cura dimagrante”:

Ride. Col mondo pieno di polari dai poteri fantastici, lui al massimo bypassa le notifiche e spegne il tostapane a distanza. Vabbè, almeno ha rimandato l’AI a nanna per un po’.
All’inizio quella voce femminile lo attizzava quasi, ma c’era voluto poco perché suonasse come una mamma petulante. Aveva anche provato una voce maschile, ma era un po’ troppo gay friendly e si era rassegnato a quella femminile.

Noterai, peraltro, come abbia spezzato il passaggio con un punto a capo. L’ho fatto perché la seconda parte non è più in “presa diretta” sui pensieri del personaggio, dunque i passaggi non risultano consecutivi. Cerco di spiegarmi meglio: tutta la parte in cui pensa all’ironia di avere poteri scarsi, fino a quando si consola con il fatto che almeno è riuscito a mettere in sordina la voce è, in modo credibile, il resoconto del suo flusso di pensieri in quel momento; la parte seguente in cui viene illustrato al lettore il rapporto pregresso con quello strumento, invece, appare difficilmente interpretabile come un pensiero contemporaneo alla narrazione, motivo per il quale io eliminerei del tutto la parte. Conservarla, tuttavia, è possibile senza incorrere in errori di pdv, perché tutte queste informazioni sono comunque pertinenti al vissuto del personaggio e, dunque, correttamente veicolabili al lettore. Solo, non sono in linea con un flusso di coscienza. Per tale motivo una cosa banale come un punto a capo diventa, a mio avviso, un’implicita e importante linea di demarcazione fra i due registri narrativi (diretto e “ricapitolativo”, se mi passi il termine). In generale mi sento di consigliare uniformità nel punto di vista, anche se io stesso spesso alterno una presa più diretta a una più distaccata. È una tecnica che mi piace considerare come lo zoom di una telecamera che, benché sempre puntata sull’interiorità del personaggio, si avvicina e allontana a seconda delle esigenze, e concordemente ai “movimenti di camera” aggiorna anche il registro lessicale. Tuttavia, è necessario essere consapevoli di queste variazioni e saperle gestire, anche con piccoli accorgimenti; se lasciate al caso, rischiano di rendere il flusso narrativo meno omogeneo e scorrevole. A essere onesti, è una modalità di scrittura che presenta insidie anche quando si abbia molta pratica e la si usi consapevolmente. A mio avviso, non tutti gli scrittori alternano differenti piani d’immersione nel pdv in modo consapevole e ragionato.
Infine, per completezza, ti espongo come avrei chiuso io la faccenda, senza tutta la parte sui poteri e la voce femminile:

Ride. In un modo di polari, lui al massimo bypassa le notifiche e spegne il tostapane a distanza.
Vabbè, almeno per un po’ l’AI se ne starà a nanna.


Con sacerdotale calma si tira a sedere sul letto e sente immediatamente la testa pesante e gli occhi gonfi. Immagina la sua immagine riflessa allo specchio come quella di un rospo e ride di sè e dei sui quarantacinque anni.

Trovo un pattern ricorrente. A parte la ripetizione della risata, che hai usato appena poche righe sopra, e il registro d’immersione di cui parlavo prima, che qui è una via di mezzo (“sente” la testa pesante; avresti potuto scrivere, gradando diversamente: “Con sacerdotale calma si tira a sedere. Testa pesante, occhi gonfi”, oppure: “Cazzo come gli pesava la testa”), il vero problema è relativo alle informazioni. In poche righe, dall’inizio, mi stai sommergendo. Ora mi dici, in maniera un po’ pretestuosa al limite dell’infodump, che ha quarantacinque anni. La frase “ride di sè e dei sui quarantacinque anni” è, a mio avviso, forzata.
Poi, perché deve immaginare di guardarsi allo specchio? Fallo guardare per davvero, così puoi anche fargli pensare, senza lambiccamenti immaginari, la similitudine col rospo. Una roba tipo:

Si dirige in bagno e affronta lo specchio con riluttanza.
Merda. Altro che occhi gonfi. Un rospo quarantacinquenne con i postumi di una sbornia.

Premesso che rimanderei l’informazione anagrafica, si può a mio avviso farla passare in maniera più naturale, per esempio avvicinandosi al pdv e includendo l’informazione in un flusso di pensieri credibile in quella circostanza. Altrimenti, c’è il rischio di far avvertire al lettore l’ansia di “fargli sapere cose”.

Doccia.
“Caro Edoardo, per ristabilire il tuo equilibrio biochimico ti consiglio… “. Ora è più sveglio e allora ci gioca con l’AI. “... di bere subito altra birra!”.
“Ahahah, bene, Zenobia, va bene.”
Col bagno caldissimoo entra subito in un’altra dimensione, dove i muscoli della schiena si rilassano e avverte meno la stanchezza.

Scopro ora che l’AI ha un nome. Avrei sfruttato questo dettaglio sopra, in tutta la parte (superflua IMHO) in cui parli del fatto che all’inizio quella voce fosse sexy. Lì avrei scritto qualcosa del tipo “le aveva pure dato un nome sensuale” o “l’aveva persino chiamata Zenobia come la modella”).
In quanto al bagno “caldissimoo”, credo la “o” in più sia di un refuso. Comunque continua a essere tutto molto raccontato, il che fa a cazzotti con la presa diretta che usi in altri passaggi. Inoltre, di nuovo, anche rimanendo descrittivo, puoi usare meno giri di parole ed essere più immersivo:

Entra nel bagno con un mugolio di piacere. I muscoli si distendono all’istante e la stanchezza e si scioglie nell’acqua caldissima.

Piacevolmente intrappolato in quella dimensione fa il punto della giornata. Oggi è Sabato, quindi non ha niente da fare. Bene, si potrebbe cominciare col pulire casa, e pranzare con calma, leggere e poi riposare un po’. Vorrebbe cominciare Martin Eden. Poi di pomeriggio potrebbe andare a fare un aperitivo… porca troia! Ma quale Sabato del mese è oggi? Il secondo! E che ore sono! Le nove e mezzo! Porca puttanissima!

Olè. Questo passaggio è perfettamente esplicativo di quel che dicevo prima: parti più esterno, dicendo che fa il punto della giornata “piacevolmente intrappolato in quella dimensione”, una cosa che nessuno mai penserebbe di sé stesso; passi poi a un discorso diretto libero: “Bene, si potrebbe cominciare col pulire casa, e pranzare con calma, leggere e poi riposare un po’”, insomma siamo proprio nella sua testa; di colpo mi butti fuori facendo raccontare al narratore cosa gli passi in mente: “Vorrebbe cominciare Martin Eden”; infine presa direttissima sulle esatte parole che sta pensando, con tanto di improperi, domande (a proposito: “che ore sono” richiede un punto interrogativo, non esclamativo) e pause d’incertezza, rappresentate dai puntini di sospensione.
Credo di aver reso l’idea: non c’è uniformità, pur in costanza di punto di vista.
Ora cerco di smettere di analizzare questo specifico aspetto, altrimenti rischio di perdere di vista la trama ed eventuali altri particolari di rilievo.

Per fortuna anche se è Marzo non fa freddo e può far partire la Seat Marbella a bomba, come quando era una macchina giovane. Così per giocare, tanto in quella zona residenziale appena fuori dal centro di Pistoia non circola nessuno, parte a fiamma, facendo stridere tutta la macchina come se fosse una lattina arrugginita.
Si diverte a immaginare lo stupore dei passanti che lo vedono: penseranno di aver visto una specie di dinosauro in giro per le strade, invece di un automobile volante moderna. Roba meccanica come quella non si vede ormai quasi più. Tutte auto fullelecritc o flyingelectric. È solo per un cavillo burocratico di una legge del 2024 che si può ancora circolare con quei rottami acciottolanti; cosa che comunque comporta diverse criticità, come l’essere additato come un altro “rottame”, ma della società, o, peggio ancora, l’effettiva impossibilità di fare colpo su una donna. Ma sono entrambe situazioni con cui Edoardo ha da molto imparato a convivere serenamente, e a bilanciare, rovesciando la medaglia: con una macchina obsoleta come quella si possono prendere i dossi stradali a velocità da film comico…ma soprattutto, si può sgommare usando il freno a mano, cosa ormai impossibile con le auto moderne. Lo stridere degli pneumatici sull’asfalto è una libidine per Edoardo, che lo riporta indietro ai tempi in cui era ragazzo e lo fa ridere come allora. Un passato che lui nostalgicamente considera più vero, con meno filtri social e AI, del presente.

Sono sopraffatto dalle informazioni che mi hai rovesciato addosso in maniera diretta. Il luogo, la macchina, addirittura la legge, con tanto di anno. Non posso riscrivere tutto ma, in linea generale, molte informazioni puoi ometterle, alcune diluirle, altre farle intendere, moltissime, se vuoi comunque trasmetterle, puoi veicolarle con escamotage classici tipo dialoghi, considerazioni legate alle circostanze e/o all’ambiente (tipo: prende un dosso e pensa che quel rottame ha almeno quel vantaggio). Così risulta tutto troppo astratto, forzato e, soprattutto, si mette in mezzo come un tronco all’effetto presa diretta che credevo avresti voluto ottenere a giudicare dalle prime righe. Intendiamoci: non stai sbagliando in termini assoluti, anch’io passo un mucchio d’info al lettore (e, in effetti, identifico questo come un difetto, tanto che in fase di seconda stesura cerco di limare, selezionare e ridistribuire il più possibile), tuttavia credo tu stia dosando male questo strumento. In poche parole: devi essere più subdolo e distribuire i concetti che vuoi passare in maniera credibile e diluita. Questo almeno il mio pensiero.
A livello stilistico segnalo alcune scelte opinabili di aggettivi molto (troppo?) ricercati (“acciottolato”, “obsoleto”) per un registro che dovrebbe parafrasare il flusso di pensieri del personaggio, un avverbio in -mente evitabile e l’uso del nome del protagonista che rende il tutto più esterno. Anche se avevo detto che non l’avrei fatto, devo tornare sulla gestione dell’immersione del pdv, perché indicare Edoardo per nome (almeno in questi passaggi, non è che sia sbagliato in assoluto) pone un ulteriore grado di separazione fra il lettore e il suo punto di vista, che risulta filtrato da un “man in the middle” che riporta impressioni e specifica a chi appartengano (a Edoardo, appunto). Prova a leggere il passaggio semplicemente omettendo il nome proprio, secondo me già cambia.
Infine, confermo l’impressione di una patina di raccontato a sfavore del mostrato. Se qualcosa “è una libidine” fallo percepire. Ride come un cretino, ha una vertigine, un brivido, un senso di esaltazione? Cosa prova, insomma? Prendiamo l’ultimissimo pezzo, che ho asciugato un po’, privato del nome proprio e mostrato un pelo di più. Versione originale:

Lo stridere degli pneumatici sull’asfalto è una libidine per Edoardo, che lo riporta indietro ai tempi in cui era ragazzo e lo fa ridere come allora. Un passato che lui nostalgicamente considera più vero, con meno filtri social e AI, del presente.

A me sembrerebbe più funzionale e meno “mediato” se fosse una roba del genere:

Le gomme stridono sull’asfalto e l’accelerazione lo schiaccia contro il sedile con una leggera vertigine. Ride. Di colpo ha di nuovo vent’anni. Bei tempi quelli, con meno filtri social e AI. Di sicuro più veri.

Sfrecciando davanti agli autovelox attiva il suo potere e fa registrare agli apparecchi velocità assurde, contro le quali potrà fare ricorso e non beccarsi la multa. Trecentocinquanta chilometri orari sulla provinciale!

Ehm, non sarebbe più semplice far registrare una velocità entro i limiti ed evitare lo sbattimento di dover fare ricorso, già che può manipolare quel valore? Dettagli come questi rischiano di compromettere la sospensione d’incredulità, che nel genere fantastico va costruita e preservata a ogni costo. Peraltro, ribadisco che ha un potere per cui darei due dita di una mano, altro che inutile.

Accende lo stereo e ci inserisce un compact disc; un altro oggetto che farebbe strabuzzare gli occhi a un ragazzo di oggi.

Avevamo già capito il concetto, che è stato trasmesso in maniera più che chiara a più riprese, non hai bisogno di calcare ancora la mano. Inoltre, uno che usa oggetti vintage abitualmente non si sofferma ogni volta a riflettere su quanto siano vintage e quanto gli altri si meraviglierebbero se lo vedessero. Non sono pensieri realistici e, pertanto, infrangono a maggior ragione la sospensione dell’incredulità.
(A onor del vero, aggiungo dopo la seconda lettura, mi sa che il CD è l’oggetto bonus della gara; non cambia il fatto che non è comunque il caso d’indugiare sul concetto, bastava menzionarlo)

Alza il volume a palla, con i bassi sfondati da decenni che friggono come patatine nell’olio bollente.
Tu sei. Liberooo. Di essereee. Niente più. Di un numeroooooo!
Sei…

Pezzone.

“Sei in ritardo.”
“Sei in ritardo.”, ripete la vocina del cane, grazie al Dog-AI, impostata sul tono più irritante mai stato concepito nell’universo. Quel barboncino non gli è mai rimasto simpatico.
“Sì, scusami Marzia… i ragazzi sono pronti?”

Il dettaglio del dog-AI è un po’ buttato là ma vabbè, però lo stacco con la scena precedente e il fatto che tu non abbia specificato chi parla nella prima battuta genera un po’ di confusione, ed è necessario rileggere per capire che il protagonista non sta rispondendo al barboncino.

“Padre! Padre!”
“Padre un accidenti!”, e accoglie i suoi due figli con un bello scapaccione a testa. “Babbo!”
La sua ex-suocera lo fredda con un’occhiata assassina, resa ancora più perforante dagli occhiali appuntiti stile cat-eye, che gli rendono le pupille come giganti, per un istante.
“Scusami, Marzia… dai ragazzi, ora andiamo.”
Mentre Sirio e Ipazia prendono i loro zaini per il fine settimana, lei continua a squadrarlo con uno sguardo carico di tutto il disprezzo accumulato negli anni. Come se fossero raggi solari concentrati da una lente d’ingrandimento, Edoardo si sente bersagliato da tutti i pensieri negativi che lei riesce a evocare dai suoi personali inferni. Sarà un super-potere? Si chiede, ironico. Il matrimonio finito con Silvia, troppo presa da carriera e viaggi di lavoro per essere una compagnia con cui condividere serenamente cose semplici e tempo insieme senza interferenze. I lavori che “non sono lavori” di lui, prima aspirante scrittore, poi insegnante precario di storia, e dopo il divorzio, barista, cameriere, rider, assistente agli anziani. Dalla precarietà economica all’esclusione sociale il passo è breve. Condanna del giudice al poter vedere i bambini solo due fine settimana al mese e interdizione della responsabilità genitoriale permanente; impossibilità di avere parola su scuola, sport, futuro…

Ci risiamo, una marea d’informazioni rigurgitate addosso al lettore in maniera troppo forzata e molto raccontata.
Inoltre, l’intento di creare empatia è fin troppo chiaro: lui è un sognatore aspirante artista che ce la mette tutta, facendo lavori umili e altruisti. La suocera e la moglie, inspiegabilmente assente dalla scena (non ho capito la scelta di farlo confrontare con la suocera, ma ok), sono invece due orrende arpie (la moglie anche carrierista ed egoista) cariche d’odio inspiegabile e del tutto irrazionale verso un uomo tanto ammirevole. Troppa dicotomia, per me (e te lo dice uno che, in un romanzo, ha un personaggio di ex moglie odiosa che più non si può). Il quadretto scivola poi un po’ nel grottesco quando menzioni un’ipotetica “condanna del giudice a poter vedere i bambini solo due volte al mese”. Ma perché? Una condanna segue un processo penale (ci deve essere un reato), le separazioni non funzionano così e, soprattutto, gli accordi non hanno relazione con il reddito. Capisco che siamo nel tuo mondo narrativo, ma questo forte elemento di distopia anti maschile o… boh… iper social-capitalistica?... arriva del tutto inaspettato e ingiustificato, a maggior ragione visto che, fra la miriade d’informazioni che hai fin qui veicolato, non c’è nulla che possa far presagire uno status quo tanto diverso da quello reale. In generale, laddove non ci sia nulla a indicare il contrario, il lettore presume che le cose nei mondi narrativi vadano come nel nostro, e la situazione che descrivi non è verosimile (so che ci sono padri che vedono due volte al mese i figli, non mi dilungherò sul tema, dico solo che non è per quei motivi né avviene con quelle modalità). La mancanza di verosimiglianza e il macchiettizzare la suocera e il protagonista, benché questo in positivo, rendono il quadro non credibile e forzato.
Questo è uno degli elementi cui accennavo all’inizio che, con qualche aggiustatina, andrebbe facilmente a posto e farebbe marciare la narrazione senza intoppi di sospensione dell’incredulità e/o troppe domande.

“Ciao Marzia, ci vediamo domani. Stammi bene.”
“Alle 19.”
“Sì… Andiamo ragazzi, siete pronti? ”
Mentre stanno tutti uscendo dal vialetto dell'abitazione, il piccolo cane si divincola dalla stretta di Marzia e se la svigna verso l’uscita, forse per dare un ultimo saluto ai ragazzi, ma più probabilmente per tentare un estremo tentativo di fuga.
Correndo e abbaiando euforico finisce per intrampolare tra i piedi di Edoardo, che per poco non cade pure lui.

“Intrampolare”, se non erro, è solo dialettale.

“Accidenti”, starnazza la bestiola.

“Starnazzare” è proprio dei volatili; capisco che in senso figurato si usi anche per “cianciare”, “far grida inutili”, ma visto che il parlante è proprio un animale propenderei per qualcosa tipo “berciare” o, ancora meglio, “latrare”.

Edoardo invece molla una bella bestemmia toscana d.o.c.g., di quelle che gli ha indirettamente insegnato suo nonno quando era particolarmente incarognito.
Non appena riprende l’equilibrio si blocca, e sente, persino di spalle, su di sé lo sguardo infuriato della ex-suocera. Sì, pensa, deve avere un superpotere capace di penetrare i pensieri altrui.
“Edoardo, sei veramente un pessimo esempio da seguire.”, e in stile duello west alla Sergio Leone solleva lo smartwatch e glielo punta contro.
“Per favore, Marzia, lasciami in pace per questa volta.”
Il suo “no” parte come il proiettile di una colt e colpisce il bersaglio. A Edoardo manca solo il cappello da cow-boy che cade afflosciato e un primo piano sul volto sconfitto, con la barba da fare.
La notifica negativa che lei gli ha assegnato, per legge, mette il suo status di “genitore parzialmente attivo” in uno stato di “preallerta”. Un altro passo falso e il suo status di genitore parzialmente attivo scenderà di livello.
Non appena si ricorderà di accendere il telefono, Edoardo vedrà tutti questi aggiornamenti.
“Grazie, Marzia, ti voglio bene anche io.”

Non ci capisco niente. O, se capisco, nulla mi sembra plausibile. Il dialogo è surreale: lui le chiede “per favore lasciami in pace”, lei risponde, semplicemente, “no”. Non credo di aver mai ascoltato un dialogo simile. Uno che non intende lasciarti stare mica ammette di farlo solo per il gusto di romperti le palle, cerca di addossarti qualche responsabilità, aggiunge della polemica, vuole sentirsi dalla parte della ragione insomma. Rispondere solo “no” significherebbe ammettere: “voglio davvero solo darti fastidio perché sono una persona odiosa”.
Se poi invece la richiesta di lasciarlo in pace fosse riferita al non dare la notifica negativa, e il “no” di conseguenza fosse in risposta a quello, beh, non si capisce. Non sappiamo del sistema di notifiche fino a dopo lo scambio fra i due (che, peraltro, avresti potuto completare in maniera diretta, con la battuta della donna, invece di raccontare che la stesa dice no) ed è necessario rileggere per cercare di collegare il senso del tutto (e qualche dubbio, comunque, rimane).
Ah, aspetta! Mi rimangio parte di quello che ho scritto. Scrivo in terza lettura, e ora ho capito che il “no” non è una risposta verbale ma una specie di notifica negativa. Lascio però i miei commenti precedenti perché, comunque, o sono tardo io, o la cosa non era immediatamente percepibile.
Soprattutto, però, pare eccessiva la notifica negativa per la bestemmia. Perché questo sistema dovrebbe permettere (senza alcuna verifica, peraltro) d’influire sullo status giuridico di genitore con tale facilità e per una cosa veniale? E perché dovrebbe consentirlo alla suocera, poi? Guarda, non è che l’idea in sé non possa funzionare, anzi, trovo tutta questa parte e quella seguente molto interessanti concettualmente, sia come metafora dello stigma da social sia, ancor più, come parallelismo con le società regolate da social credit score tipo, in qualche misura, la Cina; la “messa in scena” non verosimile però mi lascia un pelo perplesso. Non percepisco alcun sistema coerente dietro ciò che racconti, nemmeno uno iniquo. Da quel che leggo, semplicemente non pare stare in piedi.
Ah, ultima cosa: da qui fino alla fine è presente l’escamotage narrativo del telefono spento o delle notifiche non controllate, che non convince perché, di nuovo, contrasta con l’esperienza personale del lettore: oggi siamo tutti cellulare dipendenti, vuoi che in un futuro che pare essere almeno dieci anni distante da noi non lo saremo ancora di più? Chi è che spegne il telefono o se ne dimentica, soprattutto se, come nel caso del nostro povero Edoardo, da quell’aggeggio dipendono cose cruciali tipo la sua potestà genitoriale? Insomma, di nuovo, i pezzi non combaciano.

Arrivati a casa di Edoardo, i figli, in quell’ambiente che per loro è una tana sicura, si lasciano finalmente andare. Scarpe buttate da una parte, giubbotti firmati da un’altra, e via verso la libertà. Ipazia con una capriola e salto mortale si svacca sul divano, Sirio invece si sofferma a osservare la curiosa, per lui, libreria del babbo.

Qui torniamo molto esterni, ma davvero tanto. Nome proprio del personaggio e addirittura “i figli”. Questo passaggio si distacca così tanto dal punto di vista interno e al rapporto confidenziale che hai cercato di creare con il protagonista, con tutte le info profuse su gusti, carattere e situazione familiare, che si avverte un forte contrasto, quasi uno scalino concettuale, reso peraltro più evidente dagli accenni alle percezioni dei ragazzi: per loro la casa è una tana sicura e Sirio trova la libreria curiosa.
Gli stessi concetti, semmai, dovrebbero passare attraverso lo sguardo del personaggio che dovrebbe pensare, che so, che gli fa piacere vedere che la sua casa per i figli è un posto sicuro e familiare, a giudicare da come si comportano, e che Sirio è sempre stato curioso verso la sua libreria e l’ha sempre trovata strana fin da piccolo. Permettimi, peraltro, di introdurre un altro elemento di distonia nella narrazione che, a mio avviso, permea tutto il racconto: il tuo protagonista sembra più un viaggiatore nel tempo che un nostalgico. Se ha quarantacinque anni e ricorda i CD, è impossibile che un ragazzo della sua epoca non sappia cosa siano; se è un collezionista di roba vintage (tipo i libri, mi pare di capire), è improbabile che il figlio guardi con curiosità la sua libreria, che avrà visto chissà quante volte. Dettagli che, presentando fallacie logiche, possono suonare stridenti.
Evito di piluccare su “capriola e salto mortale”, una dinamica che mi lascia un po’ dubbioso (cioè, prima fa una capriola a terra poi, di seguito, un salto mortale in aria?) però osservo che il passaggio, con una ridistribuzione dei periodi e una presa un po’ più diretta, migliorerebbe.
Senza rispettare alcun limite di caratteri, butto lì una versione alternativa, giusto per esemplificare il tipo di filtro percettivo che mi aspetterei da un’impostazione come quella iniziale (e, lo so, ho usato “Edoardo anche io, ma in quel passaggio è funzionale a differenziare il soggetto da quello della frase precedente). Ecco una delle tante soluzioni, anche a livello d’immersione nel pdv, che si potrebbero ipotizzare:

Porta chiusa e doppia mandata, che non si sa mai.
Casa, finalmente.
Alle sue spalle un grido di gioia, un rumore ovattato e, subito dopo, uno scricchiolio sinistro.
“Ma porca…!” Si trattiene all’ultimo, come se Marzia fosse in agguato dietro un mobile per appioppargli un’altra notifica negativa.
“O Ippazia, quante volte te l’ho detto? Tu così me lo sfondi, codesto divano! E via!”
Lei lo guarda svaccata fra i cuscini, il visino contrito e infinitamente paraculo.
“Scusa…” mormora con tono colpevole.
L’incazzatura si mescola subito all’amore. “Sì, vabbè, però un lo fa’ più”.
Tanto tra du settimane, sicuro come la morte, salto mortale e me lo crepa da capo i divano. Vabbè, e vorrà dire che lo si comprerà nòvo, via.
Sirio è già a curiosare nella libreria. Lo ha sempre attirato, fin da quando era così nano che nemmeno ci arrivava.
Edoardo sorride. Alla fine, nonostante tutto, lì con lui si sentono liberi. Si sentono a casa.

Edoardo contempla, rincuorato, l’atteggiamento spontaneo dei due di fronte alle cose e alla vita. Tredici anni lui e undici lei, è ancora presto per la cultura di vincere sulla natura.

Didascalico.

Anche se lui è profondamente convinto del contrario, ovvero che la Natura sia più intelligente della Cultura. Non saranno le preoccupazioni della vita adulta a modellare diversamente il loro spirito. Quelle ci sono sempre state e sempre ci saranno. Lo sarà invece il loro atteggiamento rispetto al Leviathano; il grande mostro delle civiltà, della scala di valori culturali, dei modi uniformati di fare e pensare… Si chiede se lui stesso ha fornito loro gli strumenti giusti per difendersi dall’assedio costante e quotidiano della comunità, della massa, del fiume in piena, contro il singolo e la scintilla universale che brucia solo in lui.

Di nuovo: didascalico E si sente tantissimo la voce dell’autore, nemmeno del narratore. Qui non solo perdiamo il contatto con il giusto filtro del punto di vista del personaggio (di sicuro non è una presa diretta dei suoi pensieri), ma il tono retorico ci separa anche dal punto di vista interno. Mi spiego: digressioni di questo tipo sono pure lecite, fin quando attingono dall’interiorità del portatore del pdv, però devono sempre essere piuttosto limitate, diluite nella narrazione, per evitare un eccesso speculativo e, soprattutto, attagliarsi al personaggio. Che so, descrivi una scena e, fra i pezzi delle cose che accadono, intercali i pensieri del protagonista. Parti di testo dedicate in esclusiva a quel tipo di riflessioni, uniti al tono vagamente aulico che usi, rischiano di suonare retorici e finiti. Vera o falsa che sia, la mia impressione è che tu descriva i tuoi pensieri, non quelli del protagonista. Il che è una rottura della quarta parete, per come la vedo io.

Poteteee stareee a gallaaa.

Che è questo? Un pensiero? Una citazione? Perché con le vocali strascicate? Non mi giunge per come probabilmente intendevi.

Beh, lui ce l’ha messa tutta, almeno; anche con l’esempio in prima persona, anche se forse è discutibile.
Si chiede dove i superpoteri, oggi così diffusi nel mondo, li porteranno. E si risponde da solo che, se saranno via via sempre più diffusi come sembra, saranno praticamente ininfluenti a far brillare la loro stella segreta, tanto saranno facoltà accessibili a tutti. Forse la Natura li ha tirati fuori dal cilindro perché siamo troppo idioti, come specie, per risolvere i problemi che noi stessi abbiamo causato al pianeta.
Si diverte intanto a vedere come questi si stanno sviluppando nei suoi figli, grazie a un dono che sembra innato e poioi alle tecniche di sviluppo e gestione ormai insegnate, per le nuove generazioni, nelle scuole. Sirio sembra propendere per un’intelligenza molto analitica e il calcolo e quindi la previsione degli eventi. Ipazia invece per una dote fisica di resistenza e atleticità fuori dal comune. Lo fa ridere il fatto che avesse immaginato per i figli esattamente l’opposto; come i nomi, a cui i suoceri erano ovviamente contrari, lascerebbero presupporre.

Da tutto quello che ho scritto sopra, avrai capito perché ritengo questo passaggio inutilmente lungo, spiegoso e arzigogolato. In una parola: retorico. “Le tecniche di sviluppo e gestione ormai insegnate alle nuove generazioni nelle scuole”, poi, sembra preso da un opuscolo informativo. Lima, sega, ridistribuisci, annacqua.

“Babbo, cosa c’è per pranzo?”, chiede lei.
“Caro Edoardo, oggi ti consiglio un pranzo detox a base di… “.
“Zitta, maledetta.”, e la spegne con lo sforzo di una minima concentrazione.

Manca la specificazione di cosa spegne (si capisce che è l’AI, ma è passato un po’ da quando l’hai menzionata e ci starebbe bene una reiterazione).

“Cosa vorreste, ragazzi? Pasta? Lasagne?”
“Patatine fritte!”, dicono entrambi! Come quando erano piccoli. “E ciccia!”
Era uno dei suoi piatti forti ed è ancora uno dei suoi preferiti. Tagliate sottili, chips, come ha imparato nel periodo in cui ha fatto il cameriere.

Altra specificazione trascurabile e, comunque, trasmessa in modo troppo diretto.

“Ok! Pelate le patate voi, che io vado a prendere la carne.”
“Non ce l’hai già in casa, surgelata?”
“Io vado da Dino, ragazzi.” L’ultimo macellaio del paese, una sorta di highlander, che in barba ai protocolli haccp degli ultimi cinquant’anni serve ancora la carne toccandola con le mani, e con un grembiule talmente sporco di sangue che sembra appena uscito da un concerto degli Slayer.

Il dialogo suona forzato. Rileggi ad alta voce e domandati se qualcuno parli davvero così. “In barba ai protocolli haccp degli ultimi cinquant’anni” è un tono didascalico, da articolo, in un dialogo qualcuno più probabilmente direbbe: “se ne sbatte di tutte le normative, che ci moriremo di normative, maremma cane”, o qualcosa del genere; “con un grembiule talmente sporco di sangue che sembra appena uscito da un concerto degli Slayer” è meno improbabile, ma ci si può ancora lavorare per rendere il tutto più naturale.

“Babbo, chi sono gli Slayer?”
“Un’altra domanda sciocca come questa e vi diseredo.”

Concordo. Stupidi giovani moderni.

E ridono, trovandolo buffo.

No. Basta “ridono”, perché: 1) si capisce comunque che lo trovino buffo e tanto basta: 2) anche se è chiaro, con certezza non possiamo sapere perché ridono, in quanto il pdv è del padre, non il loro, e dunque specificare la motivazione dell’ilarità è inutile da una parte, scorretto dall’altra.

Non sapranno chi sono gli Slayer, ma i baffi se li leccano comunque. Gli ha fatto due svizzerine di manzo al sangue, cotte nel burro, in barba a tutti i protocolli healty degli ultimi trent’anni.

Ridondanza concettuale, hai già detto che se ne sbatte le palle dei protocolli alimentari.

“Volete un goccio di vino, ragazzi?”
Lo guardano come se gli avesse proposto una follia al limite del concepibile.

E in effetti… ma come, per una bestemmia ti blastano la vita e lui offre vino a un’undicenne e a un dodicenne? Un kamikaze!

“Se non vi va, questo sangiovese lo bevo io.” Che ha un gusto che rammenta il sole appena appassito di Agosto, e le morte stagioni, che la presente è viva e il suon di lei.

La citazione corretta dovrebbe essere: “…e le morte stagioni, E la presente E viva e il suon di lei”. Inoltre (ma non lo dico come critica, eh), mi sarei quasi aspettato che i figli gli rispondessero: “ok, boomer” :D

“Cosa dici, babbo?”
“Niente… una vecchia poesia.”
Finito il pranzo si accoccolano tutti insieme sul divano, come facevano un po’ di anni fa.
Sirio ha trovato, nel mare caotico di strani libri sparsi un po’ ovunque, un’opera intitolata Zimiamvia; gli sembra un mattone complicatissimo ma qualcosa di quell’arcana scrittura lo affascina e ci si perde. Ipazia legge un fumetto d’avventura, I Falchi dell’Outremer, anche se dietro ci nasconde l’erotico Yra la Vampira; tanto si è sdraiata un po’ di sbieco e non la vede nessuno.

Se non la vede nessuno, noi come lo sappiamo? Il pdv è sempre quello interno del personaggio quindi, se Edoardo non vede effettivamente il fumetto nascosto, il narratore non ci può rivelare quel dettaglio (e secondo me Edoardo non lo vede, altrimenti glielo leverebbe, che coi tempi che passano nel tuo universo narrativo rischia la pena di morte). A limite avresti potuto scrivere: “tanto si è sdraiata un po’ di sbieco e crede che nessuno non la veda”; non risolverebbe le mie perplessità concettuali sul consentirle di leggere il fumetto erotico, ma almeno il pdv sarebbe intatto.

Edoardo pensa che avrebbe voglia anche lui di leggere qualcosa ma il sonno che gli è mancato durante la notte prende il sopravvento.

Si sveglia con la vibrazione del telefono, che tiene sempre silenzioso, nelle orecchie.
Marzia.
Porca puttana.
“Pronto?”, dice con voce impastata.
“Dove siete?”
“Che vuoi dire?”
“Sei diventato sordo? Dove siete?”
“Dove siamo… a casa!”
“Bravo! Complimenti! E il corso di cinese potenziato?”
Porca puttana maledetta! Se ne era completamente dimenticato. E ormai è tardi.
“Sei sempre il solito.”
“Ciao.”
Vabè, sopravviveremo anche questa volta, anche senza qualcosa da dover per forza fare il sabato pomeriggio.

L’ultima frase si può ridisporre, così suona malino. Basta giusto una parola: “anche senza qualcosa da dover fare per forza il sabato pomeriggio”, o più semplicemente: “anche senza dover fare per forza qualcosa di sabato pomeriggio”.

“Sirio, svegliati, e preparami un po’ di caffe!”
Con la coda dell’occhio vede una nuova notifica sul telefono e si rifiuta di guardarla; sarà l’ennesima nota negativa segnalata da Marzia? Non vuole pensarci. Non vuole pensare ad altro che non siano i figli e il tempo da passare unicamente con loro. L’AI del telefono fa partire un messaggio che lui spegne con un moto di rabbia. Cinque minuti dopo ne parte un altro. Gli viene in mente quella canzone che si intitola “Andate tutti affanculo”.

Ecco, come dicevo sopra, non pare verosimile che, in una società tanto interconnessa e social, ancor più della nostra, e considerando quel che le notifiche possono comportare per lui, Edoardo le ignori in maniera deliberata e tanto a lungo.

“Babbo cosa mangiamo stasera?”, chiede Sirio, col fiatone. Ha appena vinto l’ennesima partita a ping pong con la sorella. Fuori c’era il sole e allora tutto il resto poteva aspettare. Ipazia ha perso tutte le partite, troppo irruenta, per niente tattica, ma è comunque strafelice, forse per il fatto di essersi buttata con tutte le forze su tutte palline che comunque non riusciva a prendere. “Pizza!”, dice. “Babbo, cosa prendi?”

Qui c’è un cambio di ambiente che ho stentato a riconoscere in prima lettura, non capivo perché il sole fuori fosse influente sul ping pong. Poi ho capito che dovevano trovarsi all’aperto e, presi da gioco e dalla bella giornata, avevano trascurato tutto il resto (cosa, di preciso? La cena?) Per ovviare, basta precisare all’inizio del passaggio l’ambientazione, e poi proseguire lisci.

“... “
“Babbo?!”
Edoardo ha avuto un flash pazzesco e stenta a riprendersi.
Una Napoli.
Era la pizza preferita del suo babbo Riccardo. Il ricordo lo prende e lo getta di botto in un mondo che non c’è più, dove lui era piccolo e anche i suoi fratelli, e uscivano tutti insieme il Sabato sera per andare alla Casa del Popolo e al Circolo, a mangiare una pizza. Niente ristoranti, che era roba da signori. In compagnia degli amici del paese, grandi e piccoli, sempre gli stessi, che negli anni crescevano, invecchiavano o se ne andavano.

Confermo l’impressione “viaggio nel tempo”. Tutto ciò che scrivi è plausibile, non dico di no. Immaginiamo di essere nel 2035 (almeno), e il nostro ha 45 anni: i suoi ricordi da bambino risalirebbero ai tardi anni 90 - primi anni 2000. In realtà di paese le dinamiche che racconti sono, in effetti, realistiche. Solo che la somma degli elementi precedenti (libri come oggetti non convenzionali persino nella memoria, auto a carburanti fossili viste come residuati antidiluviani, ecc) dà la sensazione che vi sia uno scarto temporale enorme fra il periodo “semplice” e senza fronzoli ricordato da Edoardo con tanta nostalgia e quello coevo ai fatti. Il protagonista, che non è peraltro un vecchio, sembra davvero un uomo fuori dal suo tempo più di quanto sarebbe lecito supporre. Stando alla mia “datazione”, ha comunque vissuta la sua giovinezza in piena epoca digitale, anzi, è stato un nativo digitale, un generazione Z, quindi la sua nostalgia per oggetti come i CD sembra un pelo forzata. Se poi ci trovassimo ancor più nel futuro, l’effetto salto temporale si acuirebbe pure d più e il carattere del personaggio sarebbe ancora più difficile da giustificare.


Una Napoli. Il suo babbo l’avrà presa per venti e più anni di fila, sempre la stessa. Niente materie prime dop o cazzate del genere. “Gourmet” era una parola sconosciuta. Roba da ingrosso, sempre. Barattoloni di passata di pomodoro, secchiate di acciughe. Birra alla spina semitrasparente e sgasata.
Eppure erano tutti felici. Il babbo, la mamma, i fratelli, gli amici, i conoscenti. Quelle serate scivolavano via una dopo l’altra, confondendosi tra loro in un carnevale di ricordi allegri e semplici… il gelato Sammontana, le partite a biliardino, le nottate a chiacchierare sulle terrazze.
Edoardo, oltre a rendersi ben conto di invecchiare, si chiede quale sia il confine tra il romanticismo dei ricordi e l’effettiva realtà delle cose, ma non sa darsi una risposta.

Ok, questa parte mi è piaciuta. Molto. È contestualizzata, prende spunto dalla narrazione e rappresenta in maniera efficace un flusso di pensieri (in questo caso ricordi). Non si perde in riflessioni accessorie, va dritta al punto e risulta efficace. Cazzo, per un attimo ero lì con Edoardo, con la sua malinconia e ho visto, finalmente, i flash d’immagini che gli passavano per la mente. Non “dici” che si ricorda tante cose felici, ce le mostri, e bene. Le pennelli con parole precise, ognuna evocativa. Non “dici” che pensa che non ci fossero materie prime dop perché all’epoca non c’erano ancora le norme varate nell’anno bla bla bla, spari dritto e colpisci nel segno. Oh, ben fatto davvero. Poi, per finire, esci dal flusso dei ricordi con una riflessione breve e calzante che ci riporta nel presente. Di nuovo: perfetto come l’arrivo di un campione di sci in fondo alla discesa. Ottimo anche il lessico, con quella singola parola, “babbo”, che parafrasa i pensieri di Edoardo per come di certo vengono pensati, in toscano. Ora, mannaggia a te, non potevi scrivere tutto il racconto così, dico io?

L’AI continua a mandargli delle notifiche ma ora non ne ha proprio voglia.
“Ok, ragazzi. Io una Napoli. Voi?”

Mezz’ora dopo rientra a casa con tre cartoni fumanti. “Forza, ragazzi, è pronto.”
“Babbo, devi controllare il telefono.”, e Sirio glielo passa.
“Dai, lascia stare ora, mangiamo, che le pizze sono calde.”
“Secondo me è meglio se dai un’occhiata. Hai ricevuto tantissime chimate. Te lo eri dimenticato qui.”
“Fammi vedere. Voi mettetevi a tavola intanto, almeno ceniamo tutti insieme.”
Quella stronza di Marzia gli ha mandato un’altra valutazione negativa sullo status di responsabilità genitoriale temporanea. Così il suo livello ha raggiunto il livello di allarme giallo. In assenza della sua visualizzazione e della richiesta, da parte dell’AI, della sua disponibilità a chiedere assistenza ai titolari della responsabilità genitoriale permanente o all’assistente sociale designato, l’allarme è divenuto arancione. Nessuno ha risposto alle chiamate, né avrebbe potuto perché Edoardo non aveva il telefono con sé e solo il proprietario dell’apparecchio può, per i sistemi di privacy e sicurezza, farlo.

Ecco: vedi che non sta in piedi? Addirittura tu stesso ci spieghi che la mancata visualizzazione delle notifiche e/o l’omissione di azioni significative avrebbero potuto influire in maniera molto seria sulla sua potestà genitoriale, e che lui era ben consapevole di questo fatto. Come potrebbe risultare credibile che, per l’intera durata della narrazione, abbia consapevolmente ignorato il telefono, sospettando peraltro che proprio di notifiche negative e cose pertinenti ai figli si trattasse, ogni volta che s’illuminava? O è un incosciente, o un coglione, o vuole levarsi di torno i figli una volta per tutte. In realtà, a mio avviso, hai piegato la trama (e le azioni del tuo personaggio) al finale. Per arrivare al risultato prefissato hai distorto la logica interna della narrazione, cercando di giustificare ognuna delle storture nell’auspicio che il lettore si accontentasse delle spiegazioni di volta in volta fornite e arrivasse alla fine senza farsi domande. Per come la vedo io, è una sottovalutazione del pubblico e un tentativo di prendere la via facile che quasi mai funziona.

Allarme rosso. Partita automaticamente la chiamata alla stazione delle forze dell’ordine più vicine e all’assistente sociale.

Addirittura! Invidio l’efficienza della società che descrivi (che me la rende ancora più irreale, peraltro); detto questo, l’intervento delle FF.OO., a quanto tu stesso mi dici prevedibile in caso di mancato riscontro alle notifiche, rende il comportamento di Edoardo ancora più illogico.

Porca straputtana. Se solo si fosse ricordato di prendere il telefono, avrebbe potuto perlomeno interferire, posporre l’AI, col proprio potere… se.

Eh no, se rileggi sopra noterai che se ne era ben ricordato del telefono, aveva visto una notifica con la coda dell’occhio aveva proprio pensato… aspetta… ecco:
“Con la coda dell’occhio vede una nuova notifica sul telefono e si rifiuta di guardarla; sarà l’ennesima nota negativa segnalata da Marzia? Non vuole pensarci.”
Peraltro, questo accadeva DOPO che la suocera lo aveva già cazziato per essersi dimenticato il corso di cinese potenziato, quindi comportamento ancor meno scusabile. Come vedi, la dimenticanza cui attribuisci il precipitare degli eventi non c’è stata e, come dicevo, non puoi cambiare i fatti in corsa per arrivare al punto d’arrivo prefissato.

Tira il telefono sul divano con un gesto sconsolato. “Ragazzi, mi sa che non potrete dormire da me stanotte.”
“Nooo! Perchè?”
“Poi ve lo spiego, ora mangiamo, dai.”, e li fa l’occhiolino.

“E fa loro l’occhiolino”.

Preparata la tavola, a Edoardo viene voglia di sentire un po’ di musica. Nel suo archeologico lettore cd e mette la colonna sonora di “Giù la testa.”
Iniziano a mangiare sul principio della voce femminile. Sul coro, profondo e dolce, Edoardo vede dalla finestra dietro di sé i lampeggianti blu.
Si beve, gustandolo, tutto il bicchiere di birra Moretti. Maremma com’è bona, in compagnia dei ragazzi.

Concludo in linea con quanto già evidenziato: ti stanno arrivando le FF.OO. a casa per prenderti i figli e tu metti su una canzone, ti stappi una birretta e cominci a mangiare? Ma dovresti averci l’ansia che ti divora gli organi interni, cercare di metterci una pezza, agitarti… insomma: no, dai.
Ok, fine dell’analisi più o meno puntuale. Spero di essere stato utile e non essere suonato sgarbato in alcun modo. Il mio consiglio finale è: da qui in avanti scrivi tutto come il pezzo che dà il titolo al racconto, visto che ne sei capace, e nessuno si staccherà da un tuo scritto, breve o lungo che sia.

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Re: Semifinale Cardone

Messaggio#3 » mercoledì 3 maggio 2023, 10:51

Energia pulita

Anche per questo racconto parto con un cappello generale sulle impressioni e, a seguire, l’analisi approfondita del testo.
Allora: luci e ombre. La prima parte, quella onirica, mi è piaciuta molto, ma ha il difetto di essere un corpo estraneo rispetto al resto del racconto, come spiego meglio in seguito.
I punti forti della narrazione sono, in assoluto: la resa del flusso di pensieri del protagonista, fluida e verosimile, e la forma generale della scrittura, globalmente buona e sciolta, con l’eccezione dei dialoghi, più legnosi e artificiali. Belle immagini, figure retoriche azzeccate, passaggi a tratti divertenti, ritmo sostenuto e poche/accettabili digressioni mentali.
Le ombre, invece, sono la logica sottostante a molte scelte narrative, non di rado traballante; la resa dei dialoghi, come dicevo unico elemento di forma che lascia a desiderare e necessita, a mio avviso, maggior cura e/o pratica; la sospensione dell’incredulità che non riesce quasi nemmeno a formarsi, prima di essere abbattuta a colpi di trovate improbabili e stiracchiate; la presenza d’infodump. Sopra ogni cosa, però, c’è un finale raffazzonato e inverosimile che non funziona e affastella cliché e frasi stereotipe. Peccato davvero, l’impressione è che il tempo fosse agli sgoccioli e l’ultima parte sia stata tirata via un po’ come veniva, perché il calo rispetto a quanto precede è evidente.
La mia opinione è che l’autore abbia una bella voce forte e riconoscibile, in grado di gestire la narrazione in prima persona, che ho sempre considerato ostica e insidiosa (spiego oltre), e agganciare il lettore in modo saldo; in questo lavoro, purtroppo, queste virtù sono un po’ sprecate con una storia poco ispirata, pur se con un’idea di base accattivante. Il potere di trasformare i liquidi in petrolio è piuttosto originale, in effetti, e un ottimo spunto potenziale che, però, è in buona parte rimasto tale.
Se escludiamo l’ultima parte del racconto, nella mia valutazione, c’è comunque una sufficienza piena. Se includiamo il finale, scivoliamo sotto l’asticella.
Vado con il commento al testo.


Con la forza di un gancio ben assestato, arriva, improvvisa, un’altra visione.
Il collo mi si flette all’indietro, gli occhi al cielo, ma vedo tutto: il passato, il presente e il futuro si confondono in immagini sfumate. Una cheerleader si rompe una gamba, i soldati di Napoleone scappano nella campagna russa tendendosi i vestiti chiusi con le mani perchè i bottoni in stagno si sbriciolano a uno a uno, la prima casa su Marte sembra un bunker antiatomico giallo paglierino.

Bello, mi piace. Tuttavia, poiché sono alla seconda lettura, mi chiedo: ma questo preambolo onirico a cosa serve?

Una mitragliata di flash sempre più veloci fino a che lo sento pulsare. È nella voragine.

Che cosa è nella voragine? È tutto suggestivo, ma davvero non colgo il nesso con quello che accade dopo nel racconto, mi pare uno spreco di caratteri scollato dal resto.

Lo so con certezza. La visione mi abbandona come è arrivata. Mi dà sempre un po’ di nausea quando succede, ma mi riprendo presto dai capogiri e procedo nel mio cammino. Ecco, ci siamo.
Questa volta non l’ho sentita arrivare e l’immagine è davvero troppo lenta: deve essere reale. È reale!
Oddio, quello è un orso polare!
Indietreggio piano, il freddo e la stanchezza non mi permettono di fare altrimenti.
È soprattutto in momenti così che rimpiango di non avere un potere più figo e utile, che ne so, una cosa che mi permetta di sconfiggere i predatori, piuttosto che questa onniscienza confusa e improvvisa.
L’animale è così vicino che lo sento respirare e io non so come uscire da questa situazione.
Zio polenta, proprio ora che ero praticamente arrivato.
Deglutisco una massa densa di saliva.
L’orso mi ha quasi raggiunto quando sento in lontananza una versione metal della musica del circo.

Mmm… qui secondo me ti stai scollando dal registro narrativo che hai scelto. Premesso che mal digerisco la prima persona al tempo presente per tutta una serie di motivi (primo fra tutti: perché il narratore intradiegetico sta narrando, a chi si rivolge? Perché fa una cronaca in tempo reale di quello che vive? È credibile un simile dialogo interiore? Domande all’apparenza banali ma che, a mio avviso, fanno sorgere problemi di gestione della narrazione e, sebbene con questo pdv l’immersione sia immediata, in realtà c’è uno strisciante rischio di danneggiare la verosimiglianza della trama; ma sono considerazioni soggettive che lasciano il tempo che trovano), ne riconosco tuttavia l’uso abbastanza diffuso; però quell’avverbio non mi convince. “Quando”, in quella posizione, ha un valore anticipatorio che suggerisce quasi l’uso di un presente storico, come se stessi descrivendo al presente fatti già avvenuti e noti, tipo: “Napoleone è al culmine della sua carriera militare quando subisce la sua prima è più schiacciante sconfitta”. Non so se rendo l’idea. Se cronaca in presa diretta dev’essere, che cronaca diretta sia. “L’orso mi ha quasi raggiunto. In lontananza, del tutto inaspettata, una versione metal della musica da circo”, o qualcosa del genere. Quel “quando” mi dice che il narratore sa già dove si andrà a parare. E questo è uno dei problemi della prima persona al presente, IMHO.

Il resto della parte con l’orso, al netto di qualche refuso, mi lascia tiepido. Non solo non capisco il perché del preambolo, ma nemmeno mi è chiaro il motivo per cui, nel sogno, il protagonista ha un potere diverso da quello che vedremo nel resto del racconto. Non ho ancora letto il romanzo di Francesco, forse c’entra con quello; in tal caso, però, la pezza sarebbe peggio del buco: ritengo che un racconto dovrebbe essere fruibile come opera a sé e già ho trovato al limite dell’accettabile il riferimento alla voragine; se fosse necessario aver letto il libro per capire di cosa stai parlando sarebbe anche peggio.
Sono consapevole che oltre spieghi che il potere di Luigi si manifesta ogni volta che sogna la voragine, ma fatico molto ad accettare questo nesso causale, piuttosto ci vedo un pretesto per poter scrivere la parte onirica iniziale, che è in effetti una delle sequenze migliori del racconto. Potrò sbagliarmi, ma è un fatto certo che la storia funzionerebbe nello stesso identico modo se il protagonista, semplicemente, orinasse petrolio dopo aver dormito. O dopo aver sognato la voragine, se proprio vuoi mettercela, ma sarebbe bastato dirlo (in questo caso tranquillamente anche senza mostrarlo, in barba allo “show don’t tell”). In ogni caso, tutta la parte dell’onniscienza sembra davvero avulsa dal resto. Ripeto: mi piace ma è inutile e stridente. Nei racconti l’inutile si può tranquillamente tagliare anche se bello; se poi desta perplessità, a mio avviso si deve tagliare.

Un bruciore lancinante mi investe le budella

Qui avrei usato un verbo diverso, che desse meno un’idea cinetica e più il senso di qualcosa che si diffonde, che invade. Che so, “si espande nelle budella”, “mi striscia nelle budella”, una cosa del genere. “Mi investe” richiama alla mente un autobus, un corpo contundente.

Raggiungo il bagno appena in tempo. Estraggo dall’armadio il secchio che utilizzo per questi momenti e lo metto di fianco al cesso. Mi appoggio con la mano alla parete e inizio a pisciarci dentro.
Per quanta energia ci metta, il viscido e denso liquido nero cade piano, pesante, nel contenitore. Il suo odore forte riempie la stanza.

Questa la ridistribuirei un po’ e, soprattutto, cambierei la parte della caduta del liquido. Per quanto denso possa essere, non può cadere “piano”, la forza di gravità sempre quella è. Semmai il flusso uscirà flebile o lento, l’idea che vuoi trasmettere è la lunghezza dell’operazione e la sua impotenza nel velocizzarla. Io propongo una roba tipo:

“Per quanta energia ci metta, il fiotto nero e vischioso esce con estenuante lentezza e si raduna sul fondo del contenitore con placida indifferenza. Il suo odore acre satura la stanza.”


“Cosa ridi? Cosa diamine c’è da ridere?”, ho le ciglia bagnate per lo sforzo mentre fisso il gabbiano sporco di petrolio che mi sta sulla spalla.

Mah, la trovata del gabbiano mica mi convince tanto, eh. Non vedo cos’abbia a che vedere con i superpoteri, mi pare più una cosa sovrannaturale, o uno stand alla Jo-Jo.

Ficca il becco nel secchio. Ora è ancora più sporco di quando è comparso. E poi mi guarda. Giudicante.

Sono un po’ confuso da tutta questa storia. Perché ficca il becco nel secchio? Che fa, beve? Boh, ci sono una serie di dettagli che mi sembrano inutili, il senso di surrealtà che volevi suggerire c’è già tutto, io non appesantirei con dettagli senza una ratio precisa.

una lacrima mi si ferma nella barba. Non ho mai capito perché valga per tutti i liquidi, compresa la pipì, ma non per saliva, sudore e lacrime. Beh, meglio, altrimenti sarebbe ancora più un casino.

Quali sarebbero, di preciso, “tutti i liquidi”, a parte orina, sudore, lacrime e saliva? Ti confesso che ho un po’ paura della risposta… :D

Gretto Thunberg si pulisce il becco sulle mie scarpe.

Meh. Non so se mi piace la trovata del nomignolo. Però qui son gusti.

“So a cosa stai pensando, uccello maledetto. Va bene, ci ho fatto due soldi i primi tempi e quindi? Adesso è una colpa? Ne ho fatti anche meno di quelli che avrei potuto. Ma chi se lo immaginava che l’umanità avrebbe deciso che gliene importava qualcosa dell’ambiente?”, tiro su la cerniera dei pantaloni e apro il rubinetto, sovrappensiero.
“E come se non bastasse, oltre al danno, la beffa: ci sei tu, pennuto schifoso, a ricordarmi quanto faccio pena”.

Qui abbiamo un po’ d’infodump sotto forma di “as you know Bob”. Tutte quelle informazioni lui le sa, il pennuto di certo le sa, non essendo la prima volta che si ripete quella tarantella del pisciare petrolio, l’unico a non sapere nulla è il lettore, cui porgi informazioni di contesto sotto forma di dialogo (pretestuoso). Sì, lo ammetto, non è un infodump spudorato, l’hai nascosto dignitosamente, ma comunque c’è. E l’info dump è il Male.

Infilo la mano sotto l’acqua corrente che si trasforma immediatamente sporcando tutto il lavandino di nero.
“Merda! Merda, merda!”, afferro la salvietta appoggiata sul box doccia e mi pulisco le mani.

Ahhh! Ecco cosa intendevi, il potere è trasformare ogni liquido con cui il tizio viene a contatto in petrolio, quando tale capacità è attiva. Da come ne avevi parlato pareva si trattasse solo di liquidi corporei, da lì l’effetto grottesco involontario derivante dall’immaginare quali altri liquidi possa secernere il corpo umano oltre a quelli che avevi elencato. Anticiperei questa informazione alla scena in cui sta orinando, per rendere chiaro il concetto.
Inoltre, mi permetto di far notare che questo potere lo avrebbe reso milionario, anche avesse potuto usarlo per pochi mesi. Dico, una capacità del genere sarebbe in grado di spostare gli equilibri geopolitici mondiali. Ti accordi con una multinazionale e ti butti in un bacino idrico, a 100 dollari al barile sei ricco appena tocchi la superfice. Vabbè, diciamo che questo potere ha dei limiti fisiologici, va’. Però lo avrei precisato, facendo passare l’informazione (magari senza infodumpare) che la sfiga ha voluto che, oltre ad avere un potere inquinante, ce l’avesse anche di modesta portata.

“Quando ero più giovane e la mia vita era mediocre, ma non ancora un disastro colossale, avevo letto da qualche parte, mi pare fosse di Capote, che quando Dio ti dà un dono ti dà anche una frusta che è intesa unicamente all’autoflagellazione. Insomma, qualcosa del genere. Temo che sia tu la mia frusta, uccellaccio! Peccato che il mio “dono”, se così vogliamo intenderlo, sia solo la fonte di un mare di problemi. Un mare pieno di petrolio di problemi.”

Mmmmm. Qui però mi pare invece d’intendere che il suo “dono” sia di vasta portata, il che mi porta a riconsiderare quello che ho scritto sopra. Per il bene della verosimiglianza, direi che sarebbe meglio mettere dei limiti alle capacità di Re Mida nero di Luigi; così facendo, però, ti giochi la parte autocommiserativa del potere pericoloso e abietto agli occhi del mondo. Insomma, come la giri la giri, non funziona granché bene. Credo che la scelta migliore sarebbe semplicemente rinunciare alla parte di “me tapino” e buttarsi del tutto su quella del potere inutile perché di scarsa portata e inviso a livello ideologico.

L’uccello apre un paio di volte il becco e garrisce. Io non conosco la lingua dei gabbiani, ma so cosa ha detto: sì, sei uno sfigato.

Leverei “io”. Ho notato, anche sopra, un uso inutile del pronome, vista la narrazione in prima.

Devo anche buttare il secchio di petrolio prima che la pola decida di fare uno dei suoi controlli random e me lo trovi. La mia vita è già miserabile senza la galera, direi.

Cioè? Che significa questo passaggio? Che la polizia fa abitualmente controlli random in casa delle persone per vedere se abbiano del petrolio? In un mondo ormai del tutto green? Mi parrebbe uno spreco folle di risorse. O forse intendevi che la polizia fa controlli random in genere? Ma, anche così, quante possibilità ci sarebbero di un controllo delle forze dell’ordine proprio a casa sua e proprio in quel momento, su tutte le abitazioni possibili? Quanta polizia c’è, nel tuo universo narrativo, uno sbirro per condominio? E poi così, senza un motivo valido per una perquisizione? E addirittura ti arrestano e vai in prigione, se hai un po’ di petrolio in casa? Siamo dunque in una distopia fascista? Mi parrebbe un fatto narrativo abbastanza rilevante, però non ne hai fatto cenno prima e non se ne sentirà più parlare dopo, quindi propendo per il no, pertanto l’intera faccenda non sta in piedi. Senza contare che, in un mondo dove i superpoteri sono una realtà, e per di più sono anche censiti, non dovrebbe essere difficile per il nostro discolparsi e/o addirittura informare le autorità della situazione, in modo magari da essere agevolato nello smaltimento della sua “produzione”. Potrei continuare, ma il punto è che il problema del tuo protagonista non sta granché in piedi, e questo è un problema. La buona notizia è che la storia non ha davvero bisogno di quell’aspetto, e che un potere inutile e disagevole è più che sufficiente come motivo di disappunto, scazzo e malumore.

Il sabato la gente fa cose, va al luna park, ai centri commerciali, a inalare ossigeno nei parchi. Di sicuro non sta a casa a pisciare petrolio, ecco.

In effetti. Non male questo passaggio. In generale mi piace come rendi il flusso di pensieri (al netto di tutte le osservazioni sopra, che sono prevalentemente di tipo logico). La forma è scorrevole, al netto di qualche intoppo.

Gretto Thunberg mi distoglie dai miei pensieri slacciandomi le stringhe con il becco ancora sporco. Afferro il preparato a base di perossido di idrogeno e bicarbonato di sodio che uso quando non mi posso lavare con l’acqua e glielo butto addosso.
“Ahahahaah! Ahhhhh, adesso voli via starnazzando, eh? Dai, l’ho fatto per te: così torni bianco!”, il gabbiano si accuccia sopra il box doccia e mi fissa con l’espressione di chi me la farà pagare.

Ma quindi il gabbiano è reale? No, giuro che l’ho colto solo ora, e sono alla seconda lettura. Ora però voglio vedere come se la gioca il personaggio quando esce di casa, che non me lo ricordo bene. Gli altri vedono l’animale o è invisibile (ndr, dopo la seconda lettura: non lo capiremo mai)? Tutta sta dinamica del gabbiano si capisce e mi convince sempre meno, devo dirtelo.

Mangio il gelato alla menta e alla liquirizia

“Menta e liquerizia”

Devo almeno resistere fino alla buca. Lì, dopo averci buttato dentro quello che ho messo nella bottiglia, posso anche permettermi di fare due goccie, sperando non ci sia in giro nessuno.

Che è la buca? Perché ha bisogno di un posto speciale per smaltire il petrolio? Non va bene un pezzo di terra isolata qualunque? Non è persino più rischioso usare sempre lo stesso?

Eccoli lì, in azzurro, giallo, marrone e verde, in tonalità diverse, le firme della mia condanna:

Ok, si spiegano i colori delle palline dell’orso, almeno quel dettaglio trova un riferimento qui. La penso sempre allo stesso modo sul sogno, in particolare per come l’hai reso, ma questo passaggio migliora un filo la situazione.

Le auto elettriche scivolano sulla strada come mani sulla seta: silenziose ed eleganti.
“Guarda dove cammini!”, il proprietario della Tesla che mi stava per investire mi urla addosso.
Adesso mi spiccio, butto ‘sto schifo nella buca e torno a casa. Al cinema ci vado un’altra volta, non sono ancora pronto per riprendermi la vita e nemmeno i sabati pomeriggio.
Sono fatto per sopravvivere, non per vivere.
Mi metto sul divano, mi guardo C’è un like per te e mi sforzo di non pisciare più. Domani leggo un po’ e lunedì si torna alla solita vita da netturbino che piscia pipì normale e non rischia il carcere. Devo solo sperare di non sognare la voragine di nuovo.

Bel passaggio, similitudine riuscita, flusso di pensieri scorrevole, carina la presa per i fondelli di “c’è posta per te”; stona solo il dettaglio del rischio di gattabuia per il suo potere, per tutti i motivi già spiegati.

Il silenzio del bosco mi rassicura. Non è come il silenzio della città: qui si sentono il vento e le foglie secche schiacciate dalle scarpe a ogni passo e il cinguettio di uccellini decisamente meno fastidiosi di Gretto Thunberg.
Ancora qualche metro e dovrei raggiungere il fontanino, arrivato lì prendo il sentiero a destra fino alla grotta e dietro trovo la buca.

Bene la descrizione ambientale, meno l’ostinazione sulla location fissa di discarica, ma ormai quella strada l’hai presa e vabbè.

Ripasso mentalmente il percorso in maniera ossessiva, non perchè io ne abbia realmente bisogno, è una specie di compulsione che mi è venuta le prime volte che andavo a buttare il petrolio. Almeno non penso a quello che mi succede se mi becca la pola.

Torno a sottolineare che usi troppo il pronome e non c’è n’è bisogno, e che insistere con la polizia che gli fa il mazzo se lo becca è un perenne richiamo a un elemento a mio avviso logicamente fallace che sgambetta di continuo la storia.

“Stai ferma, ti ho detto!”, una voce bassa, maschile mi raggiunge fievole mentre arrivo al fontanino.
Mi fermo e mi metto in ascolto.
“Lasciatemi, vi prego”, la voce della ragazza è seguita da un rumore sordo. Mi metto a gattoni, avanzo di un paio di metri, senza far troppo rumore, e scruto tra gli alberi.
La ragazza piange, mentre il più grosso dei tre farabutti la tiene contro l’albero.
I suoi amici ridono e si slacciano le cinture.
“Vi prego, lasciatemi andare, non dirò niente a nessuno, lo giuro”, con un pugno in faccia quello grosso zittisce la ragazza, che piange mentre un rivolo di sangue le scorre sul mento.
“Non hai capito, bambina, adesso come ci divertiamo insieme noi quattro”, sento una rabbia mai provata crescermi dentro mentre il più basso dei tre le accarezza la guancia con un coltello e il terzo uomo si apre la patta dei pantaloni.

Ecco, tutta questa parte l’hai presa al discount delle scene di malfattori che si accingono a stuprare. Un cliché dietro l’altro, a partire dalle battute, che sembrano prese di peso da un film anni ottanta, al coltello sulla guancia da cattivo generico medio di Ken Shiro. Ti esorto a rileggere la linea di testo che hai dedicato alla ragazza (che, peraltro, si becca un pugno in faccia, non uno schiaffo, eh, incassando senza nemmeno un urletto come un vero peso massimo):
“Vi prego, lasciatemi andare, non dirò niente a nessuno, lo giuro”.
Dove l’ho già sentita? Ah, già, in un milione di film d’azione americani. A questo punto dovevi far entrare in scena Luigi facendogli esclamare: “ehi tu porco, levale le mani di dosso!”

Torno carponi al fontanino e inizio a respirare profondamente. Devo intervenire, ma non so cosa fare.
Sussurro tra me e me:“Sono in tre, sono armati e io non ho la più pallida idea di come muovermi”.
“Questo perché a filosofia non ti hanno insegnato a usare il cervello!”, sobbalzo e mi guardo intorno spaventato.
Non posso credere ai miei occhi: “Gretto Thunberg? Tu… Tu parli?”.
“Io ho sempre parlato, Luigi il Pirla, sei tu che finalmente stai iniziando a usare il tuo superpotere come si deve!”, non lo fa, ma sono certo di aver visto un sorriso su quel becco.

“Non lo fa, ma sono certo di averlo visto sorridere con quel becco”, altrimenti le due frasi non sono legate. Peraltro, anche così funziona maluccio.
In generale, però, da qui in avanti prende tutto una piega stortina: tra luoghi comuni action, dinamiche improbabili da paladino, dialoghi deboli, comportamenti implausibili dei malfattori e un potere davvero capace di spappolare la sospensione dell’incredulità, il racconto si avvia a una fine purtroppo mesta e anticlimatica rispetto all’inizio, ben più ispirato anche se, come già detto, scollegato dal resto della storia.

“No, vedi che a filosofia non ti hanno insegnato a usare il cervello? Tu parli con me, io posso darti una mano a trovare un senso, un’utilità al tuo superpotere perchè io so il male che una parte di quel potere ha fatto, ma l’ha fatto solo perchè usato male. I poteri non sono utili o inutili in sè, non sono buoni o cattivi in sè, dipende dall’uso che se ne fa, dal senso che gli si vuole dare, da come si guarda al mondo”, Gretto Thunberg non è più sporco di petrolio e mi guarda dritto negli occhi.
“Quindi sei saggio oltre che stronzo”, accenno un sorriso al pennuto. “Allora, dimmi, perchè adesso? Perchè sei comparso e io posso parlarti ora?”.
“Perchè ne hai bisogno adesso, idiota! Perchè è la prima dannata volta che non stai a piagnucolarti addosso per quanto la tua vita sia inutile e vuota ma senti il desiderio di agire, di fare qualcosa di buono, di sensato, di utile!”.
Lo guardo e annuisco: “E come mi puoi aiutare tu? Sei qui per farmi da mental coach o hai qualche utilità pratica?”

Confusione. Tanta. Non si capisce chi/cosa sia il gabbiano (lo so, uno spirito guida, l’hai detto, ma ribadisco che si tratta di un concetto misticheggiante che, con i superpoteri, pare c’entrare come i cavoli a merenda, a meno che uno non dia una spiegazione convincente del fenomeno), che peraltro ora è perfettamente pulito, dettaglio che ne suggerisce una natura immaginaria e/o spirituale, mentre qualche paragrafo fa lo abbiamo visto compiere e subire azioni fisiche.
La parte moraleggiante e il tono colloquiale fra i due, peraltro, mentre al di là dei cespugli si sta compiendo uno stupro di gruppo, stonano decisamente. La scena dovrebbe essere tesa, concitata, invece c’è tanto infodump e parecchia voglia di tirare i fili della trama nel momento meno opportuno. Senza contare che, se Luigi sente le voci dei tre ceffi, loro potranno sentire lui mentre parla con il suo amico immaginario (o reale? Boh).

“AHAHAHAH! Simpatico il nostro filosofo. Tu hai un altro potere. Puoi chiedermi qualsiasi cosa derivata dal petrolio abbia toccato l’acqua dell’Oceano Pacifico e l’avrai immediatamente in mano. Sono praticamente la tua porta di collegamento con un elemento che avete fatto sparire: la plastica”.

Ecco, questo è il punto in cui prendi la sospensione dell’incredulità, chiami un paio di amici, e le fai quello che i tre di cui sopra volevano fare alla ragazza. Non è che nel genere fantastico valga tutto così, de botto, senza senso. Ma che significa che il tizio può evocare qualunque oggetto di plastica che abbia mai toccato l’oceano? Perché l’oceano? E poi la plastica, che è un elemento artificiale? Cos’è, teletrasporto? E perché solo della plastica? Che logica c’è, dietro questa trovata? Vorrei spiegarmi meglio: un potere tanto specifico mi fa lo stesso effetto che mi avrebbe fatto, che so, il potere di condire i cannelloni materializzando sugo di funghi. Solo quello. Insomma, la domanda affiora spontanea: “ma che potere è?”


Poi arriva Giulia e ci bagna tutti per bene: lei ha l’arma vincente.

Ora, magari io sono malizioso, ma certo che te le vai a cercare… Comunque, sono sicuro che Giulia avesse l’arma vincente e che Luigi e i suoi amichetti fossero davvero bagnati.

Guardo la fontana, guardo Gretto e sorrido: “Con tutta la plastica che c’era nel Pacifico ci sarà stata una pistola ad acqua: voglio un Super Liquidator”.
“Non è neanche la più scema delle idee che potevano venirti in mente!”

Meh, mi permetto di dissentire. Comunque bon, potrei fermarmi qui, cosa ne penso del finale l’ho già anticipato, però penso sia utile riservare qualche parola rapida a questi passaggi, giusto per spiegare perché, secondo me, tutta l’ultima parte della narrazione è fuori fuoco:

“Lasciatela stare!”, urlo come ho visto fare dagli eroi nei film.

E allora vedi che lo sai!

I due iniziano a urlare e a dimenarsi.
Il terzo scappa nella direzione opposta con la ragazza.

Cioè, ne brucia vivi due su tre, nemmeno li minaccia, li fa direttamente arrosto; tuttavia la ragazza rimane illesa e il terzo, invece di riempirsi le mutande e scappare terrorizzato alla vista dei suoi amici trasformati in orrende torce umane, strattona con sé la sua preda. Incallitissimo davvero, non c’è che dire.

Ho un’ultima chance per salvarla.
Tolgo dallo zaino la bottiglia piena del mio petrolio mattiniero. Mi strappo un lembo della camicia, lo immergo nel collo della bottiglia e gli do fuoco. Spero che funzioni. A filosofia non ci hanno mai insegnato a fare le molotov. Lo tiro contro un albero nella direzione dei due.

Ma hai idea di quanto ci metti a preparare una molotov, in particolare con la procedura improvvisata che hai descritto? Non è una cosa fulminea, che puoi fare mentre due scappano fra gli alberi, in tempo per averli ancora a portata di tiro quando hai finito. E poi che fai, tiri la bomba incendiaria verso tutti e due? Cos’hai, il fuoco selettivo? Ovviamente, però:

La bottiglia esplode e il fuoco divampa.
L’uomo, spaventato, scappa mollando la ragazza.

E certo.

Prendo il volto della ragazza tra le mani: “Stai bene?”

Ma magari le mani invece le tieni a posto, che dici? Cos’è, una bambina? Hanno appena cercato di violentarla in tre, non sono certo che gradisca quel contatto cavalleresco, in cui c’è davvero troppo stereotipo del salvatore maschio e della principessa in pericolo. Una femminista ti farebbe (giustamente) a pezzi.

Ho paura, ma mi sento anche vivo come non lo sono mai stato.

Frase logora e stereotipa che più non si potrebbe.

Il primo sabato salvo della mia vita.
Gretto Thunberg mi vola sulla spalla: “Filosofo, sei un eroe, ma hai fatto un casino!”

Finale tronco e brutto, spiacente.

E… direi che è tutto. Ci vediamo alla motivazione della scelta del vincitore del turno, che arriva... subito dopo.

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Re: Semifinale Cardone

Messaggio#4 » mercoledì 3 maggio 2023, 10:52

Okay, le parti cono tre…

Il vincitore

Bene, siamo alla fine. Entrambi i racconti hanno pregi e difetti, come sempre accade, ma credo si sia percepito che nessuno dei due mi ha convinto del tutto, per motivi differenti. D’altronde, Francesco mi ha chiesto di fare da giudice non per essere accomodante ma perché fossi il più ficcante possibile, e in questo senso non ho nulla da rimproverarmi.
Scegliere il vincitore è stato quindi piuttosto impegnativo. “Energia pulita” mi è piaciuto di più a livello stilistico (se escludiamo un singolo passaggio di “una Napoli” che davvero svetta), il rivale però ha centrato molto meglio il tema del sabato italiano, con una storia di quotidianità e problemi comuni che, se solo avesse calcato un po’ più la mano sui superpoteri e avesse evitato alcune stiracchiature di trama, sarebbe stata perfetta.
Energia pulita, d’altronde, ruota attorno al potere del protagonista, rispettando molto più l’ambientazione di riferimento. Pareggio? No, non proprio.
Alla fine, al di là di tutti i paletti tematici, un racconto dev’essere godibile per il lettore, quindi a prevalere è stata la qualità complessiva. “Una Napoli”, pur con alcuni difetti, è un’opera più coesa, con una visione narrativa unitaria da capo a coda; “Energia pulita”, purtroppo, disperde invece i suoi sforzi fra un incipit sconnesso dal resto e un finale poco felice che guasta il bel ritmo incalzante della narrazione.
“Una Napoli”, quindi, e la sua visione di un sabato in famiglia spensierato a ogni costo, anche contro il resto del mondo che si mette fra le scatole, vince la semifinale di girone.
Al di là di tutto, complimenti a entrambi gli autori per la loro passione e la voglia di mettersi in gioco. Spiacente vi sia capitato un rompiscatole come il sottoscritto, spero comunque di aver fornito qualche spunto costruttivo.
Alla prossima!

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