Energia pulita - Elisa Belotti
Inviato: domenica 2 aprile 2023, 22:33
Energia pulita
La luce si riflette sul bianco del ghiaccio e schizza in tutte le direzioni.
Mi acceca.
Avanzo a fatica, le mie gambe sono di piombo. Mi sembra di camminare da sempre, ma ci sono quasi. La sto raggiungendo. La vedevo in lontananza, ed ora è sempre più vicina. Ancora qualche passo e ci siamo: la voragine. La genesi. L’inizio e forse la fine di tutto.
Mi fermo giusto un istante, il tempo di prendere fiato. Ora che sono certo di arrivarci, ogni cosa assume un significato nuovo.
Con la forza di un gancio ben assestato, arriva, improvvisa, un’altra visione.
Il collo mi si flette all’indietro, gli occhi al cielo, ma vedo tutto: il passato, il presente e il futuro si confondono in immagini sfumate. Una cheerleader si rompe una gamba, i soldati di Napoleone scappano nella campagna russa tendendosi i vestiti chiusi con le mani perchè i bottoni in stagno si sbriciolano a uno a uno, la prima casa su Marte sembra un bunker antiatomico giallo paglierino.
Una mitragliata di flash sempre più veloci fino a che lo sento pulsare. È nella voragine.
Lo so con certezza. La visione mi abbandona come è arrivata. Mi dà sempre un po’ di nausea quando succede, ma mi riprendo presto dai capogiri e procedo nel mio cammino. Ecco, ci siamo.
Questa volta non l’ho sentita arrivare e l’immagine è davvero troppo lenta: deve essere reale. È reale!
Oddio, quello è un orso polare!
Indietreggio piano, il freddo e la stanchezza non mi permettono di fare altrimenti.
È soprattutto in momenti così che rimpiango di non avere un potere più figo e utile, che ne so, una cosa che mi permetta di sconfiggere i predatori, piuttosto che questa onniscienza confusa e improvvisa.
L’animale è così vicino che lo sento respirare e io non so come uscire da questa situazione.
Zio polenta, proprio ora che ero praticamente arrivato.
Deglutisco una massa densa di saliva.
L’orso mi ha quasi raggiunto quando sento in lontananza una versione metal della musica del circo.
Ma da dove arriva?
L’orso mi mostra i denti mentre mi fissa, ma sono anche comparse delle palline da giocoliere che fa roteare con le sue zampe: giallo blu rosso rosso giallo blu blu giallo rosso.
Ma quanto è bravo?
Oddio, questa cosa mi ha distratto.
Ci infila anche un birillo.
Ma da dove salta fuori?
Luigi, tieni la mente salda. Obiettivo uno: salvare la pelle. Obiettivo due: raggiungere la voragine.
La bestia mi è praticamente addosso, gli vedo le zanne, sento il calore del suo fiato. Il cuore mi rimbalza nel petto così forte che fa male. Infilo la mano guantata nello zaino ed estraggo un… Nokia 3310.
Ma da dove viene questo?
Lo brandisco come fosse un coltello.
Ma cosa voglio fare?
Adesso glielo tiro in bocca e sicuro che gli spacco tutti i denti. Lo sanno tutti che questi aggeggi sono indistruttibili. I miei pensieri sono più confusi delle mie visioni, sarà per questo che mi è toccato uno superpotere che non mi salverà.
Visto che non mi vengono idee migliori, lancio il cellulare nelle fauci del mio nemico che fa un triplo carpiato con avvitamento laterale e stramazza al suolo.
Ma cosa è successo?
Non perdere tempo, Luigi. Obiettivo due: la voragine.
Mi rimetto a camminare quando l’orso polare inizia a… Ma cosa? Inizia a vibrare.
Mi sveglio prendendo fiato come se fossi stato in apnea.
La maglia con cui dormo è pezzata di sudore che sembra un lago sotto la scritta ‘C’erano un russo, un americano, un francese e un italiano al Polo Sud”.
Mi caracollo giù dal letto e mi fiondo in bagno. Un bruciore lancinante mi investe le budella: odio quando sogno la voragine. Odio svegliarmi dopo aver sognato la voragine.
Raggiungo il bagno appena in tempo. Estraggo dall’armadio il secchio che utilizzo per questi momenti e lo metto di fianco al cesso. Mi appoggio con la mano alla parete e inizio a pisciarci dentro.
Stringo i denti dal dolore: ormai dovrei esserci abituato, ma la verità è che non ci si abitua mai. Spingo con tutta la forza che ho in corpo: non sarà mai indolore, tanto vale sia veloce. Per quanta energia ci metta, il viscido e denso liquido nero cade piano, pesante, nel contenitore. Il suo odore forte riempie la stanza. Gli occhi mi lacrimano e la maglietta è così sudata che ora sembra che al Polo Sud ci siano soltanto un americano e un francese.
“Cosa ridi? Cosa diamine c’è da ridere?”, ho le ciglia bagnate per lo sforzo mentre fisso il gabbiano sporco di petrolio che mi sta sulla spalla.
“Ah, no? Non stai ridendo? E allora cos'è quella cosa che fai con il becco? Io lo so che ci godi”. L’uccello vola sul secchio pieno di quella che dovrebbe essere pipì. Lui sa che non lo è. Lo sa proprio bene. Ficca il becco nel secchio. Ora è ancora più sporco di quando è comparso. E poi mi guarda. Giudicante.
“Come mi sono ridotto. Mamma mia, come mi sono ridotto. Non finirà mai? Sono costretto a questa tortura ogni volta che sogno la voragine?”, una lacrima mi si ferma nella barba. Non ho mai capito perché valga per tutti i liquidi, compresa la pipì, ma non per saliva, sudore e lacrime. Beh, meglio, altrimenti sarebbe ancora più un casino. Gretto Thunberg si pulisce il becco sulle mie scarpe.
“So a cosa stai pensando, uccello maledetto. Va bene, ci ho fatto due soldi i primi tempi e quindi? Adesso è una colpa? Ne ho fatti anche meno di quelli che avrei potuto. Ma chi se lo immaginava che l’umanità avrebbe deciso che gliene importava qualcosa dell’ambiente?”, tiro su la cerniera dei pantaloni e apro il rubinetto, sovrappensiero.
“E come se non bastasse, oltre al danno, la beffa: ci sei tu, pennuto schifoso, a ricordarmi quanto faccio pena”. Infilo la mano sotto l’acqua corrente che si trasforma immediatamente sporcando tutto il lavandino di nero.
“Merda! Merda, merda!”, afferro la salvietta appoggiata sul box doccia e mi pulisco le mani.
“Quando ero più giovane e la mia vita era mediocre, ma non ancora un disastro colossale, avevo letto da qualche parte, mi pare fosse di Capote, che quando Dio ti dà un dono ti dà anche una frusta che è intesa unicamente all’autoflagellazione. Insomma, qualcosa del genere. Temo che sia tu la mia frusta, uccellaccio! Peccato che il mio “dono”, se così vogliamo intenderlo, sia solo la fonte di un mare di problemi. Un mare pieno di petrolio di problemi.”
Mi siedo sul cesso. Mi bruciano gli occhi, sono sfinito.
“Lo so cosa pensi, Gretto Thunberg: sono uno sfigato e tu sei il mio di fantasma dei Natali passati!”.
L’uccello apre un paio di volte il becco e garrisce. Io non conosco la lingua dei gabbiani, ma so cosa ha detto: sì, sei uno sfigato.
Mi asciugo il sudore con la salvietta. Puzzo come uno che ha corso una maratona, ma non posso lavarmi. Sfrego con più energia possibile mentre Gretto Thunberg mi vola intorno, rendendo tutto ancora più complicato.
Sono sveglio da mezz'ora e non ne posso già più. Dovrei seguire il mio istinto e tornare a dormire, ma ho paura di sognare ancora la voragine e finisce che non se ne esce più.
Devo anche buttare il secchio di petrolio prima che la pola decida di fare uno dei suoi controlli random e me lo trovi. La mia vita è già miserabile senza la galera, direi.
E poi è ora di dare una svolta a questi grigi sabati pomeriggio. Me lo sono promesso: non starò in casa ad attendere che le ore scivolino via fino a lunedì.
Il sabato la gente fa cose, va al luna park, ai centri commerciali, a inalare ossigeno nei parchi. Di sicuro non sta a casa a pisciare petrolio, ecco. E se voglio dare alla mia vita una parvenza di normalità questo è l’unico modo che mi viene in mente e si comincia da oggi, signor Procrastinatore seriale.
Gretto Thunberg mi distoglie dai miei pensieri slacciandomi le stringhe con il becco ancora sporco. Afferro il preparato a base di perossido di idrogeno e bicarbonato di sodio che uso quando non mi posso lavare con l’acqua e glielo butto addosso.
“Ahahahaah! Ahhhhh, adesso voli via starnazzando, eh? Dai, l’ho fatto per te: così torni bianco!”, il gabbiano si accuccia sopra il box doccia e mi fissa con l’espressione di chi me la farà pagare.
Io rido e mi metto un po’ di preparato sotto le ascelle, sperando me le renda meno fetide.
Sono pronto a salvare questo sabato.
Sono pronto a uscire.
Mangio il gelato alla menta e alla liquirizia e mi rendo conto che hanno ragione quelli che mi dicevano che la laurea in filosofia non serve a niente, nemmeno a farti capire che mangiare il gelato ti farà venire una gran sete anche se non è una pizza. Ma non berrò: non è il caso che tu mi metta a pisciare petrolio per la città.
Devo almeno resistere fino alla buca. Lì, dopo averci buttato dentro quello che ho messo nella bottiglia, posso anche permettermi di fare due goccie, sperando non ci sia in giro nessuno.
No, meglio non bere e basta.
Avrei voglia di fumare, ma ho sempre paura a farlo dopo aver sognato la voragine: ho comunque una bottiglia di petrolio nello zaino. Non si sa mai. E poi la gente non vede di buon occhio i pochi fumatori rimasti.
Meglio rimanere discreti.
Cerco di distrarmi guardandomi intorno mentre raggiungo il bosco, poi devo ritrovare la buca e anche questa volta ce la siamo cavata. E me ne vado al cinema.
Fiancheggio un muro coperto di graffiti scintillanti con gli obiettivi dell’Agenda 2030 raggiunti, praticamente l’inizio della mia fine.
Eccoli lì, in azzurro, giallo, marrone e verde, in tonalità diverse, le firme della mia condanna:
Goal 6, Acqua pulita e igiene; Goal 7, Energia pulita e accessibile; Goal 12, Consumo e produzione responsabili; Goal 13, Agire per il clima; Goal 14, La vita sott’acqua ; Goal 15, La vita sulla Terra- L’Umanità ce l’ha fatta: il Pianeta è salvo!!!! Spacciatori di petrolio siete lo skifo!!
GreenJoe
Una scritta in nero, poca curata lo rovina:
L’Umanità ce l’ha fatta?! E gli altri Goal, zio?!!!
IHaveSomeDubts
Le auto elettriche scivolano sulla strada come mani sulla seta: silenziose ed eleganti.
“Guarda dove cammini!”, il proprietario della Tesla che mi stava per investire mi urla addosso.
Adesso mi spiccio, butto ‘sto schifo nella buca e torno a casa. Al cinema ci vado un’altra volta, non sono ancora pronto per riprendermi la vita e nemmeno i sabati pomeriggio.
Sono fatto per sopravvivere, non per vivere.
Mi metto sul divano, mi guardo C’è un like per te e mi sforzo di non pisciare più. Domani leggo un po’ e lunedì si torna alla solita vita da netturbino che piscia pipì normale e non rischia il carcere. Devo solo sperare di non sognare la voragine di nuovo.
Il silenzio del bosco mi rassicura. Non è come il silenzio della città: qui si sentono il vento e le foglie secche schiacciate dalle scarpe a ogni passo e il cinguettio di uccellini decisamente meno fastidiosi di Gretto Thunberg.
Ancora qualche metro e dovrei raggiungere il fontanino, arrivato lì prendo il sentiero a destra fino alla grotta e dietro trovo la buca.
Ripasso mentalmente il percorso in maniera ossessiva, non perchè io ne abbia realmente bisogno, è una specie di compulsione che mi è venuta le prime volte che andavo a buttare il petrolio. Almeno non penso a quello che mi succede se mi becca la pola.
“Stai ferma, ti ho detto!”, una voce bassa, maschile mi raggiunge fievole mentre arrivo al fontanino.
Mi fermo e mi metto in ascolto.
“Lasciatemi, vi prego”, la voce della ragazza è seguita da un rumore sordo. Mi metto a gattoni, avanzo di un paio di metri, senza far troppo rumore, e scruto tra gli alberi.
La ragazza piange, mentre il più grosso dei tre farabutti la tiene contro l’albero.
I suoi amici ridono e si slacciano le cinture.
“Vi prego, lasciatemi andare, non dirò niente a nessuno, lo giuro”, con un pugno in faccia quello grosso zittisce la ragazza, che piange mentre un rivolo di sangue le scorre sul mento.
“Non hai capito, bambina, adesso come ci divertiamo insieme noi quattro”, sento una rabbia mai provata crescermi dentro mentre il più basso dei tre le accarezza la guancia con un coltello e il terzo uomo si apre la patta dei pantaloni.
Torno carponi al fontanino e inizio a respirare profondamente. Devo intervenire, ma non so cosa fare.
Sussurro tra me e me:“Sono in tre, sono armati e io non ho la più pallida idea di come muovermi”.
“Questo perché a filosofia non ti hanno insegnato a usare il cervello!”, sobbalzo e mi guardo intorno spaventato.
Non posso credere ai miei occhi: “Gretto Thunberg? Tu… Tu parli?”.
“Io ho sempre parlato, Luigi il Pirla, sei tu che finalmente stai iniziando a usare il tuo superpotere come si deve!”, non lo fa, ma sono certo di aver visto un sorriso su quel becco.
“Non può essere vero, devo essere impazzito del tutto”, mi pizzico le mani per riportarmi alla realtà.
“Non sei impazzito, cioè, non più di quanto già non lo fossi… E avevi ragione stamattina, io sono un po’ il tuo, come era?, Fantasma dei Natali passati, sì. Sono il tuo spirito guida, insomma, chiamalo come vuoi”, la voce di Gretto Thunberg assomiglia un sacco a quella di Andrea Camilleri, deve essere per via dell’inquinamento.
“Quindi io conosco il garrito, garrinese, come si chiama, per Dio, dei gabbiani?”, scuoto la testa perplesso.
“No, vedi che a filosofia non ti hanno insegnato a usare il cervello? Tu parli con me, io posso darti una mano a trovare un senso, un’utilità al tuo superpotere perchè io so il male che una parte di quel potere ha fatto, ma l’ha fatto solo perchè usato male. I poteri non sono utili o inutili in sè, non sono buoni o cattivi in sè, dipende dall’uso che se ne fa, dal senso che gli si vuole dare, da come si guarda al mondo”, Gretto Thunberg non è più sporco di petrolio e mi guarda dritto negli occhi.
“Quindi sei saggio oltre che stronzo”, accenno un sorriso al pennuto. “Allora, dimmi, perchè adesso? Perchè sei comparso e io posso parlarti ora?”.
“Perchè ne hai bisogno adesso, idiota! Perchè è la prima dannata volta che non stai a piagnucolarti addosso per quanto la tua vita sia inutile e vuota ma senti il desiderio di agire, di fare qualcosa di buono, di sensato, di utile!”.
Lo guardo e annuisco: “E come mi puoi aiutare tu? Sei qui per farmi da mental coach o hai qualche utilità pratica?”
“AHAHAHAH! Simpatico il nostro filosofo. Tu hai un altro potere. Puoi chiedermi qualsiasi cosa derivata dal petrolio abbia toccato l’acqua dell’Oceano Pacifico e l’avrai immediatamente in mano. Sono praticamente la tua porta di collegamento con un elemento che avete fatto sparire: la plastica”.
“Che grande aiuto! E come pensi possa utilizzare la plastica in questa situazione?”, adesso lo fisso io negli occhi.
“Usa il cervello, filosofo, o almeno la fantasia… Quella che hanno i bambini”, Gretto Thunberg scandisce bene quest’ultima parola mentre picchietta con la punta del becco sulla fontana.
Un ricordo mi spalanca il cervello e gli occhi.
Mi rivedo bambino mentre gioco a gavettoni in giardino con mio cugino Marco. Poi arriva Giulia e ci bagna tutti per bene: lei ha l’arma vincente.
Guardo la fontana, guardo Gretto e sorrido: “Con tutta la plastica che c’era nel Pacifico ci sarà stata una pistola ad acqua: voglio un Super Liquidator”.
“Non è neanche la più scema delle idee che potevano venirti in mente!”, non so come ma Gretto Thunberg mi strizza un occhio.
Un Super Liquidator come non ne vedevo da almeno trent’anni compare ai piedi della fontana.
Lo riempio stando attento a non toccare l’acqua.
Ora so cosa fare.
“Lasciatene un po’ anche a me!”, il più piccolo dei tre farabutti fissa gli amici che si strusciano come due serpenti sulla ragazza. Lei piange, il suo corpo è abbandonato tra quelli dei due uomini.
“Lasciatela stare!”, urlo come ho visto fare dagli eroi nei film.
Si fermano tutti e quattro e mi guardano.
Il grosso molla la ragazza e mi si avvicina: “E tu chi saresti?”.
“Non so chi sono ora, ma so chi posso essere se non lasci andare la ragazza: un grosso, grosso problema”, la gamba sinistra inizia a tremarmi. Spero che la mia idea funzioni.
“Altrimenti cosa ci fai, principessa?”, il piccoletto si mette di fianco al suo amico che ora mi punta addosso un coltello.
Sollevo il braccio destro, quello armato, e punto il Super Liquidator contro di loro: “Altrimenti sparo”.
La risata di tutti e tre si alza, stridula, all’unisono.
Spero proprio che sia una buona idea. Appoggio l’indice sinistro appena fuori dalla bocca del Super Liquidator, così che l’acqua lo sfiori appena, uscendo. Lo carico e sparo mirando ai piedi dei due farabutti e creando una linea che li colleghi.
Le loro scarpe sono completamente sporche di petrolio e sono unite da una nero filo che sovrasta le foglie secche.
Estraggo la scatola di fiammiferi che mi porto dietro da quando hanno vietato gli accendini. Ne accendo uno e lo lancio sul liquido nero che si infiamma.
I due iniziano a urlare e a dimenarsi.
Il terzo scappa nella direzione opposta con la ragazza.
Ho un’ultima chance per salvarla.
Tolgo dallo zaino la bottiglia piena del mio petrolio mattiniero. Mi strappo un lembo della camicia, lo immergo nel collo della bottiglia e gli do fuoco. Spero che funzioni. A filosofia non ci hanno mai insegnato a fare le molotov. Lo tiro contro un albero nella direzione dei due.
La bottiglia esplode e il fuoco divampa.
L’uomo, spaventato, scappa mollando la ragazza.
Corro nella sua direzione, con il fuoco intorno e le urla dei delinquenti nelle orecchie.
“Vieni con me, corri!”, la prendo per la mano e scappiamo a perdifiato.
Non siamo neanche usciti dal bosco che gli elicotteri dei vigili del fuoco lo sorvolano pronti a spegnere l’incendio.
Prendo il volto della ragazza tra le mani: “Stai bene?”
“Sì”, ma trema.
Tremo anche io. Ho paura, ma mi sento anche vivo come non lo sono mai stato.
Il primo sabato salvo della mia vita.
Gretto Thunberg mi vola sulla spalla: “Filosofo, sei un eroe, ma hai fatto un casino!”
La luce si riflette sul bianco del ghiaccio e schizza in tutte le direzioni.
Mi acceca.
Avanzo a fatica, le mie gambe sono di piombo. Mi sembra di camminare da sempre, ma ci sono quasi. La sto raggiungendo. La vedevo in lontananza, ed ora è sempre più vicina. Ancora qualche passo e ci siamo: la voragine. La genesi. L’inizio e forse la fine di tutto.
Mi fermo giusto un istante, il tempo di prendere fiato. Ora che sono certo di arrivarci, ogni cosa assume un significato nuovo.
Con la forza di un gancio ben assestato, arriva, improvvisa, un’altra visione.
Il collo mi si flette all’indietro, gli occhi al cielo, ma vedo tutto: il passato, il presente e il futuro si confondono in immagini sfumate. Una cheerleader si rompe una gamba, i soldati di Napoleone scappano nella campagna russa tendendosi i vestiti chiusi con le mani perchè i bottoni in stagno si sbriciolano a uno a uno, la prima casa su Marte sembra un bunker antiatomico giallo paglierino.
Una mitragliata di flash sempre più veloci fino a che lo sento pulsare. È nella voragine.
Lo so con certezza. La visione mi abbandona come è arrivata. Mi dà sempre un po’ di nausea quando succede, ma mi riprendo presto dai capogiri e procedo nel mio cammino. Ecco, ci siamo.
Questa volta non l’ho sentita arrivare e l’immagine è davvero troppo lenta: deve essere reale. È reale!
Oddio, quello è un orso polare!
Indietreggio piano, il freddo e la stanchezza non mi permettono di fare altrimenti.
È soprattutto in momenti così che rimpiango di non avere un potere più figo e utile, che ne so, una cosa che mi permetta di sconfiggere i predatori, piuttosto che questa onniscienza confusa e improvvisa.
L’animale è così vicino che lo sento respirare e io non so come uscire da questa situazione.
Zio polenta, proprio ora che ero praticamente arrivato.
Deglutisco una massa densa di saliva.
L’orso mi ha quasi raggiunto quando sento in lontananza una versione metal della musica del circo.
Ma da dove arriva?
L’orso mi mostra i denti mentre mi fissa, ma sono anche comparse delle palline da giocoliere che fa roteare con le sue zampe: giallo blu rosso rosso giallo blu blu giallo rosso.
Ma quanto è bravo?
Oddio, questa cosa mi ha distratto.
Ci infila anche un birillo.
Ma da dove salta fuori?
Luigi, tieni la mente salda. Obiettivo uno: salvare la pelle. Obiettivo due: raggiungere la voragine.
La bestia mi è praticamente addosso, gli vedo le zanne, sento il calore del suo fiato. Il cuore mi rimbalza nel petto così forte che fa male. Infilo la mano guantata nello zaino ed estraggo un… Nokia 3310.
Ma da dove viene questo?
Lo brandisco come fosse un coltello.
Ma cosa voglio fare?
Adesso glielo tiro in bocca e sicuro che gli spacco tutti i denti. Lo sanno tutti che questi aggeggi sono indistruttibili. I miei pensieri sono più confusi delle mie visioni, sarà per questo che mi è toccato uno superpotere che non mi salverà.
Visto che non mi vengono idee migliori, lancio il cellulare nelle fauci del mio nemico che fa un triplo carpiato con avvitamento laterale e stramazza al suolo.
Ma cosa è successo?
Non perdere tempo, Luigi. Obiettivo due: la voragine.
Mi rimetto a camminare quando l’orso polare inizia a… Ma cosa? Inizia a vibrare.
Mi sveglio prendendo fiato come se fossi stato in apnea.
La maglia con cui dormo è pezzata di sudore che sembra un lago sotto la scritta ‘C’erano un russo, un americano, un francese e un italiano al Polo Sud”.
Mi caracollo giù dal letto e mi fiondo in bagno. Un bruciore lancinante mi investe le budella: odio quando sogno la voragine. Odio svegliarmi dopo aver sognato la voragine.
Raggiungo il bagno appena in tempo. Estraggo dall’armadio il secchio che utilizzo per questi momenti e lo metto di fianco al cesso. Mi appoggio con la mano alla parete e inizio a pisciarci dentro.
Stringo i denti dal dolore: ormai dovrei esserci abituato, ma la verità è che non ci si abitua mai. Spingo con tutta la forza che ho in corpo: non sarà mai indolore, tanto vale sia veloce. Per quanta energia ci metta, il viscido e denso liquido nero cade piano, pesante, nel contenitore. Il suo odore forte riempie la stanza. Gli occhi mi lacrimano e la maglietta è così sudata che ora sembra che al Polo Sud ci siano soltanto un americano e un francese.
“Cosa ridi? Cosa diamine c’è da ridere?”, ho le ciglia bagnate per lo sforzo mentre fisso il gabbiano sporco di petrolio che mi sta sulla spalla.
“Ah, no? Non stai ridendo? E allora cos'è quella cosa che fai con il becco? Io lo so che ci godi”. L’uccello vola sul secchio pieno di quella che dovrebbe essere pipì. Lui sa che non lo è. Lo sa proprio bene. Ficca il becco nel secchio. Ora è ancora più sporco di quando è comparso. E poi mi guarda. Giudicante.
“Come mi sono ridotto. Mamma mia, come mi sono ridotto. Non finirà mai? Sono costretto a questa tortura ogni volta che sogno la voragine?”, una lacrima mi si ferma nella barba. Non ho mai capito perché valga per tutti i liquidi, compresa la pipì, ma non per saliva, sudore e lacrime. Beh, meglio, altrimenti sarebbe ancora più un casino. Gretto Thunberg si pulisce il becco sulle mie scarpe.
“So a cosa stai pensando, uccello maledetto. Va bene, ci ho fatto due soldi i primi tempi e quindi? Adesso è una colpa? Ne ho fatti anche meno di quelli che avrei potuto. Ma chi se lo immaginava che l’umanità avrebbe deciso che gliene importava qualcosa dell’ambiente?”, tiro su la cerniera dei pantaloni e apro il rubinetto, sovrappensiero.
“E come se non bastasse, oltre al danno, la beffa: ci sei tu, pennuto schifoso, a ricordarmi quanto faccio pena”. Infilo la mano sotto l’acqua corrente che si trasforma immediatamente sporcando tutto il lavandino di nero.
“Merda! Merda, merda!”, afferro la salvietta appoggiata sul box doccia e mi pulisco le mani.
“Quando ero più giovane e la mia vita era mediocre, ma non ancora un disastro colossale, avevo letto da qualche parte, mi pare fosse di Capote, che quando Dio ti dà un dono ti dà anche una frusta che è intesa unicamente all’autoflagellazione. Insomma, qualcosa del genere. Temo che sia tu la mia frusta, uccellaccio! Peccato che il mio “dono”, se così vogliamo intenderlo, sia solo la fonte di un mare di problemi. Un mare pieno di petrolio di problemi.”
Mi siedo sul cesso. Mi bruciano gli occhi, sono sfinito.
“Lo so cosa pensi, Gretto Thunberg: sono uno sfigato e tu sei il mio di fantasma dei Natali passati!”.
L’uccello apre un paio di volte il becco e garrisce. Io non conosco la lingua dei gabbiani, ma so cosa ha detto: sì, sei uno sfigato.
Mi asciugo il sudore con la salvietta. Puzzo come uno che ha corso una maratona, ma non posso lavarmi. Sfrego con più energia possibile mentre Gretto Thunberg mi vola intorno, rendendo tutto ancora più complicato.
Sono sveglio da mezz'ora e non ne posso già più. Dovrei seguire il mio istinto e tornare a dormire, ma ho paura di sognare ancora la voragine e finisce che non se ne esce più.
Devo anche buttare il secchio di petrolio prima che la pola decida di fare uno dei suoi controlli random e me lo trovi. La mia vita è già miserabile senza la galera, direi.
E poi è ora di dare una svolta a questi grigi sabati pomeriggio. Me lo sono promesso: non starò in casa ad attendere che le ore scivolino via fino a lunedì.
Il sabato la gente fa cose, va al luna park, ai centri commerciali, a inalare ossigeno nei parchi. Di sicuro non sta a casa a pisciare petrolio, ecco. E se voglio dare alla mia vita una parvenza di normalità questo è l’unico modo che mi viene in mente e si comincia da oggi, signor Procrastinatore seriale.
Gretto Thunberg mi distoglie dai miei pensieri slacciandomi le stringhe con il becco ancora sporco. Afferro il preparato a base di perossido di idrogeno e bicarbonato di sodio che uso quando non mi posso lavare con l’acqua e glielo butto addosso.
“Ahahahaah! Ahhhhh, adesso voli via starnazzando, eh? Dai, l’ho fatto per te: così torni bianco!”, il gabbiano si accuccia sopra il box doccia e mi fissa con l’espressione di chi me la farà pagare.
Io rido e mi metto un po’ di preparato sotto le ascelle, sperando me le renda meno fetide.
Sono pronto a salvare questo sabato.
Sono pronto a uscire.
Mangio il gelato alla menta e alla liquirizia e mi rendo conto che hanno ragione quelli che mi dicevano che la laurea in filosofia non serve a niente, nemmeno a farti capire che mangiare il gelato ti farà venire una gran sete anche se non è una pizza. Ma non berrò: non è il caso che tu mi metta a pisciare petrolio per la città.
Devo almeno resistere fino alla buca. Lì, dopo averci buttato dentro quello che ho messo nella bottiglia, posso anche permettermi di fare due goccie, sperando non ci sia in giro nessuno.
No, meglio non bere e basta.
Avrei voglia di fumare, ma ho sempre paura a farlo dopo aver sognato la voragine: ho comunque una bottiglia di petrolio nello zaino. Non si sa mai. E poi la gente non vede di buon occhio i pochi fumatori rimasti.
Meglio rimanere discreti.
Cerco di distrarmi guardandomi intorno mentre raggiungo il bosco, poi devo ritrovare la buca e anche questa volta ce la siamo cavata. E me ne vado al cinema.
Fiancheggio un muro coperto di graffiti scintillanti con gli obiettivi dell’Agenda 2030 raggiunti, praticamente l’inizio della mia fine.
Eccoli lì, in azzurro, giallo, marrone e verde, in tonalità diverse, le firme della mia condanna:
Goal 6, Acqua pulita e igiene; Goal 7, Energia pulita e accessibile; Goal 12, Consumo e produzione responsabili; Goal 13, Agire per il clima; Goal 14, La vita sott’acqua ; Goal 15, La vita sulla Terra- L’Umanità ce l’ha fatta: il Pianeta è salvo!!!! Spacciatori di petrolio siete lo skifo!!
GreenJoe
Una scritta in nero, poca curata lo rovina:
L’Umanità ce l’ha fatta?! E gli altri Goal, zio?!!!
IHaveSomeDubts
Le auto elettriche scivolano sulla strada come mani sulla seta: silenziose ed eleganti.
“Guarda dove cammini!”, il proprietario della Tesla che mi stava per investire mi urla addosso.
Adesso mi spiccio, butto ‘sto schifo nella buca e torno a casa. Al cinema ci vado un’altra volta, non sono ancora pronto per riprendermi la vita e nemmeno i sabati pomeriggio.
Sono fatto per sopravvivere, non per vivere.
Mi metto sul divano, mi guardo C’è un like per te e mi sforzo di non pisciare più. Domani leggo un po’ e lunedì si torna alla solita vita da netturbino che piscia pipì normale e non rischia il carcere. Devo solo sperare di non sognare la voragine di nuovo.
Il silenzio del bosco mi rassicura. Non è come il silenzio della città: qui si sentono il vento e le foglie secche schiacciate dalle scarpe a ogni passo e il cinguettio di uccellini decisamente meno fastidiosi di Gretto Thunberg.
Ancora qualche metro e dovrei raggiungere il fontanino, arrivato lì prendo il sentiero a destra fino alla grotta e dietro trovo la buca.
Ripasso mentalmente il percorso in maniera ossessiva, non perchè io ne abbia realmente bisogno, è una specie di compulsione che mi è venuta le prime volte che andavo a buttare il petrolio. Almeno non penso a quello che mi succede se mi becca la pola.
“Stai ferma, ti ho detto!”, una voce bassa, maschile mi raggiunge fievole mentre arrivo al fontanino.
Mi fermo e mi metto in ascolto.
“Lasciatemi, vi prego”, la voce della ragazza è seguita da un rumore sordo. Mi metto a gattoni, avanzo di un paio di metri, senza far troppo rumore, e scruto tra gli alberi.
La ragazza piange, mentre il più grosso dei tre farabutti la tiene contro l’albero.
I suoi amici ridono e si slacciano le cinture.
“Vi prego, lasciatemi andare, non dirò niente a nessuno, lo giuro”, con un pugno in faccia quello grosso zittisce la ragazza, che piange mentre un rivolo di sangue le scorre sul mento.
“Non hai capito, bambina, adesso come ci divertiamo insieme noi quattro”, sento una rabbia mai provata crescermi dentro mentre il più basso dei tre le accarezza la guancia con un coltello e il terzo uomo si apre la patta dei pantaloni.
Torno carponi al fontanino e inizio a respirare profondamente. Devo intervenire, ma non so cosa fare.
Sussurro tra me e me:“Sono in tre, sono armati e io non ho la più pallida idea di come muovermi”.
“Questo perché a filosofia non ti hanno insegnato a usare il cervello!”, sobbalzo e mi guardo intorno spaventato.
Non posso credere ai miei occhi: “Gretto Thunberg? Tu… Tu parli?”.
“Io ho sempre parlato, Luigi il Pirla, sei tu che finalmente stai iniziando a usare il tuo superpotere come si deve!”, non lo fa, ma sono certo di aver visto un sorriso su quel becco.
“Non può essere vero, devo essere impazzito del tutto”, mi pizzico le mani per riportarmi alla realtà.
“Non sei impazzito, cioè, non più di quanto già non lo fossi… E avevi ragione stamattina, io sono un po’ il tuo, come era?, Fantasma dei Natali passati, sì. Sono il tuo spirito guida, insomma, chiamalo come vuoi”, la voce di Gretto Thunberg assomiglia un sacco a quella di Andrea Camilleri, deve essere per via dell’inquinamento.
“Quindi io conosco il garrito, garrinese, come si chiama, per Dio, dei gabbiani?”, scuoto la testa perplesso.
“No, vedi che a filosofia non ti hanno insegnato a usare il cervello? Tu parli con me, io posso darti una mano a trovare un senso, un’utilità al tuo superpotere perchè io so il male che una parte di quel potere ha fatto, ma l’ha fatto solo perchè usato male. I poteri non sono utili o inutili in sè, non sono buoni o cattivi in sè, dipende dall’uso che se ne fa, dal senso che gli si vuole dare, da come si guarda al mondo”, Gretto Thunberg non è più sporco di petrolio e mi guarda dritto negli occhi.
“Quindi sei saggio oltre che stronzo”, accenno un sorriso al pennuto. “Allora, dimmi, perchè adesso? Perchè sei comparso e io posso parlarti ora?”.
“Perchè ne hai bisogno adesso, idiota! Perchè è la prima dannata volta che non stai a piagnucolarti addosso per quanto la tua vita sia inutile e vuota ma senti il desiderio di agire, di fare qualcosa di buono, di sensato, di utile!”.
Lo guardo e annuisco: “E come mi puoi aiutare tu? Sei qui per farmi da mental coach o hai qualche utilità pratica?”
“AHAHAHAH! Simpatico il nostro filosofo. Tu hai un altro potere. Puoi chiedermi qualsiasi cosa derivata dal petrolio abbia toccato l’acqua dell’Oceano Pacifico e l’avrai immediatamente in mano. Sono praticamente la tua porta di collegamento con un elemento che avete fatto sparire: la plastica”.
“Che grande aiuto! E come pensi possa utilizzare la plastica in questa situazione?”, adesso lo fisso io negli occhi.
“Usa il cervello, filosofo, o almeno la fantasia… Quella che hanno i bambini”, Gretto Thunberg scandisce bene quest’ultima parola mentre picchietta con la punta del becco sulla fontana.
Un ricordo mi spalanca il cervello e gli occhi.
Mi rivedo bambino mentre gioco a gavettoni in giardino con mio cugino Marco. Poi arriva Giulia e ci bagna tutti per bene: lei ha l’arma vincente.
Guardo la fontana, guardo Gretto e sorrido: “Con tutta la plastica che c’era nel Pacifico ci sarà stata una pistola ad acqua: voglio un Super Liquidator”.
“Non è neanche la più scema delle idee che potevano venirti in mente!”, non so come ma Gretto Thunberg mi strizza un occhio.
Un Super Liquidator come non ne vedevo da almeno trent’anni compare ai piedi della fontana.
Lo riempio stando attento a non toccare l’acqua.
Ora so cosa fare.
“Lasciatene un po’ anche a me!”, il più piccolo dei tre farabutti fissa gli amici che si strusciano come due serpenti sulla ragazza. Lei piange, il suo corpo è abbandonato tra quelli dei due uomini.
“Lasciatela stare!”, urlo come ho visto fare dagli eroi nei film.
Si fermano tutti e quattro e mi guardano.
Il grosso molla la ragazza e mi si avvicina: “E tu chi saresti?”.
“Non so chi sono ora, ma so chi posso essere se non lasci andare la ragazza: un grosso, grosso problema”, la gamba sinistra inizia a tremarmi. Spero che la mia idea funzioni.
“Altrimenti cosa ci fai, principessa?”, il piccoletto si mette di fianco al suo amico che ora mi punta addosso un coltello.
Sollevo il braccio destro, quello armato, e punto il Super Liquidator contro di loro: “Altrimenti sparo”.
La risata di tutti e tre si alza, stridula, all’unisono.
Spero proprio che sia una buona idea. Appoggio l’indice sinistro appena fuori dalla bocca del Super Liquidator, così che l’acqua lo sfiori appena, uscendo. Lo carico e sparo mirando ai piedi dei due farabutti e creando una linea che li colleghi.
Le loro scarpe sono completamente sporche di petrolio e sono unite da una nero filo che sovrasta le foglie secche.
Estraggo la scatola di fiammiferi che mi porto dietro da quando hanno vietato gli accendini. Ne accendo uno e lo lancio sul liquido nero che si infiamma.
I due iniziano a urlare e a dimenarsi.
Il terzo scappa nella direzione opposta con la ragazza.
Ho un’ultima chance per salvarla.
Tolgo dallo zaino la bottiglia piena del mio petrolio mattiniero. Mi strappo un lembo della camicia, lo immergo nel collo della bottiglia e gli do fuoco. Spero che funzioni. A filosofia non ci hanno mai insegnato a fare le molotov. Lo tiro contro un albero nella direzione dei due.
La bottiglia esplode e il fuoco divampa.
L’uomo, spaventato, scappa mollando la ragazza.
Corro nella sua direzione, con il fuoco intorno e le urla dei delinquenti nelle orecchie.
“Vieni con me, corri!”, la prendo per la mano e scappiamo a perdifiato.
Non siamo neanche usciti dal bosco che gli elicotteri dei vigili del fuoco lo sorvolano pronti a spegnere l’incendio.
Prendo il volto della ragazza tra le mani: “Stai bene?”
“Sì”, ma trema.
Tremo anche io. Ho paura, ma mi sento anche vivo come non lo sono mai stato.
Il primo sabato salvo della mia vita.
Gretto Thunberg mi vola sulla spalla: “Filosofo, sei un eroe, ma hai fatto un casino!”