Marte

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi sono quattro:
1) I partecipanti dovranno scrivere un racconto a TEMA e postarlo sul forum. Questo GAME il racconto dev'essere ambientato in un preciso universo narrativo che verrà comunicato al momento del lancio.
2) Gli autori leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Due sponsor leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Ambra Stancampiano, curatrice di Cani, gatti &c. assegnerà la vittoria finale.
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Andrea Furlan
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Marte

Messaggio#1 » domenica 4 giugno 2023, 12:32

Antonio correva. Era in ritardo.
La sveglia aveva suonato a lungo prima che se ne accorgesse: aveva studiato fino alle due di notte per l’ennesimo concorso che non avrebbe mai passato. Indossava l’abito del giorno prima, si era dimenticato di farsi la barba.
Entrato nella stazione della metropolitana sentì arrivare il treno. Scese veloce la scala mobile, non poteva perderlo.
Arrivato sulla pensilina, fece due balzi mentre il segnale di chiusura suonava. Rimase incastrato, ma una ragazza bionda, carina, lo aiutò a buttarsi dentro, permettendo alle porte di chiudersi con un tonfo.
Ringraziò con un sorriso, sollevato. Doveva avere la sua età, attorno ai trent’anni: per un attimo pensò di attaccare discorso, ma poi prese il telefono, si fece distrarre dai social, mentre la metro ripartiva. Era alla stazione di Schuman, il centro del quartiere Europeo, quando arrivò una chiamata di Teresa.
«Ciao Terry, come mai mi chiami a quest’ora? È successo qualcosa a casa? La mamma?»
«Tutto bene Antò, per fortuna hai risposto. Hanno appena dato la notizia alla televisione. Un attentato all’aeroporto di Bruxelles. Bruttissimo, morti e fer-»
Un boato squassò l’intero vagone, poi una frenata improvvisa fece cadere quasi tutti i passeggeri. Antonio batté il viso contro un palo. Rimase in piedi, dolorante, per miracolo.
All’esterno, nel buio del tunnel, apparvero volute di fumo nero.
Nel vagone affollato regnava la confusione più completa. Molti urlavano, qualcuno era ferito, un paio di bambini piangevano disperati.
All’improvviso le porte si aprirono tutte insieme: una voce in francese disse qualcosa all’altoparlante. Non capì le parole, solo che si trattava di un’emergenza.
Venne travolto da una fuga generale: tutti spingevano, presi dal panico, per scendere sui binari. Antonio rimase sbilanciato dalla pressione della gente, pensando che fosse una follia scendere così nel nulla, ma non poté opporsi in alcun modo.
Il flusso delle persone si diresse verso la stazione più vicina, quella di Maalbeek. Senza riflettere, notando a malapena che il fumo veniva da lì, corse con loro.
Nonostante il fisico allenato, si arrampicò sulla pensilina con una certa difficoltà, mentre altri meno agili gli chiedevano di aiutarli. Non li considerò, perché si trovò nell’inferno.
In mezzo al fumo poteva intravedere un altro treno immobile, sventrato, forse da un’esplosione. La stazione era piena di gente presa dal panico, molti erano sdraiati a terra coperti di sangue, altri si trascinavano zoppicando, feriti. Quelli che riuscivano a muoversi affollavano le scale che portavano in superficie.
Corse verso l’uscita in mezzo ai fuggitivi. Cercò di farsi strada nella folla, sentendosi soffocare.
«Toglietevi dal cazzo!» Gridò in italiano, sgomitando una persona che lo aveva spinto. Sentì cadere qualcuno dietro di sé, ma non si fermò a guardare. Il suo unico pensiero era scappare.
Scivolò sulle scale sporche di sangue, spinse di lato persone più lente che gli intralciavano il passo. Raggiunse l’atrio della stazione, poi uscì alla luce di Rue de la Loi. Inciampò in qualcosa, finendo a terra.
Quando si tirò su, riconobbe la ragazza che gli aveva tenuto la porta aperta. Era sdraiata sull’asfalto, immobile, doveva essere stata calpestata. Di fianco a lei, un signore anziano sanguinava, ferito alla pancia e alle braccia. Due ragazzi in uniforme da hotel cercavano di aiutarlo usando lenzuoli bianchi.
La strada, di solito intasata dal traffico, era piena di gente ferita. Antonio scappò via, pensando che qualche terrorista potesse comparire all’improvviso, sparando sulla folla.

Le sedute con la psicologa erano sempre difficili: il suo francese approssimativo lo faceva sentire in imbarazzo, scavare nelle profondità del trauma era doloroso. Se Teresa non avesse insistito avrebbe smesso alla prima seduta, ma alla fine aveva continuato, seguendo un ciclo di terapia durato mesi.
L’unica cosa positiva era la vista dallo studio, situato a un piano alto nei palazzi della Gare du Nord, da cui in lontananza si vedeva l’Atomium: quel giorno le sfere d’acciaio riflettevano la luce del sole, risaltando su un raro cielo azzurro. Lo distraeva, affascinandolo, mentre ascoltava il verdetto a cui la dottoressa aveva destinato gli ultimi cinque minuti della visita.
«Allora Signor Lo Presti, questa è la nostra ultima seduta. Io non posso fare altro per lei, ora deve applicarsi. Le ho dato gli esercizi contro gli attacchi di panico che ha dimostrato di poter fare da solo. Ha tutti gli strumenti per uscire dal suo trauma.» La psicologa lo guardò fisso negli occhi, facendo una pausa che non seppe interpretare bene.
«Rimane solo un ultimo consiglio: deve prendere un cane.»
Antonio distolse lo sguardo, incredulo.
«Un cane? Ma io non ho mai avuto animali. Passo tutta la giornata al lavoro, non posso occuparmene. Non ho tempo, io-» Si rese conto di aver avuto una reazione infantile, incapace di ribattere in modo efficace, ma era in confusione, non poteva farci nulla. Gli era venuta una gran voglia di bere.
«Sono certa che troverà il modo, come fa chiunque abbia un animale in casa. È ovvio che il cane dovrà vivere con lei: il beneficio deriva dal fatto che se ne dovrà prendere cura. Essere responsabile.»

Gli aveva dato altri consigli e il nome di un canile. Aveva protestato, si era innervosito, ma non c’era stato verso di convincerla, quindi aveva tagliato corto, anche perché sapeva che lo scoglio più difficile non era lei.
Scese in strada, passando accanto all’affollata stazione della metro. Come sempre sentì il respiro accelerare, la claustrofobia serrargli la gola, i pensieri rimbalzare contro un muro nero di paura. Da quel giorno non era più riuscito a scendere là sotto.
Tirò dritto, superando le scale mobili, dirigendosi verso la vicina fermata dell’autobus. Salì in un microcosmo di donne con il velo, ragazzi che fissavano il cellulare, madri di colore con bambini dai capelli crespi.
Andò in fondo, appena più tranquillo del resto del veicolo. Era in preda all’agitazione mentre chiamava Teresa. Come sorella maggiore lo aveva sempre protetto, aiutato, ma ora riusciva solo a metterlo in difficoltà. La tentazione di non raccontarle quasi nulla era forte, ma avrebbe capito lo stesso che c’era qualcosa.
«Ciao Terry. Sono appena uscito.»
«Ah bene, ciao Antò. E che ti ha detto la dottoressa?»
«Beh, mi ha detto» un’esitazione, mentre rifletteva sulla scelta delle parole «che posso andare avanti da solo. Che lei ha finito. Di continuare gli esercizi fatti insieme.» Il tono era asciutto, telegrafico, ma anche incerto.
«Fantastico! Era quello che volevi no? Mi hai sempre detto che non sopportavi queste visite. E allora perché hai sta voce da funerale?»
«Ha detto anche un’altra cosa. Ehm. Che dovrei prendermi un cane.» Aveva abbassato la voce sull’ultima frase, sperando che lei non sentisse bene. Che magari ci fosse un’interferenza, o il brusio dell’autobus coprisse le sue parole.
Teresa rimase in silenzio per un po’, poi scoppiò in una lunga risata, di quelle che facevano girare le persone per strada. Antonio si sentì in imbarazzo, cercò di dire qualcosa, ma lei non smetteva.
«Troppo bello, Antò, da non crederci. Mamma ti vorrebbe proprio vedere, il nemico di ogni essere a quattro zampe.»
Si era innervosito, ma Teresa non gli diede modo di rispondere. Questa volta era seria, come quando era venuta a Bruxelles di persona, mesi dopo l’attentato. Era successo dopo averla chiamata in lacrime, ossessionato dal ricordo dell’attentato. Nei giorni passati insieme, Teresa era stata affettuosa, ma ferma: gli aveva imposto di trovare un bravo professionista. Risolvere il problema.
«E lo so che nella tua testolina ti stai già facendo il tuo film, Antò. Ma non ci pensare neanche. Non me ne frega un cazzo di come fai. Devi prendere il cane. Altrimenti salto sul primo volo e torno lì.»

Erano passate alcune settimane: Teresa lo aveva chiamato più del solito, controllando che facesse gli esercizi, chiedendogli se avesse trovato il cane.
Non gli dava scampo.
Il canile non era molto lontano da casa. Era andato in auto, su cui aveva faticato a caricare la gabbia nuova di zecca. Guidato dal navigatore, era passato fra palazzoni anonimi e grandi boulevard della periferia. Era una giornata tipica, nuvolosa, grigia e triste, col freddo umido che gli entrava nelle ossa nonostante fosse pieno maggio. Le zone squallide che attraversava non aiutavano a metterlo di buon umore.
Al canile lo accolse Sophie, una ragazza giovane, mora. Entrarono in un capannone scuro, male illuminato, pieno di gabbie. Il frastuono di guaiti e abbai lo sommerse. Voleva solo andarsene.
«Venga Signor Lo Presti. Abbiamo diversi ospiti che potrebbero fare al suo caso. C’è Willy, un golden retriever molto affettuoso. Altrimenti un beagle…» Aveva una parlantina sciolta, monotona, un vero fiume in piena che snocciolava nomi e razze in un francese rapido, quasi incomprensibile sotto al rumore assordante.
Antonio smise di ascoltare da subito, intimidito da tutti quegli animali che abbaiavano forte mentre passava. Sembrava che alcuni di loro volessero morderlo, con la schiuma alla bocca e i denti scoperti.
Il suo sguardo venne attirato da un cane grande, con i tratti del pastore tedesco, ma dal mantello beige e nero. Si limitò a stare fermo, senza abbaiare, con le orecchie dritte come se fosse in ascolto.
«Ah, vedo che le interessa il nostro nuovo arrivato. Lo hanno trovato pochi giorni fa in campagna, affamato e spaventato. Forse è scappato: non ha neanche il microchip. È un meticcio di pastore malinois. Se vuole è suo, penseremo noi alle pratiche amministrative.»
«Come si chiama?»
«Non lo sappiamo, può dargli il nome che vuole. L’unica cosa che abbiamo ricostruito è che dovrebbe avere circa quindici mesi.»
Antonio trasalì: «vuole dire che potrebbe essere nato a marzo dell’anno scorso?» Chiese con un filo di voce.
«Si certo, potrebbe. Si sente bene?»

Aveva guidato nel silenzio assoluto, temendo che il cane stesse male. Ai semafori aveva controllato. Lo fissava, ansimando veloce.
Era stato un viaggio strano in cui aveva riflettuto per trovargli un nome.
Nato a marzo 2016. Mars, in francese. Il mese dell’attentato: per questo lo aveva scelto.
Sophie aveva spiegato che i malinois erano facilissimi da addestrare. In Belgio venivano usati dalla polizia per i controlli antidroga e antiesplosivo. Quella frase lo aveva ispirato: era un cane combattente.
Mentre parcheggiava sotto casa aveva deciso il nome: Marte.
Una volta chiusa la porta, lo liberò dal guinzaglio.
Il cane partì come una freccia nel corridoio, agitato, annusando da tutte le parti, urtando i mobili. Poi scappò in cucina, muovendosi come pazzo. Aveva la coda fra le gambe e uggiolava forte.
Quando Antonio arrivò aveva una zampa sollevata vicino a una delle gambe del tavolo.
«No, ti prego. Non farlo.» Sollevò le mani, senza sapere che altro fare.
Marte continuò a guardarlo mentre urinava a lungo, formando un enorme lago di pipì sul pavimento. Poi scappò un’altra volta, verso la camera da letto, lasciandosi dietro impronte bagnate.

Antonio si svegliò fra le lenzuola fradice di sudore.
Nel sogno era sulla pensilina a Maalbeek, sotto di lui decine di persone bloccate in mezzo ai binari che chiedevano aiuto. Un treno arrivava a folle velocità, travolgendole, poi esplodeva uccidendo tutti, tranne lui che scappava in superficie.
Ancora. Lo tormentava da più di un anno.
Il maledetto sogno si ripresentava spesso, ogni volta un po’ diverso. La costante era la sua fuga dalla metro, illeso, lasciandosi dietro morti e feriti che non aiutava mai.
La cosa peggiore era il senso di colpa per essere scappato, da egoista bastardo.
Si sollevò a sedere con una strana sensazione: era abituato a dormire da solo, ma ora c’era qualcuno di fianco a lui.
Respiro ansimante, un movimento. Marte lo guardò dal profondo dei suoi occhi scuri, sdraiandosi subito sulla schiena, la lingua a penzoloni di lato.
Antonio gli accarezzò il torace in modo timido, trattenuto.
Quando si alzò, Marte lo fece con lui, le orecchie dritte e uno sguardo contento, come in attesa di qualcosa.

Era domenica, aveva deciso che avrebbe dedicato la giornata a Marte. Prima di uscire controllò di avere tutto: guinzaglio allungabile, sacchetti, acqua, pallina per farlo giocare.
La zona dove viveva era quasi in campagna, piccole casette appiccicate l’una all’altra, tutte diverse, ognuna con un minuscolo giardino davanti e uno un po’ più grande dietro. Molti italiani di Bruxelles sceglievano di vivere nei quartieri vicini al centro, pieni di vita e locali. Ma venendo da uno sperduto paesino siciliano non amava i posti affollati. Aveva scelto una zona periferica, lontana ma verde, dove poteva vedere il cielo.
In strada, si diresse al parco più vicino: dopo pochi metri, Marte partì di corsa verso un’aiuola trascinandolo con sé.
Per il resto della passeggiata lo seguì soffrendo: quattro soste per i bisogni che raccolse con disgusto, fughe disperate appena sentiva un rumore, fosse anche solo di un autobus in lontananza. La cosa peggiore fu incontrare gli altri cani: Marte tirava forte, finché non arrivava ad annusarne il sedere, girandogli intorno finché i guinzagli non si intrecciavano. I proprietari gli rivolgevano un educato "Bonjour", poi se ne andavano per i fatti loro.
Antonio tornò a casa esausto, come se avesse corso una maratona. Marte invece sembrava contento, scodinzolava. Appena lo liberò dal guinzaglio corse subito a sdraiarsi sul divano chiaro, lasciando qui e là impronte nere.

La fine della domenica era il momento peggiore: il giorno dopo sarebbe dovuto tornare al lavoro, un posto che non gli piaceva. Dopo lo stage alla Commissione Europea aveva trovato solo un impiego come segretario: passava le giornate a organizzare riunioni per gli altri, assistere il capo unità, un danese iperattivo con cui non andava d’accordo. Lavorava molto, spesso oltre l’orario normale, poi studiava per i concorsi, nella speranza di diventare funzionario.
Quella sera era davvero esausto, dopo aver passato l’intera giornata a pulire la casa. Marte aveva sporcato, pisciato dappertutto, uggiolava per uscire poi voleva subito tornare a casa, impaurito dalle macchine. Sophie lo aveva avvertito: quando lo avevano trovato era inselvatichito, ringhiava e si spaventava per qualsiasi cosa. Ma era andato ben oltre ogni immaginazione.
Dopo cena il cane si era addormentato sul tappeto. Antonio approfittò del momento di pace, prese la bottiglia di whisky. Faceva zapping sulla TV belga, dove non c’era mai nulla da vedere. Perse il conto di quante volte aveva riempito il bicchiere, sprofondò in una nebbia confortevole dove la stanchezza e i pensieri svanivano. Ma il sogno comparve lo stesso, vide volti rigati di sangue, poteva sentire l’odore del fumo, di carne bruciata.
Si svegliò all’improvviso quando Marte salì sul divano, spingendogli il braccio col muso.
Gli fece male. Antonio si alzò, innervosito dal sonno interrotto, la testa che girava forte.
«Che cazzo fai, bastardo!» Esclamò con la voce impastata.
Mollò un calcio al cane, facendolo scivolare in un angolo con un forte guaito. Poi raccolse la bottiglia e lo picchiò mentre lo teneva stretto per il collare. Colpi secchi sulla testa, sul corpo.
Marte pianse dal dolore, ma poi gli si rivoltò contro, ringhiando. Antonio lo lasciò andare impaurito, cadendo seduto a terra.
Appena il cane si allontanò, si sdraiò dove si trovava, crollando addormentato.

La settimana era stata durissima: riunioni interminabili fra mille problemi. Antonio aveva cercato di fare il massimo di telelavoro da casa, per avere tempo di portare fuori Marte.
Il cane era testardo più di un bambino, non seguiva i suoi ordini, lo trascinava dove voleva, si terrorizzava per qualsiasi rumore scappando o reagendo con eccessi di rabbia, abbaiando a tutto e tutti.
In un attimo di tregua, durante il fine settimana, Antonio chiamò Teresa. Era stressato, sapeva che lei avrebbe sostenuto la psicologa, la sua diagnosi assurda. Mentre componeva il numero beveva whisky, un bicchiere dopo l’altro.
«Ciao Antò, come andiamo?»
«Malissimo Terry, questo cane è una tragedia. Fa quello che gli pare, non c’è verso di avere degli orari decenti o un attimo di pace. Mi segue dappertutto, anche mentre sono sul water, annusa le mie mutande, mi mangia i calzini. Piscia ovunque, caga dieci volte al giorno. Io non ce la faccio. Lo riporto al canile. Domani.»
La testa di Marte apparve in mezzo alla ringhiera della scala, al piano di sopra. Annusava in modo frenetico, gli occhi spiritati.
«Antò, ma sei sicuro?» Lesse una rara esitazione nella voce della sorella. «Abbi pazienza, si dovrà abituare no? Anche lui avrà passato un trauma: hai detto che era conciato malissimo quando l’hanno trovato.»
Buttò giù un altro sorso, la testa che girava.
Marte lanciò un latrato fortissimo, una via di mezzo fra un pianto e un moto di rabbia.
«E stai zitto, cazzo! Zitto! Senti Terry, di traumi ne ho già abbastanza dei miei, non posso-» Marte era corso giù per le scale a rotta di collo. Lo raggiunse abbaiando forte, saltandogli attorno come se volesse morderlo. Antonio si spaventò, facendo cadere il cellulare.
Il cane si fermò, seguì una traccia invisibile annusando. Antonio cercò di afferrarlo, colpirlo, ma era già ripartito. All’improvviso salì con le zampe anteriori sul tavolo, facendo cadere bicchiere e bottiglia. Un fracasso assordante di vetri rotti, latrati e urli riempì il soggiorno.
Marte scappò, lasciandolo solo in mezzo al soggiorno, incredulo, col fiato corto per l’agitazione. Il silenzio era assurdo, rotto solo dalla voce smorzata di Teresa che urlava «che succede Antò?» al telefono, dimenticato in un angolo.

«Come va, Signor Lo Presti? La mia segretaria mi ha detto che ha chiesto un appuntamento urgente. Mi dica.» La psicologa lo fissava con occhio critico.
Antonio era in difficoltà. Sapeva di essere sporco, non curato, con la barba lunga. Ma cercò di concentrarsi. Trovare le parole giuste.
«Va male, Dottoressa. Molto male. Come mi ha consigliato ho preso un cane, un malinois randagio, in un canile. La mia vita è diventata impossibile: è un vero selvaggio, che fa quello che gli pare. Non ho più un attimo per me, ho anche smesso di studiare per i concorsi, che comunque non passavo mai.»
La dottoressa fece uno di quei suoi sorrisi immobili, dove Antonio temeva che le si sarebbe crepata la faccia.
«Guardi, io ho quattro cani, lo so benissimo come funziona. Ma mi dica, ha ancora i sogni? Attacchi di panico?»
Antonio si bloccò, stupito, realizzando solo in quel momento che la sera in cui aveva picchiato Marte era stata l’ultima in cui avesse sognato l’attentato. Inoltre si era sentito in colpa per avergli fatto del male, da ubriaco: si era imposto di non comprare più una goccia d’alcol, neanche una birra leggera per mangiare.
La psicologa lo fissava in modo intenso, mentre riprendeva a parlare in modo esitante.
«No, direi di no. Non ho più sognato.» Un momento di pausa. «E forse sono stato troppo impegnato con Marte per avere altri momenti di difficoltà.»
«Molto bene, allora direi che la terapia sta funzionando. Ecco, tenga questo.» Gli passò un biglietto da visita.
«È un’amica addestratrice, l’aiuterà a gestire meglio il suo Marte. Sono sicura che starete bene insieme. Per ciò che riguarda lei, è chiaro che ci vorrà tempo e le sue visioni torneranno, non può sperare che spariscano da un giorno all’altro. Ma vedrà che andrà meglio. Prenda un altro appuntamento fra due mesi, ne riparleremo.»

Antonio uscì dal palazzo guardando l’orologio. Era in ritardo, doveva correre a casa per portare fuori il cane.
Come sempre, si diresse verso la fermata dell’autobus. Ma poi si fermò, immobile in mezzo alle persone che correvano di fretta nell’ora di punta.
Gettò uno sguardo alla metropolitana. La paura affiorò come sempre, ma non venne afflitto dalle solite immagini scioccanti. Invece pensò al momento in cui Marte gli avrebbe fatto le feste al suo arrivo a casa, saltandogli attorno, felice di vederlo.
Con un sorriso sulle labbra salì sulla scala mobile, scendendo nella stazione.



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Andrea Furlan
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Re: Marte

Messaggio#2 » domenica 4 giugno 2023, 12:37

Ciao a tutti.
Ecco i miei bonus:
- ambientazione in periferia urbana: il luogo dove si trova l'appartamento di Antonio
- il protagonista è un animale domestico non antropomorfizzato: per raccontare questa storia, Marte non può essere il protagonista, però ha un ruolo assolutamente centrale nella vicenda. Lascio a voi il giudizio se questo bonus possa valere o meno.
- "going ape": quando Marte rompe la bottiglia di whisky di Antonio.

starla
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Re: Marte

Messaggio#3 » venerdì 9 giugno 2023, 15:19

Ciao Andrea,
il tuo racconto ha il merito di rendere omaggio alle tragiche vicende di Bruxelles del 2016 e pone i riflettori sul tema della sindrome post traumatica da stress e sull’utilità che gli animali possono avere nella cura della stessa. È di certo una tematica che non ci si aspetta in un contest come questo, per cui è sicuramente da sottolineare l’originalità.

Purtroppo ritengo che lo stile che hai adottato non renda pienamente giustizia a questo racconto. Abbiamo l’esperienza intima di una persona traumatizzata che sta cercando di riprendersi e la resa migliore si sarebbe ottenuta utilizzando una focalizzazione interna al personaggio.
L’uso di un narratore invece e soprattutto lo stile molto raccontato generano una notevole distanza con il lettore che non riesce a figurarsi le varie scene nel concreto e neanche a immedesimarsi dal punto di vista emotivo. Ci si dispiace per questo protagonista, ma non ci si emoziona. È un vero peccato, perché l’idea alla base è buona.
Il flusso di lettura a volte si blocca per imprecisioni nella disposizione degli elementi frasali, o per l’omissione di un soggetto che rende il periodo confuso.

Sono d’accordo sul bonus ambientazione urbana e sul going ape, un po’ meno sull’animale domestico che appunto non è protagonista.

Alla prossima.

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Andrea Furlan
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Re: Marte

Messaggio#4 » sabato 10 giugno 2023, 0:23

Ciao Starla e grazie per il commento.
Mi sono interrogato molto sul punto di vista e narratore che dovevo dare a questo racconto e ho voluto provare un narratore esterno che di solito non uso mai.
Mi sembrava una scelta equilibrata per non vivere la storia dal punto di vista di Antonio in prima persona ma cercare di metterlo sullo stesso piano di Marte.
Sono curioso di leggere cosa ne pensano anche gli altri, ho proprio voluto sperimentare pur sapendo che magari non era la scelta ottimale per questa storia..

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Pretorian
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Re: Marte

Messaggio#5 » sabato 10 giugno 2023, 12:18

Ciao, Andrea è piacere di leggerti. Allora, il racconto è davvero di alto livello, davelvero uno dei migliori che tu abbia mai scritto. Ho potuto percepire il dolore del protagonista e la scena in cui picchia Marte è davvero un pugno allo stomaco, nel miglior senso del termine. A livello di trama, penso che forse l'unico modo di migliorare il tutto sarebbe stato di lavorare tra l'Epifania finale e proprio la scena della bottiglia. Insomma, si percepisce che il momento delle botte sia il punto più basso di Andrea, mentre quando parla con la psicologa lui si rende conto che Marte lo sta aiutando a superare il trauma, ma secondo me manca una scena che esprima al meglio questo passaggio o comunque il fatto che Andrea ora sia troppo pieno di problemi col cane per dare peso ai suoi traumi. Sullo stile, abbiamo un miglioramento ma vedo ancora molti punti in cui ho percepito il narratore prendere il posto di Andrea e andare a rompere il mostrato. Piccole crêpe, ma in un racconto così ben fatto si notano.
Personalmente, con pochi accorgimenti penso che questa potrebbe diventare una buona base per un romanzo.

Alla prossima!!

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Andrea Furlan
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Re: Marte

Messaggio#6 » domenica 11 giugno 2023, 10:11

Grazie mille Pretorian per il tuo commento e i consigli sempre utili e precisi. Come ho scritto sopra, ho voluto provare il narratore esterno e sono certo di aver commesso errori, non è stato semplice.
Sono contento del tuo consiglio di farlo diventare qualcosa si più lungo: il racconto include due punti che sono molto importanti per me. Ho vissuto l'attentato del 2016 e seguente recupero dal trauma, anche se in modo diverso da Antonio.
Invece Marte racconta la storia della mia famiglia quando abbiamo preso fra noi un cane.
In questa storia ho voluto rielaborare questi elementi in modo positivo, dove due individui solitari e pieni di problemi riescono a compensarsi a vicenda per vivere una vita .migliore.

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Re: Marte

Messaggio#7 » martedì 13 giugno 2023, 22:32

Ciao Andrea,
leggerti è sempre un piacere, lo sai. Allora, io ho un'opinione che è una via di mezzo tra chi ti ha già commentato. Premetto che un mio carissimo cugino ha vissuto in prima persona l'attentato a Bruxelles e quindi il tema mi è piuttosto caro e anche abbastanza vicino. Sono d'accordo che il momento dell'esplosione della rabbia e l'ho trovato toccante. Sono però anche abbastanza d'accordo con Starla (che se ho ben capito è una mia omonima): la scelta del narratore secondo me toglie un po' di immedesimazione e pathos, che secondo me avrebbero reso ancora più efficace la tua narrazione. Temo che il brano abbia un po' risentito di questa scelta, almeno, così è secondo il mio gusto.
Ti segnalo inoltre che questa frase specifica ( "«Allora Signor Lo Presti, questa è la nostra ultima seduta. Io non posso fare altro per lei, ora deve applicarsi. Le ho dato gli esercizi contro gli attacchi di panico che ha dimostrato di poter fare da solo. Ha tutti gli strumenti per uscire dal suo trauma.»") non mi ha convinto, mi è parsa un po' falsa, anche sapendo la strategia adottata dalla psicologa.
Detto questo, il tuo è un buon racconto...
Ci devo proprio pensare un po' su.
A rileggerti presto,
Elisa

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