Quello che c'è dopo
Inviato: lunedì 20 novembre 2023, 23:59
«Ascoltami bene» sbottò
«Il cappuccino puoi pure mettertelo nel culo!»
Alex si fece largo a spallate tra i clienti in attesa e spalancò con rabbia la porta del bar.
In strada si riempì i polmoni con l'aria che sapeva di pioggia e gas di scarico, e in bocca sentì quel saporaccio amaro che aveva da appena sveglio e che non c'era verso di sputare via.
Per un istante valutò l'ipotesi di tornare dentro e stringere le mani intorno al collo di quel barista ciccione; vederlo strabuzzare gli occhi.
«Adesso mi vedi stronzo?» gli avrebbe urlato.
Aveva ordinato la colazione a quel bastardo almeno dieci volte e lui niente; non l'aveva degnato di uno sguardo.
Eppure le altre persone le aveva viste benissimo. E le aveva servite tutte, tranne lui.
Alla fine decise di tornarsene a casa.
Dovette schivare decine di passanti che procedevano in senso contrario; gli venivano incontro a testa bassa, senza il minimo accenno di volerlo evitare, e Alex fu costretto a farsi da parte per non finire travolto.
«Ma che cazzo gli prende a tutti».
Trovò il portone aperto.
Filò su per le scale, pregustando la pace del suo salotto.
In fondo non aveva neanche così fame; si era svegliato con quel sapore di merda in bocca e sentì che gli mancava un niente per vomitare.
Raggiunse la sua porta e infilò la chiave.
Niente.
Non girava.
Sembrava che ci fosse il cemento dentro la serratura.
Provò a sfilare la chiave ma non veniva via.
«Ma porca troia maledetta»
Puntò i piedi e tirò con tutta la forza che aveva.
Niente.
Provò a girarla, a destra e a sinistra; tirò con entrambe le mani finché non la sentì cedere come fosse di burro.
L'aveva spezzata.
Allora scaricò un destro rabbioso, una mazzata dritta al centro della porta.
Senti il dolore esplodergli al centro della spalla e correre lungo il braccio fino alla punta della dita; le sentì bruciare come se le avesse schiacciate su una piastra arroventata.
La serratura di colpo scattò, e la porta si aprì cigolando.
Si trovo faccia a faccia con un tizio gigantesco; un viso e un corpo che non aveva mai visto prima.
Intravide alle sue spalle mobili e oggetti che non riconobbe.
Poi la porta si chiuse di nuovo e lo sconosciuto, senza aver fatto caso a lui, prese a scendere le scale a passo svelto.
Alex sentì le ginocchia piegarsi e scivolò a terra.
«Ma che cazzo vuol dire?».
Che fine aveva fatto casa sua? Perché nessuno lo vedeva?
Non poteva essere che un sognaccio; poco ma sicuro.
Provò a schiaffeggiarsi ma niente; a parte il dolore alla guancia tutto era rimasto uguale.
Si rizzò in piedi e scese di nuovo nell'androne.
Uscì in strada, scelse una direzione a caso e iniziò a correre.
Avanzava puntando e colpendo chiunque gli si si parasse davanti.
Questi rimanevano interdetti per qualche istante, come perplessi da quello che avevano sentito; si guardavano intorno, mai verso di lui, e dopo poco ripartivano come se niente fosse.
Una donna, travolta da Alex, finì addirittura a terra.
Un paio di passanti la aiutarono a rialzarsi, lei li ringraziò e tutti ripresero la loro strada, senza che nessuno facesse caso a lui.
Smise di correre e si trascinò ai giardinetti, puntò l'edicola e afferrò il primo quotidiano che si trovò sotto mano.
L'edicolante, nonostante guardasse nella sua direzione, non mostrò di essersi accorto di nulla e Alex potè leggere la data stampata sotto la testata:
Mercoledì 10 novembre.
Un giorno feriale e lui non era al lavoro.
Perché non era al lavoro?
Che lavoro faceva? Non riusciva proprio a ricordarlo
Pochi passi più avanti un ambulante esponeva delle ciambelle gigantesche che sembravano copertoni sgonfi.
Ne prese una e ne strappò un morso.
Si aspettava il solito aroma zuccherino sulla lingua ma non sentì niente, né quello né altro. Percepì solo la consistenza gommosa del boccone, che si muoveva in bocca senza sapore.
Alex sentì il cervello esplodere.
Sputò via la ciambella e corse fino a raggiungere le aiuole ai lati della strada.
Iniziò a strappare disperatamente fiori e terriccio, li infilò in bocca fino quasi a soffocare.
Niente.
Niente sapeva di niente.
Si fermò solo quando sentì qualcosa sfiorargli la spalla.
Riconobbe una mano.
Una mano piccola e ossuta.
Si girò di scatto e sentì il cuore fermarsi.
Era Ezio, il suo vicino di casa.
Era un vecchio stronzo che passava le giornate a vagare per le strade e prendendo a parolacce chiunque gli rivolgesse la parola.
Era, appunto, perché Ezio era morto da un anno.
«È inutile che ti affanni, tanto non cambia, non cambia più» gli disse ridacchiando
«Cosa non cambia? Che vuol dire? Che cazzo mi è successo?» urlò Alex.
«Non strillare, non serve a niente, una volta che hanno deciso non ci ripensano più, tanto vale che ti abitui»
«Ma chi ha deciso? Mi devo abituare a cosa?....ma poi tu sei morto?»
Ezio sorrise:
«Appunto»
Detto questo girò sui tacchi e si allontanò.
Alex lo vide fare pochi passi e sentì che iniziava a canticchiare; era una canzone che non aveva mai sentito ma riconobbe le parole;
«Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'eterno dolore, per me si va tra la perduta gente».
«Il cappuccino puoi pure mettertelo nel culo!»
Alex si fece largo a spallate tra i clienti in attesa e spalancò con rabbia la porta del bar.
In strada si riempì i polmoni con l'aria che sapeva di pioggia e gas di scarico, e in bocca sentì quel saporaccio amaro che aveva da appena sveglio e che non c'era verso di sputare via.
Per un istante valutò l'ipotesi di tornare dentro e stringere le mani intorno al collo di quel barista ciccione; vederlo strabuzzare gli occhi.
«Adesso mi vedi stronzo?» gli avrebbe urlato.
Aveva ordinato la colazione a quel bastardo almeno dieci volte e lui niente; non l'aveva degnato di uno sguardo.
Eppure le altre persone le aveva viste benissimo. E le aveva servite tutte, tranne lui.
Alla fine decise di tornarsene a casa.
Dovette schivare decine di passanti che procedevano in senso contrario; gli venivano incontro a testa bassa, senza il minimo accenno di volerlo evitare, e Alex fu costretto a farsi da parte per non finire travolto.
«Ma che cazzo gli prende a tutti».
Trovò il portone aperto.
Filò su per le scale, pregustando la pace del suo salotto.
In fondo non aveva neanche così fame; si era svegliato con quel sapore di merda in bocca e sentì che gli mancava un niente per vomitare.
Raggiunse la sua porta e infilò la chiave.
Niente.
Non girava.
Sembrava che ci fosse il cemento dentro la serratura.
Provò a sfilare la chiave ma non veniva via.
«Ma porca troia maledetta»
Puntò i piedi e tirò con tutta la forza che aveva.
Niente.
Provò a girarla, a destra e a sinistra; tirò con entrambe le mani finché non la sentì cedere come fosse di burro.
L'aveva spezzata.
Allora scaricò un destro rabbioso, una mazzata dritta al centro della porta.
Senti il dolore esplodergli al centro della spalla e correre lungo il braccio fino alla punta della dita; le sentì bruciare come se le avesse schiacciate su una piastra arroventata.
La serratura di colpo scattò, e la porta si aprì cigolando.
Si trovo faccia a faccia con un tizio gigantesco; un viso e un corpo che non aveva mai visto prima.
Intravide alle sue spalle mobili e oggetti che non riconobbe.
Poi la porta si chiuse di nuovo e lo sconosciuto, senza aver fatto caso a lui, prese a scendere le scale a passo svelto.
Alex sentì le ginocchia piegarsi e scivolò a terra.
«Ma che cazzo vuol dire?».
Che fine aveva fatto casa sua? Perché nessuno lo vedeva?
Non poteva essere che un sognaccio; poco ma sicuro.
Provò a schiaffeggiarsi ma niente; a parte il dolore alla guancia tutto era rimasto uguale.
Si rizzò in piedi e scese di nuovo nell'androne.
Uscì in strada, scelse una direzione a caso e iniziò a correre.
Avanzava puntando e colpendo chiunque gli si si parasse davanti.
Questi rimanevano interdetti per qualche istante, come perplessi da quello che avevano sentito; si guardavano intorno, mai verso di lui, e dopo poco ripartivano come se niente fosse.
Una donna, travolta da Alex, finì addirittura a terra.
Un paio di passanti la aiutarono a rialzarsi, lei li ringraziò e tutti ripresero la loro strada, senza che nessuno facesse caso a lui.
Smise di correre e si trascinò ai giardinetti, puntò l'edicola e afferrò il primo quotidiano che si trovò sotto mano.
L'edicolante, nonostante guardasse nella sua direzione, non mostrò di essersi accorto di nulla e Alex potè leggere la data stampata sotto la testata:
Mercoledì 10 novembre.
Un giorno feriale e lui non era al lavoro.
Perché non era al lavoro?
Che lavoro faceva? Non riusciva proprio a ricordarlo
Pochi passi più avanti un ambulante esponeva delle ciambelle gigantesche che sembravano copertoni sgonfi.
Ne prese una e ne strappò un morso.
Si aspettava il solito aroma zuccherino sulla lingua ma non sentì niente, né quello né altro. Percepì solo la consistenza gommosa del boccone, che si muoveva in bocca senza sapore.
Alex sentì il cervello esplodere.
Sputò via la ciambella e corse fino a raggiungere le aiuole ai lati della strada.
Iniziò a strappare disperatamente fiori e terriccio, li infilò in bocca fino quasi a soffocare.
Niente.
Niente sapeva di niente.
Si fermò solo quando sentì qualcosa sfiorargli la spalla.
Riconobbe una mano.
Una mano piccola e ossuta.
Si girò di scatto e sentì il cuore fermarsi.
Era Ezio, il suo vicino di casa.
Era un vecchio stronzo che passava le giornate a vagare per le strade e prendendo a parolacce chiunque gli rivolgesse la parola.
Era, appunto, perché Ezio era morto da un anno.
«È inutile che ti affanni, tanto non cambia, non cambia più» gli disse ridacchiando
«Cosa non cambia? Che vuol dire? Che cazzo mi è successo?» urlò Alex.
«Non strillare, non serve a niente, una volta che hanno deciso non ci ripensano più, tanto vale che ti abitui»
«Ma chi ha deciso? Mi devo abituare a cosa?....ma poi tu sei morto?»
Ezio sorrise:
«Appunto»
Detto questo girò sui tacchi e si allontanò.
Alex lo vide fare pochi passi e sentì che iniziava a canticchiare; era una canzone che non aveva mai sentito ma riconobbe le parole;
«Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'eterno dolore, per me si va tra la perduta gente».