Armageddon!
Inviato: martedì 21 novembre 2023, 1:29
Armageddon!
Un boato. Una nuvola di detriti mi schiaffeggia.
Tossisco e mi metto a sedere. Il fumo si dirada: attorno a me, distese di fango crivellate dalle artiglierie. Nell’aria, il rombo dei cannoni e l’eco delle urla.
Chi sono? Dove mi trovo? I ricordi sono come fili di ragnatela che si spezzano quando cerco di afferrarli. Un’esplosione a non più di una sessantina di iarde da me. Lo spostamento d’aria mi spinge a terra. Il boato mi assorda. Rotolo nel fango e mi accuccio in posizione fetale.
Altre esplosioni più lontane da oltre la cresta alla mia destra. Ognuna copre il rumore delle urla suscitate dalla precedente.
Piango.
C’è un’uscita.
Il pensiero mi immobilizza e mi mozza il fiato.
Non so come, ma so che da qualche parte c’è una via d’uscita a tutto questo. Devo solo trovarla il più in fretta possibile. Nel caos della mia mente questo è l’unico punto fermo, saldo come se mi fosse stato impresso da Dio.
Mi asciugo le lacrime e mi alzo in piedi: c’è un fucile a pochi passi da me. Lo afferro e mi arrampico sulla collina fangosa davanti a me.
Sulla sommità, una trincea circondata da cadaveri. Un uomo spacca con una mazza il cranio di un disgraziato che era ancora in grado di strisciare. Ha il volto coperto da una maschera antigas e un elmetto chiodato sul capo.
Resto immobile e deglutisco. Lui alza lo sguardo verso di me. Il rumore del respiro attraverso il respiratore diventa un ringhio. Solleva l’arma e mi corre in contro.
- Finger weg vom ausgang, Hund!
Sparo due colpi al torace. Lui crolla in ginocchio, ma prova comunque a gattonare verso di me, la mazza chiodata stretta nel pugno. Urlo e lo infilzo con la baionetta. Lui crolla a terra.
Attraverso le lenti della maschera, faccio in tempo a leggere l’odio e il terrore negli occhi che si chiudono.
Mi faccio indietro. L’odore di sangue colpisce l’olfatto e la nausea mi scuote dalla testa ai piedi. Vomito.
L’uomo davanti a me era vivo fino a un istante fa e ora non è diverso dal fango in cui sto affondando. Perché mi ha attaccato? E perché è stato così naturale per me ucciderlo? L’istinto mi ha guidato senza che dovessi nemmeno pensarci.
Mi pulisco le labbra con una manica del giaccone. Quest’uomo… forse stava cercando anche lui l’uscita e aveva paura che la trovassi prima di lui. Ha cercato di uccidermi per difendere la speranza di andarsene, come aveva fatto con quell’altro disgraziato prima di me.
Come devo essere pronto a fare io.
Apro l’otturatore del fucile: colpo camerato e ne sento altri nella giberna. Riempio il caricatore, metto l’arma in puntamento ed entro nella trincea.
- Exitus! Exitus! Est ad me, et nemo alius!
Un uomo in armatura a scaglie vomita insulti contro un corazziere sdraiato sotto di lui. Tenta di morderlo, mentre l’altro cerca di liberarsi dalla sua presa per afferrare una sciabola.
- Cette putain de bouche ferme la! C'est le mien, seulement le mien!
Un proiettile ben piazzato e la sua resistenza ha fine. L’uomo in armatura mi vede, ma non gli lascio il tempo di reagire: muore sprizzando sangue sul corpo del suo nemico.
Li scavalco.
Urla alla mia destra. Mi avvicino a una feritoia e spio la terra di nessuno: uomini seminudi combattono attorno alla carcassa di un carro armato in fiamme. Usano asce, falci o le nude mani coperte di sangue. Alle loro spalle, un cavaliere in armatura con una croce nera ricamata sul torace abbassa la lancia e li carica.
Mi allontano.
Cercano anche loro l’uscita. È vicina e nessuno l’ha ancora varcata. Lo sento nella carne e nelle ossa.
Mi appoggio a un sacco di sabbia e prendo dei respiri profondi. Ho perso il conto delle ferite ricevute e non ricordo più da quando sto correndo.
Vorrei solo fermarmi e riposarmi per un po’, ma so di non averne il tempo.
Un ultimo sforzo, un’ultima mattanza e troverò la pace.
Mi trascino oltre l’ennesimo nido di mitragliatrici. Le urla dei nemici in arrivo spremono dal corpo le ultime energie.
Giro l’angolo e lo vedo. Centinaia, forse migliaia di corpi ammucchiati in uno spazio di poche decine di metri. Niente distinzione di sesso, età o razza: davanti alla carneficina sono tutti uguali.
Il massacro che conclude tutti i massacri.
Alle loro spalle, l’ingresso per un tunnel che si inoltra nelle viscere della terra.
L’uscita!
Il sorriso mi muore sulle labbra: una donna priva di gambe sta strisciando via dalla catasta di corpi, lasciandosi dietro una scia di sangue come una grottesca lumaca.
Mi arrampico sui cadaveri. Li calpesto nella corsa e la raggiungo.
- L’uscita è mia! Mia, hai capito? Non mi faccio portare via quello che mi appartiene!
La colpisco con la baionetta ancora e ancora, ma lei non è più in grado di parlare. L’unica risposta che arriva è quella delle granate che cominciano a piovere attorno a noi.
Un boato. Una nuvola di detriti mi schiaffeggia.
Chi sono? Dove mi trovo? La mente è troppo confusa per ricordare. Un unico pensiero è chiaro: “C’è un’uscita.”
Un punto fermo, saldo come se fosse stato impresso nella mia mente da Dio.
Ma allora perché mi sembra di sentire una risata mentre lo formulo?
di Agostino Langellotti
Un boato. Una nuvola di detriti mi schiaffeggia.
Tossisco e mi metto a sedere. Il fumo si dirada: attorno a me, distese di fango crivellate dalle artiglierie. Nell’aria, il rombo dei cannoni e l’eco delle urla.
Chi sono? Dove mi trovo? I ricordi sono come fili di ragnatela che si spezzano quando cerco di afferrarli. Un’esplosione a non più di una sessantina di iarde da me. Lo spostamento d’aria mi spinge a terra. Il boato mi assorda. Rotolo nel fango e mi accuccio in posizione fetale.
Altre esplosioni più lontane da oltre la cresta alla mia destra. Ognuna copre il rumore delle urla suscitate dalla precedente.
Piango.
C’è un’uscita.
Il pensiero mi immobilizza e mi mozza il fiato.
Non so come, ma so che da qualche parte c’è una via d’uscita a tutto questo. Devo solo trovarla il più in fretta possibile. Nel caos della mia mente questo è l’unico punto fermo, saldo come se mi fosse stato impresso da Dio.
Mi asciugo le lacrime e mi alzo in piedi: c’è un fucile a pochi passi da me. Lo afferro e mi arrampico sulla collina fangosa davanti a me.
Sulla sommità, una trincea circondata da cadaveri. Un uomo spacca con una mazza il cranio di un disgraziato che era ancora in grado di strisciare. Ha il volto coperto da una maschera antigas e un elmetto chiodato sul capo.
Resto immobile e deglutisco. Lui alza lo sguardo verso di me. Il rumore del respiro attraverso il respiratore diventa un ringhio. Solleva l’arma e mi corre in contro.
- Finger weg vom ausgang, Hund!
Sparo due colpi al torace. Lui crolla in ginocchio, ma prova comunque a gattonare verso di me, la mazza chiodata stretta nel pugno. Urlo e lo infilzo con la baionetta. Lui crolla a terra.
Attraverso le lenti della maschera, faccio in tempo a leggere l’odio e il terrore negli occhi che si chiudono.
Mi faccio indietro. L’odore di sangue colpisce l’olfatto e la nausea mi scuote dalla testa ai piedi. Vomito.
L’uomo davanti a me era vivo fino a un istante fa e ora non è diverso dal fango in cui sto affondando. Perché mi ha attaccato? E perché è stato così naturale per me ucciderlo? L’istinto mi ha guidato senza che dovessi nemmeno pensarci.
Mi pulisco le labbra con una manica del giaccone. Quest’uomo… forse stava cercando anche lui l’uscita e aveva paura che la trovassi prima di lui. Ha cercato di uccidermi per difendere la speranza di andarsene, come aveva fatto con quell’altro disgraziato prima di me.
Come devo essere pronto a fare io.
Apro l’otturatore del fucile: colpo camerato e ne sento altri nella giberna. Riempio il caricatore, metto l’arma in puntamento ed entro nella trincea.
- Exitus! Exitus! Est ad me, et nemo alius!
Un uomo in armatura a scaglie vomita insulti contro un corazziere sdraiato sotto di lui. Tenta di morderlo, mentre l’altro cerca di liberarsi dalla sua presa per afferrare una sciabola.
- Cette putain de bouche ferme la! C'est le mien, seulement le mien!
Un proiettile ben piazzato e la sua resistenza ha fine. L’uomo in armatura mi vede, ma non gli lascio il tempo di reagire: muore sprizzando sangue sul corpo del suo nemico.
Li scavalco.
Urla alla mia destra. Mi avvicino a una feritoia e spio la terra di nessuno: uomini seminudi combattono attorno alla carcassa di un carro armato in fiamme. Usano asce, falci o le nude mani coperte di sangue. Alle loro spalle, un cavaliere in armatura con una croce nera ricamata sul torace abbassa la lancia e li carica.
Mi allontano.
Cercano anche loro l’uscita. È vicina e nessuno l’ha ancora varcata. Lo sento nella carne e nelle ossa.
Mi appoggio a un sacco di sabbia e prendo dei respiri profondi. Ho perso il conto delle ferite ricevute e non ricordo più da quando sto correndo.
Vorrei solo fermarmi e riposarmi per un po’, ma so di non averne il tempo.
Un ultimo sforzo, un’ultima mattanza e troverò la pace.
Mi trascino oltre l’ennesimo nido di mitragliatrici. Le urla dei nemici in arrivo spremono dal corpo le ultime energie.
Giro l’angolo e lo vedo. Centinaia, forse migliaia di corpi ammucchiati in uno spazio di poche decine di metri. Niente distinzione di sesso, età o razza: davanti alla carneficina sono tutti uguali.
Il massacro che conclude tutti i massacri.
Alle loro spalle, l’ingresso per un tunnel che si inoltra nelle viscere della terra.
L’uscita!
Il sorriso mi muore sulle labbra: una donna priva di gambe sta strisciando via dalla catasta di corpi, lasciandosi dietro una scia di sangue come una grottesca lumaca.
Mi arrampico sui cadaveri. Li calpesto nella corsa e la raggiungo.
- L’uscita è mia! Mia, hai capito? Non mi faccio portare via quello che mi appartiene!
La colpisco con la baionetta ancora e ancora, ma lei non è più in grado di parlare. L’unica risposta che arriva è quella delle granate che cominciano a piovere attorno a noi.
Un boato. Una nuvola di detriti mi schiaffeggia.
Chi sono? Dove mi trovo? La mente è troppo confusa per ricordare. Un unico pensiero è chiaro: “C’è un’uscita.”
Un punto fermo, saldo come se fosse stato impresso nella mia mente da Dio.
Ma allora perché mi sembra di sentire una risata mentre lo formulo?
di Agostino Langellotti