Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Moderatore: Laboratorio

Richieste di Grazia

Sondaggio concluso il mercoledì 30 dicembre 2015, 23:40

Merita la grazia
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Il racconto andrebbe revisionato
1
100%
 
Voti totali: 1

marina_usai
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Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#1 » domenica 13 dicembre 2015, 15:58

Felice stringeva per una gamba la bambola di Bebi Mia sporca di sangue.
Sotto di lui c’era Gianni. Sotto Gianni, si allargava una pozza rossa. Felice non sapeva bene da quale orifizio sgorgasse quella roba vischiosa. In cuor suo sperava da un orecchio, possibilmente insieme a qualche frammento gelatinoso di cervello. In effetti, se si avvicinava per guardare meglio il capolavoro che aveva prodotto in così poco tempo, gli sembrava di vederlo.
I denti della vittima, una volta bianchi come un filo di perle, assomigliavano ormai ad un treno deragliato. Una finestra si era aperta nel suo sorriso; adesso i due centrali superiori erano sparsi sul tappeto persiano di Anna.
Anna teneva le mani davanti alla bocca producendo una litania che suonava più o meno così: “L’hai ammazzato. Oddio l’hai ammazzato.”

Felice era un uomo buono. Era così buono che quando perse il lavoro al chiosco dei giornali, i vicini si proposero di aiutarlo. C’era chi gli chiedeva di tinteggiare i muri dell’appartamento, chi di occuparsi del giardino. La signora Bianchi, quella vecchia tirchia con la dentiera che dondolando produceva sputi a raggiera, lo mandava al mercato all’ora di chiusura per prendere le verdure avanzate. Gli diceva che il resto era mancia. Felice con il resto non si comprava nemmeno il filo per rammendare i calzini.
E poi c’era Anna.
Anna era l’amministratrice delegata di una importante ditta di scarpe antinfortunistiche.
Aveva morbidi capelli color del miele. Felice amava Anna da quando all’asilo gli aveva regalato un sasso, coperto di fango, trovato nel cortile. Gli aveva detto: “Tieni Felice, questo è il mio cuore per te.”
Da allora il cuore di Felice non fu altro che per lei.
Ma era timido e si vergognava dell’alopecia che con il tempo aveva estirpato i suoi riccioli neri, come la vanga faceva con le zolle di terra in tempo di semina.
L’aveva vista sposarsi e avere una bambina, Federica. Poi l’aveva vista separarsi.
Fu allora che, grazie a quelle che riconobbe come una serie di fortunate coincidenze, Felice perse il lavoro e Anna gli chiese di aiutarla con Federica. Aveva bisogno di una babysitter ma si sa che di questi tempi non ci si può fidare di nessuno.
Così Felice ebbe finalmente accesso alla casa di Anna, della quale adorava anche il deodorante per ambiente all’arancio nascosto dietro il vaso cinese. Federica poi era un angelo. Lo chiamava “il pelatone” e lo portava in giro per la cameretta fingendo fosse ogni volta un animale diverso: un ippopotamo, un cane o un orso ammaestrato. Felice per fare bene il suo lavoro aveva imparato il verso di tutti gli animali guardando i documentari che venivano trasmessi in televisione alle quattro del mattino. Per il suo compleanno, con i pochi soldi che era riuscito a mettere da parte, le aveva comprato una bambola al mercatino dell'usato. Bebi mia - così si chiamava la bambola - gli piaceva perché parlava e diceva “ti voglio bene”. Le altre frasi - mi scappa la pupù, coccolami, ho fame - non era più in grado di dirle perché la scheda di memoria era danneggiata. La pulì e confezionò con le sue mani un vestitino nuovo. Quando Federica aprì il pacco storse la bocca in una smorfia che, chi non l’avesse conosciuta bene, avrebbe detto di disgusto. Felice invece sapeva che le era piaciuta. Federica teneva la bambola in camera sua sulla mensola in alto, dietro una Bratz gigante con la testa grossa come un pompelmo e il corpo più esile di un giunco.
Felice vide entrare e uscire dalla vita di Anna molti uomini, ma nessuno era perfetto per lei. Finché non arrivò Gianni.
Gianni una sera la riaccompagnò a casa e si inginocchiò davanti a lei.
Felice era in camera a vegliare il sonno della bambina.
“Anna, vuoi sposarmi?” disse Gianni.
Tirò fuori un brillocco da otto carati e glielo porse.
“Oh…” disse lei “certo che voglio sposarti.”
Fu allora che Felice buttò in terra la Bratz e afferrò Bebi Mia per una gamba.

Gianni si riprese in poco tempo. La commozione cerebrale non portò altro effetto collaterale se non quello di renderlo un cucciolo bisognoso di affetto agli occhi di Anna. Con un paio di interventi di chirurgia maxillo-facciale, il volto di Gianni assomigliò ancora di più a quello di un dio greco, e sposò Anna in una cerimonia ricca di tulle e fiori d’arancio.
Felice si è scampato la galera. Adesso ha un posto in cui vive sotto stretta sorveglianza. Ha una stanza tutta per sé e tre pasti caldi al giorno. Tutto intorno a lui è bianco. Le pareti, i suoi vestiti e persino quelli degli operatori.
Con il tempo e la buona condotta gli hanno concesso delle pitture e qualche pennello. Da mesi lavora ad un murales su una parete della sua stanza; dipinge ruscelli, campi di grano e sul cielo azzurro corvi che volano. In lontananza disegna una casa diroccata e una famiglia felice.
Ultima modifica di marina_usai il domenica 20 dicembre 2015, 15:52, modificato 1 volta in totale.



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angelo.frascella
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#2 » lunedì 14 dicembre 2015, 23:33

Ciao Marina.

Il tuo racconto compresso in meno di 5000 caratteri contiene una vita intera: quella di Felice. Il problema è che, narrativamente parlando, non si può comprimere una vita in pochi caratteri. Così, se il racconto si apre con una immagine bellissima, poi si perde in un lungo riassunto di tutto ciò che è accaduto a Felice da quando andava all'asilo sino a oggi, con l'effetto che l'empatia e la drammaticità della narrazione in gran parte si annacquano (anche se ammetto che sei brava, con qualche pennellata efficace qua e là a recuperarne un po'). Insomma, i racconti che partono con una scena e poi si perdono nella sintesi di cose vecchie mi danno sempre l'impressione dell'Infodump, del racconto compresso in una pagina di Wikipedia.

Secondo me potresti seguire due vie:
1) trasformare il racconto breve in uno molto lungo, espandendo in forma narrativa il sunto che costituisce il cuore del racconto.

2) Selezionare le informazioni davvero importanti presenti e trasformarle dalla forma "raccontata" che hanno adesso in una o due scene significative e "in presa diretta".

Mi spiego meglio: subito dopo la scena drammatica iniziale, potremmo vedere Felice che si presenta alla porta di Anna per prender in consegna la bambina (e magari mostrare la reticenza di Federica a rimanere con Felice, di cui ha paura perché è l'unica che ne intuisce il lato oscuro, ma che la madre scambia per un capriccio). Potremmo vedere lui che gioca a modo suo con Federica, prova a convincerla a prendere la baby mia che le ha regalato lui e intanto le racconta di come lui e sua madre si conoscono e si amano fin da piccoli e che presto si sposeranno e lui sarà, non più il suo baby sitter, ma suo padre. Di tanto in tanto potrebbe venir fuori la gelosia di Felice. Con chi è uscita? Ha detto Gianni o Gianna? No è di certo Gianna, la loro amica dell'asilo che deve essere tornata per recuperare quei tempi belli.
Poi arrivano Anna e Gianni, lui sente che le fa la proposta e viene pervaso dalla rabbia e scoppia...

D'accordo, la mia è solo una delle possibili modalità, ma quello che sarebbe importante, secondo me, sarebbe avere davanti agli occhi una scena viva e non una sintesi e il racconto ne guadagnerebbe in potenza ed efficacia.

Buon lavoro
Angelo

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Vastatio
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#3 » martedì 15 dicembre 2015, 22:35

Ciao,

vado controcorrente rispetto ad Angelo, non sono un fanatico del mostrato VS raccontato anche perché il mostrato bene o male qui c'è. E' la mente semplice di Felice che ci viene mostrata giocando con le similutidune e lo stile, altrettanto semplice che scegli di usare.
Il gioco di prestigio però non ti riesce sempre molto bene.
Prima di tutto la punteggiatura. E' andata in villeggiatura esattamente nello stesso posto in cui mando la mia. Lo capisco dal fatto che ogni tanto ti chiama, ma non prende bene il cellulare, e non si riesce mai a capire bene dove voleva essere messa.
Secondo la terminologia. Alterni un frasario semplice e immagini altrettanto chiare a termini che difficilmente metterei in bocca a Felice. Orifizio, vischioso, litania, amministratrice delegata, alopecia...
Chiariamo, questo effetto deriva dal fatto che mi sto immaginando felice come qualcuno affetto da un ritardo mentale, non completamente invalidante (se non era questa la tua intenzione, mi spiace, ma Felice mi è "filtrato" così dalle prime righe del racconto) e mi stono un po' questo narratore un po' "Felice" e un po' "erudito".

Per il resto mi è piaciuto come hai compresso la vita (l'ho detto, sono agli antipodi di Angelo), mostrandone solo alcuni scorci importanti calandoli nella mente di Felice.

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angelo.frascella
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#4 » martedì 15 dicembre 2015, 23:20

Vastatio ha scritto:vado controcorrente rispetto ad Angelo, non sono un fanatico del mostrato VS raccontato...


Questo Roberto, si lega bene al discorso che si faceva qualche giorno fa nel Salotto: per quanto ci si sforzi di essere oggettivi è inevitabile che soggettività e gusto personale finiscano per influenzare il giudizio :)

marina_usai
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#5 » domenica 20 dicembre 2015, 13:44

Ciao Angelo e Vastatio,

grazie per i vostri commenti.

Inizio rispondendo ad Angelo.

Il tuo consiglio sul fatto di far diventare questa storia un racconto lungo mi ha fatto riflettere molto. Per qualche giorno sono stata tentata dal compiere l'esperimento, ma questo mi ha fatto riflettere sul nucleo della storia, che, come qualcuno ha già sottolineato, non è particolarmente originale. Credo che, così com'è, avrebbe bisogno di un paio di marce in più rispetto ad ora per non annoiare un lettore.
Forse, se la tua percezione è stata quella di una vita intera compressa in pochi caratteri, dovrei essere più selettiva sulle parti da raccontare e magari selezionarne giusto un paio da espandere maggiormente, come facevi notare nel secondo consiglio.
Nel mio immaginario Federica non ha la profondità di avere delle avvisaglie rispetto alla possibile pericolosità di Felice. Lo considera niente di più di un essere al suo servizio. Lo stesso vale per Anna. Per lei Felice è invisibile. Sono entrambe troppo concentrate su se stesse per accorgersi che qualcosa in lui non va. Del resto tutta l'ambientazione è un po' questa.

Vastatio,

che dire. La punteggiatura, questa sconosciuta! A parte scherzi, grazie per avermelo fatto notare. A volte rileggendo un testo più e più volte non ci si accorge più di niente ed è il motivo per cui, di solito, chiedo ad altri di rileggermi i testi.
Per come me lo sono immaginato, Felice è una persona sicuramente semplice, ma non con un lieve ritardo. Se ti è passato questo c'è qualcosa nel testo che non funziona. Per quanto riguarda la scelta di alcune parole (orifizio, alopecia, amministratrice delegata, ecc...) che hai segnalato non le trovo così lontane dal testo. Il narratore è comunque una terza persona, anche se vicina al protagonista. Il racconto non esce direttamente dalla bocca di Felice e quindi mi dà la possibilità di usare parole che forse non sarebbero caratteristiche del protagonista. Sicuramente questa discrepanza che noti è dovuta anche alla percezione che hai avuto di Felice come lieve ritardato. Secondo me, se riesco a risolvere quell'aspetto, certe parole potrebbero non suonare più così fuori contesto.

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Jacopo Berti
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#6 » mercoledì 30 dicembre 2015, 16:53

Marina, ho letto e interpretato il testo autonomamente e poi ho letto i commenti, ritrovandomi, per alcuni aspetti, in quello di Vastatio. E in effetti qualcosa non funziona se anch'io ho visto Felice come una persona con un lieve ritardo, quando invece tu non intendevi questo. Insomma, pare uno di quegli omoni gentili (scusa se ragiono per stereotipi) appena al di sotto dell'intelligenza considerata normale. Che poi si rivelano essere bambini nel loro venire alle mani quando vengono feriti nei sentimenti.
La prima scena, molto riuscita, di lui che se ne sta sull'altro uomo con una bambola in mano, aiuta moltissimo a formulare questa impressione.
D'altra parte, ho letto anche alcune delle parole un po' più "difficili" (alopecia, amministratrice delegata) come se fossero quelle che una persona del genere ha imparato ascoltandole dagli altri, perché le servono per descrivere le cose che hanno un peso nella sua vita.
Anche il finale porta all'interpretazione di cui sopra: "Ha una stanza tutta per sé e tre pasti caldi al giorno. Tutto intorno a lui è bianco. Le pareti, i suoi vestiti e persino quelli degli operatori". Ho pensato a una focalizzazione su di lui e il testo descrive il luogo senza nominarlo, come se Felice non riuscisse effettivamente a cogliere il significato del posto in cui si trova.
Il racconto non mi dispiace, ma il fatto che in tutto ciò ci sia un travisamento, non mi spinge proprio a chiedere la grazia.
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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Spartaco
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#7 » mercoledì 30 dicembre 2015, 22:45

Ciao Marina, visto che il racconto non ha raggiunto le richieste di grazia necessarie ti propongo di ripostarlo nel Laboratorio del mese prossimo. Si riparte da zero, ma con alle spalle dei commenti già validi. Ciao

Cattivotenente
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Re: Aislinn Edition - Benvenuta felicità

Messaggio#8 » giovedì 31 dicembre 2015, 11:17

Ciao. Vado un po’ di fretta perché siamo proprio a fine anno, quindi non ci giro attorno: scarta questo racconto e riparti di slancio su qualcos’altro. Puoi farlo, perché scrivi in italiano correttamente (anche se ci sono alcune sviste) e questa è un’ottima base di partenza, ma le cose che non vanno sono davvero troppe. Partendo dal generale, il racconto non ha un vero perché, non si sa dove voglia andare. Parte come una storia truculenta, vira sul sociale, si flette verso il sentimentalismo, ritorna sul nero ma poi non ha il giusto pathos e quello che credevamo un omicidio è una “bambolata” in faccia. Non c’è un messaggio, una morale, un’ironia di fondo, nulla. Insomma, arrivato alla fine mi domando perché mai avrei dovuto leggerlo, e cosa mi abbia lasciato. La risposta è ciò che chiamo “il terribile effetto embè”. Finisci e ti domandi: “embè?”
La sospensione dell’incredulità è parecchio traballante, alcuni personaggi superflui (la vecchia che descrivi tirchia, ma poi tirchia non è perché lascia il resto, ma poi in effetti lo è perché il resto è poco… insomma, ci siamo capiti). Il colpo di scena fiacco perché prevedibile e “scorretto” al tempo stesso, perché non hai caratterizzato Felice in maniera adeguata per renderlo credibile. A un certo punto dà di matto e basta. Si aggiunge il collaterale effetto “mah”…
La storia, poi, è un blocco unico di “tell”, mostri poco o nulla, il che ovviamente non va bene.
Venendo al testo, ci sono alcuni svarioni, dai tempi verbali alla disposizione delle parole, che ti consiglierei di ponderare meglio per rendere le frasi più efficaci. Alcuni rapidi esempi:

“In cuor suo sperava da un orecchio, possibilmente insieme a qualche frammento gelatinoso di cervello. In effetti, se si avvicinava per guardare meglio il capolavoro che aveva prodotto in così poco tempo, gli sembrava di vederlo.”

L’imperfetto suggerisce ripetitività dell’azione, come se avesse un bel po’ di tempo a disposizione, si cincischiasse e, ogni tanto, per passare il tempo “si avvicinava” per guardare. Il modo giusto sarebbe il gerundio, accompagnato da un tempo passato remoto:

“in effetti, avvicinandosi per guardare meglio, gli sembò di vederelo”


“I denti della vittima, una volta bianchi come un filo di perle, assomigliavano ormai ad un treno deragliato. Una finestra si era aperta nel suo sorriso; adesso i due centrali superiori erano sparsi sul tappeto persiano di Anna.”

Quel che è accaduto ai denti non ha attinenza con il loro colore. O dici che si sono macchiati di sangue, o poni la premessa che prima erano “dritti e regolari”, mentre ora sono “un treno deragliato”. Le due frasi successive devono essere ridisposte: prova a leggerle ad alta voce. Infine, “una volta” rimanda a un tempo piuttosto remoto, non a qualche secondo prima.




Anna teneva le mani davanti alla bocca producendo una litania che suonava più o meno così: “L’hai ammazzato. Oddio l’hai ammazzato.”

Anna: posizionala nello spazio, è un personaggio nuovo, del quale non sappiamo nulla, non gettarcela addosso a bruciapelo. Tutto ciò che segue è superfluo, basta dire che Anna, in un angolo (posizione) si dondolava abbracciandosi le gambe (descrizione dello stato d’animo senza ingresso nel pdv) e ripeteva “l’hai ammazzato…” ecc

“La signora Bianchi, quella vecchia tirchia con la dentiera che dondolando produceva sputi a raggiera”

Funzionerebbe meglio invertendo i modi verbali, in modo da avvicinare soggetto e verbo principale e aumentare la leggibilità:

“La signora Bianchi, quella vecchia tirchia con la dentiera che dondolava producendo sputi a raggiera”

“Ma era timido e si vergognava dell’alopecia che con il tempo aveva estirpato i suoi riccioli neri, come la vanga faceva con le zolle di terra in tempo di semina.”


Similitudine fuori contesto: siamo in un ambiente urbano, il rimando ad attività rurali non è un grande sfoggio di stile. Scegli altro, zolle di asfalto strappate da una strada dissestata, che so.


“L’aveva vista sposarsi e avere una bambina, Federica. Poi l’aveva vista separarsi.
Fu allora che…”

Bla, bla, bla… Troppo tell, e tutto in funzione propedeutica a una scena vista all’inizio e sommamente deludente, viste le premesse di sangue, morte, e donne traumatizzate.

“Aveva bisogno di una babysitter ma si sa che di questi tempi non ci si può fidare di nessuno.”

Stavi narrando al passato. Perché passi al presente? Non sarà un brandello di discorso indiretto libero infilato nel testo? Perché proprio non ci starebbe, qui.

“Quando Federica aprì il pacco storse la bocca in una smorfia che, chi non l’avesse conosciuta bene, avrebbe detto di disgusto. Felice invece sapeva che le era piaciuta.”

Io lettore, invece, non l’ho capito. Non so se il pdv del personaggio sia attendibile o meno; dovrei crederlo, dato che il tuo narratore si pone come onnisciente, eppure non mi dai un motivo vero per credere che la bambina, con una smorfia, voglia dire: “oh! Che bella!” O, forse, semplicemente non mi fido abbastanza del tuo narratore, perché non mi sta convincendo. Quindi un dettaglio (peraltro superfluo e insufficiente da solo a caratterizzare un personaggio che rimane appena abbozzato e compare per un breve flash) stridente del genere non riesce ad andare giù.

“Federica teneva la bambola in camera sua sulla mensola in alto, dietro una Bratz gigante”

Ed ecco che avevo ragione a non fidarmi: perché la bambina tiene la bambola dietro a una “Bratz” (qualunque cosa essa sia)?

“Felice era in camera a vegliare il sonno della bambina.
“Anna, vuoi sposarmi?” disse Gianni.
Tirò fuori un brillocco da otto carati e glielo porse.”

Aspettare un momento un po’ più intimo no? Proprio con un altro uomo in casa, l’improbabile baby sitter maschio spasimante segreto della fidanzata? Ri-mah…
Oltretutto (so che ha poco senso dirlo, perché non c’è stata gran rigidità da parte tua in questo senso, ma tant’è…) il fatto che il brillocco fosse proprio da 8 carati lo sa il narratore onnisciente, non il personaggio. Però l’unico personaggio nella testa del quale entri è proprio Felice. Del quale, però, nulla sapremo fino all’ultimo sul suo sordo rancore che sfocerà in violenza. Insomma, devi deciderti: o il narratore è esterno e mostra, senza sapere cosa pensano i personaggi, o è interno e non nasconde troppe informazioni. Certo, può essere onnisciente monoselettivo, ma in quel caso ci sarebbero altri passaggi in contrasto con questa ipotesi, che non elencherò per brevità. Il punto è che non sembra tu abbia fatto una scelta consapevole sul pdv e il narratore.

“Fu allora che Felice buttò in terra la Bratz e afferrò Bebi Mia per una gamba.”

Sappi che, quando l’ho letto, non ci credevo… Mi è venuto in mente lo spazzolino elettrico di “una pallottola spuntata”…

“Gianni si riprese in poco tempo. La commozione cerebrale non portò altro effetto collaterale se non quello di renderlo un cucciolo bisognoso di affetto agli occhi di Anna.”

E allora! Tutto sto casino e manco muore! Che poi, a sfigurare uno a bambolate… Ma te l’immagini la scena? Da un miliardi di visualizzazioni su YouTube! Come puoi pensare che davvero regga il peso di un incipit drammatico come quello con cui hai aperto, una scena a metà fra l’Enigmista e Misery?

“… sposò Anna in una cerimonia ricca di tulle e fiori d’arancio.
Felice si è scampato la galera. Adesso ha un posto in cui vive sotto stretta sorveglianza. Ha una stanza tutta per sé e tre pasti caldi al giorno. Tutto intorno a lui è bianco. Le pareti, i suoi vestiti e persino quelli degli operatori.”

Ma perché passi all’improvviso al presente? È un colpo basso, guarda.
E poi, dove sono queste strutture fantastiche con operatori in bianco, pasti caldi, tutto pagato, ecc… Quasi quasi prendo a bambolate anch’io qualcuno.
Stai degenerando in un happy ending indegno di una puntata dei mini pony, devo dirtelo. Partendo da l’Enigmista.

“Con il tempo e la buona condotta gli hanno concesso delle pitture e qualche pennello. Da mesi lavora ad un murales su una parete della sua stanza; dipinge ruscelli, campi di grano e sul cielo azzurro corvi che volano. In lontananza disegna una casa diroccata e una famiglia felice.”

Però no: c’è la nota amara del desiderio irrealizzato di una famiglia. E, su questo suo dramma allo zucchero filato, passo e chiudo.

Spero di esserti stato di aiuto, anche se di certo ti sarò stato sulle… Beh, alla prossima.

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