L'ultimo abbraccio

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alberto.dellarossa
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L'ultimo abbraccio

Messaggio#1 » martedì 19 gennaio 2016, 0:59

dedicato a Jack London

Fergus fece scivolare all'indietro il pesante cappuccio di lana. La brezza marina mosse i corti e grigi capelli che si fondevano nella lunga barba ispida. Il fasciame scricchiolava piano cullato dalla corrente, e componeva un ritmo lento accompagnato dal vociare delle sule che si gettavano dalla scogliera, a poche decine di braccia dall'imbarcazione.
Il cielo cominciava a rischiarare all'orizzonte, dove il blu profondo punteggiato di stelle andava a gettarsi nella linea dorata dell'alba. Perse lo sguardo nel mare grigio verde, masticando piano le aringhe salate che si era portato dietro per colazione.
Aveva assistito allo stesso grandioso spettacolo mille e più volte. Quasi ogni alba, da quando era fanciullo e suo padre l'aveva portato per mare la prima volta. Da allora nulla era cambiato, se non lui. Invecchiato, arso dal sole, ingrigito dalle intemperie, ripeteva gli stessi gesti da decenni con la precisione e l'attenzione di sempre. La pelle si era fatta cuoio, gli occhi erano andati a nascondersi tra le rughe per ripararsi dal riflesso del sole. I muscoli erano mutati in gomene nodose, duri come il ferro nonostante la tarda età, a forza di tirare a bordo le reti cariche di pesce, giorno dopo giorno.
Sospirò. Sovrappensiero allungò la mano sul fondo, dove una volta dormiva il suo cane. Rimaneva solo la ciotola di legno dalla quale beveva. Gli mancava, quella bestiaccia testarda e dal pelo crespo. L’aveva accompagnato per quasi quindici anni, come tutti i cani che l’avevano preceduto e che adesso riposavano sul retro della casa in pietra a ridosso della scogliera. Gli mancavano tutti: Finn, Oisin, Conn, Goll. Li aveva chiamati come i grandi eroi della tradizione. “Perché ci vuole coraggio, per un cane, a seguirmi in barca” ripeteva a ognuno di essi.
Il primo raggio di sole che si sollevò sopra l’orizzonte gli investì il volto. Fergus chiuse gli occhi, lasciando che il calore gli baciasse le palpebre per qualche istante. Aprì gli occhi grigi come lastre d’ardesia. Inspirò l’aria salmastra.
Non aveva avuto figli. Non aveva moglie. Non aveva più cani ad accompagnarlo nelle lunghe notti di pesca. Nessuno a desinare con lui, la sera, quando tornava a casa e si sentiva schiacciato tra cielo e terra, come un pesce fuor d’acqua.
Un gabbiano lo osservava con occhi neri e lucidi come onice, appollaiato sul parapetto in attesa. Con pochi gesti vigorosi tirò a bordo la rete pesante di pesce. Centinaia di aringhe si agitavano sul fondo dell’imbarcazione come argento vivo, annaspando in cerca di vita. Una di esse, con un colpo di coda disperato, riuscì a saltare oltre il bordo e riguadagnare la libertà.
Una stanchezza senza tempo lo colse. Aveva vissuto sul mare, più che sulla terraferma, e non aveva alcun motivo per tornare. Abbracciò la pesante àncora e guardò un’ultima volta verso il sole, ormai alto sull’orizzonte. Il gabbiano allargò le ali e gettò il becco all’indietro, in un garrito di saluto.



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antico
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#2 » martedì 19 gennaio 2016, 1:23

Ed ecco anche l'Alberto! Limiti rispettati, buona Tarenzi Edition!

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Rionero
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#3 » martedì 19 gennaio 2016, 17:58

Ciao Alberto,

che dire, l’omaggio a Jack London mi sembra perfettamente centrato sia nell’ambientazione che nello stile… anche se in alcuni casi ti ha spinto ad usare termini desueti come “desinare”.
Il tema lo vedo appena sfiorato, ma i pensieri di quell’uomo in effetti sospeso sui ricordi di una vita sono molto interessanti. Grazie per la lettura!

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Angela
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#4 » martedì 19 gennaio 2016, 18:20

L'ultimo abbraccio di Albero della Rossa.

Anche se il titolo avrebbe dovuto mettermi sulla giusta strada, il finale mi ha lasciato dell'amaro in bocca. Lo stile è eccellente, un testo classico come se ne leggono pochi, però ho trovato alcuni passaggi forzati dove ripeti lo stesso concetto oppure usi un'infinità di aggettivi che non servono. Te li ho elencati negli appunti che troverai in calce, dagli un'occhiata.
Pur non amando le descrizioni, devo dire che il tuo racconto è un ricamo e si legge con grande piacere. Ho amato "Il vecchio e il mare" di Hemingway e in parte ho ritrovato nel tuo racconto, le stesse atmosfere lente e senza tempo. Forse il vero problema di questo testo è il tema che a mio avviso è tirato per i capelli. C'è la solitudine, la vecchiaia, la nostalgia, la stanchezza, ma l'inferno dov'è? Il finale, così come ho scritto per Jacopo, manca di incisività.
Gli appunti di cui ti avevo accennato:

Il cielo cominciava a rischiarare all'orizzonte, dove il blu profondo punteggiato di stelle andava a gettarsi nella linea dorata dell'alba. Perse lo sguardo nel mare grigio verde
Le descrizioni sono notevoli, però gli aggettivi splamati su due righe sono davvero troppi: blu, dorata, grigio, verde.

Invecchiato, arso dal sole, ingrigito dalle intemperie [… ] . La pelle si era fatta cuoio, gli occhi erano andati a nascondersi tra le rughe […]I muscoli erano mutati in gomene nodose, duri come il ferro nonostante la tarda età…
Anche qui c’è troppa abbondanza di particolari che dicono una sola cosa: è invecchiato. Insistere così tanto sullo stesso concetto confonde il lettore che si chiede se c'è un motivo particolare che lo giustifica.
Uno scrittore è un mondo intrappolato in una persona (Victor Hugo)

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Callagan
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#5 » martedì 19 gennaio 2016, 22:36

Ciao, Alberto. Mi è piaciuta la tua interpretazione del tema, che non si ferma al superficiale ma va nel profondo. In un testo del genere, fai mostra delle tue capacità di scrittura che sono un gradino sopra lo standard comune. È come se avessi dipinto un quadro, a parole. Beh, il quadro in questione mi è garbato. :)

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alberto.dellarossa
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#6 » martedì 19 gennaio 2016, 23:25

Grazie a tutti per i commenti.

@Rionero: grazie per aver colto lo sforzo nell'omaggiare un maestro come London. Quanto al tema ti rimando all'appunto che faccio a Angela qua sotto

@Angela: grazie per i complimenti. Mi trovo in parziale disaccordo con te sul tema delle descrizioni, per quanto - dal momento che, come dici tu stessa, non ne sei un'amante - siano osservazioni lecite. Vedi, dici che il racconto è un ricamo. È vero, ho dato fondo alla mia capacità descrittiva (beh non proprio fondo, potevo spingere ancora un altro po', ma sarebbe stato eccessivo davvero). Lo dovevo all'anima del racconto: hai ragione a dire che c'è una certa sovrabbondanza di aggettivi, ma è puramente funzionale allo spirito del testo. Non avrei potuto descrivere la grandiosità e il tripudio dell'ultima alba di un pescatore senza richiamare i colori che ho descritto. Ti dirò di più: vi sono maestri (Maupassant, per esempio, e ancora prima il suo mentore, Flaubert) che avrebbero allungato tale descrizioni per decine di righe. Quello che intendo è che sono funzionali alla scelta narrativa. Certo, avrei potuto limitarmi a descrivere una semplice alba sul mare, ma questo è il preludio a un uomo che decide di concludere il suo viaggio. Quanto alla vecchiaia, hai ragione almeno in parte (o meglio, in maniera rovesciata ): a mente fredda ometterei l' "invecchiato finale", in quanto ho ampie similitudini a descrivere lo stato del pescatore.
Inoltre, asciugando il testo delle descrizioni, perderei l'effetto ricamo :)
Per quanto riguarda il tema, anche se mi rendo conto che è un sentito personale, mi trovo in completo disaccordo. Qua si narra di un uomo schiacciato tra il cielo (o meglio l'immensità) e l'inferno di una vita senza più l'affetto dei suoi cani, senza eredi, senza moglie, su una terra che nemmeno sente come elemento naturale. Gli rimane un'unico grande amore, il mare: in tal senso la scena del pesce che trova via di fuga saltando in acqua è allegorica. Tra lui e la piccola aringa non c'è alcuna differenza: entrambi sfuggono al destino con un gesto coraggioso.
Spero di non essere stato troppo prolisso e di aver chiarito il mio punto di vista :)

@Callagan: Generosissimo come al solito :) grazie mille!

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jimjams
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#7 » martedì 19 gennaio 2016, 23:52

Ecco il mio commento, ripreso dalla classifica.

13) L'ultimo abbraccio di Alberto Della Rossa
Lo stile con cui è scritto il racconto non mi dispiace affatto, nonostante alcuni passaggi mi diano la sensazione di leggere qualcosa di familiare, già sentito, specialmente all'inizio. Forse la cosa è addirittura voluta, una sorta di omaggio. La storia in sé, l'idea, ha un suo valore e mi piace, tuttavia non so se davvero si possa considerare pienamente coerente con il tema dato. Non spetta a me deciderlo, credo, ma è chiaro che alla fine la capacità di centrare il tema, in una qualche declinazione, sia da valutare. In generale trovo che questo racconto sia migliore dal punto di vista stilistico che per la storia raccontata.

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Flavia Imperi
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#8 » sabato 23 gennaio 2016, 12:14

Ciao Alberto!
Il tuo è un bel racconto vecchio stile (oggi difficilmente pubblicherebbero un incipit descrittivo) profondo e poetico. L'ho apprezzato, nonostante anche io mi senta di criticare l'uso un po' eccessivo degli aggettivi.
Il cuore del racconto c'é, il tema è sviluppato in modo interiore e riesci a mio avviso a conunicarlo con efficacia giá quando dici:
"Nessuno a desinare con lui, la sera, quando tornava a casa e si sentiva schiacciato tra cielo e terra, come un pesce fuor d’acqua."
Non c'era bisogno a mio avviso di puntualizzare in seguito:
"Aveva vissuto sul mare, più che sulla terraferma, e non aveva alcun motivo per tornare"
Spieghi quello che si era giá capito, ripetendo e quindi appesantendo.
Occhio anche al punto di vista: se tutto il recconto é narrato dal p.d.v. del pescatore, descrivendolo fisicamente fai allontanare il lettore compiendo un errore tecnico importante.
Buon contest!
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alberto.dellarossa
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#9 » sabato 23 gennaio 2016, 14:26

Ciao Flavia, grazie per il commento.

Si, hai perfettamente ragione sulla frase "Aveva vissuto sul mare, più che sulla terraferma, e non aveva alcun motivo per tornare", che eliminerò nella versione finale. Inoltre - che non ho inserito per motivi di spazio - manca un pezzo al racconto, dove il pescatore rigetta in mare il pesce prima di gettarsi in acqua.
Quanto alla descrizione e all'aggettivazione...sono d'accordo con te, sono gusti e può risultare pesante. Ma, come ho già detto, è lo stile del racconto stesso che lo richiede. Un racconto "moderno" sarebbe strutturato forse in maniera diversa, anche per venire incontro a un pubblico non più avvezzo a un certo tipo di scrittura.

Quanto alla questione del P.d.v. invece: l'argomento è molto delicato e spinoso.
In primo luogo perché esistono diverse classificazioni del p.d.v. Il fatto che esistano più modi di interpretare il punto di vista potrebbe rendere l'allontanamento un errore tecnico importante per una scuola di scrittura e non per un'altra. Detto questo, il narratore qua è onnisciente ed esterno. Ci narra l'intimità del personaggio e in un passaggio rafforza l'identità dello stesso attraverso la descrizione fisica. Certo, a voler mantenere una descrizione monoprospettica avrei dovuto descrivere il sentirsi vecchio del pg, piuttosto che farlo dichiarare dal narratore. Ma a mio avviso il p.d.v. qua ha focalizzazione zero. Perché non esistono elementi che possano indurre a una focalizzazione interna. Anche l'elemento del gabbiano, descritto DOPO la morte del protagonista, ci porta a un narratore onnisciente (conosce tutto, anche ciò che accade dopo la morte del protagonista e conosce gli intimi pensieri e stati d'animo del protagonista) e focalizzazione zero (lo vede dal di fuori, e quindi lo può descrivere dall'esterno). Quello che intendo dire è che non dobbiamo confondere l'onniscienza degli intimi pensieri del protagonista per una focalizzazione interna: non esistono altri coprotagonisti la cui non conoscenza degli intimi pensieri ci può indurre a prendere la focalizzazione come interna al protagonista.

Al di là dei tecnicismi, vorrei aggiungere una considerazione personale: un'errata gestione del p.d.v. ha di solito un'altra faccia, e ci sono molti casi in cui ciò che appare come un'errata gestione "canonica" (e rigida) del p.d.v. è addirittura cercata dal narratore. Mi vengono in mente alcuni passaggi di London (giusto per citare l'autore che ho voluto omaggiare), ma una qualsiasi libreria contiene decine di esempi di questo tipo. Ciò che voglio dire è che le regole sono importanti e vanno conosciute e rispettate, ma applicarle in maniera pedissequa genera un notevole appiattimento. Inoltre, a mio avviso, ciò a cui si deve stare attenti è il mantenimento omogeneo di un certo tipo di narratore, ma ciò che è la focalizzazione può variare. Ovvio che su un testo lungo ci sono molte più ragioni per cui questa possa spostarsi (incisi, eventi particolari, un effetto ricercato dal protagonista: pensiamo a una lettera inserita in un contesto con narratore onnisciente, dove la lettera è per definizione autodiegetica, con cambio di focalizzazione, ma le combinazioni sono infinite), ma su un testo corto (o molto corto) possono mancare i presupposti per poter definire con certezza la focalizzazione, specialmente se non abbiamo elementi per attribuire con certezza un certo p.d.v. o un altro.

Concludendo, possiamo spaccare il capello in quattro, e forse anche in sedici parti diverse, ma la domanda che mi pongo è questa: in casi in cui lo spostamento della focalizzazione è così incerto, sei certa di poter affermare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che questo venga percepito da tutti come errore? Bada, io stesso, per un sacco di tempo, sono rimasto ancorato in maniera molto rigida a certi aspetti, ma non sempre questo è totalmente funzionale.Ti faccio un esempio, legato alla musica (visto che suono da 20 anni): se dovessi attenermi rigidamente alle regole compositive classiche otterrei solo una composizione classica. Se ti dico di scrivermi un pezzo in modalità frigia, otterrai quel tipo di effetto e sonorità. Ma è grazie alla contaminazione, a "errori" e idiosincrasie volutamente inserite che hai l'emergenza di un certo tipo di jazz. E ti assicuro che i jazzisti le regole della musica le conoscono tutte, ma spesso decidono di fottersene allegramente: perché se l'orecchio gioisce e l'animo si esalta, disattendere a una regola formale diventa un mezzo per ottenere un risultato.

Con questo non ho assolutamente la presunzione di compararmi a un jazzista (ci mancherebbe altro), era solo un modo per aprire una discussione sulla quale spesso mi succede di interrogarmi. Il tecnicismo al servizio dell'arte o l'arte al servizio del tecnicismo? (sempre ricordandosi che non si può mai prescindere dalla conoscenza delle regole e della sintassi).

Scusa il post fiume, ma mi interessava l'argomento :)

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ceranu
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#10 » domenica 24 gennaio 2016, 0:39

Ciao Alberto, sicuramente il tuo è un racconto particolare. Lo stile è ottimo, e tu hai una tecnica invidiabile. Per quanto riguarda il tema fatico anch'io a trovarlo.
Il vero problema del racconto, dal mio punto di vista, è la totale immobilità. Leggendo ho come avuto l'impressione di guardare una cartolina. C'erano tutti i colori, e c'era il sentimento di quello scatto, ma mancava la profondità che, a mio avviso, dovrebbe dare un racconto.
Nel complesso è una buona prova.
Ciao e alla prossima

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alberto.dellarossa
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#11 » domenica 24 gennaio 2016, 2:36

Ci sta. È vero, è un racconto molto statico, nulla da eccepire alla tua analisi :)

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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#12 » domenica 24 gennaio 2016, 21:43

Racconto interessante, lineare e autoconclusivo. L'attinenza è davvero "in senso lato", ma lo prendo comunque per buono (dopotutto è la tua interpretazione, e questo è insindacabile). Da amante del "tell", degli incipit raccontati e dei personaggi silenziosi( e questo gioca a tuo favore, credimi) devo dire che il tuo stile non mi dispiace, però dannazione vedi di accorciare un po' di aggettivi nelle prime righe perchè rendono la lettura pesante.
Criticità: forse, e dico forse, arrivi alla conclusione con troppa fretta. cioè, un attimo prima l'uomo stava a pescà e poi s'abbraccia all'ancora e "tanti cari saluti"? non mi piace.
Sul finale ci puoi lavorare credo, magari cominciando il racconto con lui che si lega all'ancora e pensa alla sua vita..

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alberto.dellarossa
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#13 » lunedì 25 gennaio 2016, 0:51

Grazie Fabio, mi hai dato alcuni ottimi spunti su cui lavorare. Domani tenterò una rilettura dei vari commenti ricevuti e farò una prima riscrittura. Chi desidera fare da beta reader si faccia sotto e mi scriva su FB :)

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Adry666
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#14 » lunedì 25 gennaio 2016, 15:00

Ciao Alberto, ben ritrovato!

Il tema è centrato, grazie soprattutto al finale, all’inizio solo parzialmente.
Più che un racconto sembra un affresco, una descrizione di un quadro di Turner, molto bello, complimenti.
In alcune parti si sente un po’ la pesantezza di un linguaggio antico (ovviamente motivato dalla dedica).
Ci sono alcune piccole imperfezioni (occhio al finale “sintetico”) che ho visto segnalate già da altri.
Lavorerei solo un po’di più sul finale, tagliando qualcosa nella parte centrale.

Ciao
A presto
Adriano

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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#15 » lunedì 25 gennaio 2016, 23:22

Ciao!
Mi piace tantissimo come hai fatto tuo il tema anche se in maniera così triste. L’unica cosa che noto stoni è il finale che è un po’ rinchiuso – ma è un problema che mi sa abbiamo avuto in tanti. Le descrizioni sono bellissime e senza dire nulla e mostrando e basta riesci a dare l’impressione della vita e dell’ambiente in cui si muove (alla fine ho immaginato fosse irlandese, tra cani ‘dal pelo ispido’, ardesie, aringhe…). Forse effettivamente le descrizioni sono troppo ricche, però mi piacciono.

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Flavia Imperi
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#16 » martedì 26 gennaio 2016, 10:58

Ciao Alberto!
Mi piacciono i post - fiume interessanti! Il punto di vista è una questione spinosissima, che io per prima fatico a comprendere e continuo a studiare. Io mi trovo esattamente nella fase "pedissequa", cerco di affinarne la messa in pratica sia nei miei racconti, sia nei commenti, quando credo possa essere utile.
Ho riletto il racconto alla luce della tua risposta (di cui devo dire: chapeau! Non sei certo uno sprovveduto sulla questione) e la mia impressione è comunque che il narratore sia intradiegetico; paccando il capello in quattro: il racconto inizia con il nome del protagonista, siamo subito nei suoi pensieri, nei suoi ricordi, nel suo sentire, vediamo la maggior parte delle scene dal suo punto di vista e niente di ciò che accade va oltre la sua conoscenza - tranne appunto la scena finale del gabbiano (che però si può percepire come l'ultima scena vista dal protagonista mentre muore) e qualche descrizione fisica al limite (può essere più un "sentire").
E' verissimo che poi, come dici tu, una volta nota la regola, ci si può giocare - basta leggere alcuni grandi per rendersene conto. Tuttavia visto che siamo in un concorso di scrittura, sento che il mio contributo può essere anche far notare dettagli come questo. Mi rimangio però la parola "errore tecnico", forse siamo sul limite della sottigliezza.
Buon proseguimento

Flavia
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#17 » mercoledì 27 gennaio 2016, 18:34

Ciao Alberto,

il tuo racconto mi piace molto, crei una bella atmosfera e un personaggio che ci sembra saggio e carico di storie misteriose anche se sappiamo che in fondo ha solo fatto il pescatore per tutta la vita. Mi chiedo come mai quest'uomo abbia deciso di pescare da solo, di non avere compagni al di fuori del cane: forse per questo lo trovo un personaggio affascinante.

Ci sono un paio di punti in cui non mi piacciono i termini scelti, ma è questione di gusti: ad esempio 'lastre' di ardesia, siccome associo l'espressione a una cosa grande, non mi piace se usata per descrivere degli occhi che già prima ci hai descritto come nascosti tra le rughe, quindi piccoli e poco visibili.
Altro dettaglio: ci dici che pesca di notte ma che torna a casa la sera a desinare, e le due cose messe una accanto all'altra sembrano in contrasto tra loro.

Il tema non è evidentissimo, ho dovuto pensarci un po'. Tra cielo e inferno, cioè tra l'inferno di una vita fredda dura e solitaria e il riposo della morte. Eppure lui sembra amarla, nonostante tutto, la sua vita in mare. Forse è la terra, che non ha nulla da dargli, che è l'inferno per lui?.
Mi resta questo dubbio ma in un modo o nell'altro il tema c'è.

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alberto.dellarossa
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#18 » mercoledì 27 gennaio 2016, 21:47

Ciao Sara, grazie per il commento.

Grazie anche per gli spunti preziosi. Anche io, a freddo, ho qualche perplessità su "lastre" di ardesia. Altrettanto sull'avvicendarsi della pesca notturna e del desinare serale. Quanto al tema hai colto entrambi gli aspetti: c'è la contrapposizione tra una vita dura e il riposo della morte, ma il vero inferno è la vita a terra. Tant'è che pensavo di inserire anche questo elemento nella riscrittura (che sto portando avanti proprio in questi giorni).

:)

Daniel Travis
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#19 » venerdì 29 gennaio 2016, 18:36

Ciao e complimenti: una storia ben dipinta, che trascina il lettore con dolcezza e violenza al tempo stesso. Un risultato non indifferente in così pochi caratteri. La relazione con il/i cane/i è delineata con grande delicatezza, è forse il dettaglio che mi piace di più. Qualche appunto volendo lo si potrebbe fare, ma niente di grave e niente che non sia già stato indicato da altri commentatori. Continua così, mi piacerebbe molto leggere la riscrittura :)
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

alexandra.fischer
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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#20 » venerdì 29 gennaio 2016, 20:21

Il tuo racconto contiene un finale tragico (Fergus si suicida). Il suo Cielo è la vita a contatto con la natura. Il mare è la sua vera casa, dove lui pesca le aringhe, osserva il cielo e i gabbiani; ma, per ogni Cielo c’è l’Inferno. Per Fergus è la solitudine (non ha più il padre, non ha parenti, non si è sposato, né ha avuto figli. Ed è legato alla memoria dell’ultimo cane che ha avuto. Struggente l’immagine della ciotola sul fondo della barca; di lì si vede come lo ha amato. Nel cane dal pelo ispido c’è qualcosa di Buck). Fergus ha scelto nomi da eroe per i suoi cani: Finn, Oisin, Conn e Goll, perché la vita di mare per un cane è dura. E loro lo hanno ripagato con affetto, rimanendo indelebili nella sua memoria (e questo è il Cielo interiore di Fergus). Ho trovato del Cielo anche nell’aringa che riesce a salvarsi dopo essere stata pescata da lui. E dell’Inferno nell’ultimo di sguardo di Fergus al sole e nel garrito del gabbiano, che sembra dirgli addio. Bello il paragone occhi-lastre d’ardesia.

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Re: L'ultimo abbraccio

Messaggio#21 » domenica 31 gennaio 2016, 11:18

Bellissima immagine, molto poetica. Il tema è ben presente, tra il cielo che si confonde su questo infinito mare e l’inferno (?) di un’esistenza solitaria. Perché ho messo il punto interrogativo tra parentesi? Beh, perché questo presunto inferno mi sembra essere più l’idea che l’autore ha del suo protagonista che non quello che il protagonista mi ha trasmesso in fase di lettura. Una cartolina, questa l’impressione che ho avuto al termine della lettura, anche piuttosto bidimensionale. Non sono riuscito a empatizzare e le informazioni necessarie le ho percepite come inserite a forza per arrivare a quel bello e triste finale. Una prova da NI, per me. Serve di più, voglio essere convinto in altro modo e non solo attraverso la mancanza di un cane.

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