L'ultimo abbraccio - Tarenzi Edition
Inviato: martedì 2 febbraio 2016, 17:55
questa è una prima riscrittura del racconto. A dire il vero ne sto effettuando una seconda versione dove sposto l'elemento "ciotola-cane" all'inizio. Ho sfrondato un poco l'aggettivazione, aggiunto un paio di frasi e, al momento ho eliminato i nomi (ma sto valutando l'idea di aggiungerli nuovamente).
L'ultimo Abbraccio
L’uomo fece scivolare all'indietro il cappuccio di lana. La brezza marina scompigliò la barba e i capelli grigi, duri di salsedine. Il fasciame della tolda scricchiolava piano al cullare della corrente, e componeva un ritmo lento accompagnato dal vociare delle sule che si gettavano dalla scogliera, a poche decine di braccia della barca.
Il cielo cominciava a rischiarare all'orizzonte, dove il blu profondo punteggiato di stelle andava a gettarsi nella linea dorata dell'alba. Perse lo sguardo sul mare invernale, masticando piano il tozzo di pane e le aringhe che si era portato dietro per colazione.
Aveva assistito allo stesso grandioso spettacolo mille e più volte. Quasi ogni alba, da quando era fanciullo e suo padre l'aveva portato per mare la prima volta. Da allora nulla era cambiato, se non lui. Invecchiato, Arso dal sole e dalle intemperie, ripeteva gli stessi gesti da decenni con la precisione e l'attenzione di sempre. La pelle si era fatta cuoio, gli occhi erano andati a nascondersi tra le rughe per ripararsi dal riflesso del sole. I muscoli erano mutati in gomene nodose, duri come il ferro nonostante la tarda età, a forza di tirare a bordo le reti cariche di pesce, giorno dopo giorno.
Sospirò. Sovrappensiero allungò la mano sul fondo della barca, dove una volta dormiva il suo cane. La ciotola di legno dalla quale beveva era ancora lì, al suo posto. Gli mancava, quella bestiaccia testarda e dal pelo crespo. L’aveva accompagnato per quasi quindici anni, come tutti i cani che l’avevano preceduto. Compagni fedeli di una vita altrimenti solitaria, li aveva chiamati come i grandi eroi della tradizione. “Perché ci vuole coraggio, per un cane, a seguirmi in barca” aveva ripetuto a ognuno di essi nell’atto di restituirli alla terra, sul retro della casa a ridosso della scogliera.
Il primo raggio di sole che si sollevò sopra l’orizzonte gli investì il volto. Chiuse gli occhi, lasciando che il calore gli baciasse le palpebre per qualche istante. Aprì gli occhi grigi come l’ardesia, inspirando l’aria salmastra.
Non aveva avuto figli. Non aveva moglie. Non aveva più cani ad accompagnarlo nelle lunghe battute di pesca. Nessuno a desinare con lui, la sera, quando tornava a casa e si sentiva schiacciato tra cielo e terra, come un pesce fuor d’acqua.
Un gabbiano lo osservava con occhi neri e lucidi come onice, appollaiato sul parapetto della barca in attesa. Con pochi gesti vigorosi tirò in barca la rete pesante di pesce. Centinaia di aringhe si agitavano sul fondo dell’imbarcazione come argento vivo, annaspando in cerca del mare. Una di esse, con un colpo di coda disperato, riuscì a saltare oltre il bordo e riguadagnare la libertà.
La piccola ribellione gli strinse il cuore. A piene mani, aiutandosi persino con vecchia ciotola, restituì i pesci alla sicurezza delle acque. Piccoli fusi scintillanti che rimanevano immobili per qualche istante, increduli, prima di saettare verso le profondità. Una serena stanchezza senza tempo lo colse. La scogliera, silenzioso gigante al termine del mare, attendeva indifferente. Abbracciò la pesante àncora e guardò un’ultima volta verso il sole, ormai alto sull’orizzonte. Il gabbiano allargò le ali e gettò il becco all’indietro, in un garrito di saluto.
L'ultimo Abbraccio
L’uomo fece scivolare all'indietro il cappuccio di lana. La brezza marina scompigliò la barba e i capelli grigi, duri di salsedine. Il fasciame della tolda scricchiolava piano al cullare della corrente, e componeva un ritmo lento accompagnato dal vociare delle sule che si gettavano dalla scogliera, a poche decine di braccia della barca.
Il cielo cominciava a rischiarare all'orizzonte, dove il blu profondo punteggiato di stelle andava a gettarsi nella linea dorata dell'alba. Perse lo sguardo sul mare invernale, masticando piano il tozzo di pane e le aringhe che si era portato dietro per colazione.
Aveva assistito allo stesso grandioso spettacolo mille e più volte. Quasi ogni alba, da quando era fanciullo e suo padre l'aveva portato per mare la prima volta. Da allora nulla era cambiato, se non lui. Invecchiato, Arso dal sole e dalle intemperie, ripeteva gli stessi gesti da decenni con la precisione e l'attenzione di sempre. La pelle si era fatta cuoio, gli occhi erano andati a nascondersi tra le rughe per ripararsi dal riflesso del sole. I muscoli erano mutati in gomene nodose, duri come il ferro nonostante la tarda età, a forza di tirare a bordo le reti cariche di pesce, giorno dopo giorno.
Sospirò. Sovrappensiero allungò la mano sul fondo della barca, dove una volta dormiva il suo cane. La ciotola di legno dalla quale beveva era ancora lì, al suo posto. Gli mancava, quella bestiaccia testarda e dal pelo crespo. L’aveva accompagnato per quasi quindici anni, come tutti i cani che l’avevano preceduto. Compagni fedeli di una vita altrimenti solitaria, li aveva chiamati come i grandi eroi della tradizione. “Perché ci vuole coraggio, per un cane, a seguirmi in barca” aveva ripetuto a ognuno di essi nell’atto di restituirli alla terra, sul retro della casa a ridosso della scogliera.
Il primo raggio di sole che si sollevò sopra l’orizzonte gli investì il volto. Chiuse gli occhi, lasciando che il calore gli baciasse le palpebre per qualche istante. Aprì gli occhi grigi come l’ardesia, inspirando l’aria salmastra.
Non aveva avuto figli. Non aveva moglie. Non aveva più cani ad accompagnarlo nelle lunghe battute di pesca. Nessuno a desinare con lui, la sera, quando tornava a casa e si sentiva schiacciato tra cielo e terra, come un pesce fuor d’acqua.
Un gabbiano lo osservava con occhi neri e lucidi come onice, appollaiato sul parapetto della barca in attesa. Con pochi gesti vigorosi tirò in barca la rete pesante di pesce. Centinaia di aringhe si agitavano sul fondo dell’imbarcazione come argento vivo, annaspando in cerca del mare. Una di esse, con un colpo di coda disperato, riuscì a saltare oltre il bordo e riguadagnare la libertà.
La piccola ribellione gli strinse il cuore. A piene mani, aiutandosi persino con vecchia ciotola, restituì i pesci alla sicurezza delle acque. Piccoli fusi scintillanti che rimanevano immobili per qualche istante, increduli, prima di saettare verso le profondità. Una serena stanchezza senza tempo lo colse. La scogliera, silenzioso gigante al termine del mare, attendeva indifferente. Abbracciò la pesante àncora e guardò un’ultima volta verso il sole, ormai alto sull’orizzonte. Il gabbiano allargò le ali e gettò il becco all’indietro, in un garrito di saluto.