I ribelli

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Sondaggio concluso il lunedì 29 febbraio 2016, 16:43

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Jacopo Berti
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I ribelli

Messaggio#1 » mercoledì 3 febbraio 2016, 11:43

È stato uno dei periodi più felici della mia vita quello che ora volge al termine. Non sono felice nel senso in cui credete di esserlo voi quando sperimentate qualcosa di bello o quando state con qualcuno a cui tenete. Semplicemente sono libero da ogni preoccupazione e pregiudizio; dalla necessità di soddisfare le aspettative che gli altri hanno su di me e che fino a qualche tempo fa hanno schiacciato la mia libertà e mi hanno impedito di essere qualcosa di diverso da ciò che è stato disposto dalla collettività.
Consumare, produrre, trasportare oggetti e individui da una parte all’altra, tra sudore, lacrime e sangue, senza un attimo di tempo per fermarsi a riflettere sul senso della vita, sulla forma e sulla sostanza di ciò che mi circondava: questa era la mia esistenza fino a che il mistero non mi sfiorò, qualcosa di antico e profondo mi colse. Non lo compresi immediatamente: all’inizio fu come uno stordimento, un leggero torpore. Continuai a fare il mio dovere sulla scia di chi mi aveva preceduto, a correre di qua e di là, per un bene superiore: la sopravvivenza della nostra civiltà. Così mi avevano sempre dato ad intendere.
Ma in breve tempo cominciai a trascurare le mie responsabilità: provavo repulsione per tutte le cose basse e volgari con cui i miei simili avevano a che fare, disprezzo e fastidio per la loro smania di accumulare, di mettere da parte, di capitalizzare. Qualcosa dentro di me mi spingeva ad andarmene, ad abbandonare i miei simili, a lasciare alle mie spalle quegli insidiosi agglomerati che erano stati la mia casa, dove, se non si stava attenti, si rischiava di morire travolti dal movimento frenetico delle masse. Mentre, spinto da un improvviso moto interiore, prendevo una direzione opposta alla loro, quelli che fino ad allora avevano condiviso fraternamente e ingenuamente le mie fatiche mi guardavano chi con rabbia, chi con disprezzo, chi con invidia, chi persino con pietà. Ma non mi curai di loro. Che continuassero ad essere servi e a lavorare per riempire il ventre del loro sfruttatore che, rintanato nelle profondità della sua alcova lasciva e dissoluta, nessuna pena si dava per chi, consumato dalla stanchezza, stramazzava prima di raggiungere l’uscio.
Non sapevo dove stavo andando, non sapevo quale meta avrei raggiunto. L’importante era andare, muoversi, non restare a marcire nel luogo in cui ero nato, allontanarmene il più possibile. Visitai territori inesplorati, dove abitavano genti di altri colori, e di ben altra grandezza, che producevano e consumavano in modo diverso e che giudicarono la mia presenza un segno infausto: alla mia vista, facevano gesti scaramantici e allontanavano da me i giovani, come se, avvicinandosi troppo, avessero potuto contrarre la mia stessa malattia e trasportarne il germe all’interno della loro società, chiusa, come la mia, alle novità e alle diversità, ansiosa di uniformare e di mettere al più presto al lavoro le nuove generazioni.
A un certo punto del viaggio, non mi fermai neanche più per mangiare, tanto forte era la passione che mi spingeva, il desiderio di libertà che mi faceva superare i miei limiti, l’ossessione che mi dava forze che mai avrei immaginato di avere. Lontano. Altrove. Avrei raggiunto la mia meta, anche al costo di morire. Ero come lo spettatore del mio stupendo, lunghissimo viaggio. Non ero più io a decidere di me, ma quella forza sconosciuta, che era dentro di me eppure era radicata nelle profondità della terra. Ero un predestinato! Quale potere terribile aveva deciso di servirsi di me per i suoi progetti! Quale espressione di qualcosa d’alto, d’altro e di sublime ero divenuto, nel mio incedere instancabilmente!
Poco prima di arrivare conobbi Alay. Si tratta di un nome fittizio, perché il suo non me lo disse. Né io le comunicai il mio. Non ci prestammo, all’apparenza, molta attenzione. Anche lei era tutta dedita alla sua inesorabile marcia. La vidi con la coda dell’occhio – non potevo decidere di voltarmi – e me ne innamorai. La sua fatica era la mia: anche lei era una predestinata, e il compito che ci era stato dato, qualunque fosse, doveva essere qualcosa di importante. Speravo che anche lei mi avesse notato, che anche lei, come me, non potesse esprimere liberamente ciò che provava per me e che in cuor suo coltivasse la mia stessa speranza. Indossava come un grazioso cappellino, che le copriva il capo e le solleticava la schiena con dei lembi svolazzanti. Anch’io – me ne resi conto in quel momento – ne portavo uno. Non si trattava proprio di un cappello, ma era come un segno di riconoscimento. Un segno degli eletti. Lo strumento attraverso il quale questi comunicavano col divino.
Solo ora capisco come sono andate le cose. Solo ora mi rendo conto dell’inganno di cui sono stato vittima. Se avessi saputo sarei rimasto dov’ero, insignificante rotella di un ingranaggio? O avrei comunque scelto la fine tragica che mi attende, pur sapendo di non essere ricordato dai miei simili, ma solo da voi che ascoltate la mia storia?
Sono circondato da alcune persone, una più anziana, le altre piuttosto giovani. Alcune di loro hanno in mano una cartellina su cui prendono appunti. “Penn State University” – vedo scritto. Sono tutti chini su di me e mi rendo conto solo ora che il mio lungo cammino è terminato. Comincio a contorcermi, non mi reggo più in piedi. Morente, ascolto quel uomo mentre, asetticamente, descrive le cause e il modo del mio trapasso.

«Osservate,» dice. «Una ramificazione della nuova specie di fungo Ophiocordyceps camponoti-balzani spunta dalla testa di una "formica zombie". Considerato all'inizio come una singola specie, questo tipo di fungo in realtà ne conta quattro, e tutte sono in grado di "controllare” la mente delle formiche. Quando la specie infetta una formica, prende il sopravvento sul suo cervello, poi appena l'insetto si sposta in un luogo ideale per il fungo in cui crescere e disperdere le sue spore, lo uccide».

Nota:
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«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

alexandra.fischer
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Re: I ribelli

Messaggio#2 » mercoledì 3 febbraio 2016, 18:17

Che bell'uso del fungo che provoca il fenomeno della "formica zombie" (lettore di "Focus" anche tu?). La storia ha un suo pregio già all'inizio: è profonda, introspettiva. Riguarda la ribellione a un destino imposto (ciclo noto come: consuma, produci, crepa). Bello anche l'incontro con Alay da parte del protagonista. Per tutto il tempo credevo fosse un giovanotto cresciuto nel "1984" di Orwell e mi aspettavo un finale tragico. Devo dire che le mie aspettative sono state soddisfatte (il fungo parassita non fa fare una bella fine all'ospite).

Refuso: quel uomo per quell'uomo.

Unico appunto: la parte iniziale, pur godibile, è un po' lunghetta per i parametri del racconto breve.
La sfoltirei adottando uno stile secco (ma è un mio parere) anche per preparare meglio il lettore al fatto che il protagonista è un insetto. Qualcosa del genere lo hai già fatto parlando del ciclo produttivo, delle masse di individui che lo circondano e anche alle reazioni delle genti diverse per dimensioni e colore in sua presenza (parte geniale, complimenti). Riferito agli aggettivi nella prima parte: toglierei "un leggero torpore". Toglierei volgari (riferito alle cose basse).Toglierei fastidio riferito alla smania di accumulare. Toglierei mi spingeva ad andarmene e terrei "Qualcosa dentro di me" unendolo alle parti successive (così avresti intatti agglomerati e il riferimento ai simili del protagonista senza appesantire troppo la scrittura). Toglierei "non sapevo dove stavo andando", così quel "quale meta avrei raggiunto" si lega al senso di predestinazione del protagonista. Terrei appunto predestinato e leverei la parte che comincia da "Quale potere terribile....fino a...incedere instancabilmente!".
Toglierei: "Qualunque fosse" nella parte riferita al "compito che ci è stato dato".
Riferito ai verbi: terrei accumulare e leverei gli altri due; riferito all'alcova terrei lasciva e leverei dissoluta. Terrei "l'importante era andare", toglierei "muoversi". Terrei "non restare a marcire nel luogo in cui ero nato" e leverei "allontanarmene il più possibile".
Alleggerirei la frase nella quale lui dice che né lui né Alay si sono detti i rispettivi nomi. Scriverei qualcosa tipo: non ci dicemmo i nostri nomi per disattenzione, impegnati com'eravamo nella nostra marcia.

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Jacopo Berti
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Re: I ribelli

Messaggio#3 » mercoledì 3 febbraio 2016, 18:29

Grazie, Alexandra, per i commenti puntuali, che danno suggerimenti per sfoltire, come avevo chiesto.

Mi fanno anche capire che ora dovrei decidere cosa voglio da questo racconto, perché ho tenuto il piede in due staffe, oscillando tra una ribellione "politica/ideologica" e una "mistica/visionaria". Non è che si escludano a priori, ma forse sì nell'economia di un racconto da accorciare.
Ci penserò. Ho quasi un mese...
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alexandra.fischer
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Re: I ribelli

Messaggio#4 » mercoledì 3 febbraio 2016, 18:34

Grazie a te (soprattutto per la pazienza che hai avuto nei miei riguardi) commentarti è stato un piacere. Ti leggerò volentieri nella prossima versione. E poi, chi ha detto che la ribellione non possa contenere elementi politico-ideologici e mistici visionari (c'è sempre Alay a fare da controparte...forse potrebbe dirgli qualcosa...che so? Lui è politico-ideologico, lei potrebbe essere mistica visionaria o viceversa).

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alberto.dellarossa
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Re: I ribelli

Messaggio#5 » lunedì 8 febbraio 2016, 18:34

Ciao Jacopo. Il racconto mi piace, ha una certa personalità. Che si tratti di un insetto si capisce piuttosto in fretta, tuttavia il racconto è sviluppato in maniera tale da lasciare il dubbio, fino all'ultimo, che il protagonista sia un uomo. In tal senso la chiosa finale è straniante: la voce che dai alla formica è talmente umana che il lettore non riesce più a staccarsi dall'idea che si è fatto: o spieghi meglio perché la formica-zombie abbia una voce così evoluta, oppure risultadifficile sostenere la sospensione d'incredulità. Fossi in te lavorerei principalmente su quest'aspetto, magari palesando la differenza di dimensioni esistenti tra il mondo-formica e quello a misura d'uomo. La narrazione autodiegetica a me è sempre piaciuta (sono poi un amante di Lovecrat) e di certo è funzionale a ciò che vuoi narrare. Tuttavia così appare molto densa e forse rallenta la lettura. Hai pensato di alternare momenti autodiegetici narrativi ad altri più descrittivi? giusto per spezzare un po'. Sarebbe interessante anche provare a alternare il punto di vista ma, in un racconto così breve, forse genererebbe più confusione che altro.

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Jacopo Berti
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Re: I ribelli

Messaggio#6 » lunedì 8 febbraio 2016, 21:51

Grazie per il commento, Alberto!
Sono già intenzionato ad alleggerire il racconto e di certo eliminerò ripetizioni, endiadi e varie cose un po' stucchevoli.
Saprai meglio di me che la difficoltà con questo tipo di racconti è restare sull'ambiguo, in tutta quella gamma di possibili letture tra "probabilimente non è un uomo" e "è un uomo": insomma, per dare senso a quel che segue uno deve almeno cercare una conferma non scontata oppure deve essere (ingenuamente) sorpreso. E qui entra in ballo la voce "evoluta". Non è forse proprio questa a lasciarti col dubbio fino alla fine?
Devo pensarci su, anche perché la forma di questo racconto è presa in prestito da Italo Calvino e Primo Levi, l'uno con alcuni degli episodi de Le cosmicomiche, l'altro con una serie di raccontini del genere scritti per la rivista Airone: le sanguisughe, l'escherichia coli, il gabbiano e altri. Comunque sempre autodiegesi e voce consapevole.
Quanto ai tuoi consigli in finale di commento, vedrò cosa riesco a fare. Grazie ancora.
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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francescocascione
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Re: I ribelli

Messaggio#7 » mercoledì 10 febbraio 2016, 23:53

Buonasera Jacopo,

ho trovato il tuo racconto godibile; divertente la fase di allegoria ed interessante il racconto in soggettiva per svelare la natura del protagonista nella fase finale.
Condivido la tua volontà di snellirlo, ma credo che le parti da alleggerire vadano bilanciate con altre nel quale sarebbe forse opportuno giocare un po' di più, osare di più; la struttura va mantenuta però, funziona.
Prova a sintetizzare i primi due capoversi in uno solo. Non sempre spiegare troppo spiega molto.
Consigli in dettaglio non sono in condizione di darne; per mia indole forse dedicherei più spazio all'incontro con l'altra raminga; un contrasto nel contrasto sarebbe divertente; lo accenni quando invece potrebbe essere la chiave per raccontare della libera follia indotta dalla spora.
Divertono gli indizi che spargi, soprattutto quando ci si torna sopra per una seconda lettura.
Sono molto curioso di vederne l'evoluzione.

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Spartaco
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Re: I ribelli

Messaggio#8 » domenica 21 febbraio 2016, 1:44

Ragazzi, state battendo la fiacca. Non voglio arrivare a fine mese senza racconti selezionati. Datevi una mossa!

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Jacopo Berti
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Re: I ribelli

Messaggio#9 » sabato 27 febbraio 2016, 0:23

Chiedo scusa, ma non ho trovato il (molto) tempo necessario a sistemare il racconto come vorrei. Quindi lo riproporrò (già sistemato) nel prossimo laboratorio :)
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