I commenti di LIVIO GAMBARINI agli OTTO FINALISTI!

Avatar utente
antico
Messaggi: 7217

I commenti di LIVIO GAMBARINI agli OTTO FINALISTI!

Messaggio#1 » mercoledì 29 giugno 2016, 12:30

Riporto di seguito, in ordine casuale, i commenti di Livio Gambarini ai racconti finalisti della Live Edition di Rozzano:

Madri

Testuali:
“Incipit” - Benché la frase del narratore prosegua sulla stessa riga della battuta iniziale, non essendo ancora stato mostrato che le corde avvolgono uno dei soggetti, il nesso tra la stretta delle corde e il digrignare i denti non è chiaro, così come l’identità del parlante. Meglio eccedere in chiarezza, negli incipit. Occhio a forza-forte.
“Gli diede un lungo bacio” abbastanza
“per poco non si staccò la lingua di netto” o se la stacca di netto o non se la stacca. Se non se la stacca, non ha senso descrivere il modo in cui se la sarebbe staccata in caso contrario; peraltro, “staccare di netto” riferito a una parte del corpo è un cliché verbale.
“Estrasse una corda rossa ed una nera intrecciandole insieme” Il gerundio presente indica contemporaneità, non puoi usarlo in un caso in cui le due azioni sono sequenziali. “Estrasse una corda rossa e una nera e le intrecciò insieme…”
“L’adrenalina spazzò via l’eccitazione” A chi sarebbe riferita questa frase? A Paolo? Il PDV altalenante non lo manifesta con chiarezza, costringendo il lettore a interrompere il flusso della lettura per accertarsene; essendo un punto turnover, il problema è più grave qui di quanto lo sarebbe stato altrove.
“Paolo urlava, Marica… l'ordalia precedente era servito.” Scena clou un po’ sprecata: poteva accapponare la pelle, invece il coinvolgimento rimane basso a causa del focalizzarsi del narratore sulle azioni della torturatrice (continuò a graffiare, schiaffeggiare…) invece che sulle sofferenze da esse causate al torturato. Se proprio vuoi ricorrere al vetusto narratore salterino, che cambia PdV come gli gira di frase in frase, ti consiglio di focalizzarti sempre sul personaggio che in ciascuna interazione sta soffrendo maggiormente: la sofferenza è la primissima causa di immedesimazione e partecipazione in una storia e il narratore dovrebbe sempre cercarla come un cane da tartufi.

La seconda metà della storia è confusa e mal introdotta. L’assenza di ricontestualizzazione della scena dopo lo stacco e della messa in chiaro dell’identità dei parlanti rende impossibile per molte righe capire se stiamo assistendo a un semplice colpo di scena, a un flashback narrativo ambientato ai tempi dei genitori di Marica o a un ricordo (e di chi?). Occorre rallentare fino a fermarsi e rileggere varie volte, prima di proseguire. Non va bene: è una responsabilità dello scrittore presentare i fatti in modo da evitare queste legnosità. Ci sono problemi anche a livello costruttivo: l’introduzione del personaggio della madre (fondamentale) è troppo repentina, appare in scena senza che fosse mai stata menzionata prima (salvo per la storia della corda, ma è troppo tardi e troppo poco) e questo causa smarrimento nel lettore. Da una comprensibile storia di vendetta che coinvolgeva i due amanti e la sorella di lui, ci ritroviamo catapultati in una storia madre-figlia che sembra del tutto scissa da quanto abbiamo appena letto. Una buona norma narratologica è che qualunque elemento chiave della storia vada introdotto ALMENO una volta, prima di fargli svolgere un ruolo importante.
Un racconto potenzialemente interessante, purtroppo castrato dalla mancanza di chiarezza della seconda parte che ne compromette l’esito in modo fatale. Nella prima metà il livello stilistico è piuttosto buono, la scena desta subito un certo interesse. Alcune scelte sono però subottimali, come l’uso di un narratore irregolare che salta di palo in frasca a mostrare l’interiorità di entrambi i personaggi (mentre per una storia come questa, una terza fredda o un PdV fisso su Paolo sarebbero stati più efficaci). L’uso di verbi percettivi (sentì un rivolo di sudore) e la descrizione in TELL di alcune azioni i cui dettagli vengono dati per scontati (“gli diede un lungo bacio” invece che qualcosa di più visualizzabile, tipo “baciò il suo labbro inferiore, vi indugiò e poi lo morse”) sono aspetti su cui si può lavorare con profitto. Sul versante della cura superficiale, il livello è buono: salvo alcune d eufoniche, non ho trovato problemi. L’attinenza al tema è più che rispettata.


Tecniche segrete

“La donna sussultò.” Si capisce che il motivo del suo sussulto è l’aspetto del professore, su cui il lettore diventa in questo modo curioso, ma la curiosità si trasforma in fastidio quando diventa chiaro che il narratore non abbia intenzione di descriverlo, affidando al dialogo la spiegazione del perché della sorpresa di Fiammetta. È comunque una scelta accettabile, ma a mio avviso una riga di descrizione subito dopo il “sussultò” non avrebbe fatto male.

Un racconto pulito che (a meno che mi sia sfuggito qualcosa) non brilla per originalità o colpi di scena; pone delle premesse ragionevoli e le raggiunge senza grosse sorprese in positivo né in negativo. La personalità stilistica emerge poco, e lo fa nello scambio di battute più che nell’ideazione, nelle descrizioni o nel flusso; gradevole il finale, tema centrato. Una prova discreta: hai agito con cautela, ottenendo un risultato dignitoso. La prossima volta, però, osa di più con le idee o con lo stile! ;)


I più amati, i più buoni

“frasi ben poco pulcinesche” simpatica espressione, ma qui non mi convince: ammettendo che esistano delle frasi “pulcinesche”, mi verrebbero in mente proprio frasi come quelle, ovvero richieste di cura parentale. In che senso abbia tu inteso questo neologismo non mi è chiaro.
“resti dilaniati della sua prole” un termine come prole riferito a un referente singolare mi stona un po’, soprattutto in un contesto da trasporto emotivo, come questo.

Questo racconto horror-rustico è credibile ed equilibrato; la patina di storia che lo ricopre gli conferisce un sapore particolare. Ha un solo difetto davvero rilevante: il colpo di scena è troppo citofonato. La TV e il cinema horror ci hanno abituato da tempo al tema dell’antropofagia e la spiegazione corretta balza alla mente troppo presto (nel mio caso, nel punto in cui descrivi la carne di un tipo che i paesani non avevano mai mangiato). Non che prima fosse impossibile ipotizzarlo, ma quello è il punto in cui si supera la soglia virtuosa e l’ipotesi diventa certezza (troppo presto), trasformando gli indizi da lì in avanti in semplici e trite conferme. Sarebbe stato meglio non menzionare affatto la carne del pasto offerto ai paesani e limitarsi al generico “manicaretti”; allo stesso modo, sarebbe stato il caso di attenuare la platealità della risata di mamma Rosa quando il protagonista trova le casacche tedesche.
Una prova niente male; pochi ritocchi di red herring e il racconto diventerà davvero carino!


Greta e i suoi gretini

“Sul finale parte l’appalusao del pubblico. Un pubblico difficile da etichettare, ma adeguato alla
situazione, tanto variegato nel genere quanto mai avrei creduto possibile” Un po’ troppo tell, qui avrei visto meglio un paio di figure del pubblico descritte sinteticamente, in modo da dare l’idea di quel che volevi dire.
“Applausai” refuso
“Per me quella vita era normale. Lavoro, famiglia, e... spettacolo. Era tutto normalissimo, così
come lo è ora.” Capisco che intende ma, pronunciata di fronte a un figlio appena ritrovato, a qualche lettore potrebbe sembrare che il fulcro di questa frase non sia tanto la normalità con cui Greta percepisce il ballo travestito, bensì il fatto che per lui stare in famiglia o stare da solo fossero alternative equivalenti. Questo renderebbe assai antipatico il personaggio del padre.

Un egregio racconto. Mi è piaciuta molto la prima metà, con la scena dello spettacolo e il confronto con il padre, che parte in un modo e subito sterza rivelando altro; la seconda parte è senz’altro meno avvincente e liquida un po’ affrettatamente il discorso relativo alla madre del protagonista, ma svolge comunque il suo dovere e svela l’attinenza al tema come un nuovo ribaltamento di prospettiva: la madre di cui il racconto parla non è il genitore “femmina” Greta, che si riconferma nel ruolo di padre: ad aver tenuto segreta la verità era stata sua moglie, causa del naufragio della famiglia e, quindi, del presente ricongiungimento. Stile saldo e sicuro, trama lineare quasi priva di reali contrasti, se non interiori, e quelli con l’ombra della madre vengono risolti. In un formato anche di poco più lungo una storia così idilliaca avrebbe stancato, ma trovo che per la misura di MC vada più che bene.


Merletti di rugiada

Devo dirlo: di primo acchito il racconto partiva male, malissimo. Per via del titolo. Sembrava promettere rugiadosi sospiri e petalosi pensieri di una madre dal fiore un po’ appassito e dal cuore anelante pistilli autunnali… scusate, mi ricompongo. Come avrete capito, non apprezzo granché quel tipo di narrativa.
Invece non ho trovato nulla di tutto ciò. Un narratore onnisciente dalla parlata vetusta, colto e dignitoso – possiamo quasi immaginarlo passeggiare al nostro fianco nel parco, con un cappello e un bastone di radica – ci accompagna in questa non-storia tutta imperniata sul Senso di Luogo, sapientemente costruito su un edificio di dettagli precisi e azzeccati, in cui non si parla di trama ma di atmosfere. Ora, io tendo sempre a sconsigliare questa via (tipicamente ottocentesca e primo-novecentesca) perché a parità di sforzo, cavarne qualcosa di godibile richiede un più alto grado di consapevolezza e perizia tecnica rispetto a un’impostazione standard. Ebbene, questa volta ha funzionato. Lo stile è costante e rassicurante, il narratore non incappa nei tipici svarioni che contraddistinguono l’onniscienza; nemmeno la pompa che caratterizza questo tipo di narrazione scade mai nell’oltranza (in due o tre punti soltanto ho avvertito un po’ di pesantezza causata dalle scelte sintattiche, come “salutare ogni donna incroci il suo percorso”). Efficace l’aspetto inquietante dell’altalena solitaria, collocata forse nel luogo d’impiccagione di qualche tuchino trecentesco (ma dubito che un platano possa mantenersi tanto robusto da reggere cappi e altalene per sette secoli).
Insomma, proprio un bel pezzo: vivido, ben fatto, piacevole da leggere, con una spiccata e anticonvenzionale personalità. L’unico difetto grave è la scarsa attinenza al tema. Qualche cosa di non detto c’è, forse con un molti sforzi potremmo definirlo un segreto; tuttavia esso non pertiene alle madri più che a chiunque altro, né tantomeno il testo lascia intendere che il mistero abbia a che fare con una madre.


Vibrazione

“soggetto da spasmi” refuso: soggetto a spasmi – comunque usare “soggetto a” in un testo narrativo non è granché elegante.
“Il contenuto non era a prima vista tanto terribile. Ma ciò che lo fece irrigidire fu lo strumento sospetto che rotolò davanti ai suoi occhi in tutto il suo violaceo splendore” Problemi legati al soggetto. A tutta prima pare che a irrigidirsi sia l’oggetto, qualunque esso sia (lol), e solo proseguendo con la lettura intuiamo che il referente sottinteso debba essere Francesco.

“La speranza era di scoprire che non fosse ciò che pensava.” Brutta, indiretta e macchinosa; se proprio, meglio una cosa del tipo: “Sperava che non fosse ciò che pensava”
“Tocco” refuso: toccò.
“D’istinto richiuse il cassetto e face un passo indietro scontrando l’abatjour a fiori rosa su sfondo a crema rischiando di farla cadere” frase problematica a più livelli. Primo, c’è un refuso: “face” invece di “fece”. Secondo, c’è un errore sintattico: si dice “scontrandosi con l’abatjour” e non “scontrando l’abatjour”, che ricorda gli esilaranti regionalismi “scendere la saracinesca” e “pisciare il cane”. Terzo problema, “sfondo a crema”: in questi si usa la proposizione “a” soltanto per descrivere una fantasia: “su sfondo a scacchi/a pois/a fiori”, mentre per le tinte unite si usa semplicemente il colore: “sfondo crema (oppure color crema)”. Quarto problema (finalmente passiamo ai meccanismi narrativi), la sequenza temporale di questa frase non è ben gestita. Com’è scritta, il doppio gerundio presente “scontrandosi” e “rischiando” indica un unico piano temporale di contemporaneità, mentre richiederebbe consequenzialità: 1) fa un passo indietro 2) si scontra con un’abatjour rischiando di farla cadere. Quinto problema, è una frase molto TELL: non ci mostri i pericolosi movimenti circolari dell’abatjour sul suo piedistallo (SHOW), ci dici soltanto che rischia di cadere. Piatto piatto. Non vediamo niente della scena, non ce la figuriamo in testa: sentiamo solo la tua voce che ce la riassume, e questo intralcia la nostra immedesimazione. Questo vale per tutto il resto del testo.
“A tratti arrivò a essere addirittura più forte.” A tratti? Questa espressione sembri presumere che Francesco sia rimasto immobile per molto tempo ad ascoltare, seduto sul letto. Se è così, dovresti specificarlo prima di dire che il suono a tratti.
“Non era il suo cervello a cioccare, ma i messaggi sul cellulare” è la prima volta che sento il verbo cioccare usato in quest’accezione, non so nemmeno cosa tu intenda esattamente. Fare rumore, forse? Mi sa di dialettismo; se il tuo fosse un testo a chiaro contenuto regionale non ci sarebbe alcun problema, ma finora hai parlato in italiano e devi continuare fino alla fine.
“i messaggi sul cellulare. Lo afferrò lasciandosi cadere nuovamente sul materasso. Lo accese.” Se il cellulare era spento, non avrebbe potuto vibrare per l’arrivo di un messaggio. Se era acceso, “accese” non è la parola giusta.
Scambio di messaggi: Prima di tutto, com’è che il cellulare ha vibrato per mezz’ora e quando lo accende c’è un solo nuovo messaggio? Il fatto che tu abbia fatto vibrare così a lungo il cellulare induce il lettore ad immaginare una chiamata in arrivo, oppure una serie di rapidi messaggi in successione; invece, rimaniamo interdetti dal constatare che il messaggio in arrivo… era solo uno. Ora, non escludo che anche nell’era degli smartphone e delle notifiche costanti possa esserci qualcuno che usa ancora una suoneria infinita per un singolo messaggio in arrivo, ma il punto è un altro: hai impostato delle aspettative sbagliate, inducendo il lettore in confusione quando arriva a leggere i messaggi, con il risultato di impedirgli di comprendere l’identità di chi pronuncia le singole frasi. Risultato aggravato dalla totale mancanza di referenti in tutta la chat.
“Idiota!” Non capisco perché Francesco le dia dell’idiota, né per quale arcano collegamento mentale subito dopo lui scriva: “No è che mi è successa una cosa”
“Dimmelo o ti anniento” Sul serio, questa ragazza parla così?
“Gli invia una faccetta” refuso: le invia.
Lo scambio di messaggi manca totalmente di contestualizzazione. Non dici chi sia il nome visualizzato in chat, dopo che Francesco si è sdraiato a letto non avverti il lettore che sta per riprendere a chattare e lo lasci nuovamente spiazzato, non si capisce se le obiezioni numerate le abbia davvero inviate tutte o soltanto immaginate… e più tardi, continua a chattare fra botta e risposta mentre cammina verso la casa di sua madre (ma quant’è grande la casa?) e dopo ancora, a lungo e continuamente, chatta con il vibratore acceso davanti, e persino dopo che sua madre sbatte la porta… se ti fai il film mentale della scena, non sta proprio in piedi.
“punendosi le ultime briciole dalla barba” refuso piuttosto divertente

Il colpo di scena finale è simpatico e il tema è rispettato, ma purtroppo questo racconto si piazza in fondo alla classifica dei finalisti. I problemi sono moltissimi e spaziano dal livello grammaticale (che non fa una bella presentazione al testo), a quelli ben più gravi della coerenza, della verosimiglianza e dei dialoghi-chat, di cui ho scritto qualcosa ma che ho in gran parte taciuto, per non sovraccaricare il mio feedback di troppi elementi su cui farti riflettere. Il flusso della narrazione procede a singhiozzi e ho l’impressione netta che lo stile debba maturare ancora molto; non mancano tuttavia alcuni aspetti positivi, come la simpatica demenzialità dei tentativi di Francesco di spegnere il vibratore e la netta sensibilità psicologica che emerge dal modo in cui hai tratteggiato il giovane che, dopo aver toccato il vibratore, corre in camera sua e si nasconde le mani in mezzo alle cosce: è un gesto molto credibile, eloquente del suo stato d’animo.
Non posso che suggerirti di prendere atto dei problemi che ci sono, e di non scoraggiarti: la strada è ancora lunga, ma vale la pena di percorrerla.


All’improvviso ti vedo

“L’ufficio in cui lavoravi era un inferno; eri stata” Finalmente! Abbiamo dovuto attendere otto righe e più di 500 caratteri per riuscire finalmente a capire il sesso del referente e tirare il fiato. È una delle insidie della scrittura in seconda persona: forse nella tua mente i ruoli erano chiari fin dall’inizio, ma per il lettore è frustrante galleggiare sulle righe senza poter mai attribuire un minimo di caratterizzazione alla persona di cui si sta parlando – oltre che a quella che parla, ma questa è meno grave.
Un racconto che non mi ha convinto. La seconda persona è uno strumento che permette effetti interessanti solo se si ha il coraggio di osare; qui purtroppo, assistiamo soltanto a un lungo spiegone di fatti noti a entrambi gli interlocutori fittizi (chi parla e chi è oggetto della seconda persona) esposti soltanto a beneficio del lettore. Questo tipo di escamotage per raccontare la storia è uno specifico caso di infodump che i tropologisti talvolta chiamano “As you know, Bob,”. Una scelta infelice, questa della seconda persona, perché la materia prima ideativa c’era eccome, e anche l’approccio progressivo di svelamento delle informazioni, in modo da tenere il lettore sulla corda e con l’attenzione alta, funzionava bene. Belle le immagini concrete, il cappuccino gettato contro il muro, la Punto rossa con i sedili grigi. Ho la sensazione di aver letto una buona penna con l’inchiostro sbagliato. Va bene così: dopotutto siamo qui per sperimentare.
Il segreto della madre c’è, per quanto non sia strettamente fondamentale all’interno della narrazione.


Mater semper certa

“Poi scatto un balzo all’indietro” eh? All’indietro o ci scatta o ci spicca un balzo.
Stilisticamente è un racconto molto buono, con un bel flusso narrativo, buoni contrasti e una gradevole tensione superficiale giocata sui temi del razzismo, della ricerca di affetto parentale e sui segreti di famiglia. Tuttavia ho la sensazione che basti grattare un po’ la superficie per individuare elementi di fragilità. Primo fra tutti il modo di reagire della ragazza di fronte all’infarto del padre, altalenante e inverosimile, soprattutto nella battuta finale. Ma soprattutto, che scopo aveva quel segreto? Perché lasciar intendere alla ragazza di essere il frutto di una relazione clandestina della madre bianca con un nero, invece di raccontarle di essere una “legittima” orfana di una mamma nera? Il tema è più o meno rispettato.



Torna a “83ª Edizione - Live Edition Rozzano (MI)”

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti