Semifinale gruppo Aislinn

La Sfida a Italian Way of Cooking è un Super Speciale di MC finalizzato al componimento di un e-book prodotto da Minuti Contati!
L'evento è aperto a un limite massimo di 39 partecipanti che dovranno preventivamente iscriversi tramite il forum.
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Spartaco
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Semifinale gruppo Aislinn

Messaggio#1 » martedì 28 giugno 2016, 23:50

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Eccoci alla novità de La Sfida.
In risposta a questa discussione, gli autori semifinalisti del girone Aislinn, hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi, Linda De Santi e Roberto Romanelli, possono sfruttare i tre giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: giovedì 30 giugno alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 30 giugno. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione, state sicuri che il vostro avversario starà già pensando a come migliorarsi!



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Linda De Santi
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Re: Semifinale gruppo Aislinn

Messaggio#2 » giovedì 30 giugno 2016, 22:49

La Notte delle Fate

Lo Straniero mandò giù l’ultimo boccone di fiorentina e bevve un sorso di vino rosso. Lo trattenne in bocca qualche secondo, poi deglutì. Sorrise, estasiato.
Aveva viaggiato in lungo e in largo e assaggiato la cucina di ogni angolo del mondo, ma quelli restavano i sapori che preferiva.
Una ragazza inglese, seduta vicino a lui al lungo tavolo di legno, lo urtò con il gomito.
“Sorry!” si affrettò a dire, indugiando con lo sguardo sulla veste scura che ricopriva quasi per intero lo Straniero.
Lui fece un cenno con la testa, la ragazza abbozzò un sorriso e riprese a chiacchierare con l’amica che era con lei.
Sbirciò nei loro piatti: avevano preso la pizza margherita da Romualdo, come la gran parte dei turisti al Mercato Centrale di Firenze. Romualdo faceva la pizza “alla napoletana”, alta due centimetri e con la mozzarella che si scioglieva in bocca.
Guardò l’orologio: erano le 22.30 e il Mercato Centrale era in piena attività. Le code davanti alle botteghe erano ancora lunghe e dietro ai banconi i bottegai affettavano, arrostivano, friggevano, spadellavano, impiattavano e auguravano buon appetito.
Ci sarebbero volute ancora un paio d’ore prima che il caos iniziasse a diminuire, i tavoli si svuotassero e gli avanzi delle specialità artigianali finissero nel cestino.
Lo Straniero attendeva l’ora in cui i bottegai, spenti i fornelli e puliti i banconi, se ne fossero andati a dormire.
Attendeva il momento in cui l’Altro Mercato Centrale avrebbe aperto l’attività.

Il custode abbassò le luci e chiuse la porta, poi calò le saracinesche e si avviò fischiettando lungo via dell’Ariento.
Sulla corte interna del Mercato Centrale calò il silenzio.
Per qualche minuto non accadde niente. Poi la quiete fu attraversata da un rumore; in un angolo della corte una mattonella si mosse e si sollevò come una botola.
Una testa sporse dal pavimento: apparteneva a uomo con una folta barba rossa e due grosse corna ritorte.
L’uomo si guardò in giro, e, quando fu certo che tutto fosse tranquillo, uscì dal buco, saltellando su due gambe da capra. Raggiunse il centro della corte e suonò il corno.
Altre botole si aprirono e nel Mercato Centrale entrarono gargoyle, streghe, nani, gnomi, gatti mammoni, folletti, orchi e ogni genere di creatura magica.
Ciascuno prese il proprio posto nelle botteghe, che si rianimarono immediatamente: grosse lanterne di carta si accesero, i fuochi riavvamparono, le pietanze furono risistemate sui banconi, nelle pentole ricominciarono a sfrigolare i cibi e in breve tempo l’intero mercato si riempì nuovamente di profumi deliziosi.
Di lì a poco arrivarono anche i clienti: spiriti, fantasmi e demoni si riversarono nella corte dal pavimento, dal soffitto, dalle fognature e dalle pareti, sciamando tra le botteghe.
Lo Straniero uscì dall’ombra e passeggiò tra le botteghe dell’Altro Mercato.
Dove prima c’era la bottega di Romualdo, adesso una vecchia megera vendeva liquori di karma negativo per spiriti maligni depressi.
La bottega dei prosciutti e dei salami toscani era diventata la rosticceria Cibo Pesante – per spettri che non vogliono essere evocati nelle messe nere, gestita da una ragazza-gatto.
Nella bottega dei dolci, cinque gnomi operosi vendevano limonate restringenti per fantasmi dell’armadio troppo ingombranti.
Era tutto un gran vociare, tra sfrigolii appetitosi e odori stuzzicanti.
“Ravioli al ripieno d’anima in salsa di fenice!”
“Frullati di energia negativa, proveniente dalle peggiori giornate andate storte!”
“Decisioni! Addii! Rinsavimenti! Tutti i cibi per potenziare l’influenza sui vostri protetti e convincerli a cambiare vita!”
Lo Straniero passeggiò un po’ tra le botteghe, poi si concentrò sul lavoro.
Raggiunse la bottega di Pancino, Sapori Post Mortem, sul lato est della corte. Lesse le insegne piazzate sul bancone. “Buono come quando avevi le papille gustative”, “Gourmet post-mortem”, “Riscopri i sapori di quando eri vivo”.
Sorrise. Era proprio come gli avevano detto.
Pancino era un bestione dall’aspetto simpatico, una creatura metà orso e metà formichiere nato e cresciuto nei boschi dell’alta Garfagnana. Lo Straniero doveva ammettere che, quando gli avevano parlato di lui, era rimasto colpito dall’idea che aveva avuto per il suo business. Un’attività del genere richiedeva una quantità enorme di tempo passato a sperimentare, mescolare e rielaborare cose del mondo soprannaturale per farle sembrare cibo del mondo dei vivi. Certo, non si poteva dire che la cosa non pagasse, vista la folla di spettri radunata davanti a Sapori Post Mortem: quella degli spiriti di per sé era un’esistenza grama, se ci si metteva anche che il cibo che avevano amato in vita diventava completamente insapore, la cosa cominciava a essere insostenibile.
“Ecco qui la sua fettunta, signore!” disse Pancino, poggiando un vassoio con una bruschetta al cavolo nero davanti a un vecchio fantasma. “Il pane è un impasto di uova di uroboro e il cavolo nero è una crema di geco a due teste della Grotta del Vento”
“Mmmh, che buona! È proprio come… come la fettunta!”
“Appunto, signore. È per quello che mi chiamo Sapori Post Mortem.”
“Mi viene da ululare per l’emozione! Come hai fatto a riprodurla così bene?”
“Glielo racconto un’altra volta, va bene? Ora devo portare queste cavalcature di folletto al signor Karakasa. Ecco qua le sue chiocciole al sugo, signor Karakasa! Certo che sfortuna, eh, venire in vacanza a Firenze dal Giappone e trovare questo brutto tempo. Beh, non si può certo dire che le manchi l’ombrello…”
Lo Straniero vide che dietro a Pancino saltellava un esserino con un vestito di rosso e un cappello a punta. Dalle maniche spuntavano due braccia di legno che scattavano da un pentolone all’altro, riempiendo piatti e scodelle. Corrugò la fronte: l’aveva riconosciuto, ma non capiva cosa ci facesse lì.
“Ehi, lei laggiù, è proibito far salire i linchetti sui banconi! Tenga a freno il suo linchetto!” urlò Pancino.
Un fantasma dall’accento lucchese assunse un’espressione ferita. “Incubus non stava facendo niente di male!”
“Sì sì, intanto lei lo rimetta in borsa. Guardi che glielo impano e glielo friggo, eh? Ehi, ragazzo, arriva o no quella ribollita?”
L’esserino di legno consegnò una scodella piena di zuppa a Pancino, ricevendo per ringraziamento una botta in testa. “Te l’ho chiesta mezz’ora fa! Guarda che ti rimando dal giocattolaio, eh?”
Lo Straniero decise che era il momento di intervenire.
“Vorrei degli spaghetti al ragù”, disse.
Pancino si voltò verso lo Straniero.
“Lì c’è il menù, ci sono tanti piatti appetitosi che…”
“Ho già scelto. Voglio gli spaghetti al ragù.”
Pancino servì due scodelle di cappellini in brodo a due spiritelli cinesi e si avvicinò allo Straniero.
“E se invece le facessi degli spaghetti al pomodoro fresco? Mi creda, sembrano davvero…”
“No. Ragù.”
Pancino sospirò. “Casca male, allora. Il ragù non lo facciamo, purtroppo. Sono anni che ci provo, ma ancora non ho trovato niente per riprodurlo. Con gli spaghetti ce l’ho fatta, uso i serpentelli maligni dell’Arno, ma con il ragù ancora non ci sono riuscito…. non trovo niente che abbia quel sapore. Ma è solo questione di tempo, sa? Prima o poi il modo lo trovo.”
“E se ti dicessi” disse lo Straniero, abbassando la voce. “Che conosco un modo per riprodurre il ragù alla perfezione?”
“Avrebbe fatto bingo” rise Pancino.
“Ti dico dove trovare l’ingrediente per cinquanta monete d’oro.”
Pancino fischiò. “Per quella cifra dovrebbe essere un ragù che fa resuscitare i morti!” rise, ma subito si pentì perché alcuni fantasmi si girarono a guardarlo male.
“Andiamo”, lo incalzò lo Straniero. “Tu non sei come gli altri chef dell’Altro Mercato. Non offri del semplice nutrimento come quelli che vendono i frappè di tristezza, tu sei qui per far ricordare ai morti come ci si sente da vivi. Il ragù è il grande assente nel tuo menù da sempre. Non vuoi colmare questa lacuna?”
“Vedo che ti sei preparato bene” disse Pancino, guardando lo Straniero con sospetto. “Chi sei?”
“Sono solo uno che ha le informazioni giuste. Tieni, fa’ assaggiare questo ai tuoi ospiti.”
Pancino prese il barattolo che lo Straniero gli offriva e lo guardò: dall’aspetto sembrava proprio ragù. Ne prese un cucchiaino e lo assaggiò: doveva ammettere che era squisito, ma non era a lui che doveva piacere. Lo diede a una coppia di vecchi coniugi, servendoglielo sui crostini: si leccarono anche il lenzuolo e ne chiesero ancora.
Pancino non credette ai propri occhi.
“Aspetta qui” disse allo Straniero.
Lo Straniero aspettò che Pancino terminasse di servire i clienti. Col passare delle ore gli spiriti iniziarono a diminuire, scomparendo attraverso le pareti per tornare alle loro case, nelle soffitte, nelle tombe, negli armadi e nei pozzi.
A un’ora dall’alba Pancino raccolse i suoi strumenti e il cibo avanzato in una grande sacca, mentre il ragazzo con il cappello a punta strofinava ogni superficie della bottega per non lasciare traccia del loro passaggio.
“Allora? Quale sarebbe questo ingrediente segreto?”
“Delle adorabili bestioline che vivono a pochi chilometri da qui. Dammi cinquanta monete d’oro e ti dico tutto.”
“Facciamo venticinque subito e l’altra metà quando avrò appurato che l’ingrediente esiste davvero.”
“Non ti fidi di me?” ghignò lo Straniero.
“Gli affari sono affari. Devi capirmi.”
“Facciamo trenta subito e venti dopo domani.”
Pancino sbuffò e contò trenta monete. Avrebbe potuto contrattare ancora, ma era stanco per la nottata di lavoro ed erano troppi anni che cercava di cucinare del ragù per spettri, non poteva lasciarsi scappare un’occasione così.
Diede i soldi allo Straniero, che li fece sparire sotto la veste.
“Fate carnaiole.”
“Che?”
“Fate carnaiole. Sono un tipo di fata che si nutre solo di carne. Una manciata di quelle, e farai un ragù da leccarsi i baffi.”
“Non ho mai sentito di queste fate.”
“Non sono originarie di questa regione, ma negli ultimi anni hanno preso a spostarsi, sa il cielo perché. Di solito infestano i giardini per rubare il cibo dalle ciotole dei cani.”
“E dove le trovo queste fate carnaiole?”
“C’è una piccola comunità a nord del quartiere di Novoli. Escono fra le due e le quattro del mattino. Riconoscerle è facile, emanano un bagliore blu e hanno un aspetto molto… caratteristico.”
Lo Straniero mostrò a Pancino il disegno di una fata carnaiola. Due ali squamose spuntavano sulle spalle di un corpicino a malapena antropomorfo, sovrastato da una testa calva con due occhi da insetto e una bocca irta di zanne. Sembrava un pesce abissale.
“Ah, beh… carine.”
Lo Straniero sorrise. “Sono anche piuttosto feroci, perciò stai attento.”
“E con quelle si può fare il ragù come quello che mi hai dato?”
“Ci puoi giurare” disse lo Straniero, alzandosi. “Ora devo andare. Tra due giorni passerò a prendere il resto.”
“Spero proprio che funzioni.”
“Funzionerà. Senti, mi togli una curiosità?”
“Uh, certo.”
“Si può sapere che ci fa Pinocchio nella tua bottega?”
Pancino si voltò a guardare il suo assistente, ancora intento a pulire. “È scappato da un negozio di giocattoli. Non lo comprava nessuno, era lì da quasi trent’anni, ormai i proprietari lo tenevano perché c’erano affezionati.”
“Capisco” disse lo Straniero. “Buona fortuna per la caccia.”
“Grazie. Ne avrò bisogno, con quelle cose lì…”
Ma lo Straniero era già scomparso.

“Ti sei ricordato il retino di capelli di dea?” chiese Pancino a Pinocchio.
“Sì, Pancino, eccolo.”
“Bene. Ecco il piano: tu ti avvicini alle fate senza farti vedere, gli lanci un pezzo di carne, aspetti che si fermino a mangiare e poi le acciuffi con il retino. Poi arrivo io e le metto qui dentro.”
Pancino tirò fuori dallo zaino un’enorme giara e ci sbatté sopra la mano.
Pinocchio sospirò. “A me piacciono le fate, Pancino. Mi dispiace ucciderle…”
“Vedrai che queste non ti piacciono, sono brutte come gli esorcismi. Dai, andiamo.”
Si mossero tra le strade buie di Novoli. Pancino si era messo addosso un pastrano nero con un ampio bavero che gli ricopriva il corpo peloso e gli nascondeva il naso da formichiere. Pinocchio, invece, indossava un cappottino nero e si muoveva a fatica sotto il peso dell’enorme retino.
Perlustrarono diversi isolati, muovendosi furtivamente e tenendosi lontani dalla luce dei lampioni. Sbirciarono in tutti i giardini, trovandoli vuoti e silenziosi. Delle fate carnaiole non sembrava esserci traccia.
“Accidenti a questa nebbia, non si vede niente…” borbottava Pancino.
Continuarono a cercare, ma tutto ciò che trovarono furono folletti girovaghi e gatti randagi per nulla contenti di vedere una specie di orso e un burattino aggirarsi nel loro quartiere.
“Quel tizio doveva essere ubriaco. Quelle fate non si vedono” sbuffò Pancino a un certo punto. “Ho buttato via trenta monete d’oro. Accidenti a me, sono proprio un…”
“Guarda, Pancino” disse Pinocchio, indicando dall’altra parte della strada.
Pancino strizzò gli occhi. Al di là del cancello di una villetta gli sembrò d’intravedere un bagliore bluastro.
“Bravo, ragazzo” mormorò. “Aspetta, mi avvicino…”
Pancino si mosse in punta di piedi lungo la strada. Vedendo quel gigante muoversi in quel modo, a Pinocchio venne da ridere. Si mise una mano davanti alla bocca, ma fu inutile: scoppiò a ridere così forte che Pancino sussultò per lo spavento.
“Cos’hai da ri… Guarda!”
Un lumino azzurro saettò repentino davanti ai loro occhi, tracciando una parabola nell’aria e scomparendo sul retro della villetta.
“L’hai fatta scappare! Forza ragazzo, vieni!”
Pancino raggiunse il cancello ed entrò nel giardino dell’abitazione. Pinocchio lo seguì. Si portò al fianco del suo capo, che lo spinse in avanti.
“Guarda, eccola là!” gli sussurrò Pancino. “Vicino all’altalena.”
Pinocchio individuò la fata carnaiola, deglutì e si mosse piano, stringendo il retino. Si avvicinò alla creatura trattenendo il respiro e allungò il braccio per gettarle la carne. Sentì che la fata faceva strani rumori con il naso, come se stesse aspirando con forza. Capì troppo tardi cosa stava succedendo: nel momento in cui si rese conto che la creatura aveva fiutato il cibo, quella stava già divorando la striscia di carne nella sua mano. Quando ebbe finito la carne, la fata affondò i denti nella mano del burattino.
Pinocchio cacciò un urlo così acuto che a Pancino si gelò il sangue nelle vene, certo che avrebbero svegliato chiunque nel raggio di tre chilometri. Uscì dal suo nascondiglio dietro ai bidoni della differenziata e corse ad aiutare il suo assistente. Afferrò la fata e la tirò via con forza dal legno. Fu anche peggio: lei si rigirò e morse lui, riuscendo ad affondare i denti nella carne nonostante l’ampio strato di pelliccia di Pancino. Il cuoco gridò di dolore e prese ad agitare freneticamente la mano nell’aria.
“Il retino! Stordiscila con il manico del retino!” urlò.
Pinocchio calò il retino sul braccio di Pancino, prendendolo in pieno e strappandogli un ulteriore grido di dolore.
“Ahia! Devi prendere la fata, non il mio gomito!”
“Scusa, Pancino! Non è mica semplice, sai? È troppo piccola!”
“Che male! Prendi la giara! La giara, ragazzo!”
Pinocchio si precipitò a prendere la giara e la portò a Pancino.
“Aprila e tieniti pronto!”
Pancino afferrò la fata con l’altra mano, con un ruggito se la strappò via dalla carne e la scagliò dentro alla giara. Rapido, Pinocchio ci rimise il tappo sopra.
Pancino cadde a terra, stringendosi al petto la mano dolorante.
“Accidenti se sono toste, queste fate!”
Era sgomento all’idea di dover dare la caccia a quelle creature orrende. Per una pentola di ragù ne sarebbero servite almeno venti, e la prospettiva di avere a che fare altre venti volte con quei mostri lo terrorizzava. Quanto lavoro gli sarebbe occorso per procurarsi quelle cose? Forse era meglio lasciar perdere.
Eppure riuscire nell’impresa avrebbe significato realizzare il sogno che inseguiva da anni. Quanto tempo aveva passato a provare, sperimentare, mescolare sapori per cercare di riprodurre quel piatto tanto amato?
L’incontro con lo Straniero non poteva essere stato un caso: ne era sicuro, il destino gli stava dando una mano. Immaginò le facce dei suoi clienti quando gli avrebbe offerto il suo ragù post-mortem: una specialità dello chef Pancino, l’unico al mondo in grado di offrire i sapori del mondo dei vivi. Avrebbero parlato di lui in tutta la Toscana, anzi, in tutt’Italia, e forse anche più in là. Sarebbe diventato il primo chef al mondo a compiere l’impresa.
Sì, pensò. Vale la pena lottare per catturare queste fate. La vedranno!
“Pancino, che succede?”
Una crepa si era aperta nella giara. Da dentro arrivava il rumore di colpi regolari, come di un martello sull’acciaio.
“Non è possibile. Sta…”
La crepa cedette e dalla giara spuntò la testa della fata carnaiola, la luce blu attraversata da scosse elettriche. Pancino strabuzzò gli occhi.
“Come diavolo ha fatto?”
La fata spiccò il volo, prendendo a vorticare furiosamente intorno ai suoi assalitori.
“È-è furibonda!” Balbettò Pancino. “E mi sa che dà anche la scossa. Scappa, ragazzo!”
Si diedero alla fuga, lasciando giara e retino. Corsero a perdifiato, senza guardarsi indietro, e non si fermarono finché non furono certi che la fata fosse ormai a parecchi chilometri di distanza. Stremato, Pancino si appoggiò le mani sulle ginocchia. Forse sarebbe stata più dura del previsto.
“Oh, al diavolo. Catturerò quelle maledette fate, fosse l’ultima cosa che faccio!” ruggì. “Ascolta le mie parole, ragazzo: cucinerò il ragù per spettri più buono che sia mai esistito. Sarà più buono perfino di quello dei vivi!”
“Ma…”
“Torneremo ancora” tagliò corto lui, ignorando lo sguardo sgomento del suo assistente. “E giuro che la prossima volta porto una scatola di titanio!”
Erano le prime luci dell’alba quando nella strada risuonarono i passi strascicati di un ammaccato, infreddolito, deluso, ma nondimeno speranzoso, Pancino della bottega Sapori Post Mortem.

In un piccolo parco di Novoli, al sorgere del sole del giorno dopo, lo Straniero tolse il tappo a un grosso vaso di porcellana e fischiò un motivetto. Uno sciame di fate carnaiole sbucò dai cespugli e si riversò docilmente dentro al vaso. Smise di fischiare solo dopo che fu rientrata l’ultima, dopodiché rimise il tappo sul vaso.
“Anche stavolta è andata bene. Con la musica diventate sempre docili…”
Sentì dei passi dietro di sé e si voltò di scatto.
“Chi c’è?”
Un essere tarchiato, ricoperto da una veste scura simile alla sua, si portò sotto la luce di un lampione.
“Ah, sei tu, vecchio mio” disse lo Straniero. “Com’è andata all’Altro Mercato di Pisa?”
“Molto bene, compare. La strega si è bevuta la storia dei sorbetti di cimice per sonni eterni indisturbati. E con le fate del Kenya com’è andata?”
“Alla grande. Ieri Pancino ha passato l’intera nottata a dar loro la caccia e stanotte al Mercato mi ha dato il resto dei soldi che mi doveva. Domani ci riproverà, ma non ne troverà più nemmeno una.” Ridacchiò lo Straniero.
“Ottimo, compare! Questo contrabbando di insetti magici sta andando meglio del previsto. Continuando così diventeremo ricchi sfondati!”
“Ci conto, mio caro amico. È stata una fortuna scoprire che queste fate, cucinate a dovere, sono una delizia per il palato degli spettri. E non solo il loro: anche a me sta venendo voglia di mangiarle!”
“Quando avremo abbastanza soldi, lo faremo.”
“Giusto. Ehi, sai chi ho incontrato alla bottega di Pancino?”
“Chi, compare?”
“Un nostro vecchissimo amico. Quel manigoldo d’un burattino di legno.”
“Lui? E che ci faceva lì?”
“Non ne ho idea. Pancino dice che è scappato da un negozio di giocattoli.”
“Così quel maledetto ciocco di legno è ancora in giro. Non mi è mai andata giù che, tra tutte le creature magiche della Toscana, lui sia diventato il più famoso. Tutta colpa di quello scrittore...”
“Già. Ma se può consolarti, non fa una bella vita. Sgobba come un matto. Pensa che non mi ha nemmeno riconosciuto.”
“Questo mi rende felice. D’altronde non mi stupisce, a furia di viaggiare non sembriamo più noi.”
“È vero. Nessuno sospetterebbe mai che siamo toscani. Temo che i tanti viaggi ci abbiano molto cambiato, amico mio.”
“La cosa più importante è che gli affari vadano bene.”
“È vero. E, devo dirlo, stavolta è stata una truffa davvero ben riuscita.”
“Sei sempre la solita vecchia Volpe!”
“E tu, amico mio, sei il solito vecchio Gatto. Coraggio, avanti con il prossimo lavoro!”
Ultima modifica di Linda De Santi il giovedì 30 giugno 2016, 23:46, modificato 3 volte in totale.

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Re: Semifinale gruppo Aislinn

Messaggio#3 » giovedì 30 giugno 2016, 23:24

Metallo Urlante

Due mesi dopo. Roma - Un Ministro e un Colonnello.


Quindi, in base ai recenti avvenimenti, consiglio di modificare i protocolli di addestramento in modo da avere (per i dettagli fare riferimento all’allegato):
verifiche psicologiche quindicinali di stabilità emotiva e gestione dello stress.
verifica della tolleranza alle
rune di Broca (costrizione e imposizione) ad attivazione circostanziale.
l'abilitazione all’utilizzo dei
cerchi di amplificazione subordinata a un doppio test di Cassandra e alla tolleranza alle rune di Broca.

Il Ministro della Difesa posò i fogli sulla scrivania e li spinse verso il Colonnello.
Con calma si portò il pollice alle labbra, lo morse e si passò il polpastrello sulla fronte. La pelle si lacerò seguendo la sottile striscia di sangue per spalancarsi poi in un terzo occhio.
- Mi perdonerà la scortesia, Colonnello, ma così faremo prima. - il terzo occhio era fisso sul Colonnello - No, in effetti non intende perdonare la scortesia, me ne farò una ragione. Siamo franchi, Colonnello, lei davvero crede che qualcuno si farebbe tatuare delle Rune di Broca? Perdere la parola in base a una condizione arbitraria stabilita dall'esercito?
Il Ministro si alzò dalla sedia e cominciò a passeggiare per la stanza, mentre il Colonnello rimaneva nella sua posizione.
- Per non parlare del test di Cassandra. No, scusi, un doppio test. Lei sa quanto costa un profeta oggi? - si fermò davanti al Colonnello fissandolo con tutti e tre gli occhi - Vedo però che lei è convinto della validità della sua richiesta. - Sospirando prese i fogli dalla scrivania e li sventolò davanti al graduato. - Ma cos'ha da mostrarmi di questi, fantomatici, recenti avvenimenti?
Il terzo occhio si chiuse con uno schiocco liquido.



La mattina degli eventi. Lido della Sirena - Un Soldato e un Cuoco

- Adesso riposati, tra poco ripartiamo. - Stefano si buttò a sedere dietro ai resti di una cabina doccia, attese qualche secondo massaggiandosi la gola mentre regolava il respiro, si sporse oltre il bordo per vedere se qualcosa si muovesse lungo la spiaggia: un dardo-conchiglia quasi gli cavò un occhio.
- Negativo, ripartiamo subito! - gracchiò il comando, poi si alzò e afferrò per il braccio il ragazzo sovrappeso che ansimava come un mantice.
Il punto con qualche copertura più vicino era un parchetto per bambini con uno scivolo e un paio di tunnel colorati, osservò il suo compagno nella sua, ormai sporca, divisa da cuoco chiedendosi se potesse farcela.
- Andiamo, forza! - la gola gli faceva un male d'inferno. Strattonò il ragazzo che finalmente si alzò.
- Non ce la faccio - il ragazzo guardò verso la loro meta - e non cambierebbe nulla.
Aveva ragione: oltre il parchetto c'era solo sabbia, entrambi si accasciarono a terra.
- Siamo fottuti, non dovevano arrivare così presto - disse il ragazzo afferrandosi la testa tra le mani e cominciando a singhiozzare.
- Merda, stai zitto! Fammi pensare.


Due giorni dopo. Caserma Dabormida - Un po' di militari

Stefano Grimaldi, ventidue anni, caporal maggiore trasferito da Napoli alla “Dabormida” di Torino, cominciava ad avere problemi di controllo della sudorazione. Aspettava da più di quaranta minuti con la sola compagnia di una ventina di sedie vuote.
DOMANI ORE 9.45, SALA BRIEFING. Difficile equivocare il messaggio del Capitano Valenti che, peraltro, annullava implicitamente la licenza a due giorni dalla sua prima missione sul campo.

Quando la porta si aprì, Grimaldi scattò in piedi, mano destra in posizione di saluto e mascella ben serrata nel vedere entrare, dopo il Capitano Valenti, il Colonnello De Martini e due ufficiali che andarono a sedersi nelle ultime file.
- Riposo - Grimaldi si sedette, nel frattempo il capitano aveva appoggiato la sua borsa sulla scrivania e stava estraendo della documentazione, porgendola al superiore.
- Lei, Caporal Maggiore Grimaldi, è l’unico dei presenti non a conoscenza dei fatti - parlava sfogliando velocemente il plico di fogli davanti a lui - cercherò di essere il più breve possibile… - estrasse dalla documentazione un rettangolino di carta bianchissimo e lo strappò in due. La temperatura scese di colpo, un velo di brina si formò sugli occhiali del capitano Valenti e un filo di fumo bianco cominciò a salire dalle due metà: una Bolla di Stasi, non ne aveva mai vista una!

- Sono ventiquattro ore che ho questi due attaccati al culo! - Stefano si girò istintivamente, una finissima nebbiolina indicava l’area di influenza della Bolla e i due graduati, cristallizzati nell’istante dello strappo, ne erano fuori - qualche pezzo grosso ha smosso la sede del Ministero e adesso non posso andare a pisciare senza che questi mi aspettino al lavandino. Spero capisca, ma glielo voglio rendere chiaro in ogni caso Grimaldi, che quello che sentirà adesso è strettamente confidenziale. Nella missione a cui ha partecipato è successo un casino - Grimaldi deglutì a disagio - ora lei è l’unica persona in grado di risolverlo. Al termine del briefing avrà degli ordini, delle priorità, dei limiti. Bene, se ne fotta! Il suo unico obiettivo sarà portare a casa il figlio di papà vivo. Faccia tutto quello che ritiene sia necessario fare. - il sottile filo di fumo aveva consumato quasi tutto l’attivatore, il colonnello agitò le mani lasciandolo andare ed evaporarò all’istante.

- … lei ha partecipato, due giorni fa, a una missione sul litorale ligure come supporto a un contingente di protezione di alcuni civili. - Il capitano Valenti si stava pulendo gli occhiali, mentre i due graduati in fondo alla sala rimanevano in silenzio - Trattandosi della sua prima missione era autorizzato a lasciare il campo al termine del suo turno utilizzando un Trasporto e rientrare in caserma. Come ricorderà ai civili era stata destinata una zona ritenuta sicura, tuttavia, uno di loro si è spinto oltre senza che nessuno addetto al perimetro se ne accorgesse.

Sei mesi prima. Ristorante da Carmine - Un esaminatore e un cuoco

- D’accordo, direi che in questo modo possiamo attestarci su un punteggio di ottanta ma non più di due forchette. Buona giornata, le ripasso suo figlio.
Carmine Termi, nella sua divisa da capo cuoco firmata, recuperò l’iPhone dalle mani dell’esaminatore e lo portò all’orecchio, la risacca faceva da sfondo alla voce del padre - Sistemato tutto, ricordati che domani deve venire l’avvocato, solito tavolo e, mi raccomando, il vino che ti ho fatto avere la scorsa settimana.
- Sì papà, mi ricordo. - l’esaminatore nel frattempo si era pulito la bocca col tovagliolo e si era alzato per andarsene, senza preoccuparsi di salutarlo. Aveva fatto mettere il suo nome nell’insegna del ristorante, ma erano il cognome e i soldi del padre a tenerlo in vita.

La mattina degli eventi. Lido della Sirena - Una sirena, un soldato e un cuoco

La sirena era distesa sullo scoglio, dalla testa alla coda saranno stati quasi tre metri di squame e muscoli, non era
Guarda un paio di tette e la giornata ti sorriderà! era sempre stato il motto di Francesco, suo compagno al corso addestramento; la sirena ne aveva sei di tette, ma la giornata era una merda.

An evil that can't be tamed
It darkens my soul
And blackens the blood
A fire that fills my veins


Anche continuando a cantare gli Amon Amarth sentiva gli influssi del canto del mostro insinuarsi nel suo cervello. A giudicare dalla potenza della risonanza era una delle loro Vocalist: a quella distanza avrebbe potuto fare a pezzi il suo growl e ridurre la sua volontà a un budino, ma stava deponendo le uova e le sue energie erano concentrate altrove. A pochi passi da lui il corpo grassoccio del cuoco, fuori dall’area di influenza dei supporter, sobbalzava in preda all'epilessia.
So how
Did I ever end up here?
Humiliated, broken and weak
I've waited
For a thousand years
To break these chains apart and
To finally break myself free



Le rune di amplificazione tatuate su schiena e torace ardevano e, nonostante avesse aumentato la distorsione del microfono sul mixer portatile, faceva fatica a proseguire.

I bit the hand, off the mighty Tyr
When I couldn't, tare my ties
Now banished I dwell
A sword in my jaw
awaiting the end of time


Gridava il testo della canzone mentre si avvicinava, la tensione e il dolore al collo erano diventati insopportabili, nonostante le rune a supporto non riusciva a gestire correttamente il respiro e si limitava a gridarlo il suo growl, ma la tecnica non era nata per l'uso militare che prevedeva assetti in cui era difficile mantenere costante una voce impostata.

In darkness I drown
Consumed by my hate
Longing for revenge
Allfather will pay
For his deceit


Prese uno degli auricolari bluetooth e lo infilò nell'orecchio di Carmine Termi: una doccia fredda mentale per il ragazzo e una scarica di vomito sui suoi anfibi quasi immediate. A gesti gli indicò la spiaggia e la zona sicura ben oltre la scalinata e il Lido delle Sirene da cui si era allontanato.


Due giorni dopo. Caserma Dabormida - Un Capitano e un Soldato
- Il padre del ragazzo sta pagando dei Cronomanti per rimandare qualcuno indietro - il Capitano Valenti lo guardava inespressivo - lei, Grimaldi, è la persona più indicata e verrà rimandato indietro poco dopo la sua partenza. Questo permetterà di ridurre al minimo l'effetto inerzia, visto che era già presente sul luogo, ma non ci saranno effetti doppler in quanto, abbandonando il campo con un teletrasporto, si trovava ben oltre la distanza di sicurezza. - concluse fissando il ragazzo ora di un bianco cadaverico.
- Ma, capitano, sono un supporter, ho un addestramento alle armi di base, non potrei fare nulla contro una sirena, figuriamoci contro dei tritoni. - la voce di Grimaldi tremava.
- Lo sappiamo, ma lei non dovrà ingaggiare nessuno, dovrà solo ritrovare Carmine Termi e riportarlo nella zona sicura. Se sarà fortunato lo troverà ancora ai banchi di raccolta o lavorazione e dovrà semplicemente tenerlo lì.
- Perché non mandare un messaggio, usando i Cronomanti per mandare un avvertimento al ragazzo o a uno degli uomini addetti al perimetro?
- Grimaldi, si calmi e ragioni, non crede che sia già stato provato? I Cronomanti sono al lavoro da sedici ore per riuscire a stabilizzare un condotto per trasportare una persona. La via dei messaggi è stata la prima ad essere tentata, ma il campo è saturo degli effetti del canto delle Sirene e dei controcanti dei supporter come lei, nessun messaggio che alteri quanto stabilito all'inizio della missione verrebbe ritenuto affidabile.
Grimaldi strinse nervosamente i pugni. Era vero, lui risentiva meno degli effetti ipnotici delle Vocalist sirene perché era il cantante, ma i tecnici al mixer dovevano continuamente aggiustare i parametri della muscia che veniva inviata agli auricolari dei compagni, e con le sirene di mezzo ognuno si attineva sempre agli ordini impartiti in precedenza e scolpiti con lunghe sessioni di ipnosi e training autogeno.
- Allora mandatelo prima il messaggio! - la tensione aveva infranto l'addestramento e la logica.
- Grimaldi, mi sta forse dando degli ordini? - Il capitano sbatté il pugno sulla scrivania - Lei può accettare o rifiutare la missione, inutile dire che un rifiuto non sarà ben visto dall'esercito, ma ancor meno dal padre del ragazzo, che, ne sono certo, le assicurerà una vita d'inferno una volta uscito da questo caserma.

La mattina degli eventi. Lido della Sirena - Un cuoco, un soldato e una sirena

Carmine si risvegliò con la bava alla bocca, lo stomaco che si contorceva e i muscoli ridotti peggio che dopo una sessione intensiva di cardio. Musica Death Metal gli veniva urlata in un orecchio, mentre un ragazzo in mimetica all'incirca della sua età gli stava facendo dei segni.
A una manciata di passi mezza dozzina di uova traslucide erano da poco uscite dall'orifizio caudale della sirena. Le uova per cui aveva fatto installare di nascosto una vasca di cinque metri sotto al ristornate, per poter far crescere una sirena e avere sempre a disposizione delle uova fresche e, perché no, un po' di carne di sirena. Incurante di tutto scattò verso di esse e cercò di afferrarle. Senza il guscio rappreso la sua mano le attraversò, spargendone il contenuto sulla pietra degli scogli.
La sirena urlò, interrompendo il canto.

Due mesi dopo. Roma - Un Colonnello e un Ministro
- Poco, ma è chiaro che…
- Non poco, Colonello, lei non ha niente. Niente.
Il colonnello maledisse dentro di sé il Ministro, fino a poco prima aveva usato il terzo occhio per frugargli nella testa, ma ora l'aveva chiuso appositamente per umiliarlo.
- Ministro, è più che evidente che ci sono state manipolazioni temporali.

La mattina degli eventi. Lido della Sirena - Un soldato e un cuoco.

- I tritoni non dovevano essere così vicini. - il ragazzo biascicava quella che sembrava essere la lezione di scienze sulla riproduzione delle sirene - Le sirene depongono le uova, le lasciano al sole in modo che si formi il guscio protettivo e poi se ne vanno, portandone con sé solo una o due, quelle identificate come feconde. Solo ore dopo arrivano i tritoni per divorare quelle rimaste. - riprese a singhiozzare.
Quello che non aveva detto era che, da meno di tre anni, in mezzo a questo ciclo si erano inseriti gli uomini, o meglio, i cuochi. Pagavano profumatamente l'esercito affinché li proteggessero in modo che potessero recuperare e preparare un prodotto di lusso il più fresco possibile, rivenduto a prezzi da capogiro.
Stefano aveva trascinato Termi mentre la Sirena urlava impazzita, la loro unica fortuna era stata che solo il canto delle sirene aveva effetti ipnotici e che il mostro si era acciambellato attorno alle uova rimaste per proteggerle. Sarebbe bastato un colpo di coda per scaraventare entrambi nelle acque del Mediterraneo o sugli scogli in malo modo.

Credeva di avercela quasi fatta quando un dardo-conchiglia scagliato da un tritone si era piantato a pochi centimetri dal suo stivale. La loro fuga si era interrotta dietro a una cabina doccia, troppo lontana dal perimetro di sicurezza e, a tutti gli effetti, un vicolo cieco.

Se ne fotta! faccia tutto quello che ritiene sia necessario fare.

Stefano si alzò in piedi massaggiandosi la gola, tracciò sulla sabbia un pentacolo iscritto in un cerchio e affondò nella sabbia cinque cristalli in corrispondenza dei vertici. Cominciò a cantare. Non si fermò nemmeno quando Termi prese a scuoterlo con violenza, la paura trasformata in terrore negli occhi del giovane cuoco.

Due giorni dopo. Caserma Dabormida - Un Colonnello e un soldato.

Il Colonnello De Martini sfogliò velocemente il plico di documenti sulla scrivania, sospirò e sollevò la testa verso il ragazzo che lo fissava preoccupato per essere stato convocato nel suo ufficio.
- … lei ha partecipato, due giorni fa, a una missione sul litorale ligure come supporto a un contingente di protezione di alcuni civili. Era autorizzato a lasciare il campo, come ha fatto, al termine del suo turno utilizzando un Trasporto e rientrando in caserma. Ai civili era stata destinata una zona ritenuta sicura, tuttavia, uno di loro si è spinto oltre, uno dei nostri vocalist Death Metal lo ha notato e ha cercato di riportarlo indietro. Non sappiamo cosa sia successo esattamente ma qualcosa deve essere andato storto. - il colonnello abbassò lo sguardo sulle foto del litorale ligure in fiamme - lei, caporale Stigoli, deve trovarlo e fermalo: preso dal panico ha iniziato a cantare qualcosa che la natura stessa ha in odio.


La mattina degli eventi. Lido della Sirena - Un soldato

Nu jeans e na maglietta
'na faccia acqua e sapone
M'ha fatte nnammura'
Ma tu me daje retta
Dice ca si guagliona
E nun'ha tiene ancora
L'età pe ffa' ll'ammore


Stefano continuava a urlare Nino D'Angelo dall’interno del Cerchio Beringher in completa risonanza con le rune di amplificazione. Ad ogni strofa una nuova voragine si apriva e inghiottiva un pezzo di spiaggia, vomitando lava e fiamme.

Tu quindici anne ma
Sei già donna
Anche se piccola d'età
Nun saccio ancora
Nemmeno o nomme e
Da mia te sento già

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Re: Semifinale gruppo Aislinn

Messaggio#4 » venerdì 1 luglio 2016, 0:28

Noto con piacere che i racconti sono stati modificati, quindi questi tre giorni vi sono serviti. Ora la palla è in mano allo SPONSOR del vostro girone.

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Re: Semifinale gruppo Aislinn

Messaggio#5 » lunedì 11 luglio 2016, 22:26

Aislinn ha sofferto molto, ma alla fine ha dovuto scegliere l'ultimo finalista.

Ecco a voi i suoi commenti e la sua classifica:

Difficile davvero scegliere tra questi due racconti, molto diversi tra loro ma entrambi sia con elementi interessanti sia con momenti un po' meno riusciti. Dopo aver esitato a lungo, scelgo La notte delle fate perché mi ha divertito di più, ma ci tengo a fare i complimenti anche a Metallo urlante.

Ecco i commenti:

La notte delle fate: il racconto avrebbe bisogno di un po' di editing per quanto riguarda lo stile e la gestione dei dialoghi, non sempre naturali e a volte un po' ripetitivi (per esempio, quello finale potrebbe essere snellito evitando di ribadire l'ovvio, e anche la scena iniziale potrebbe essere resa più incisiva), e gioca su idee nel complesso già ampiamente sfruttate (il mercato soprannaturale, per esempio); nell'insieme, ci sono palesi richiami a Hellboy – The Golden Army, ma anche una certa atmosfera alla La città incantata che ha il suo fascino. Mi sono piaciute la «caccia al ragù» perfetto e anche l'apparizione finale di due personaggi molto noti della letteratura italiana (evito spoiler nel commento), così come l'ironia che si nota qua e là.


Metallo urlante: racconto coraggioso per la scelta di giocare sui piani temporali, rimescolando le carte e lasciando che la situazione narrativa si sveli a poco a poco. Purtroppo, la carne al fuoco (visto il tema del concorso, è proprio il caso di dirlo) è davvero tanta e per via dei continui cambi di tempo e di personaggi in scena il lettore si trova a doversi orientare tra troppi elementi diversi che finiscono per disorientare. La struttura ambiziosa, così, nel breve spazio di un racconto, finisce per complicare forse un po' troppo le cose. Lo stile è buono, però, e senza dubbio l'autore avrà qualcosa da dire anche in futuro; gradevole anche l'ironia del finale, che io apprezzo sempre molto.

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Re: Semifinale gruppo Aislinn

Messaggio#6 » martedì 12 luglio 2016, 10:47

Brava Linda, il tuo racconto secondo me era molto riuscito.... ma bravo anche Vastatio che davvero ha osato, e secondo me con ottimi risultati.

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