Un mare senza fondo (3826 caratteri)
Inviato: mercoledì 11 maggio 2016, 15:30
Ci avevo provato molto volte, ma arrivata davanti il cancello dell'ambulatorio tornavo sempre indietro. Non ce la facevo a entrare. Era tutto talmente inconcepibile. Quindi non mi rimaneva che affrontare la mamma.
Quel pomeriggio era a casa, si stava aggiustando i capelli davanti allo specchio. Tra poco avrebbe dovuto recarsi al lavoro.
- Mamma, aspetto un bambino – dissi alle sue spalle, senza preavviso, con il cuore in gola.
Lei rimase un attimo immobile, come spaesata, con le forcine sospese tra i capelli.
Fece poi un gesto con la mano, come per scacciare una mosca.
- Ma certo. E chi sarebbe il padre, sentiamo?
Non mi credeva, era evidente. Io intanto, avevo iniziato a tremare.
- Nessuno. Questo bambino è solo mio.
Arrossendo mi toccai la pancia e il lieve gonfiore mi diede forza per proseguire.
- Non sto scherzando, mamma. Sto dicendo la verità. Te lo giuro.
Lei, come se si fosse svegliata da uno strano sogno, mi guardò per qualche minuto con gran attenzione. Poi, nervosa, chiamò in ufficio per dire che sarebbe entrata più tardi. Dopodiché, sedendosi accanto a me, cominciò a parlarmi con gran serietà. Dapprima cercando di scoprire chi fosse il padre, per poi chiedermi com’era potuto succedere una cosa del genere, visto che io uscivo così poco da casa, se non per andare a scuola. Io continuai a non darle le risposte che voleva, ma come prova della mia buona fede le mostrai il risultato del test fatto quella mattina. Davanti la mia ostilità perse la pazienza e mi diede un paio di schiaffi. Per lei ero sempre stata una “figlia impossibile”, con la mia depressione e stranezze varie, non ero che un grattacapo. Non ne poteva più di me. Continuò quella litania dicendo altre cose poco gradevoli, per diverso tempo.
Poi, esasusta, decise di recarsi lo stesso in ufficio rimandando quella triste questione al suo rientro.
Quando uscì mi sedetti alla scrivania della mia camera. Il volto mi bruciava e le lacrime mi graffiavano i lividi sulla pelle.
Era solo questione di tempo, dicevo tra me e me per consolarmi, tra pochi anni sarei diventata maggiorenne, e allora... Ma come avrei fatto a sopportare ancora quell’inferno? Non ne ce la facevo più! Mi sentivo smarrita, impotente. E non c’era nessuno con cui parlare, che potesse comprendere...
Sarebbe bastato aprire i vetri della finestra e, in un attimo, puf, tutto sarebbe finito.
Proprio allora lui si mosse, per la prima volta, dentro me. Come a dirmi che non ero sola, c’era lui. Se fosse nato, forse… Quell’idea non mi era mai passata prima per la testa, troppo assurda, troppo illogica, eppure: perché no?
Quando rincasò mio padre era ormai sera. Di certo la mamma doveva averlo messo al corrente. Ne aveva una gran considerazione, tanto da consultarlo per ogni decisione.
Come previsto, infatti, me lo trovai di fronte, occhi negli occhi:
- So tutto.
Lo fissai turbata, sebbene fiduciosa.
- Lo immaginavo.
Mi posò la mano su una guancia segnata dai colpi.
- Hai male? Non aver paura, non lascerò che ti picchi ancora.
- Comunque, ci ho pensato tutt'oggi, vorrei tenere il bambino. Vero che mi aiuterai?
Come risposta mi diede uno spintone, facendomi cadere sul letto.
- E' divertente con te. Sempre tenera, proprio come un gattino.
Mi alzò poi bruscamente la gonna e, come tutte le altre volte, mi strappò via le mutandine, salendo sopra di me.
- Riguardo quanto mi hai chiesto, nostro figlio non potrà mai nascere.
Chiudevo sempre gli occhi in quei momenti, ma quella volta reclinando la testa, giù dall'altra sponda del letto, guardai l'orizzonte nella finestra alle mie spalle. Quella sera la luna si era alzata, splendente, e il cielo era come un mare senza fondo.
Quel pomeriggio era a casa, si stava aggiustando i capelli davanti allo specchio. Tra poco avrebbe dovuto recarsi al lavoro.
- Mamma, aspetto un bambino – dissi alle sue spalle, senza preavviso, con il cuore in gola.
Lei rimase un attimo immobile, come spaesata, con le forcine sospese tra i capelli.
Fece poi un gesto con la mano, come per scacciare una mosca.
- Ma certo. E chi sarebbe il padre, sentiamo?
Non mi credeva, era evidente. Io intanto, avevo iniziato a tremare.
- Nessuno. Questo bambino è solo mio.
Arrossendo mi toccai la pancia e il lieve gonfiore mi diede forza per proseguire.
- Non sto scherzando, mamma. Sto dicendo la verità. Te lo giuro.
Lei, come se si fosse svegliata da uno strano sogno, mi guardò per qualche minuto con gran attenzione. Poi, nervosa, chiamò in ufficio per dire che sarebbe entrata più tardi. Dopodiché, sedendosi accanto a me, cominciò a parlarmi con gran serietà. Dapprima cercando di scoprire chi fosse il padre, per poi chiedermi com’era potuto succedere una cosa del genere, visto che io uscivo così poco da casa, se non per andare a scuola. Io continuai a non darle le risposte che voleva, ma come prova della mia buona fede le mostrai il risultato del test fatto quella mattina. Davanti la mia ostilità perse la pazienza e mi diede un paio di schiaffi. Per lei ero sempre stata una “figlia impossibile”, con la mia depressione e stranezze varie, non ero che un grattacapo. Non ne poteva più di me. Continuò quella litania dicendo altre cose poco gradevoli, per diverso tempo.
Poi, esasusta, decise di recarsi lo stesso in ufficio rimandando quella triste questione al suo rientro.
Quando uscì mi sedetti alla scrivania della mia camera. Il volto mi bruciava e le lacrime mi graffiavano i lividi sulla pelle.
Era solo questione di tempo, dicevo tra me e me per consolarmi, tra pochi anni sarei diventata maggiorenne, e allora... Ma come avrei fatto a sopportare ancora quell’inferno? Non ne ce la facevo più! Mi sentivo smarrita, impotente. E non c’era nessuno con cui parlare, che potesse comprendere...
Sarebbe bastato aprire i vetri della finestra e, in un attimo, puf, tutto sarebbe finito.
Proprio allora lui si mosse, per la prima volta, dentro me. Come a dirmi che non ero sola, c’era lui. Se fosse nato, forse… Quell’idea non mi era mai passata prima per la testa, troppo assurda, troppo illogica, eppure: perché no?
Quando rincasò mio padre era ormai sera. Di certo la mamma doveva averlo messo al corrente. Ne aveva una gran considerazione, tanto da consultarlo per ogni decisione.
Come previsto, infatti, me lo trovai di fronte, occhi negli occhi:
- So tutto.
Lo fissai turbata, sebbene fiduciosa.
- Lo immaginavo.
Mi posò la mano su una guancia segnata dai colpi.
- Hai male? Non aver paura, non lascerò che ti picchi ancora.
- Comunque, ci ho pensato tutt'oggi, vorrei tenere il bambino. Vero che mi aiuterai?
Come risposta mi diede uno spintone, facendomi cadere sul letto.
- E' divertente con te. Sempre tenera, proprio come un gattino.
Mi alzò poi bruscamente la gonna e, come tutte le altre volte, mi strappò via le mutandine, salendo sopra di me.
- Riguardo quanto mi hai chiesto, nostro figlio non potrà mai nascere.
Chiudevo sempre gli occhi in quei momenti, ma quella volta reclinando la testa, giù dall'altra sponda del letto, guardai l'orizzonte nella finestra alle mie spalle. Quella sera la luna si era alzata, splendente, e il cielo era come un mare senza fondo.