l'alamaro color cenere (9222)
Inviato: mercoledì 1 giugno 2016, 16:44
L’ALAMARO COLOR CENERE
Di Alexandra Fischer
Riconobbi all’istante il bottone che avevo cucito per Ivo, ma una parte di me rifiutò di arrendersi all’evidenza.
Era ancora freddo dell’acqua della fontanella nella quale lo avevo immerso per dargli una via d’uscita.
Non ne avevo scelta una a caso, bensì proprio quella che segnava il confine fra il quartiere delle fabbriche e il quartiere dei chioschi notturni.
- Lo ha perduto –affermai secca dopo essermelo rigirato fra le dita.
- Ivo? – mi chiese Dora rivolgendomi lo sguardo di chi si aggrappa all’ultima speranza.
- Sì, purtroppo – replicai, agitandole sotto gli occhi il lembo di stoffa color cenere sul quale spiccava ancora lo strappo.
- In altre parole, è riuscito a perdere il bottone…e non solo – replicò lei, pensierosa.
Le mie peggiori paure avevano preso corpo.
Gli avevo regalato io stessa il montgomery perché lo riparasse dal vento gelido che percuoteva l’angolo del quartiere vecchio, cambiando il primo bottone di legno dell’allacciatura con uno dei miei.
Cucendoglielo, avevo sperato di allontanare da lui il tocco delle ali della notte, un tipo di magia molto potente, in grado di portare lontanissimo chi ne veniva colpito.
Mi ero decisa a farlo dopo aver saputo che lui voleva visitare il mercato che apriva quando cominciava la notte.
Era facile perdersi laggiù.
Il tempo andava più veloce, fra i chioschi nel buio.
Lo testimoniavano gli abiti strappati e qualche osso umano, uniche tracce mattutine degli incauti rimasti troppo a lungo nelle botteghe.
I venditori del mercato notturno vedevano l’alba in modo diverso da quelli che lavoravano alla luce del sole.
Il tramonto della luna portava loro una stanchezza intollerabile: avrebbero ucciso per un po’ di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi di clienti irrispettosi dell’orario di chiusura.
Nei miei giri notturni avevo imparato presto a riconoscere i segni della collera dei bottegai.
In quella del commerciante di sculture lignee, il gruppo scolpito di adolescenti in corsa mi aveva trasmesso una fitta di angoscia.
Mi ricordavano gli scalmanati che avevo incrociato poche ore prima.
E anche la fanciulla dal sorriso arrogante che avevo visto raffigurata sul piatto di ceramica esposto nel negozio vicino mi aveva fatto pensare all’eco di una lite che avevo sentito qualche notte prima.
Ivo, infastidito dalla lite fra la ragazza e il venditore di cinture, aveva cambiato marciapiede.
Rispetto alle prime volte, era diventato meno impressionabile davanti al lato pericoloso dei chioschi del buio.
L’arazzo che aveva visto fra le mani di un’acquirente gli aveva mostrato il lato piacevole della notte, facendogliela apparire come una dea gatto capricciosa dalle ali di pipistrello: se avesse saputo domarne la parte feroce, ne avrebbe gustato i doni.
Le sue amiche c’erano riuscite di certo mettendo alla prova il loro coraggio; lui intendeva fare lo stesso.
Melina non gli avrebbe negato un aiuto.
Quei ricordi angosciosi non mi avevano dato requie quando avevo trovato all’alba la tasca del montgomery in mezzo a un mucchio di spazzatura, ero corsa da Dora con i capelli dritti, ma la vista del bottone che posò sul tavolo, mi tolse addirittura il fiato.
Neanche l’acqua gelida permeata di magia che a me e Dora era servita a suo tempo sembrava averlo protetto.
Apparteneva a un ruscello sotterraneo che bagnava anche la regione dalla quale provenivano i bottegai notturni e riusciva a limitare i danni del lato distruttivo della loro magia.
Dora e io conoscevamo la gestrice del chiosco della tessitura perché amavano rifornirci da lei di stoffe e bottoni.
La sua magia non svaniva all’alba, anzi perdurava a lungo.
Gli abiti e i bottoni, se pure si logoravano di giorno, di notte si rigeneravano e tornavano come nuovi.
Mia cugina Dora e io amavamo molto l’abbigliamento che veniva dal suo chiosco e poco importava che bisognasse usare sempre il voi in segno di rispetto, pagando poi con monete che di giorno sarebbero state ormai fuori corso.
Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordavano le vacanze trascorse da una zia che aveva lavorato tutta la vita presso una bottega di dolci.
Quella regione, fatta di notte vellutata color pervinca, ci era rimasta impressa, così come i grandi papaveri del buio dai petali rosa fosforescente e i girasoli color acciaio.
Per non parlare delle case di legno immerse nella frescura, sempre piene di rumori di artigiani all’opera.
Non erano tutti disposti a mostrare agli estranei i loro lavori.
Soprattutto la tessitrice di arazzi.
Dora e io evitavamo con cura di avvicinarci alla casetta dai tetti conici tutte le volte che vedevamo brillare la luce alla finestra tonda che dava sulla strada e sentivamo il rumore della spola e del pedale.
La tessitrice era molto suscettibile in materia di magia e si diceva che molti dei lavori che vendeva nel chiosco raffiguravano i trattamenti che riservava agli scettici che si prendevano gioco di lei.
Ne avevo visti un paio, stupendomi di come il tipo di cintura portato dal gruppo di monelli raffigurato mentre scappava dai rami uncinati di un albero coperto di occhi assomigliasse molto a quello di un vicino di casa mai più ritornato dal mercato notturno.
Quando eravamo tornate di là, cariche di vino nero della Lunga Notte e focacce di grano del Buon Sonno, senza contare i dolciumi chiamati Briciole di Luna, Ivo aveva scambiato i nostri doni per i premi di una prova di coraggio notturna.
Ingolosito, ci aveva dato il tormento per sostenerla a sua volta.
Lo aveva ingannato di certo la direzione dalla quale eravamo giunte e anche il fatto che fosse l’alba.
A differenza di Dora, io avevo permesso a Ivo di andare nei chioschi, a patto che tenesse il bottone.
E a fatica.
Non voleva affidarsi alle protezioni magiche, lui.
- Ecco – mi disse Dora, severa – il suo scetticismo nei riguardi della magia lo ha perduto prima ancora che cominciasse la sua prova di coraggio.
Dal bottone pendeva ancora il filo dell’attaccatura ed era molto logoro.
Ivo mi aveva mentito per tutto il tempo; non credeva alla magia, pensava di poter girellare a piacimento nelle botteghe notturne avendo a che fare con ciarlatani umani normalissimi.
Ivo indossò con una smorfia il montgomery grigio chiaro.
Non era il suo colore preferito e il bottone sull’alamaro destro gli aveva trasmesso una sensazione di gelo sul polpastrello, quando lo aveva sfiorato con il dito.
La tentazione di liberarsene era stata forte, ma l’espressione della sua amica Melina lo aveva fatto desistere anche più della piega dura apparsa sulle labbra di Dora.
D’accordo, sarebbe uscito con il montgomery e quel ridicolo bottone per rispetto verso la fatica di Melina.
Il suo giro delle botteghe era arrivato quasi alla fine.
Gli era piaciuto molto poter assaggiare di nuovo il vino nero della Lunga Notte e le Briciole di Luna.
Sazio e un po’ brillo, si era avvicinato all’ultimo chiosco, sfidandolo a sorprenderlo: dopo aver visto insetti di smalto e metallo argenteo svolazzare e saltare come se fossero stati veri, meravigliarlo di più sarebbe stato difficile.
Il vino lo aveva accaldato e lui si era slacciato i bottoni del montgomery con gesti grossolani.
Le sue dita, poi, si erano posate decise sulla maniglia, senza badare al bottone già sul punto di staccarsi.
La bottegaia, quasi certamente avvolta nel suo mantello blu dai bordi frastagliati, doveva essere andata incontro a Ivo dandogli l’impressione di stare vedendo un gigantesco pipistrello.
Sì, ma per poco.
La conoscevo bene, quella; sapeva come fare abbassare le difese agli scettici in materia di magia.
Erano le sue vittime preferite.
L’arazzo ripiegato fra le sue mani avrebbe incuriosito chiunque, persino un tipo come Ivo.
Si era vantata con me tante volte di aver colto impreparati i clienti che avevano sottovalutato la forza della magia notturna.
Io sapevo bene che la magia d’acqua non sarebbe bastata da sola per proteggere Ivo; oltre a crederci, Ivo avrebbe dovuto tenere d’occhio quel bottone soprattutto dopo essere entrato nel chiosco.
Invece, anche per lui c’era stata la solita trafila delle vittime della bottegaia.
Le piaceva stordirle con la velocità fulminea delle sue dita, mentre contava in fretta le monete, prendendo poi la merce e spiegandola sotto i loro occhi attoniti con un sorriso ambiguo.
Sulle stoffe di seta grigia non c’era raffigurato nulla.
Era stata da sempre la classica trovata della bottegaia arpia per mandare in confusione la preda.
Ivo, mi viene da pensare, doveva aver aperto la bocca per farlo notare alla bottegaia, senza riuscirci.
Il colpo allo stomaco e la sensazione di risucchio seguitane subito dopo glielo avevano certamente impedito.
La bottegaia, quasi di certo, aveva ripiegato con cura il tessuto, contenta di aver messo a posto quello spaccone.
Ho trovato ieri l’arazzo accanto alla fontanella.
Aprendone i lembi ripiegati, ho visto sulla seta la storia del suo acquisto e mi ha fatto ripensare all’energia magica che avevo profuso nel cucire il bottone.
Non era servita a molto, perché l’espressione di terrore puro negli occhi di Ivo metteva i brividi, insieme al gesto di portarsi la mano all’alamaro, trovandolo vuoto del bottone.
Il mio gesto ha permesso a Ivo di sopravvivere soltanto in forma di figura di un arazzo?
Mi rifiuto ancora adesso di crederlo.
Io sento che è ancora vivo, l’ho capito dal palpito di energia vitale nel tessuto che ho fra le mani.
L’incantesimo di quella maledetta è reversibile; la stregaccia in questione ha voluto sfidarmi e la posta in gioco è Ivo.
Deve essersi salvato da qualche parte nel quartiere dei chioschi, ma dove? Dove?
Di Alexandra Fischer
Riconobbi all’istante il bottone che avevo cucito per Ivo, ma una parte di me rifiutò di arrendersi all’evidenza.
Era ancora freddo dell’acqua della fontanella nella quale lo avevo immerso per dargli una via d’uscita.
Non ne avevo scelta una a caso, bensì proprio quella che segnava il confine fra il quartiere delle fabbriche e il quartiere dei chioschi notturni.
- Lo ha perduto –affermai secca dopo essermelo rigirato fra le dita.
- Ivo? – mi chiese Dora rivolgendomi lo sguardo di chi si aggrappa all’ultima speranza.
- Sì, purtroppo – replicai, agitandole sotto gli occhi il lembo di stoffa color cenere sul quale spiccava ancora lo strappo.
- In altre parole, è riuscito a perdere il bottone…e non solo – replicò lei, pensierosa.
Le mie peggiori paure avevano preso corpo.
Gli avevo regalato io stessa il montgomery perché lo riparasse dal vento gelido che percuoteva l’angolo del quartiere vecchio, cambiando il primo bottone di legno dell’allacciatura con uno dei miei.
Cucendoglielo, avevo sperato di allontanare da lui il tocco delle ali della notte, un tipo di magia molto potente, in grado di portare lontanissimo chi ne veniva colpito.
Mi ero decisa a farlo dopo aver saputo che lui voleva visitare il mercato che apriva quando cominciava la notte.
Era facile perdersi laggiù.
Il tempo andava più veloce, fra i chioschi nel buio.
Lo testimoniavano gli abiti strappati e qualche osso umano, uniche tracce mattutine degli incauti rimasti troppo a lungo nelle botteghe.
I venditori del mercato notturno vedevano l’alba in modo diverso da quelli che lavoravano alla luce del sole.
Il tramonto della luna portava loro una stanchezza intollerabile: avrebbero ucciso per un po’ di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi di clienti irrispettosi dell’orario di chiusura.
Nei miei giri notturni avevo imparato presto a riconoscere i segni della collera dei bottegai.
In quella del commerciante di sculture lignee, il gruppo scolpito di adolescenti in corsa mi aveva trasmesso una fitta di angoscia.
Mi ricordavano gli scalmanati che avevo incrociato poche ore prima.
E anche la fanciulla dal sorriso arrogante che avevo visto raffigurata sul piatto di ceramica esposto nel negozio vicino mi aveva fatto pensare all’eco di una lite che avevo sentito qualche notte prima.
Ivo, infastidito dalla lite fra la ragazza e il venditore di cinture, aveva cambiato marciapiede.
Rispetto alle prime volte, era diventato meno impressionabile davanti al lato pericoloso dei chioschi del buio.
L’arazzo che aveva visto fra le mani di un’acquirente gli aveva mostrato il lato piacevole della notte, facendogliela apparire come una dea gatto capricciosa dalle ali di pipistrello: se avesse saputo domarne la parte feroce, ne avrebbe gustato i doni.
Le sue amiche c’erano riuscite di certo mettendo alla prova il loro coraggio; lui intendeva fare lo stesso.
Melina non gli avrebbe negato un aiuto.
Quei ricordi angosciosi non mi avevano dato requie quando avevo trovato all’alba la tasca del montgomery in mezzo a un mucchio di spazzatura, ero corsa da Dora con i capelli dritti, ma la vista del bottone che posò sul tavolo, mi tolse addirittura il fiato.
Neanche l’acqua gelida permeata di magia che a me e Dora era servita a suo tempo sembrava averlo protetto.
Apparteneva a un ruscello sotterraneo che bagnava anche la regione dalla quale provenivano i bottegai notturni e riusciva a limitare i danni del lato distruttivo della loro magia.
Dora e io conoscevamo la gestrice del chiosco della tessitura perché amavano rifornirci da lei di stoffe e bottoni.
La sua magia non svaniva all’alba, anzi perdurava a lungo.
Gli abiti e i bottoni, se pure si logoravano di giorno, di notte si rigeneravano e tornavano come nuovi.
Mia cugina Dora e io amavamo molto l’abbigliamento che veniva dal suo chiosco e poco importava che bisognasse usare sempre il voi in segno di rispetto, pagando poi con monete che di giorno sarebbero state ormai fuori corso.
Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordavano le vacanze trascorse da una zia che aveva lavorato tutta la vita presso una bottega di dolci.
Quella regione, fatta di notte vellutata color pervinca, ci era rimasta impressa, così come i grandi papaveri del buio dai petali rosa fosforescente e i girasoli color acciaio.
Per non parlare delle case di legno immerse nella frescura, sempre piene di rumori di artigiani all’opera.
Non erano tutti disposti a mostrare agli estranei i loro lavori.
Soprattutto la tessitrice di arazzi.
Dora e io evitavamo con cura di avvicinarci alla casetta dai tetti conici tutte le volte che vedevamo brillare la luce alla finestra tonda che dava sulla strada e sentivamo il rumore della spola e del pedale.
La tessitrice era molto suscettibile in materia di magia e si diceva che molti dei lavori che vendeva nel chiosco raffiguravano i trattamenti che riservava agli scettici che si prendevano gioco di lei.
Ne avevo visti un paio, stupendomi di come il tipo di cintura portato dal gruppo di monelli raffigurato mentre scappava dai rami uncinati di un albero coperto di occhi assomigliasse molto a quello di un vicino di casa mai più ritornato dal mercato notturno.
Quando eravamo tornate di là, cariche di vino nero della Lunga Notte e focacce di grano del Buon Sonno, senza contare i dolciumi chiamati Briciole di Luna, Ivo aveva scambiato i nostri doni per i premi di una prova di coraggio notturna.
Ingolosito, ci aveva dato il tormento per sostenerla a sua volta.
Lo aveva ingannato di certo la direzione dalla quale eravamo giunte e anche il fatto che fosse l’alba.
A differenza di Dora, io avevo permesso a Ivo di andare nei chioschi, a patto che tenesse il bottone.
E a fatica.
Non voleva affidarsi alle protezioni magiche, lui.
- Ecco – mi disse Dora, severa – il suo scetticismo nei riguardi della magia lo ha perduto prima ancora che cominciasse la sua prova di coraggio.
Dal bottone pendeva ancora il filo dell’attaccatura ed era molto logoro.
Ivo mi aveva mentito per tutto il tempo; non credeva alla magia, pensava di poter girellare a piacimento nelle botteghe notturne avendo a che fare con ciarlatani umani normalissimi.
Ivo indossò con una smorfia il montgomery grigio chiaro.
Non era il suo colore preferito e il bottone sull’alamaro destro gli aveva trasmesso una sensazione di gelo sul polpastrello, quando lo aveva sfiorato con il dito.
La tentazione di liberarsene era stata forte, ma l’espressione della sua amica Melina lo aveva fatto desistere anche più della piega dura apparsa sulle labbra di Dora.
D’accordo, sarebbe uscito con il montgomery e quel ridicolo bottone per rispetto verso la fatica di Melina.
Il suo giro delle botteghe era arrivato quasi alla fine.
Gli era piaciuto molto poter assaggiare di nuovo il vino nero della Lunga Notte e le Briciole di Luna.
Sazio e un po’ brillo, si era avvicinato all’ultimo chiosco, sfidandolo a sorprenderlo: dopo aver visto insetti di smalto e metallo argenteo svolazzare e saltare come se fossero stati veri, meravigliarlo di più sarebbe stato difficile.
Il vino lo aveva accaldato e lui si era slacciato i bottoni del montgomery con gesti grossolani.
Le sue dita, poi, si erano posate decise sulla maniglia, senza badare al bottone già sul punto di staccarsi.
La bottegaia, quasi certamente avvolta nel suo mantello blu dai bordi frastagliati, doveva essere andata incontro a Ivo dandogli l’impressione di stare vedendo un gigantesco pipistrello.
Sì, ma per poco.
La conoscevo bene, quella; sapeva come fare abbassare le difese agli scettici in materia di magia.
Erano le sue vittime preferite.
L’arazzo ripiegato fra le sue mani avrebbe incuriosito chiunque, persino un tipo come Ivo.
Si era vantata con me tante volte di aver colto impreparati i clienti che avevano sottovalutato la forza della magia notturna.
Io sapevo bene che la magia d’acqua non sarebbe bastata da sola per proteggere Ivo; oltre a crederci, Ivo avrebbe dovuto tenere d’occhio quel bottone soprattutto dopo essere entrato nel chiosco.
Invece, anche per lui c’era stata la solita trafila delle vittime della bottegaia.
Le piaceva stordirle con la velocità fulminea delle sue dita, mentre contava in fretta le monete, prendendo poi la merce e spiegandola sotto i loro occhi attoniti con un sorriso ambiguo.
Sulle stoffe di seta grigia non c’era raffigurato nulla.
Era stata da sempre la classica trovata della bottegaia arpia per mandare in confusione la preda.
Ivo, mi viene da pensare, doveva aver aperto la bocca per farlo notare alla bottegaia, senza riuscirci.
Il colpo allo stomaco e la sensazione di risucchio seguitane subito dopo glielo avevano certamente impedito.
La bottegaia, quasi di certo, aveva ripiegato con cura il tessuto, contenta di aver messo a posto quello spaccone.
Ho trovato ieri l’arazzo accanto alla fontanella.
Aprendone i lembi ripiegati, ho visto sulla seta la storia del suo acquisto e mi ha fatto ripensare all’energia magica che avevo profuso nel cucire il bottone.
Non era servita a molto, perché l’espressione di terrore puro negli occhi di Ivo metteva i brividi, insieme al gesto di portarsi la mano all’alamaro, trovandolo vuoto del bottone.
Il mio gesto ha permesso a Ivo di sopravvivere soltanto in forma di figura di un arazzo?
Mi rifiuto ancora adesso di crederlo.
Io sento che è ancora vivo, l’ho capito dal palpito di energia vitale nel tessuto che ho fra le mani.
L’incantesimo di quella maledetta è reversibile; la stregaccia in questione ha voluto sfidarmi e la posta in gioco è Ivo.
Deve essersi salvato da qualche parte nel quartiere dei chioschi, ma dove? Dove?